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È l'uomo per me
È l'uomo per me
È l'uomo per me
E-book303 pagine4 ore

È l'uomo per me

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Info su questo ebook

Dall’autrice del bestseller Scommessa indecente

The Billionaire Boys Club Series

Audrey Petty è sempre stata più responsabile e generosa della sua sorella gemella. Audrey è bella, affidabile e degna di fiducia: sarebbe stata la fidanzata perfetta per Cade Archer, di cui è innamorata fin da piccola… Se non fosse che Cade è miliardario, frequenta altri ambienti, e Audrey è sicura che non si ricordi neppure di lei. Ma poi l’impossibile accade: il destino e la sua incasinata gemella si mettono in combutta e Audrey scopre che dovrà trascorrere un mese in compagnia di Cade nel suo lussuoso chalet fra i boschi. A lei sembra un sogno che si avvera… fino a quando non si imbatte nel peggiore degli incubi: Reese Durham. Reese è un playboy ricchissimo e abituato a sedurre le donne per ottenere ciò che vuole: ci mette davvero poco a capire che Audrey è innamorata del suo amico Cade. È chiaro che questo segreto la rende ricattabile e nella posizione di dover accettare qualsiasi cosa lui le proponga, anche furtivi baci al buio o appuntamenti segreti nel bosco. E i sentimenti di Audrey verranno messi davvero alla prova…

Autrice bestseller di New York Times e USA Today

«È l’uomo per me è una lettura divertente e sexy che vi farà morire dalla voglia di leggere il prossimo.» 
The Romance Reviews

«Davvero rovente.»
USA Today

«Grande narrazione… una lettura deliziosa. È divertente e veramente hot!»
Kirkus Reviews
Jessica Clare
È lo pseudonimo con cui l’autrice firma i suoi libri erotici. Scrive storie paranormali con il nome di Jessica Sims e come Jill Myles è autrice di romanzi di vario tipo, dagli urban fantasy alle storie di zombie. Vive in Texas. La Newton Compton ha pubblicato Scommessa indecente, Troppo bello per dire di no e È l'uomo per me, i tre volumi della serie dedicata ai membri del Billionaire Boys Club..
LinguaItaliano
Data di uscita21 apr 2016
ISBN9788854195998
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    Anteprima del libro

    È l'uomo per me - Jessica Clare

    1298

    Titolo originale: The Wrong Billionaire’s Bed

    Copyright © 2013 by Jessica Clare

    Published in agreement with tha author

    C/O BAROR INTERNATIONAL INC.

    , Armonk, New York,

    U.S.A.

    Traduzione dall’inglese di Silvia Russo

    Prima edizione ebook: luglio 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9599-8

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Progetto grafico: Sebastiano Barcaroli

    Realizzazione: Paola Hage Chahine

    Foto: © Shutterstock.com

    Jessica Clare

    È l’uomo per me

    The Billionaire Boys Club Series

    Capitolo uno

    I tre ragazzi sedevano all’estremità dello sgangherato pontile, sul laghetto.

    «Oggi è il mio tredicesimo compleanno», disse Daphne Petty al ragazzo di fianco a lei, lanciandogli uno sguardo timido e arrotolandosi una ciocca di capelli rossi intorno al dito. «Sai cosa significa, vero?»

    «Che è anche il compleanno di Audrey?». Cade lanciò uno sguardo alle spalle di Daphne e sorrise alla gemella più silenziosa.

    Audrey gli rivolse un sorriso timido, emozionata per il semplice fatto che si fosse ricordato di lei. Sedeva dalla parte opposta rispetto alla sua vivace e seducente gemella, e non diceva niente. Era così che andava di solito: Daphne attirava tutta l’attenzione e Audrey si limitava a starle accanto. Non che le importasse molto. Daphne era la gemella cattiva, e a Audrey piaceva essere la gemella buona. A essere buoni non si correva il rischio di cacciarsi nei guai, e se c’era una cosa che Audrey odiava, era proprio trovarsi nei casini.

    «Non è questo», disse Daphne imbronciata. Gli diede una gomitata sulla spalla. «Presta attenzione a me».

    Immediatamente, lo sguardo divertito di Cade tornò su di lei. «Ti sto prestando attenzione».

    «No, stai prestando attenzione a Audrey. Non ti piaccio, Cade?». Continuava a rigirarsi quella ciocca di capelli intorno al dito, imitando un gesto che aveva visto fare alla sorella maggiore Gretchen, con risultati notevoli. Gretchen attirava sempre l’attenzione dei ragazzi, e Daphne desiderava imparare tutti i suoi trucchi.

    «Mi piacete entrambe», disse Cade con voce allegra, dopodiché scompigliò i capelli di Daphne come se fosse una bambina. «Siete tutte e due mie amiche».

    «Migliori amiche», corresse Audrey timidamente, dondolando le gambe.

    Daphne alzò gli occhi al cielo rivolta verso la sorella. «Non possiamo essere migliori amiche di un ragazzo. I ragazzi possono solo essere dei fidanzati».

    Cade soffocò una risata. «Voi due siete troppo piccole per me. Ho quindici anni, adesso. Voi ne avete appena compiuti tredici».

    «Be’, è il mio…», si voltò a guardare la gemella, «… il nostro compleanno, e dovresti farci un regalo».

    Cade si sistemò il colletto logoro della camicia. Era sbiadita e consumata, proprio come tutte le cose che possedeva. Nessuno ne parlava, ma gli Archer erano la famiglia più povera di tutto il vicinato, persino più poveri dei genitori di Audrey e Daphne, che si spaccavano la schiena troppe ore al giorno per un misero stipendio. «Non ho soldi, Daphne. Non potrò lavorare prima di un anno, ricordi?»

    «Non c’è problema», disse Audrey. «Puoi darci qualcosa che non ti costa niente».

    «Cioè?».

    Un bacio, pensò Audrey con aria sognante, fissando i meravigliosi occhi azzurri di Cade e i suoi capelli biondi.

    «Potresti insegnarci come limonare con un ragazzo», rispose Daphne, astuta, con un tono malizioso. «Ho bisogno di fare pratica, così sarò pronta quando avrò il mio primo fidanzato».

    «Limonare? Non credo proprio. Voi due siete come delle sorelline», farfugliò Cade.

    Non era la prima volta che si riferiva a loro come a delle sorelle minori. Audrey sentì un tonfo al cuore, ma la sua gemella sembrava imperterrita. Di solito Daphne non accettava un no come risposta.

    «Magari soltanto un abbraccio, allora?», chiese dolcemente.

    «Certamente», rispose Cade. Si avvicinò e avvolse un braccio intorno a lei.

    Daphne si aggrappò a lui con un movimento repentino e spinse la bocca contro la sua, intrappolandolo in un bacio a sorpresa.

    La mandibola di Audrey si spalancò per lo shock: la sua gemella stava baciando – no, lo stava davvero divorando – il ragazzo per cui lei aveva una cotta. E Daphne lo sapeva benissimo.

    Cade emise un gemito di sorpresa e tentò di divincolarsi, ma la ragazza si era attaccata a lui come una sanguisuga.

    «Daph, smettila», sibilò Audrey. La rabbia ribolliva dentro di lei. Come osava fare quella sceneggiata con Cade? Era già abbastanza brutto che lo monopolizzasse tutto il tempo. «Smettila!».

    Ma Daphne non la smetteva. Emise un lungo gemito profondo, soltanto per provocarla.

    Così Audrey spinse la gemella nel laghetto.

    Daphne cadde con un grido, schizzando da tutte le parti, e Cade a malapena riuscì a balzare indietro sul pontile. Fissò Audrey esterrefatto, solo per vedere che era ancora più sconvolta di lui.

    Maledizione. Tutta colpa del suo temperamento impulsivo. Audrey si sforzava di tenerlo sotto controllo, ci provava davvero, ma certe volte aveva la meglio su di lei.

    Proprio come in quel momento.

    Daphne riemerse dall’acqua sporca, strillando e agitando scompostamente le braccia. «Sei una stronza, Audrey!», gridò. «Cade, dammi una mano!».

    «Questo non è stato carino, Audrey», la rimproverò Cade sporgendosi oltre il bordo del pontile e allungando una mano verso Daphne. Mentre lei continuava a dimenarsi nell’acqua, lui sospirò e gettò un’occhiata a Audrey, che se ne stava sconvolta in piedi sul molo, immobilizzata dall’orrore.

    Si era sforzata così tanto per essere la gemella buona… ci aveva provato davvero.

    «Ecco, tieni questa», le disse Cade togliendosi la maglietta. Dopodiché saltò in acqua e afferrò Daphne, che si gettò tra le sue braccia singhiozzando, e la trascinò al sicuro.

    Un momento dopo, entrambi stavano gocciolando a riva. Audrey era ancora in piedi sul pontile, la maglietta di Cade stretta tra le mani, mortificata per ciò che aveva fatto. Aveva spinto in acqua la sua gemella e tutto perché Daphne stava baciando il ragazzo che le piaceva.

    Ma non era un ragazzo qualsiasi. Era Cade. Audrey lo adorava da sempre, e Daphne lo voleva soltanto perché lo desiderava lei. Andava sempre così.

    «Sei venuto a salvarmi», singhiozzò Daphne, stringendosi a Cade.

    «Certo», la confortò lui. «Verrò sempre per te, Daph. Sai che lo farò».

    Era vero. Nonostante la differenza d’età, i tre erano inseparabili: vagabondavano insieme per tutto il vicinato, andavano a pescare i gamberi, giocavano nel laghetto e andavano in bicicletta. Di solito Daphne si cacciava in qualche guaio – come quella volta in cui aveva aperto una botola e ci si era infilata dentro – e Cade correva in suo soccorso.

    Daphne finiva nei guai, Cade la salvava… e Audrey se ne restava lì a guardare, perché lei era la gemella buona.

    O almeno lo era stata fino a quel giorno, quando il suo temperamento aveva avuto la meglio su di lei e all’improvviso si era trasformata nella gemella cattiva.

    Daphne si scostò i capelli gocciolanti dalla fronte e guardò accigliata Audrey. «Andrò a casa e lo dirò alla mamma. Te ne pentirai, Audrey». Si voltò e se ne andò, furiosa.

    Audrey sospirò. Una punizione non gliela toglieva nessuno.

    «Sembra che i festeggiamenti per il compleanno siano destinati a finire presto», le disse Cade, tornando sul pontile per riprendersi la maglia. Se la infilò da sopra la testa e poi si passò le dita nei capelli bagnati.

    «È tutto a posto», assicurò Audrey. «Mi perdonerà. Siamo gemelle. Non possiamo rimanere arrabbiate l’una con l’altra».

    Cade sorrise, allungò una mano e arruffò i capelli di Audrey. «Be’, dato che siete gemelle, non posso fare un regalo a una e all’altra no, giusto?».

    Si chinò a baciarle una guancia lentigginosa.

    Audrey arrossì violentemente, la bocca spalancata.

    Cade si scostò, le arruffò di nuovo i capelli e sorrise. «Buon compleanno, Audrey». Ma lei non disse nulla, e così aggiunse: «Forse dovresti andare a casa a vedere come sta Daph».

    Audrey annuì e corse dietro a Daphne. La sua guancia pulsava nel punto in cui lui l’aveva baciata.

    Com’era prevedibile, non riuscì a sfuggire alla punizione. Daphne aveva raccontato in lacrime l’accaduto ai genitori, i quali erano giustamente inorriditi. Finì a letto presto, senza poter guardare la

    TV

    né usare il computer, mentre Daphne restava alzata fino a tardi per banchettare con la torta di compleanno.

    Da quella giornata, Audrey aveva imparato due cose.

    La prima: non avrebbe più commesso un passo falso e non sarebbe più tornata a essere la gemella cattiva.

    La seconda: era assolutamente, senza ombra di dubbio, innamorata di Cade Archer.

    Dodici anni dopo

    Audrey gettò un’occhiata allo specchio del bagno, sistemò una ciocca ribelle nello stretto chignon e lisciò la giacca per l’ottava volta.

    Era ora di affrontare il capo.

    Uscì dal bagno, le formicolavano i nervi in un misto di paura e ansia. Nulla delle sue emozioni trapelava all’esterno: era brava a rimanere calma e controllata sotto stress, e quella era decisamente una situazione stressante.

    I suoi tacchi bassi ticchettarono sul pavimento di marmo della sede centrale della Hawkings Conglomerate. Tolse la posta dal cesto della corrispondenza, tornò alla propria scrivania, smistò le buste da sottoporre personalmente a Logan e buttò insieme le restanti nella scatola della posta per occuparsene più tardi.

    La sua mano si fermò su una rivista sulla scrivania. Dopo un attimo di indecisione, arrotolò il giornale e se lo infilò sotto il braccio. Poi, con la posta in mano, si diresse all’ufficio di Logan Hawkings e bussò due volte.

    «Avanti», rispose lui.

    Aprì la porta. Lo stomaco le vorticava giusto un po’.

    Lui non alzò lo guardo e continuò a scrivere sul suo portatile. Come al solito, Audrey andò al contenitore della posta in uscita e raccolse i messaggi che doveva gestire per lui. Infilò le lettere personali nel contenitore della posta in entrata, raccolse i fax e poi guardò il suo capo, cercando le parole per formulare la sua richiesta.

    Non le trovò. «Caffè, Mr Hawkings?»

    «Grazie».

    Andò alla macchinetta nel l’ufficio adiacente e aspettò con impazienza che il caffè fosse pronto. Lo zuccherò, aggiunse la panna e mescolò, maledicendo se stessa per non aver ancora avuto il coraggio di affrontare la conversazione. Tornò nel suo ufficio con la tazza in mano e sedette alla scrivania.

    Ancora una volta, lui non alzò lo sguardo.

    «Oggi tintoria, Mr Hawkings?»

    «No». Prese la tazza e le lanciò uno sguardo sospettoso. «Qualcosa non va?».

    E lei che pensava di averlo nascosto così bene! Strinse il giornale che teneva piegato in mano, esitando. «Io… avrei bisogno di qualche giorno di ferie».

    Da dietro la sua tazza di caffè, Logan corrugò la fronte. «Ferie?».

    Proprio come aveva pensato, non era andata bene. Lavorava per Logan Hawkings da tre anni e mezzo, e non aveva mai mancato un giorno di lavoro: arrivava in ufficio prima di lui, se ne andava dopo di lui, e prendeva i giorni di ferie in concomitanza con i suoi così da non interferire col suo programma di lavoro.

    Un’impiegata modello. Teneva tutto sotto controllo e faceva sì che tutto funzionasse al meglio per Mr Hawkings. Quando gli serviva qualcosa, se ne occupava lei.

    E mai, mai aveva chiesto un giorno di ferie.

    Audrey deglutì. «Temo di sì».

    «Quanti?»

    «Io… non lo so. È una faccenda personale». E con un gesto controllato, spiegò il giornale e glielo porse.

    Logan lo gettò sulla scrivania, buttando un occhio alla foto sulla copertina. Il titolo era in grassetto giallo e sembrava urlare sullo sfondo di una foto sgranata: LA PRINCIPESSA DEL POP BECCATA IN UN’ORGIA A BASE DI COCAINA. LE FOTO A PAGINA

    17!

    La foto rappresentava la sua gemella, magra come un chiodo, i capelli arruffati tinti di un’orrenda tonalità di nero e un sorriso ebete sulla faccia. Sniffava nella toilette di un club e si appoggiava a due uomini, anch’essi dallo sguardo ebete. Audrey non sapeva chi fossero, non conosceva più le frequentazioni di Daphne. Era il suo agente a occuparsi di tutto… in teoria. Lei sospettava che si occupasse prima di tutto dei propri interessi, e solo dopo di quelli di Daphne.

    Logan gettò un’occhiata alla rivista, poi tornò su di lei. «Tua sorella?».

    Lei annuì brevemente. «Capisco che la mia assenza possa essere un problema, ma ho preso delle precauzioni extra per assicurarmi che i suoi programmi non vengano intaccati. Ho parlato con Cathy, del personale, ed è stata d’accordo a mandarmi una sostituta da istruire per sbrigare le mansioni giornaliere».

    «Va bene».

    «Mi assicurerò che sia ben preparata prima di andarmene. Terrò con me il cellulare, quindi potrà contattarmi se avrete bisogno di qualcosa. E mi sono accertata che la sua rubrica e la sua agenda siano aggiornate. Il meeting della prossima settimana…».

    «Va bene, Audrey. Prenditi il tempo che ti serve». Ripiegò la rivista e gliela restituì. «Mi pare di capire che stai andando ad aiutarla».

    Lei riprese il giornale, con le dita tremanti per il sollievo. «Si rifiuta di andare in un centro di disintossicazione, ma ha accettato di starsene un po’ tranquilla, se io sto con lei. Niente feste, niente droghe. In pratica sto andando a farle da supervisore e a tentare di farle smaltire la sbornia». Esitò. «Potrebbero volerci un paio di settimane. Forse di più. Se è un problema…».

    «Va bene».

    «Se ha delle commissioni personali…».

    «Ho detto che va bene, Audrey». Adesso si stava scocciando, riusciva a capirlo dalla posizione delle sue sopracciglia. «Se ho delle commissioni personali, chiederò a Brontë di subentrare e dare una mano. Non è un grosso problema. Prenditi il tempo che ti occorre. La tua famiglia viene per prima».

    Parole che non si sarebbe mai aspettata di sentir pronunciare dal miliardario Logan Hawkings. La sua fidanzata doveva averlo addolcito parecchio. Annuì. «Grazie, Mr Hawkings. Darò le disposizioni a Cathy».

    «Chiudi la porta quando esci». Si volse di nuovo al computer e riprese a battere sulla tastiera.

    Audrey uscì in silenzio dal suo ufficio. Chiuse la porta, ci si appoggiò contro e buttò fuori l’aria dai polmoni in un sospiro di sollievo.

    Era andata molto meglio di quanto si aspettasse. Davvero addolcito. Due anni prima – cavolo, sei mesi prima – Logan le avrebbe fatto capire chiaramente che se teneva al suo lavoro avrebbe dovuto risolvere il problema nel tempo libero. Le avrebbe detto che la pagava molto bene, ma che la pagava per lavorare, e che di gente disposta a sostituirla ne avrebbe trovata senza fatica.

    Certo, questo era

    stato prima dell’uragano. E prima di Brontë.

    Ma a prescindere da come fosse andata, non era stato piacevole chiedergli una cosa del genere. Logan sapeva che Daphne era sua sorella; l’aveva incontrata una volta a una cena alquanto sfortunata. La maggior parte delle persone non sapeva che lei avesse una gemella, e Audrey non offriva spontaneamente questa informazione. Aveva imparato a caro prezzo che quella conversazione solitamente andava a finire in tre modi…

    Scenario uno: Oh, mio Dio. Sei parente di Daphne Petty? Quella Daphne Petty? La cantante? Puoi farmi avere il suo autografo? Biglietti gratis? Una sorpresa alla festa di compleanno di mio figlio?

    Scenario due: Daphne Petty? Davvero? Non le somigli per niente. Lei è così magra e glamour. Tu… no.

    Scenario tre: Daphne Petty? Povera te. È davvero così messa male?

    Il primo scenario era semplicemente scocciante, ma aveva imparato come comportarsi molto tempo prima. No, non poteva procurare gadget/biglietti/

    CD

    . No, sua sorella non poteva presenziare a qualche festa di compleanno. Si portava dietro i biglietti da visita dell’amministratore del fan club di Daphne e li tirava fuori quando qualcuno la pressava.

    Il secondo scenario era irritante, ma anche in questo caso, aveva imparato ad affrontarlo. Sulla scena Daphne sfoggiava outfit colorati e audaci, uniti a un trucco pesante. Non scendeva mai dall’auto senza un tacco quindici, spesse ciglia finte, e i capelli tinti di qualche tonalità alla moda. Era diventata magrissima sotto suggerimento della sua casa discografica (e Audrey sospettava che fosse merito delle droghe più che di qualche dieta salutare), e del resto la magrezza non era certo l’unica delle differenze. I capelli di Audrey erano lisci, di un pallido rosso aranciato che non era sbiadito dall’infanzia. La sua pelle era ancora leggermente lentigginosa, anche se a dire il vero bastava un po’ di trucco per nasconderlo. Non ne metteva mai molto, anche perché sarebbe sembrato fuori luogo coi suoi formali abiti da lavoro. Ed era di diverse taglie in più rispetto a Daphne. Mentre la sorella era una sottile taglia trentotto, Audrey era morbida, formosa, quasi paffuta. Non indossava ciglia finte o tacchi di quindici centimetri. Somigliava a Daphne, ma solo se uno strizzava forte gli occhi e confrontava le foto con attenzione.

    Era abituata a essere insultata per via del suo aspetto fisico, ed era abituata alle richieste di favori. Il peggiore di tutti era lo scenario numero tre: la compassione. Lo sguardo che ormai aveva imparato a riconoscere fin troppo bene negli ultimi due anni. Lo sguardo di qualcuno che ricordava le bravate di Daphne sbattute in prima pagina, il suo periodo di reclusione in cella, i suoi pubblici fallimenti, le voci su droga, alcol, uomini ed eccessi. Il rottame che la splendente, selvaggia Daphne Petty era diventata.

    E Audrey non era stata in grado di farci niente. Era rimasta a guardare, inutile, mentre la sua gemella testarda la respingeva e abbracciava tutto quello che il suo stile di vita frenetico aveva da offrirle.

    Tutto questo la stava uccidendo. Ed era il motivo per cui Audrey odiava la compassione più di qualsiasi altra cosa. Perché lei desiderava disperatamente aiutarla, e ora ne aveva l’occasione. Daphne l’aveva chiamata in lacrime la notte precedente, alle tre del mattino, dal sedile posteriore di un’auto della polizia. Aveva chiamato lei invece dei suoi assistenti, nonostante gli assistenti fossero lì a Los Angeles e Audrey da tutt’altra parte. Quel particolare le aveva spezzato il cuore. Daphne stava cercando di mettersi in contatto con lei. Desiderava aiuto. Niente riabilitazione, aveva detto, perché sarebbe finito su tutti i giornali e ci aveva già provato due volte senza successo. Voleva solo l’opportunità di rimanere un po’ in disparte e ricongiungersi con la sua vecchia vita, con l’aiuto di Audrey. Questa volta, aveva giurato, sarebbe stato diverso. Questa volta si sarebbe lasciata alle spalle le droghe e l’alcol, se solo Audrey avesse voluto aiutarla. Non si fidava di nessun altro.

    Così Audrey aveva promesso. Sarebbe andata con lei, avrebbe messo in pausa la sua vita e sarebbe partita in aiuto di Daphne ancora una volta. L’aveva calmata al telefono e quel mattino aveva contattato i suoi manager per saperne di più sulla sua recente visita alla stazione di polizia. Come succedeva quasi sempre, erano riusciti a insabbiare il tutto e Daphne era stata rilasciata. Era già partita per New York.

    E così Audrey avrebbe cominciato il lento percorso per ritrovare Daphne. Con un po’ di fortuna.

    Audrey stava rosicchiando un pretzel, sfogliando le pagine dell’ultimo romanzo rosa che aveva acquistato al supermercato. Controllò l’orologio e sospirò, arrabbiata. Era tardi, ed era in pigiama. L’aereo di Daphne doveva essere atterrato da ore, e lei aveva promesso – promesso – di andare dritta da lei. Audrey si era proposta di andare a prenderla, ma Daphne si era limitata a ribattere che conosceva abbastanza New York per trovare la strada.

    E invece ormai era notte. Probabilmente si era fermata da qualche parte, lungo il tragitto.

    Poco dopo l’una udì bussare alla porta, poi una risatina. Soffocando la sua irritazione, andò a controllare dallo spioncino. Com’era prevedibile, era Daphne, insieme a un estraneo. Audrey tolse il catenaccio, girò la serratura e spalancò la porta, rivolgendo un’occhiataccia alla sorella e al suo compagno, un tipo alto e magro, vestito di nero e con enormi dilatatori alle orecchie. Aveva diversi piercing al sopracciglio, tatuaggi sul collo, e una cresta verde acceso. Daphne era un disastro, come al solito, e doveva sorreggersi al suo accompagnatore come se faticasse a stare in piedi. I suoi jeans e la maglietta erano macchiati, i capelli erano un casino arruffato che le ricadeva sopra una spalla, e la piccola valigia al suo fianco perdeva vestiti per tutto il pianerottolo. Entrambi non riuscivano a smettere di ridacchiare, nonostante il chiaro disappunto di Audrey.

    Erano ubriachi. Ubriachi fradici.

    «Saresti dovuta arrivare qui ore fa, Daphne», la ammonì Audrey. «Dove sei stata? Ero preoccupatissima».

    Daphne scrollò le spalle ed entrò nell’appartamento. «Il volo è stato uno schifo e mi ha innervosita, così Stan e io siamo andati a farci un goccetto».

    Audrey guardò Stan mentre Daphne la oltrepassava barcollando. Quando il suo accompagnatore tentò di seguirla, Audrey gli piantò una mano sul petto e gli rivolse un sorriso garbato. «Grazie per averla accompagnata a casa».

    Lui sorrise, mostrando un dente d’oro. «Non potrei entrare anch’io?»

    «No, tu no».

    Lui la guardò come se volesse ribattere, ma poi si avviò verso l’ascensore, troppo ubriaco per rendersi conto di aver appena abbandonato la sua celebre nuova amica. Audrey richiuse in fretta la porta e rimise il catenaccio, quindi tornò a guardare Daphne.

    Sua sorella si era sdraiata a faccia in giù sul divano.

    «Non ci posso credere, Daph», disse Audrey. «Hai bevuto? Non eri venuta fin qui per uscirne?»

    «Domani», mugugnò Daphne contro i cuscini. «Comincio domani. Smettila di gridare».

    «Non sto gridando!», tuonò Audrey, poi trasalì quando il vicino picchiò un pugno sul muro che separava i due appartamenti. Frustrata, Audrey afferrò la valigia di Daphne e la trascinò in camera. Va bene, allora. Daphne voleva comportarsi in quel modo? Non le avrebbe dato scelta: avrebbe ripreso il controllo sulla sua vita e l’avrebbe salvata da se stessa.

    Buttò la valigia sul letto, tornò in salotto e afferrò la borsa di Daphne. Sul divano, sua sorella russava, profondamente addormentata. Audrey agguantò la borsa, tornò al letto e ne svuotò il contenuto sul materasso.

    Il solito caos: metà di una barretta energetica, tre rossetti, qualche penna, forcine per capelli, carte di credito e contenitori di medicinali. Leggendone le etichette, Audrey si morse il labbro: alcuni non erano neanche prescritti a nome di Daphne.

    Li gettò nello scarico, insieme al piccolo pacchetto di polvere bianca. Daphne si sarebbe incazzata, ma era la cosa giusta da fare. Ispezionò la valigia: altri flaconi di pillole, altre droghe e un grosso pacchetto nascosto nella fodera. Finì tutto nell’immondizia. Una volta finita l’ispezione, Audrey si sentì molto, ma molto più determinata.

    Daphne voleva il suo aiuto per disintossicarsi?

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