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Banda Bandera: Se i gatti hanno sette vite la mia vita ha sette gatti
Banda Bandera: Se i gatti hanno sette vite la mia vita ha sette gatti
Banda Bandera: Se i gatti hanno sette vite la mia vita ha sette gatti
E-book132 pagine1 ora

Banda Bandera: Se i gatti hanno sette vite la mia vita ha sette gatti

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Info su questo ebook

Può un gatto cambiare la vita di una persona?
Può una persona interagire intensamente con le vite di sette gatti?

L’autrice, in un momento particolare dell’esistenza, incontra la gattina nera Fofò.⠀
La storia si evolve, tra il romanzo, l’autobiografia e il diario.⠀

La vita di Beatrice cambia e si lascia cambiare dall’intreccio degli eventi.⠀
La casa, il cortile e il giardino si trasformano per ospitare in sicurezza i sette gatti della banda.

Piccole cose fanno grandi cose”, questo il motto di Beatrice.⠀

Il suo sogno: una banda integrata e integrante, un numero sette che dica perfezione.
LinguaItaliano
Data di uscita11 mar 2021
ISBN9791220275743
Banda Bandera: Se i gatti hanno sette vite la mia vita ha sette gatti

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    Anteprima del libro

    Banda Bandera - Maria Beatrice Bandera

    Maria Beatrice Bandera

    Banda Bandera

    Se i gatti hanno sette vite la mia vita ha sette gatti

    © 2021 – Gilgamesh Edizioni

    Via Giosuè Carducci, 37 – 46041 Asola (MN)

    gilgameshedizioni@gmail.com – www.gilgameshedizioni.com

    Tel. 0376/1586414

    È vietata la riproduzione non autorizzata

    In copertina: progetto grafico di Dario Bellini

    © Tutti i diritti riservati

    UUID: 83c56d1b-f945-4bdf-8b6f-1cd53fe044c8

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Le ortensie

    L'elleboro

    Il parco della comunità

    L'incontro con Fofò

    Fofò sul terrazzo

    Fofò e i fofini

    Uno dei fofini

    I fofini nella cuccia

    Il piccolo Uldy nelle mie mani

    La mia chitarra in mani esperte

    Eli, Fofò e io

    Le prime poppate al biberon

    Nerino nelle mie mani

    Nerino, ora Pece, nelle mani di Arianna

    Il bel Cocco

    Uldy la mansueta

    Mia la super coccolona ed Ely la riservata

    Giusy la cacciatrice

    Il lettone a sera

    La banda Bandera

    Roscio e io

    Le ferite di Fofò

    L'inferriata

    Mia sulla mia auto

    I baci di Mia

    La banda sul terrazzo senza Mia

    Cocco e la casetta di Eli

    Nostalgico ricordo di Mia

    Il micione mio guardingo e solitario

    Gli occhi di Roscio

    Le cuccette del giardino

    Fofò sulla poltrona che fu di Hansel

    A spasso sulla carriola

    Ma vedo ancora il cielo

    Tentativo di fuga

    La dolce e tenera Fofò

    Il nostro nuovo giardino

    Il nostro albero con Giusy

    Post Scriptum

    L'incontro con Mio

    Mio acciambellato al sole

    Scrivi una recensione al mio romanzo. Grazie mille!

    Un REGALO finale per te dalla nostra Casa Editrice

    ANUNNAKI

    Narrativa

    155

    Ai miei genitori e a mio fratello,

    che mi guidano dal cielo.

    A tutte le mie amiche e ai miei amici.

    A tutti i medici, gli infermieri

    e gli operatori socio sanitari

    che hanno lavorato per la mia rinascita.

    Ai miei gatti,

    che danno un senso alla mia vita

    nel qui e nell’ora.

    Alle veterinarie e ai veterinari, angeli

    custodi dei nostri animali domestici.

    Le ortensie

    Era un caldo pomeriggio di ottobre. Fulminella (così la chiamavo in cuor mio) stava potando le ortensie e, tra uno zac e l’altro, mi spiegava il criterio col quale lo faceva. Mai potare i rami che portassero all’apice una gemma: in inverno sarebbero gelati. Con gli altri si doveva procedere col taglio dopo la seconda gemma dal basso. Mi affascinava quel suo modo preciso di spiegare e di operare. Era decisamente diversa da tutte le altre. Piccola e minuta, non era mai ferma. La sua voce un po’stridula e acuta sbucava dagli alberi, passava in cucina, in lavanderia, in guardiola e girava nei bagni, mescolandosi e sovrapponendosi a tutte le altre. In effetti Fulminella non parlava, urlava. Urlava e stordiva.

    immagine 1

    Le ortensie

    L'elleboro

    Quando, però, si trattava di parlare di cose serie, il tono magicamente si abbassava, diventava confidenziale, quasi suadente. Non era semplice parlare con lei, perché induceva a uno strano coinvolgimento che, nel mio caso, portava alle lacrime. Tra una sigaretta e l’altra, alle nuvole di fumo s’intrecciavano i pensieri, le paure, i ricordi, le colpe mai sopite. In quello splendido parco di tigli, cedri, abeti, pruni e castani le voci si univano al canto degli uccelli, che puntualmente mi occupavo di nutrire. Parlavamo, sì, anche di animali: del mio cane che era morto da poco, del suo cane e del suo gatto, della gattina che anni prima la comunità aveva adottato, del suo parto inatteso, delle necessarie adozioni…

    Fulminella era una OSS (operatrice socio sanitaria). Io ero una paziente. Mi trovavo in quella comunità per i postumi di una depressione. Non è certo di questo che scriverò, forse nemmeno parlerò ancora di lei, ma dovevo inquadrarmi in uno stato, in un luogo, con qualcuno, e ho pensato a lei. La ricordo con affetto, nonostante tutto.

    ***

    La mia compagna di stanza rappresentò per me una vera fortuna. Quando entrai non ero in grado di formulare una parola senza piangere. Lei rideva per un nonnulla. Dormiva come un ghiro e metteva la sveglia del mattino apposta per me. Quando suonava si alzava, la spegneva e tornava a dormire. Io, invece, mi alzavo pronta ‒ si fa per dire ‒ ad affrontare un nuovo giorno. In realtà facevo ogni cosa meccanicamente, perché dovevo. Nulla mi dava gioia. Leggere qualcosa mi infastidiva perché, girata la pagina, non ricordavo quello che avevo letto prima. Il mio rapporto con la mia compagna era fatto di sì, no, probabilmente, non so. Sono certa che lei mi volesse bene, nonostante e oltre i miei silenzi. Talvolta trovavo sul mio comodino un dolcetto. Io ricambiavo con dei fiori di campo. Una delle mie poche gioie era quella di passeggiare nel parco osservando le erbe selvatiche, cercando di ricordare i loro nomi. Amavo l’odore di terra dopo la pioggia. M’inzaccheravo tutta, pur di calpestarla. Raccoglievo fiori solo per farne dono: in realtà quella recisione mi provocava molto dolore. Avrei donato fiori già morti.

    Lei ed io ci eravamo ribattezzate Hansel e Gretel (io ero Gretel): le nostre infanzie non erano state brillanti, avevamo trovato rifugio nel gioco per sconfiggere vari mostri. Uno fra tutti la morte. Forse era quello il motivo della nostra sottile ironia. Hansel la mostrava spesso sotto forma di autoironia (guarda che pancia, sembro Ciccio Bombo, guarda se devo dormire sempre come un ghiro…), io invece mi accanivo contro gli altri ed ero pungente come un fuso. Sapevo usare bene le parole e le scagliavo come dardi apparentemente innocui, ben mascherati da una forma quasi impeccabile.

    Eravamo ormai prossimi al Natale. Tutto parlava, odorava, suonava di Natale. Da sempre odiavo le lucine intermittenti, le avevo rimosse da bambina dopo un grave lutto in famiglia. Perciò scelsi di allestire un presepio da sola, attorno alla struttura di una vecchia macchina per cucire

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