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Sua maestà il ribelle: Harmony Destiny
Sua maestà il ribelle: Harmony Destiny
Sua maestà il ribelle: Harmony Destiny
E-book155 pagine2 ore

Sua maestà il ribelle: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

AJ Rahia, principe del regno di Rahiri, è costretto a lasciare Hollywood e a tornare in patria per adempiere ai propri doveri e prendere in mano le sorti del regno. Il suo desidero di indipendenza lo spinge a tentare con ogni mezzo di liberarsi dai vincoli imposti dal suo rango. Ma quando scopre che per salire al trono dovrà sposare Lani Rahia, la ex moglie del fratello e suo primo amore, AJ inizia a chiedersi se la corona sia un fardello così pesante da sopportare, soprattutto quando la si può dividere con la donna che da anni è la protagonista incontrastata di sogni senza veli.
LinguaItaliano
Data di uscita9 feb 2018
ISBN9788858977767
Sua maestà il ribelle: Harmony Destiny
Autore

Jennifer Lewis

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Sua maestà il ribelle - Jennifer Lewis

    1

    «Cosa vuol dire che devo sposarla?» AJ Rahia cercò di tenere la voce bassa. Il rumore dei passi dei camerieri che servivano lo champagne, e l’educato mormorio delle conversazioni gli ronzavano nelle orecchie. La donna in questione si trovava a pochi passi di distanza, in mezzo agli eleganti ospiti convenuti per la veglia funebre.

    La madre gli prese una mano tra le proprie. «È il tuo dovere. Se il re muore, uno dei suoi fratelli deve sposarne la vedova.»

    AJ ebbe la sensazione che le pareti decorate del vecchio palazzo si chiudessero su di lui. «È ridicolo. Siamo nel ventunesimo secolo, e sono certo che lei non voglia sposarmi, più di quanto io desideri sposare lei.» Resistette alla tentazione di rivolgere un’occhiata alla suddetta vedova, una donna giovane e minuta che non vedeva dal giorno del matrimonio, avvenuto cinque anni prima.

    La madre inclinò la testa e parlò con voce suadente. «La sua dolcezza è pari alla sua bellezza.»

    «Mamma!»

    «E io non ho altri figli.»

    AJ si irrigidì. C’erano state delle complicazioni durante il parto, e la madre non aveva potuto avere altri bambini dopo di lui. Un altro peso da portare che lo faceva sentire in colpa ogni volta che tornava a Rahiri.

    Era appena arrivato, per il funerale del fratello – o comunque si definisca una cerimonia quando non c’è un cadavere – e già il biglietto aereo di ritorno per Los Angeles gli bruciava in tasca.

    «Sono sicuro che vorrà portare il lutto almeno per un anno, prima di pensare a un nuovo matrimonio.» Posò la mano sulla spalla della madre. Era così piccola... o forse era lui che era imponente. «A quel punto le troverai il marito perfetto.»

    «Un re non si può scegliere!» La madre alzò lo sguardo, gli occhi imploranti. «Un re nasce re.»

    «Ma non io. La maggior parte della gente è convinta che sia nato per dirigere film d’azione campioni d’incassi, ed è per questo che mi pagano profumatamente per farlo.»

    La madre agitò una mano per aria, in un gesto sbrigativo. «Sono capricci infantili e lo sai.» Gli prese di nuovo la mano. «Torna a casa. È questo il tuo posto, e noi abbiamo bisogno di te.»

    AJ cercò di ignorare la morsa che gli stringeva lo stomaco. «Per governare il paese? Non penso proprio. Perché non il cugino Ainu? Lui cerca sempre di governare, qualsiasi cosa. Ne sarebbe entusiasta.»

    «La famiglia Rahia governa Rahiri da sempre» gli ricordò stringendo gli occhi. «Non si può infrangere la tradizione.»

    «Il cambiamento può essere positivo.» La sua voce non suonava convincente quanto aveva sperato. «Via il vecchio, avanti col...» Si bloccò, colpevole, vedendo gli occhi scuri e sempre vigili della madre riempirsi di lacrime. «Mi dispiace, sono stato insensibile. Non volevo dire che la morte di Vanu sia stata... sia stata...»

    Un bene?

    Anche se quello era proprio stato il suo primo pensiero, quando aveva appreso la notizia.

    D’altra parte, il pretendere che lui ne indossasse i regali panni era un male.

    «Lo so, tesoro. Non puoi fare a meno di dire ciò che pensi. Sei sempre stato così, impetuoso, diretto...»

    «E del tutto inadeguato a diventare re.»

    Non era così scapestrato come suggeriva la sua reputazione, ma in quel momento quell’immagine poteva giocare a suo favore.

    «Vieni a salutare Lani.» Il sorriso della madre non mitigò nemmeno di un briciolo la determinazione che aveva riflessa negli occhi. Lo trascinò dietro di sé con una presa d’acciaio, le unghie rosa conficcate nel suo braccio. «Lani, cara, ti ricordi di AJ, vero? Il fratello minore di Vanu.»

    Lo sguardo della giovane donna fu di assoluto panico. «S... sì» balbettò. «Sì, certo. È un piacere rivederti.» Il sorriso che gli rivolse era palesemente forzato.

    Dannazione: aveva intuito le intenzioni della suocera, ed era spaventata.

    AJ le strinse la mano, notando il suo tremore. Minuta ed esile, era avvolto nel tradizionale abito blu del lutto, parzialmente coperto dai suoi lunghi capelli sciolti. Ricordava quegli occhi dal colore insolito – un castano dorato, come un guscio di tartaruga lucidato – ma non quell’espressione tormentata.

    «Sono addolorato per la tua perdita.» Distolse l’attenzione dal suo viso, come richiesto dal costume di Rahiri. E per fortuna, perché Lani Rahia era di una bellezza straordinaria.

    Dall’unione dell’origine isolana con quella statunitense erano risultati lineamenti delicati e perfetti; la pelle risplendeva del proverbiale latte e miele; i capelli spessi e lucidi apparivano castani alla luce delle lampade, ma se toccati dal sole risplendevano come oro da ventiquattro carati.

    Era evidente per quale motivo il fratello – o era stata la madre? – l’avesse scelta come regina, nonostante le sue umili origini.

    Ma AJ non aveva intenzione di diventare il suo re.

    Lani ritirò in fretta la mano e si strofinò il palmo sul vestito prima di riuscire a impedirselo. Quel contatto era il preludio a un’intimità che le faceva rivoltare lo stomaco.

    Avrebbe dovuto sposare quell’uomo semplicemente perché era il fratello del marito.

    Perlomeno non sembrava aver dimenticato le tradizioni del regno, pensò, visto che si era ricordato che non era opportuno guardarla dritta in faccia. Lui non era americano, certo, ma per tutta la durata del suo matrimonio aveva vissuto in California.

    Era più alto del fratello, notò. E più imponente. Dalla fugace immagine che era riuscita a cogliere del suo viso le era parso gentile, ma sapeva fin troppo bene che le apparenze ingannano.

    «La scomparsa di Vanu dev’essere stata un trauma terribile.» La voce profonda vibrò nell’aria, aleggiando su di lei come una carezza, e la ricosse dai foschi pensieri in cui era scivolata.

    «Oh sì, terribile. Era molto tardi, quella sera, quando è uscito – per riflettere, ha detto – e non è più tornato.»

    E lei era rimasta distesa a letto, tremando per il terrore, aspettando che lui rientrasse per finire il lavoro. Le aveva assicurato che l’avrebbe fatto, con quel fischio crudele nella voce e un luccichio malevolo negli occhi.

    Ma poi era sorto il sole, gli uccelli avevano cominciato a cantare, e qualcuno era venuto a riferirle che di lui si erano perse le tracce.

    «Dev’essere difficile non sapere cos’è successo.» Sentì la compassione nella voce di AJ. Che razza di nome era, AJ? Possibile che si chiamasse davvero in quel modo?

    «Non sappiamo ancora cos’è successo.» La suocera di Lani si tamponò le lacrime con un fazzoletto. «Ma dopo novanta giorni...» Rilasciò un singhiozzo strozzato dal tessuto. «Dev’essere scelto il successore.»

    Lani si irrigidì. Secondo la tradizione di Rahiri, il nuovo re l’avrebbe presa in moglie. Presumibilmente si trattava di un mezzo per proteggere i figli delle regine vedove ed evitare che sorgessero lotte intestine per la conquista del trono – però lei non aveva figli.

    «Novanta giorni... manca ancora un mese. Chi salirebbe al trono, se un re non avesse fratelli?» domandò AJ alla madre.

    Lei si asciugò gli occhi. «Impossibile, il re ha sempre dei fratelli. La capacità di avere tanti figli è una benedizione delle donne di Rahiri.» Soffocò un altro singhiozzo.

    Lani guardò AJ, che aveva l’espressione corrucciata per la preoccupazione. «Mamma, non essere turbata, per favore. Troveremo una soluzione. Non ti devi preoccupare.»

    Le circondò la schiena con un braccio e le strofinò la spalla, e Lani provò una strana ondata di calore al vedere la tenerezza di quel gesto.

    «Grazie, tesoro.» La madre gli sorrise. «Perché non accompagni Lani in veranda, perché si riposi un po’? Sono certa che sia esausta dopo la cerimonia, con tutte queste persone con cui ha dovuto parlare.»

    L’uomo la guardò, e lei deglutì. Preferiva restare nella padella di quei semi-sconosciuti che cadere nella brace – sola, in privato, col... futuro marito.

    «Vuoi, ehm...» Lui le porse il braccio.

    Lani controllò l’istinto di ritrarsi e sollevò la mano. Il suo braccio era muscoloso, non duro e legnoso come quello del marito; le dita le fremettero per la consapevolezza – o era forse terrore?

    Lui si schiarì la voce. «Ti prego di scusarci» accennò alla madre.

    «Ma certo.» Il sorriso della donna si allargò, probabilmente perché vedeva i propri piani avanzare di un altro passo verso il compimento.

    «Mi dispiace per mia madre» le mormorò AJ quando ebbero raggiunto l’atrio fresco e deserto; la sua voce riecheggiò lievemente sul pavimento di pietra bianca e, quando ritirò il braccio, Lani lasciò ricadere la mano lungo il fianco. Un piccolo pappagallo azzurro li fissava dal traliccio del pergolato.

    «Cerca solo di fare la cosa migliore.» Alzò gli occhi su di lui, tentando di decifrare i suoi sentimenti.

    «Pensi che sia la cosa migliore?» Accigliato, AJ si voltò a guardarla. I suoi occhi erano di un caldo marrone scuro, come teak lamato a nuovo.

    «Non lo so.» La sua voce risultò in un sussurro strozzato. «Non ho esperienza di simili questioni.» E non aveva intenzione di sfidare un millennio di tradizioni davanti a un principe di Rahiri. Se era come il fratello, le avrebbe trasmesso la propria disapprovazione nel più aspro dei modi.

    «Sei una donna adulta. Pensi che sia normale sposare un estraneo?»

    La domanda la mise in imbarazzo. «Ho incontrato Vanu solo tre volte prima del matrimonio.»

    «Fammi indovinare: ha organizzato tutto mia madre» dedusse lui inarcando un sopracciglio.

    Lani annuì, cercando di celare il proprio disagio. I lunghi capelli le tenevano troppo caldo sulla nuca, e avrebbe tanto desiderato rifugiarsi nella sua stanza per piangere tutte le sue lacrime.

    E non per la morte – presunta – del marito, per se stessa e la situazione senza via d’uscita in cui si trovava: un altro matrimonio infelice, o la disgrazia e il disonore che avrebbe attirato su di sé se lo avesse rifiutato. Le lacrime le pizzicarono gli occhi e sollevò una mano per coprirli.

    «Ti prego, non piangere.» La burbera supplica rimbombò sulle travi di legno del soffitto. «Vieni, andiamo a sederci in veranda. Un po’ d’aria fresca farà bene a tutti e due.»

    Le sue parole avrebbero dovuto essere divertenti, dato che il luogo in cui si trovavano dava sui giardini, come quasi ogni stanza dell’immenso palazzo. Il legno intagliato faceva ombra e l’alto soffitto proteggeva dalla pioggia tropicale, ma gli uccelli e le lucertole scorrazzavano liberi tra le colonne decorate.

    Eppure l’aria stessa sembrava opprimente, densa di attesa.

    AJ Rahia era alto, ben più di uno e ottantacinque, e la testa di Lani gli raggiungeva a malapena le spalle. I suoi corti passi, limitati dalla gonna, la costrinsero ad accelerare l’andatura per stargli dietro. Lui se ne accorse, e si fermò ad aspettarla.

    Indossava un abito scuro, di stile americano, che di sicuro doveva tenergli un gran caldo nell’umidità dei tropici. «Vuoi qualcosa di fresco da bere?» Lani abbassò gli occhi, temendo che lui potesse fraintendere la finalità delle sue parole. Intendeva solo essere educata, non ammansirlo con false lusinghe e gentilezze.

    «No, grazie. Ascolta, non è niente di personale. Sono certo che tu sia una brava ragazza, è solo che io ho una vita negli Stati Uniti. Sono un regista...»

    «Lo so» lo interruppe lei. «Tua madre è molto orgogliosa. Guarda l’intera serie de Il cacciatore del drago almeno una volta al mese.»

    AJ si fermò di colpo. «Stai scherzando.»

    «Niente affatto. L’anno scorso ha addirittura fatto installare uno splendido schermo per le proiezioni nella vecchia sala delle feste.»

    «Non me lo ha mai detto» si meravigliò AJ spalancando gli occhi.

    «È

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