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La figlia del Marchese: Le figlie, #1
La figlia del Marchese: Le figlie, #1
La figlia del Marchese: Le figlie, #1
E-book376 pagine5 ore

La figlia del Marchese: Le figlie, #1

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Info su questo ebook

Stephen Lynch arriva a Londra con un'unica missione: vendere la merce che trasporta sulla sua nave per saldare i debiti che da tempo attanagliano la sua famiglia.

Un obiettivo all'apparenza semplicissimo: resta solo da cercare un buon acquirente. Ma questo compito diventa una tortura quando conosce Evah Bennet, la figlia del marchese di Riderland.

Lui non vuole farla salire sulla nave.

Lei fa di tutto per riuscirci.

Stephen non vuole negoziare con lei.

Evah insiste nel dire che è l'unica persona che può comprare la sua merce.

La signorina Bennett diventa il maggiore dei suoi problemi.

Il signor Lynch diventa l'unico uomo capace di salvarla dall'umiliazione sociale…

Come andrà a finire questa storia piena di rifiuti, litigi, scontri e desideri?

LinguaItaliano
Data di uscita22 dic 2023
ISBN9798223566298
La figlia del Marchese: Le figlie, #1

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    Anteprima del libro

    La figlia del Marchese - Dama Beltrán

    Prologo

    Porto di Tilbury, Londra. 20 aprile 1885

    Quando non riuscì più a vedere distintamente ciò che la circondava, alzò il braccio destro e si asciugò il viso con la manica della camicia. Da quando aveva saputo dell’arrivo della nave, aveva architettato un piano per imbarcarsi insieme a Yeng. E lo avevano ripassato incessantemente, senza tralasciare un solo dettaglio ragionevole; si erano messi d’accordo anche su cos’avrebbero dovuto fare qualora fossero stati scoperti. Ma nessuno dei due aveva pensato a un fattore critico come la pioggia e ai possibili disagi che ne sarebbero derivati. Ma nonostante tutto sarebbe andata avanti.

    Evah abbassò lo sguardo e si fissò la punta degli stivali, che mosse piano per confermare di avere la stabilità necessaria per non scivolare. Se fosse caduta rompendosi l’osso del collo non sarebbe stato il massimo, né per lei né per il suo amato padre. Ricordò l’ultima volta che lo aveva visto e sorrise. Prima di partire per Sheiton Hall le aveva fatto promettere che non avrebbe fatto nulla di strano fintantoché fosse rimasta a Londra da sola. Appena prima di rispondergli si era messa le mani dietro la schiena e aveva incrociato le dita. E gli aveva mentito, di nuovo. Quella volta, però, aveva avuto un ottimo motivo. Se le informazioni che le erano giunte erano vere, dall’Irlanda stava per arrivare un nuovo fornitore che avrebbe fatto di tutto per conquistarsi un posto tra i commercianti di Londra. E lei non avrebbe mai permesso che un irlandese facesse concorrenza all’impresa di suo padre! Era per questo che si trovava sul tetto di uno dei magazzini del molo, appostata in attesa dell’arrivo di quella nave.

    Quando udì la nave fischiare, si girò verso Yeng e si accinse a scendere. La pioggia, pur debole, non permetteva di saltare senza correre rischi. Ma nulla l’avrebbe fermata. Cercava delle risposte e per ottenerle avrebbe combattuto contro qualsiasi avversità. Si rialzò con estrema attenzione e con un cenno del capo diede al suo amico il segnale che stava aspettando. Poi vagliò velocemente le opzioni a sua disposizione per scendere dal tetto e con suo grande sollievo constatò che, per fortuna, i barili che aveva visto sulla destra del magazzino erano ancora al loro posto. Senza perdere un secondo, saltò in quella direzione, allargando le braccia per non perdere l’equilibrio. Raggiunto l’obiettivo, le sue labbra si allargarono fino a formare un ampio sorriso. I Bennett erano sempre stati degli ottimi atleti e, per sua fortuna, Evah aveva ereditato la loro agilità anziché la goffaggine di sua madre. Camminò adagio sui coperchi dei barili, usandoli come gradini. Una volta giunta a terra si nascose dietro i recipienti, in attesa di Yeng, che però non la raggiunse subito come avevano concordato, ma decise invece di fare una breve ricognizione per confermare che non ci fosse nessuno nei paraggi. Nonostante tutti gli insegnamenti che le aveva impartito fin dall’infanzia, il suo amico continuava a dubitare della sua capacità di farla franca in caso di una rissa improvvisa. Evah, dal suo canto, era ben sicura delle sue capacità: se non fosse riuscita a togliersi dai guai combattendo con le mani, avrebbe fatto ricorso alle sue armi femminili. Quale uomo non avrebbe avuto pietà di una giovane smarrita che piangeva sconsolata? Il suo sorriso si allargò. Fino ad allora l’unico a non essere mai caduto nel suo tranello di damigella innocente era stato suo padre. Lacrime di strega le aveva detto in più di un’occasione. E nel dire che le sue lacrime non erano vere non si era mai sbagliato, tranne una volta: un giorno Evah era stata colta da uno sconforto genuino, quando aveva dovuto accettare, a malincuore, che la persona che amava l’aveva abbandonata. Ma il sangue che scorreva nelle sue vene non ci aveva messo molto a rasserenarla e a partire da allor Evah aveva indurito non solo il carattere, ma anche il cuore.

    «C’è qualcuno là dentro» disse Yeng quando la raggiunse. «Credo che dovremmo lasciar perdere.»

    Evah lo guardò stupita. Aveva davvero intenzione di tirarsi indietro? Non potevano. Nonostante tutte le conseguenze che li aspettavano quando fossero tornati a casa… no, non potevano desistere.

    Posò una mano sulla spalla destra dell’amico per calmare la sua inquietudine e dichiarò: «Andremo avanti.»

    «Vostro padre ci ammazzerà. Dimenticherà che voi siete sua figlia e io l’unico cinese che lavora per lui; ci ammazzerà e basta, così, a mani nude» rispose angosciato.

    «Non entreremo nella stiva come avevamo deciso, ci limiteremo a fare un’ispezione veloce del ponte: magari troveremo qualcosa che ci darà qualche indizio sul carico che trasporta» affermò Evah con una tranquillità disarmante, come se non stesse per assaltare una nave, ma solo recandosi da una sarta per farsi prendere le misure per un vestito.

    Yeng scosse la testa e cercò qualche alternativa per farle cambiare idea. Non ebbe il tempo di trovarla. Quando le sue labbra si schiusero per parlare, Evah aveva già fatto i primi passi in avanti. «Che Dio ci protegga!» sussurrò seguendola.

    Nascosta nell’ombra, Evah si avvicinò alla nave irlandese. Era grande tanto quanto la Liberté di suo padre, ma il suo legno era lucido, solido, nuovo di zecca. Senza abbandonare il nuovo nascondiglio, alzò lo sguardo verso l’albero. Le vele erano state raccolte, ma c’era ancora una banderuola che ondeggiava, con l’immagine di uno scudo. Evah osservò meglio l’insegna e arricciò il naso. Dedusse con disappunto che doveva raffigurare il blasone di famiglia del fornitore, che sembrava orgoglioso di esibirlo. Se la sua conclusione era esatta, ci avrebbe pensato lei a togliergli presto quell’arroganza tutta irlandese! Non appena avesse scoperto quali merci trasportava, lo avrebbe raccontato a suo padre, permettendogli così di prendere provvedimenti tempestivi e mandare all’aria i piani del fornitore irlandese. Mentre immaginava come il nuovo commerciante montava in collera dopo aver scoperto che non sarebbe riuscito a vendere la mercanzia, udì dietro la nuca il respiro agitato di Yeng.

    «Questo stupido di un irlandese si è scordato di ritirare la scaletta» disse Evah, indicando con un cenno lo scafo della nave. «Non gli sarà nemmeno venuto in mente che qualcuno potrebbe salire a bordo della sua nave di notte.»

    «Solo un pazzo oserebbe salire quando c’è anche l’equipaggio» borbottò Yeng.

    «Io non sono pazza» rispose, girandosi per guardarlo in faccia. «Sono solo una brava figliola che vuole il meglio per suo padre.»

    «Dubito fortemente che il marchese ritenga che un atto così irrazionale si deve alla vostra buona volontà» ribatté irritato.

    «Ma nessuno di noi due gli dirà come abbiamo ottenuto certe informazioni; questo ve lo ricordate, no?»

    «Sì» rispose l’uomo con un lungo sospiro.

    «In tal caso, smettetela di mettermi i bastoni tra le ruote e saliamo questa scaletta. Se ci scoprono, salteremo in mare come abbiamo concordato.»

    «L’acqua non eviterà l’impatto dei proiettili. Ve lo dico nel caso non abbiate pensato che potrebbero avere delle armi per proteggere la merce.»

    «Odio il vostro pessimismo!» esclamò lei volgendo gli occhi al cielo.

    «Se steste sorseggiando un brandy davanti al caminetto del salone principale, non dovreste stare ad ascoltarmi.»

    «Va bene! Se non volete venire, potete rimanere qui a fare la guardia, ma vi assicuro che io andrò avanti» dichiarò prima di incamminarsi verso la scaletta di corda che pendeva dalla sponda di tribordo.

    Yeng non perse un solo secondo e la raggiunse. Doveva proteggerla, anche se farlo gli avrebbe causato migliaia di problemi. La moglie di John gli aveva assicurato che col tempo la ragazza avrebbe smesso di essere così imprudente e avrebbe pensato a cercarsi un marito, ma le sue ipotesi si erano rivelate errate. Dopo che il giovane Terry Spencer se n’era andato da Londra, Evah aveva accantonato l’idea di sposarsi e si era dedicata a proteggere l’attività commerciale del marchese, che a dire il vero non correva alcun pericolo, per quanto la ragazzina si ostinasse a pensare il contrario. Non sarebbero bastati sette decenni per mandarla in rovina! Ma Yeng era giunto alla conclusione che la sua ansia di salvare i beni di suo padre non aveva nulla a che fare con la possibile rovina del marchese, ma piuttosto col tenersi occupata per evitare che il dolore del mal d’amore prendesse di nuovo il sopravvento.

    «Ve l’avevo detto» osservò Evah, felice, quando i due furono a bordo. «Sono sicura che l’irlandese starà bevendo e godendo dei piaceri di una sgualdrina nella sua cabina.»

    «Voi cosa ne sapete delle sgualdrine?» sbottò Yeng, spalancando gli occhi così che colpo da sembrare un europeo.

    «Quanto basta per capire che offrono il loro corpo in cambio di…»

    «Basta così, vi prego. Questa conversazione si chiude qui. Facciamo questa ricognizione e andiamocene al più presto» disse Yeng, paonazzo per la vergogna.

    Evah sorrise. Aveva ottenuto il risultato sperato: Yeng preferiva affrontare migliaia di pericoli mortali piuttosto che parlare con lei dei piaceri della carne; ma ignorava che le conoscenze di Evah in materia probabilmente erano maggiori delle sue. Terry le aveva insegnato abbastanza bene come si divertivano gli innamorati quando rimanevano da soli. Di quel periodo, comunque, le erano rimasti sì e no pochi ricordi. Forse li aveva allontanati dalla sua mente per smettere di soffrire. La rievocazione di quei tempi le fece stringere i pugni. Se fosse stata un’altra, nonostante ciò che era successo con Terry, non avrebbe perso la prima occasione di sposarsi. Grazie al suo orgoglio, aveva mantenuto saldamente la sua posizione e si era rifiutata di contrarre qualsiasi matrimonio che potesse essere rovinoso per entrambi i coniugi.

    «Abbassatevi!» sussurrò Yeng, che aveva udito un rumore.

    Il cuore di Evah prese a battere forte. Non per la paura, ma per la frenesia che la pervadeva ogni volta che si trovava in una situazione rischiosa. Irrazionale. Così la definiva sua madre quando la esortava con insistenza a non lasciar passare altro tempo senza trovarsi un marito da prendere a braccetto. Certo, la marchesa non capiva il motivo dei suoi continui rifiuti, né mai lo avrebbe mai scoperto: Evah aveva deciso di restare zitella e che l’unico uomo che avrebbe amato sarebbe stato suo padre, il quale avrebbe sostituito la figura di un marito inesistente. Inoltre, Evah era ben sicura che a sua madre non sarebbe piaciuto affatto scoprire che la sua piccolina aveva intenzione di cercare certe soddisfazioni tra le braccia di qualche amante. Questo era ciò che avrebbe avuto dalla vita ed era l’unica cosa che le avrebbe permesso di proteggere il suo cuore.

    «Sta arrivando un’altra nave» sussurrò Yeng accanto a lei. «Questo complica i nostri piani. Dobbiamo andarcene al più presto. Se ci scoprono, non credo che avranno troppa pietà.»

    Evah non lo ascoltò nemmeno. Tutti i suoi sensi erano concentrati sulla nuova imbarcazione. La sua mente si chiedeva incessantemente chi mai poteva attraccare a quell’ora di notte. Proprio quando stava per rinunciare alla missione, una sagoma maschile spuntò sul ponte della seconda nave.

    Evah rimase paralizzata, tanto che non riuscì a fare un solo passo in avanti. Ciò che vedeva era reale? Il buio aveva pregiudicato la sua capacità di visione? Sbatté le palpebre, non solo per liberarsi della pioggia sottile che le bagnava gli occhi e vedere meglio, ma anche per confermare che ciò che stava osservando non fosse frutto della sua immaginazione.

    «È il giovane Terry!» esclamò Yeng, stupito tanto quanto lei.

    «Sì, è lui» confermò Evah, incapace di distogliere lo sguardo dal giovane che tanto dolore le aveva arrecato in passato.

    Nonostante il tempo trascorso e il conseguente cambiamento fisico, lo aveva riconosciuto immediatamente. Assomigliava così tanto a suo padre che i due si sarebbero potuti scambiare per la stessa persona. Non c’era più traccia del giovane scheletrico e imberbe che aveva conosciuto. Era diventato un uomo.

    «Evah…» le disse l’amico per aiutarla a scacciare certi pensieri e tornare con la mente al presente.

    «Sto bene» lo rassicurò lei, senza però distogliere lo sguardo dalla sagoma di Terry.

    Trepidante, lo osservò aggrapparsi forte alle corde per evitare di essere sballottato dagli scossoni della nave e osservare i tetti degli edifici più alti di Londra senza nemmeno barcollare. Stava pensando a lei? Si stava chiedendo dov’era in quel momento? Perché non le aveva scritto nemmeno una lettera per dirle quando sarebbe tornato?

    «Evah, dobbiamo andare» insisté Yeng. «Questa situazione è troppo complicata.»

    Evah annuì. Per la prima volta in vita sua avrebbe soddisfatto il desiderio di Yeng di rinunciare a qualcosa. Non perché non si sentisse sicura, ma perché lo sconcerto che la attanagliava avrebbe potuto condurla verso il finale disastroso che tanto temeva il suo amico. Distolse lo sguardo da Terry, che era ancora sul ponte, e fece un cenno col capo per confermare a Yeng che sarebbe saltata in mare subito dopo di lui. Accovacciata, tenne lo sguardo fisso sull’amico che avanzava carponi verso la sponda di babordo. Una volta raggiunta la fiancata, Yeng non perse un solo istante e si tuffò in mare. Era al sicuro, proprio come aveva desiderato sin da quando aveva capito che quella ricognizione sarebbe stata pericolosa. Non appena Evah udì il tonfo di Yeng, si accinse a seguirlo, ma non poté né volle andarsene senza dare un’ultima occhiata a Terry. Quando i suoi occhi si volsero di nuovo verso di lui, sentì una fitta atroce nel petto. Non era tornato da solo. Accanto a lui c’era una donna che gli stringeva forte la mano e che, per dissipare qualsiasi dubbio sul tipo di relazione che li univa, gli cingeva la vita e teneva appoggiata la testa sulla sua spalla. Evah rimase così sconcertata che dimenticò persino dove si trovava. Non aveva mai sperato di riprendere insieme a Terry ciò che avevano interrotto in passato, ma non aveva nemmeno immaginato che avrebbe scoperto in quel modo una notizia così importante a proposito della sua vecchia fiamma.

    Perché non aveva avuto il coraggio di dirle che il suo cuore apparteneva a un’altra? Perché aveva taciuto per tre anni? Scosse adagio la testa. Non era il momento di cercare certe risposte. Fece un respiro profondo per concentrarsi di nuovo sulla cosa più importante: andarsene. Si girò in fretta verso il punto in cui si era tuffato il suo amico e avanzò carponi. L’arrivo di Terry insieme a una probabile moglie poteva anche essere il pettegolezzo più succulento dell’alta società, ma sarebbe stato eclissato dallo scandalo che avrebbe causato se qualcuno l’avesse scoperta a bordo di quella nave.

    Senza smettere di pensare a ciò che sarebbe successo se non se ne fosse andata in fretta, avanzò verso la sponda… finché qualcosa non le impedì di procedere. Si girò lentamente e abbassò lo sguardo sul suo braccio destro. Vide una mano enorme che l’afferrava, ma non si spaventò, né si mise a urlare. Lasciò semplicemente che colui che l’aveva bloccata la sollevasse di colpo e la posasse di fronte a sé. Non si rese nemmeno conto che durante quel brusco strattone aveva chiuso gli occhi, finché non capì che ciò che la circondava non poteva essere così nero. Schiuse piano le palpebre e vide che di fronte a lei c’era un vero e proprio muro di muscoli. Una camicia bianca incollata al petto a causa della pioggia e sbottonata fino alla vita. Alzò piano il mento per far fronte al suo destino.

    Un futuro discutibile, dalla barba troppo lunga e la mascella serrata. I capelli spettinati, bagnati e chiari. Un uomo alto, dallo sguardo pieno di ferocia. Così Evah descrisse a se stessa il responsabile della sua sciagurata situazione. Ripassò tra sé e sé ciò che doveva fare se veniva scoperta: mettersi a piangere e implorare clemenza. Ma il turbamento suscitato dall’arrivo improvviso di Terry le impedì di comportarsi come una ragazzina impacciata e indecisa cacciatasi nei guai.

    «Lasciatemi andare!» ordinò. «O ne pagherete le conseguenze.»

    Quell’uomo dal volto fiero, severo ed ermetico, spalancò gli occhi ed Evah riuscì a scorgerne il colore. Celesti. Erano celesti come il mare in una giornata soleggiata. D’un tratto, però, quel colosso le sorrise, lasciando allo scoperto i suoi denti bianchi e perfetti. Evah desiderò propinargli un cazzotto per romperglieli.

    «Se fossi in voi, chiederei pietà. Non mi sembra corretto esigere di essere liberata proprio dalla persona che vi ha catturata sulla sua nave» disse dopo averla scrutata sommariamente e aver confermato che, nonostante gli abiti mascolini, era una donna. Si chiamava davvero Evah? Era così che l’aveva chiamata l’uomo che l’accompagnava prima di buttarsi in mare.

    «Vi ordino di lasciarmi andare» insisté lei, sempre più furiosa.

    «Ragazzina, non siete nella posizione di chiedermi una cosa del genere» rispose lui senza mollare la presa, ma avvicinandola a sé quanto bastava per accorgersi che stava tremando.

    «Per ora non vi ho fatto niente» affermò fissandolo orgogliosa.

    «Peccato che l’arrivo di quest’altra nave mi priverà di ottenere la risposta che desidero...» ribatté indicando con un cenno del mento l’imbarcazione su cui era arrivato Terry.

    «Non capisco cosa volete dire» rispose Evah, strattonando il braccio per liberarsi dalla presa.

    «So che mentite, ma non sono capace di rimproverarvi» disse l’uomo mentre la sua mano sinistra si posava teneramente su una delle guance di Evah.

    Gli istanti durante i quali lei sentì le sue nocche toccarle piano la pelle furono così lenti che le parvero scorrere al rallentatore. Fissò negli occhi il suo carceriere, cercandovi qualche indizio che le indicasse per quale motivo osasse accarezzarla con tanta tenerezza. Dedusse che si trattava semplicemente di un gesto di falsa pietà dovuto al fatto che l’aveva fatta prigioniera. Forse le avrebbe proposto di accompagnarlo in cabina e in cambio non l’avrebbe denunciata alle autorità.

    Dopo essere giunta alla conclusione che quell’uomo voleva soltanto approfittare della situazione, Evah andò su tutte le furie, espulse l’aria che aveva trattenuto nei polmoni e fece un passo indietro per separarsi da lui. Ricordando gli insegnamenti di Yeng, approfittò dello sconcerto del suo aguzzino e torse il braccio, liberandosi dalle dita che fino a pochi istanti prima premevano sulla sua pelle, poi alzò la gamba destra e gli diede una ginocchiata sulle costole e infine, prima ancora di udire un solo lamento, schiantò il pugno sinistro sul suo addome sodo.

    Evah sentì un dolore intenso alle nocche, come se avesse appena picchiato un sasso, ma non si accigliò, né si lamentò. La sua mano destra, libera da ogni presa, cadde pesante sul collo di quel titano. Non lo colpì sul pomo d’Adamo, non volendo ammazzarlo così su due piedi, ma sul punto esatto in cui una vena batteva veloce.

    L’estraneo volse gli occhi al cielo. Sì, avrebbe perso i sensi per qualche minuto, quanto bastava per scappare. Quando vide che il suo enorme corpo stava per crollare all’indietro, lo afferrò per la camicia per evitare che sbattesse fatalmente la testa per terra, ma quell’uomo era così pesante che la trascinò con sé. Evah gli cadde addosso, finendo sdraiata sopra di lui. Cercò di rialzarsi e appoggiò d’istinto le mani sul suo torace caldo, forte e villoso, il cui tatto, così diverso a quello di Terry, la sorprese.

    «Se non ve ne andate, giuro sulla mia vita che vi trascinerò nella mia cabina e passerete il resto della notte nella mia cuccetta» disse lo sconosciuto, che aveva ripreso i sensi fin troppo in fretta.

    «Vi ucciderei» affermò Evah.

    «Sì, ma di piacere» ribatté. Poi aprì le braccia e la lasciò andare.

    Evah reagì immediatamente. Si alzò e corse verso la sponda di babordo, da dove si sarebbe dovuta tuffare. Prima di farlo, però, volle guardare Terry un’ultima volta per assicurarsi di non aver avuto le allucinazioni, ma i suoi occhi disobbedirono e fissarono invece il corpo dello sconosciuto, che era rimasto sdraiato per terra.

    «Ci vediamo presto, piccola» le promise lui con un enorme sorriso sulle labbra carnose.

    «Neanche per sogno!» rispose Evah prima di buttarsi in acqua.

    I

    Londra, 23 aprile 1885

    Stephen guardava il bicchiere e ascoltava le grame condizioni che gli offriva l’avaro signor Kilcher. Era il quarto acquirente che incontrava da quand’era arrivato e, proprio come i precedenti, anche lui voleva acquistare la sua merce a un prezzo di gran lunga inferiore al suo valore reale. Erano faccende che lo irritavano e gli facevano perdere la pazienza. Forse suo fratello Brennan aveva ragione quando diceva che quella di andare a Londra era una pessima idea. Ma doveva provarci. I Lynch non erano famosi per le loro sconfitte, ma perché lottavano caparbiamente contro tutte le avversità per raggiungere i loro obiettivi.

    «Signor Lynch, vi ricordo che nel porto ci sono altri fornitori. Vista la vostra situazione, l’offerta che vi propongo è piuttosto generosa» spiegò Kilcher, come se gli stesse facendo il favore più grande della sua vita.

    «Vista la vostra situazione...» pensò amaramente Stephen. Finì il liquore tutto d’un fiato e posò il bicchiere vuoto sul tavolo. Doveva calmarsi per non mandare all’inferno quell’acquirente così premuroso. Sembrava proprio che non fosse cambiato niente: gli inglesi davano per scontato che gli irlandesi continuassero a soffrire la carestia che li aveva colpiti qualche anno prima e che per questo fossero disposti a calare le brache per una miseria.

    Ma non era affatto così. A poco a poco l’Irlanda si stava riprendendo e l’unico motivo per cui Stephen si era recato a Londra era la speranza di poter mantenere meglio la sua famiglia. Ed era consapevole del fatto che se avesse accettato quanto gli veniva offerto non avrebbe coperto nemmeno le spese sostenute per acquistare la nave.

    «È proprio una buona offerta…» dichiarò, contenendo la voglia di urlargli in faccia che era un ladro. Si alzò dalla sedia su cui era rimasto fin da quand’era entrato in quell’ufficio lussuoso e aggiunse: «Delle migliori che abbia ricevuto finora.»

    «Ve l’avevo detto» confermò Kilcher con fare altezzoso.

    «Ma dovete capire che devo pensarci prima di darvi una risposta. Come vi ho detto, ho altre proposte da valutare» argomentò lui tranquillo. Se l’ultimo acquirente che aveva intenzione di incontrare lo avesse respinto, non gli sarebbe rimasta altra scelta che riporre il suo orgoglio irlandese nei vecchi scarponi che indossava e tornarsene a casa.

    «Prendetevi pure il tempo necessario, ma vi avverto che la vostra merce potrebbe perdere gran parte del suo valore se rimane troppo a lungo sulla nave» rispose l’acquirente, le cui guance erano arrossite intensamente quando aveva capito, contrariamente a quanto aveva dato per scontato dopo aver svolto qualche indagine sul conto di Lynch, che l’irlandese non avrebbe firmato subito nessun contratto.

    «Sono d’accordo con voi» rispose Stephen, che si era abbottonato la giacca del carissimo abito comprato apposta per incontrare i possibili acquirenti. Si girò verso Kilcher e gli porse la mano. «A breve avrete mie notizie.»

    «Le aspetterò» rispose l’uomo con una stretta così tenue che le loro mani a malapena si sfiorarono. Sembrava voler evitare qualsiasi contatto fisico con lui, come se la sua pelle fosse contaminata.

    Nonostante quella sfacciata mancanza di rispetto, Lynch non perse il sorriso. Inclinò leggermente la testa in avanti, come se si fosse trovato al cospetto di un nobile, e si incamminò verso la porta. Doveva uscire di lì prima che le sue sporche mani irlandesi strangolassero quel collo sofisticato.

    «Due giorni, signor Lynch» esclamò l’acquirente all’ultimo secondo.

    «Due giorni» ripeté lui varcando la soglia.

    Mentre attraversava il lungo corridoio di quella casa, osservò attentamente ciò che lo circondava. Stephen non dovette sforzarsi troppo per comprendere il motivo della prosperità e della ricchezza del signor Kilcher: era un uomo senza scrupoli, che approfittava del bisogno della gente offrendole una miseria con la scusa di aiutarla. Se credeva davvero che avrebbe accettato la sua proposta senza lottare per ricevere un pagamento equo, non era solo ambizioso ma anche stupido. Non avrebbe accettato quella spilorceria nemmeno se gli avessero messo un cappio al collo. Strinse i pugni e procedette verso l’uscita, con la mente già rivolta all’obiettivo successivo.

    Nessuno sapeva con certezza quando il marchese di Riderland sarebbe rientrato a Londra, ma a Stephen non importava. Lo avrebbe aspettato. La merce che aveva a bordo non si sarebbe avariata nel giro di un paio di giorni o di una settimana. E mentre aspettava l’arrivo della sua ultima speranza, si sarebbe dedicato a scoprire chi era la giovane che era salita sulla sua nave. Il suo ricordo per poco non gli fece dimenticare la disgrazia che lo tormentava.

    «A giudicare dalla tua faccia, deduco che neanche stavolta sia andata come ti aspettavi.»

    Aidan Doyle, che dopo la scomparsa del vecchio e potente Lynch ne faceva le veci, lo aspettava a braccia conserte, con la schiena appoggiata al cancello d’ingresso. Stephen si chiedeva come facesse, alla sua età, a rimanere in piedi immobile per così tanto tempo. Forse ad apportargli quell’immane serenità e sicurezza era la sua infinita pazienza, dote che lui invece non possedeva affatto, o forse era il fatto di aver già vissuto una miriade di disgrazie.

    «Già...» rispose dopo aver emesso un lungo sospiro angosciato. «Uguale agli altri. Mi ha offerto una miseria.»

    «Abbi pazienza, giovanotto. Ti assicuro che prima o poi si ottiene tutto nella vita, anche se in alcune occasioni ci si riesce più tardi che presto» disse per placare il suo malumore. «Se ti va, mentre aspettiamo che arrivi la grande offerta possiamo parlare di quello che ho scoperto.»

    «E cos’avete scoperto?» chiese Stephen mentre si incamminavano verso il porto. Erano sempre a corto di soldi, non potevano permettersi di noleggiare una carrozza e si spostavano sempre a piedi. Stephen era consapevole che il fatto di non disporre di una vettura non giovava affatto alla sua immagine; anzi, come aveva accennato il signor Kilcher, non faceva che confermare che la sua situazione economica era piuttosto precaria. Aveva però deciso di investire gli scellini che gli aveva dato sua cognata nell’abito e nelle scarpe che indossava, ma sembrava che nemmeno quella fosse stata una buona idea, visto che tutti lo guardavano come se avesse addosso degli stracci sporchi e laceri.

    «Niente a proposito dei due che sono saliti sulla nostra nave. Però ho scoperto chi è arrivato sulla nave che ha attraccato dopo di noi.»

    «Chi è?» chiese impaziente.

    «Terry Spencer. Il primogenito del conte di Crowner.

    «Uno dei soci del marchese» evinse Stephen, socchiudendo gli occhi. Ricordò che quando lo aveva visto arrivare, la ragazza misteriosa aveva scordato ciò che stava per fare.

    «Proprio così» convenne Doyle.

    «A noi non

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