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Le armi che hanno cambiato la seconda guerra mondiale
Le armi che hanno cambiato la seconda guerra mondiale
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E-book1.248 pagine14 ore

Le armi che hanno cambiato la seconda guerra mondiale

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Info su questo ebook

Le origini e l’evoluzione dei letali strumenti che hanno cambiato la storia

Quali sono le armi che hanno determinato le sorti del secondo conflitto mondiale? Il corso della storia umana è stato contraddistinto da guerre e battaglie, per combattere le quali l’uomo ha dato fondo a tutta l’inventiva e alle scoperte tecnologiche di cui disponeva allo scopo di realizzare armi sempre più micidiali. Ma durante la Seconda guerra mondiale ne vennero sviluppate alcune con capacità di devastazione mai vista prima, innovative e spietatamente letali. Carri armati, mezzi per ogni tipo di terreno e condizioni climatiche, cannoni pesanti, anticarro e contraerei, corazzate tascabili, sommergibili, motosiluranti, aerei e armi individuali. Chi combatteva non impiegò solo fucili, pistole e mitragliatrici, ma anche mitragliatori, bazooka, granate e razzi anticarro. Usò veicoli a ruote, semicingolati e aeroplani, dai quali ci si poteva lanciare con il paracadute. Gli eserciti entrarono in guerra con i biplani e terminarono il conflitto con i primi aerei a reazione. Uno sviluppo tecnologico ininterrotto, che porterà alla creazione e all’utilizzo dell’arma più distruttiva di sempre, la bomba atomica. Questo libro è un viaggio sorprendente attraverso la descrizione delle armi che influirono in maniera decisiva sulle sorti della guerra. 

Uno sviluppo tecnologico ininterrotto per creare i più micidiali strumenti di morte

Hanno scritto dei suoi libri:
«L’autore più apprezzato di storia militare.»
Libero

«La competenza dell’autore è indiscutibile.»
Sololibri

Marco Lucchetti
È nato a Roma. Laureato in Giurisprudenza, è ufficiale della riserva e Benemerito dell’ordine dei Cavalieri di Vittorio Veneto. Appassionato di storia militare e uniformologia, è anche scultore e pittore di figurini storici e titolare di una ditta produttrice di soldatini da collezione. Consulente per numerosi scrittori, collabora con «Focus Wars». Per la Newton Compton ha scritto 101 storie su Mussolini che non ti hanno mai raccontato; La battaglia dei tre imperatori; 1001 curiosità sulla storia che non ti hanno mai raccontato; Le armi che hanno cambiato la storia; Le armi che hanno cambiato la storia di Roma antica e I generali di Hitler.
LinguaItaliano
Data di uscita26 lug 2019
ISBN9788822736819
Le armi che hanno cambiato la seconda guerra mondiale

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    Anteprima del libro

    Le armi che hanno cambiato la seconda guerra mondiale - Marco Lucchetti

    ES571-cover.jpglogo_saggistica_Newton.jpg

    571

    Le illustrazioni delle tavole all'interno del testo sono di

    Tiziana Corti: capitoli Carri armati; Veicoli leggeri; Artiglieria da campo; Artiglieria contraerea; Razzi e missili aria-terra; Fucili; Pistole; Mitragliatrici e fucili mitragliatori; Mitra e pistole mitragliatrici; Bombe a mano ed esplosivi; Caccia; Bombardieri pesanti; La bomba atomica.

    Luigi Fiore: capitoli Carri armati; Cacciacarri e semoventi anticarro; Autoblindo; Artiglieria anti-carro; Pistole; Mitragliatrici e fucili mitragliatori; Mitra e pistole mitragliatrici; Caccia; Bombardieri pesanti; Aerei a reazione; Aerei da attacco al suolo; Aerei imbarcati; Motosiluranti e imbarcazioni d’assalto.

    Le illustrazioni a colori delle tavole fuori testo sono di Giorgio Albertini

    Prima edizione ebook: agosto 2019

    © 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-3681-9

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Manuela Carrara per Corpotre, Roma

    Marco Lucchetti

    Le armi che hanno cambiato

    la seconda guerra mondiale

    Prefazione di Giovanni Giorgini

    marchio%20front.tif

    Newton Compton editori

    Allo Spitfire e a quei pochi che hanno dato tanto a così tanti

    La nuova guerra sarà mille volte peggiore del 1914 […] Non possiamo nemmeno immaginare i nuovi orrori, veleni e sciagure di cui questa guerra sarà portatrice.

    Stefan Zweig, 3 settembre 1939

    Indice

    Introduzione

    Le forze armate nel primo dopoguerra

    Le forze armate durante la seconda guerra mondiale

    esercito

    Carri armati

    Cacciacarri e semoventi anticarro

    Cannoni d’assalto e artiglieria semovente

    Carri speciali e anfibi

    Semicingolati

    Autoblindo

    Autocarri

    Veicoli leggeri

    Artiglieria pesante

    Artiglieria da campo

    Artiglieria contraerea

    Artiglieria anti-carro

    Razzi e missili aria-terra

    Armi di supporto alla fanteria

    Armi anticarro di supporto alla fanteria

    Fucili

    Pistole

    Mitragliatrici e fucili mitragliatori

    Mitra e pistole mitragliatrici

    Bombe a mano ed esplosivi

    Lanciafiamme

    aviazione

    Caccia

    Bombardieri pesanti

    Bombardieri medi, leggeri e multiruolo

    Aerei a reazione

    Aerei da attacco al suolo

    Caccia notturni

    Idrovolanti e aerei antinave

    Aerosiluranti

    Aerei imbarcati

    Aerei da trasporto

    Aerei leggeri da ricognizione

    marina

    Sottomarini e sommergibili

    Portaerei

    Corazzate

    Incrociatori

    Cacciatorpediniere e navi scorta

    Motosiluranti e imbarcazioni d’assalto

    Mezzi da sbarco

    appendici

    La bomba atomica

    Lend-Lease, la legge Affitti e prestiti

    Le armi segrete di Hitler

    I gas

    Un’arma antica: il tribolo

    Armi non armi

    Danze, musiche e canzoni

    La leggenda di Giarabub

    Lili Marleen

    Il Pervitin

    Cronologia

    Bibliografia essenziale e filmografia

    Ringraziamenti

    Tavole fuori testo

    Introduzione

    La seconda guerra mondiale si combatté praticamente in ogni angolo del globo terrestre. Negli anni che andarono dal settembre del 1939 all’agosto del 1945 più di 50 milioni di persone, per lo più civili, persero la vita e molte di più rimasero ferite o invalide. Fu sicuramente la guerra più distruttiva e costosa in termini di vittime che la storia abbia mai visto.

    Il conflitto fu combattuto su fronti di terra, mare e cielo, con armi che parzialmente avevano debuttato nella Grande Guerra del 1914-18. La prima guerra mondiale era stato il banco di prova per nuovi armamenti sui campi di battaglia classici, quello terrestre e quello marittimo; inoltre, per la prima volta nella storia, il conflitto era stato allargato alle profondità degli oceani e allo spazio che ci sovrasta. Anche il cielo diventava così terreno di scontro e l’arma aerea riceveva il proprio battesimo di guerra ufficiale, prima timidamente, poi assumendo sempre maggiore importanza.

    Saranno proprio le forze aeree a costituire, nella seconda guerra mondiale, uno dei principali cardini offensivi e difensivi tra i contendenti, coinvolgendo nell’immane conflitto anche le popolazioni civili lontane dal fronte: nasceva così la guerra totale.

    L’impiego degli aerei rivoluziona completamente anche la guerra sui mari, grazie all’utilizzo di velivoli provenienti da basi di terra e, soprattutto, con l’introduzione della portaerei. Per la prima volta il siluro, monopolio fino a quel momento di sottomarini, navi e motosiluranti, viene sganciato da aeroplani adattati o progettati specificatamente a quello scopo.

    Anche sulla terra il mezzo aereo diventa decisivo: non solo viene impiegato per ricognizioni e blandi bombardamenti delle trincee nemiche, ma per effettuare attacchi al suolo con bombe e razzi, come appoggio alle fanterie e ai mezzi corazzati in avvicinamento e come rifornimento alle truppe dislocate lontano dai depositi. Ma a dominare il fronte terrestre è il carro armato, un mezzo che aveva fatto la sua apparizione verso la fine della prima guerra mondiale e di cui, inizialmente, pochi avevano capito la potenzialità: diventerà il fattore decisivo di molte battaglie che segneranno le sorti della guerra.

    Tra le nazioni belligeranti, solo la Gran Bretagna con il suo impero e la Germania furono coinvolte per tutta la durata del conflitto. Entrambi diedero fondo, secondo le proprie possibilità e potenzialità economiche e industriali, a tutte le capacità tecnologiche e scientifiche di cui possedevano per migliorare e inventare armamenti. L’industria bellica, che rilanciò economicamente la Germania degli anni Trenta, divenne motore di ricchezza e di sviluppo in Paesi come Stati Uniti e Unione Sovietica. Le nuovi armi, solo in piccola parte sperimentate nel conflitto globale di vent’anni prima e sottoposte a innovazioni sostanziali nel primo dopoguerra, subirono un incremento esponenziale fin dai primi mesi del 1940. Questa corsa agli armamenti, alle nuove invenzioni e migliorie, non si fermerà praticamente più.

    Le armi individuali di nuova concezione, pistole e fucili soprattutto, entrano definitivamente nell’era del semi automatismo e automatismo, con l’arrivo di fucili del tipo Garand

    m

    1 americano, fucili mitragliatori, fucili d’assalto e pistole mitragliatrici. Bombe a mano, esplosivi, armi di supporto per le fanterie, come lanciafiamme e mortai, subiscono restyling e miglioramenti e, se di nuova concezione, come le armi individuali anticarro, dimostrano la loro terribile efficacia.

    I mezzi a motore, oggetto di un’implementazione progressiva, rivoluzioneranno completamente il modo di fare la guerra, mandando in soffitta i concetti di combattimento e movimento degli eserciti dei secoli precedenti e proiettandoci nel futuro. Anche se non si può parlare di armi nel senso stretto del termine, veicoli leggeri e pesanti (jeep e autocarri, tanto per intendersi) trasformeranno radicalmente il concetto di movimento e di spostamento di truppe, materiali e rifornimenti. È vero che per quasi tutto il conflitto un esercito considerato tra i più moderni come quello tedesco continuò a usare soprattutto animali per il trasporto e il traino e la maggior parte delle unità di fanteria si spostavano a piedi; ma è altrettanto indubbio che gli Alleati disponevano di truppe completamente motorizzate o meccanizzate. Un veicolo leggero come la jeep si rivelò un mezzo idoneo non solo per le ricognizioni e i rapidi spostamenti di ufficiali e comandanti nelle zone operative e per mantenere i contatti con le proprie truppe, ma, come nel caso dello Special Air Service britannico (

    sas

    ), dimostrò le proprie capacità nei raid e nelle incursioni dei commando.

    Il carro armato, apparso nel fango della Somme nell’estate del 1916, chiamato tank (cisterna) per la sua improbabile forma a cassone romboidale, subì un cambiamento radicale tanto nelle forme e nello sviluppo tecnologico, quanto per il suo impiego. Furono i tedeschi (e in parte i russi durante la guerra nippo-sovietica del 1939) a trasformarlo da un mezzo di supporto per la fanteria in una micidiale, autonoma macchina da guerra. Si realizzarono così le prime unità completamente corazzate che agivano come punta di sfondamento nelle avanzate delle fanterie con il coordinamento dell’aviazione ed eventualmente delle truppe aviotrasportate: in sintesi, il Blitzkrieg, la guerra lampo. Si iniziò con piccoli carri cingolati con torretta fissa e senza cannone, simili a scatole di sardine (come veniva soprannominato l’italiano

    l

    3) per arrivare a poderosi colossi quasi invulnerabili come il Panzer

    vi

    Tiger, con torretta girevole a 360° e cannoni da grossi calibri (come l’8,8cm montato proprio sul Tigre). Vi erano tank leggeri, medi e pesanti, differenziati a seconda del peso e dell’armamento e utilizzati di conseguenza. Su terreni aperti, come sul fronte orientale, si combatterono battaglie tra carri armati, che videro l’impiego di corazzati di nuova concezione, come i semoventi o i caccia carri, progettati espressamente per la distruzione dei carri armati: si trattava quasi sempre di cannoni di grosso calibro montati su chassis di tank già esistenti. Questo assemblaggio fu allargato anche a pezzi d’artiglieria particolarmente potenti, dando il via alla nuova specialità dell’artiglieria semovente. I cannoni, che avevano già raggiunto alti livelli di efficienza e modernità, furono ulteriormente migliorati: anche nel campo delle artiglierie nacquero nuove tipologie di armi, come i cannoni contro-carri e quelli antiaerei.

    Il primo cambiamento che si vide sul fronte marino fu legato al mutamento di impiego delle grandi corazzate, in pratica declassate dal loro compito di forza principale di una flotta nell’ambito del combattimento navale. La portaerei divenne la vera, nuova regina dei mari, e le battaglie navali si trasformarono in combattimenti a distanza in cui i protagonisti divennero gli aerei imbarcati. Erano i velivoli e i sottomarini a cercare le navi nemiche per distruggerle mentre le corazzate, in particolar modo quelle alleate, trovarono un nuovo impiego come supporto per gli sbarchi, bombardando le difese costiere con i loro grossi calibri. Le super corazzate giapponesi, come la Yamato, si rivelarono uno spauracchio solo sulla carta, fallendo quando entrarono finalmente in azione. Più importanti si rivelarono i grossi incrociatori e il naviglio più piccolo, come cacciatorpediniere e dragamine, adatti non solo alla caccia dei sommergibili, ma come scorta per le portaerei, le corazzate e, soprattutto, i grandi convogli che attraversavano gli oceani per trasportare materiali, truppe e rifornimenti al fronte e ai paesi alleati. I tedeschi, che come gli italiani non impiegarono portaerei, vararono alcune modernissime corazzate tascabili che si dedicarono alla guerra di corsa sulle rotte commerciali; ma l’esiguo numero e le difficoltà di approvvigionamento in mari lontani controllati dalle flotte nemiche, dopo i successi iniziali, ne decretarono il fallimento.

    I sottomarini, da entrambe le parti, si rivelarono fino agli ultimi giorni del conflitto il vero flagello per le navi di superficie. Quando però gli Alleati occidentali perfezionarono le contromisure per contrastare la guerra sottomarina, le perdite per tedeschi, italiani e giapponesi divennero insostenibili. Nonostante ciò l’industria tedesca riuscì proprio in quei momenti ad aumentare la produzione non solo di sommergibili, ma anche di mezzi corazzati e aerei: ma per quanto si desse fondo alle ultime risorse, Stati Uniti, impero britannico e Unione Sovietica riuscivano a produrre quantitativi di mezzi e armi nettamente superiori.

    La vera rivoluzione avvenne però nei cieli. I tempi romantici dei biplani che si sfidavano in duelli singoli come quelli dei cavalieri medievali furono appannaggio solo dei primi giorni di guerra e solo in rari scenari. I biplani vennero sostituiti da monoplani sempre più resistenti, armati, veloci e manovrabili. I caccia furono impiegati soprattutto per contrastare i bombardieri nemici, a loro volta difesi da altri caccia. Le specializzazioni di questi velivoli si moltiplicarono, modificando quelli più adattabili o progettandone di nuovi. Nacquero i cacciabombardieri, quelli per l’attacco al suolo e l’appoggio delle truppe a terra; gli incursori; i caccia notturni e quelli imbarcati, che decollavano dalle portaerei e vi facevano ritorno. Vi erano poi i bombardieri, anch’essi di tipo pesante, medio e leggero; i siluranti, che rilasciavano uno o più siluri per colpire le navi; e gli idrovolanti, impiegati soprattutto per la ricognizione e il recupero dei naufraghi.

    Questo proliferare di nuovi mezzi portò a grandi cambiamenti nelle strategie e nel combattimento aereo. I bombardamenti sulle città e sui centri industriali divennero una quotidiana abitudine per le popolazioni e per gli equipaggi: per quasi tutta la durata della guerra, formazioni di migliaia di bombardieri solcarono i cieli, di giorno e di notte, per scaricare il loro carico di morte. Fu un aereo a sganciare sul Giappone la prima arma totale, la bomba atomica.

    Il secondo conflitto mondiale ebbe in serbo anche altri nuovi, terribili strumenti di distruzione: oltre alla bomba atomica furono impiegati razzi di nuova concezione, bombe radiocomandate e volanti e missili a lunga gittata. Fu insomma una guerra totale nel vero senso del termine. Si combatté su tutti i fronti con tutte le condizioni climatiche; si combatté dietro le linee, con azioni di commando e guerriglia partigiana, nelle industrie che producevano armi, nei cantieri navali, nei laboratori segreti e nelle città sottoposte a continui bombardamenti. Morirono uomini in prima linea e civili lontano dai fronti. Fu un conflitto politico, militare, razziale e industriale. L’industria bellica proliferò e gli armamenti che produsse non furono impiegati solo dai Paesi produttori, ma venduti anche ai Paesi alleati. Aerei, armi, navi, carri armati e veicoli di ogni specie, soprattutto statunitensi, furono impiegati anche da britannici, sovietici, francesi, australiani, neozelandesi, cinesi e, alla fine della guerra, italiani. Massiccia e incisiva fu la legge Affitti e prestiti (Lend Lease), con cui gli Stati Uniti fornirono a Regno Unito, Unione Sovietica, Cina, Francia e altri Paesi alleati grandi quantità di materiali bellici attraverso la vendita, l’affitto o il prestito. L’atto fu firmato l’11 marzo 1941 dal presidente americano Franklin D. Roosevelt con l’approvazione di un primo miliardo di dollari da prestare alla Gran Bretagna.

    Nonostante lo sviluppo tecnologico che gli armamenti subirono nel corso della guerra, non bisogna mai scordare, però, che i conflitti sono sempre combattuti sul campo e che, alla fine, è sempre il singolo soldato che deve cercare di colpire il nemico e di conquistare il terreno senza farsi a sua volta colpire. La storia delle armi è quindi, sempre, una storia di uomini e, allo stesso tempo, una storia di sviluppo. La seconda guerra mondiale, anche se sembra impossibile, non ha prodotto solo negatività: le condizioni della guerra fornirono un robusto stimolo alla crescita economica e al progresso tecnologico. La produzione di massa di armamenti richiese metodi più efficienti nell’organizzazione e gestione delle fabbriche e un’intensificazione della meccanizzazione. La stessa agricoltura si giovò dell’accresciuta meccanizzazione. L’innovazione tecnologica e scientifica fu impressionante e i suoi effetti furono duraturi. Molte delle tecnologie in uso nella vita di tutti i giorni non sono altro che lo sviluppo di alcune armi, a volte tra le più micidiali. Mezzi di trasporto come aerei e autocarri, per esempio, vennero sviluppati e perfezionati soprattutto a scopo bellico, divenendo poi essenziali anche nella vita civile. L’elicottero e l’aereo a reazione, per fare altri due esempi, compirono le loro prime evoluzioni proprio durante l’ultima guerra: nel secondo dopoguerra hanno rivoluzionato il modo di volare. Anche quando è capitato il contrario, come nei primi aerei da trasporto passeggeri e merci che furono realizzati in tempo di pace, e che si rivelarono essenziali nel corso del conflitto come il bimotore Douglas

    dc

    -3, le necessità della produzione bellica ne accelerarono l’evoluzione.

    Altro settore completamente rivoluzionato durante la seconda guerra mondiale fu quello delle telecomunicazioni: la radio e il radar divennero essenziali sia nel campo delle comunicazioni a distanza di ordini che nell’intercettazione. E cosa sarebbe oggi un mondo senza radar, telefonini e internet?

    Questo libro racconta la storia di molte armi che hanno cambiato la storia militare della seconda guerra mondiale e che, come già accennato, hanno in alcuni casi influenzato la vita comune trovando un’applicazione anche nell’ambito civile. Sono talmente tante che sarebbe stato necessario scrivere un’enciclopedia invece che un semplice volume. La scelta è stata chiaramente soggettiva, focalizzata su quelle armi che risultano più presenti nell’immaginario collettivo e che hanno avuto un impatto determinante, in alcuni casi rivoluzionario, sugli avvenimenti storici, decidendo guerre e battaglie e condizionando lo sviluppo successivo di altre armi; nonché su tutta una serie di creazioni tecniche e meccaniche che vi gravitarono intorno, come treni, navi, aerei, automezzi, telefoni, radio e i primi, rudimentali computer. Incerto se descriverle secondo l’ordine cronologico del loro impiego in guerra, o di importanza, secondo una personale classifica, ho preferito suddividerle in funzione della loro tipologia, inserendole in categorie classiche come le armi di terra, di cielo e di mare e a loro volta in mezzi corazzati, armi individuali, caccia, sottomarini e così via.

    Ho cercato di limitare le descrizioni tecniche al necessario, prediligendo il racconto della loro ideazione e realizzazione, inserendo quando possibile qualche aneddoto. Anche la scelta delle immagini e dei disegni è chiaramente limitata dallo spazio a disposizione e anch’essa soggettiva. Ho cercato altresì di fornire una esposizione distaccata: pur trattandosi del frutto di menti eccelse e del lavoro di insigni artigiani, coraggiosi imprenditori e tecnici specializzati, le armi sono e rimangono strumenti di morte e di distruzione.

    I testi che trattano della seconda guerra mondiale e delle armi impiegate nel conflitto sono tantissimi: ho potuto dunque attingere a una moltitudine di lavori specialistici, spesso di grande qualità. A parte le ricerche personali compiute in alcune armerie, caserme e musei, non potevo non avvalermi dell’eccellente lavoro svolto da altri studiosi e quindi, chiaramente, li ringrazio tutti.

    Ho dunque tentato di stilare una piccola guida per i profani, che possa servire a fornire un’idea più precisa di armi e mezzi impiegati nel conflitto più immane che la storia abbia visto e che possa, magari, accompagnare il lettore in una migliore comprensione dei tanti film, documentari, serie

    tv

    , fumetti e libri sull’argomento. Allo stesso tempo, mi auguro che possa essere sufficientemente esaustiva anche per gli addetti ai lavori, per una veloce consultazione. Per completezza, ricordo che in un altro mio libro, Le armi che hanno cambiato la storia, ho inserito alcuni armamenti atipici, come le armi psicologiche, intese come musica, canti, propaganda e letteratura: rimando a essi per un’eventuale consultazione.

    Mi sia concesso concludere riportando la seguente curiosità, la cui verità non è mai stata accertata: «Hitler non sopportava che i propri soldati di stanza in Francia, durante l’occupazione, frequentassero la popolazione e inquinassero il loro sangue ariano con le prostitute locali. Nel 1941 fece progettare una speciale bambola gonfiabile in grado di soddisfare i desideri delle truppe senza mettere a rischio la purezza della razza. Le istruzioni erano dettagliatissime: la bambola doveva essere di pelle chiara, capelli biondi, occhi azzurri, alta 1,76 m e con seni grandi: in pratica una perfetta donna ariana in versione giocattolo sexy, per la quale venne scelto il nome di Borghild, un’eroina della mitologia nordica. Un bombardamento alleato però rase al suolo la fabbrica di Dresda dove la bambola veniva prodotta e così i bordelli francesi continuarono a fare affari con i militari tedeschi» (M. Lucchetti, 1001 curiosità sulla storia che non ti hanno mai raccontato). Un’arma speciale di supporto morale alla truppa che, ammesso abbia mai incontrato la popolarità presso i soldati tedeschi, fu vanificata dall’efficacia dei bombardieri alleati!

    Per maggiori approfondimenti rimando a testi specifici, alcuni dei quali indicati nella Bibliografia essenziale in calce al volume.

    avvertenza

    Un’ultima avvertenza circa l’uso di mm (millimetri) e cm (centimetri). Ho usato il seguente criterio: quando si tratta del calibro di armi mm e cm seguono il numero senza spaziatura (es. 88mm); quando invece descrivono una qualsiasi lunghezza o spessore, viene inserita la spaziatura (es. 638 mm). Per i calibri tedeschi in centimetri, quando ho usato la completa e originale denominazione dell’arma appare la sigla tedesca con il punto dopo il numero e la spaziatura prima dell’unità di misura (8,8. cm, per esempio).

    Le forze armate

    nel primo dopoguerra

    Il trattato di Versailles (28 giugno 1919 - 21 gennaio 1920) mise fine alla Grande Guerra, le cui origini erano state in gran parte finanziarie ed economiche e che era stata decisa dalla carestia oltre che dal disfacimento dell’intero ordine sociale dei paesi sconfitti. La rivoluzione che seguì distrusse politicamente tre imperi, il russo, il tedesco e l’austriaco. Economicamente e finanziariamente rovinò le nazioni vinte mettendole in crisi. Solo gli Stati Uniti si salvarono.

    In campo militare erano emersi nuovi aspetti che rendevano evidente come la guerra fosse diventata uno scontro non solo di eserciti, ma di industrie. La produzione delle armi era diventato il fattore determinante delle battaglie ancora più della componente umana e i prossimi scontri sarebbero stati decisi non più da fucili e baionette ma da carri armati e cannoni. Durante il conflitto appena terminato le nuove armi, il carro armato e l’aeroplano, avevano avuto un impiego sperimentale e ridotto: il carro come cannone corazzato semovente, l’aereo come cannone o mitragliatrice a lungo raggio. Se la guerra fosse durata di più, probabilmente si sarebbe andati oltre questi impieghi limitati. Il colonnello J.F.C. Fuller, capo di stato maggiore del Royal Tank Corps, aveva previsto nel suo Piano 1919 un massiccio attacco frontale di carri armati pesanti per ottenere una breccia nella linea avversaria, con il supporto di carri leggeri per lo sfruttamento dei successi locali. Sarebbero seguite forze motorizzate appoggiate dall’aviazione, queste ultime con obiettivo i comandi e le linee di comunicazione nemiche. Esattamente quello che fecero i tedeschi venti anni dopo e che fu chiamata Blitzkrieg, guerra lampo.

    La guerra di movimento aveva creato anche l’esigenza di migliorare i mezzi di comunicazione. Nella prima guerra mondiale i comandi, una volta iniziata la battaglia, rimanevano isolati dalle loro truppe, perché le linee telefoniche risultavano difficili da proteggere dal fuoco delle artiglierie a meno che non fossero sotterrate a grandi profondità. Tutto a discapito della mobilità dei reparti, che non potevano neanche impiegare i nuovi apparecchi radio da campo, troppo ingombranti e dal corto raggio di azione. In questo campo, tra le due guerre, si fecero rapidi progressi, cosa che non si può dire in quello dei veicoli militari.

    I vincitori, a eccezione di un piccolo gruppo di tecnici lungimiranti, come gli inglesi Swinton, Fuller e Liddell Hart e il francese Estienne, rimasero ancorati all’esperienza della guerra così come era stata combattuta, e cioè quella del carro armato come appoggio della fanteria. Le potenze vincitrici considerarono la guerra un incidente che era stato liquidato e cercarono di ritornare allo statu quo ante del 1913, con la necessità, a causa della crisi economica che aveva colpito anche loro, di ridurre le spese militari, ripiegando sull’impiego dell’enorme arsenale già a disposizione, che con il tempo divenne obsoleto. Germania e Russia, invece, non appena poterono, diedero il via al riarmo concependo non solo nuove tipologie di armamenti, ma anche dottrine nuove per il loro impiego e per quello delle forze armate. La potenza militare divenne, in questo caso, l’elemento rigeneratore della nazione.

    Il mezzo di combattimento che destò maggiore interesse, probabilmente anche per gli impieghi in cui era destinato nel campo civile, fu l’aeroplano. Un esiguo numero di teorici fornì sin da subito le basi su cui la dottrina del combattimento aereo si sarebbe sviluppata nei decenni seguenti. Il più importante e rivoluzionario fu l’italiano Giulio Douhet, che basò le sue teorie sull’incomparabile potenza dell’aereo contro il quale non poteva essere prevista nessuna difesa efficace. Riteneva che il bombardamento effettuato da una massa di grossi velivoli pesantemente armati contro tutti i centri industriali e civili in territorio nemico sarebbe stato in grado di annientare la capacità produttiva e di resistenza della popolazione civile, costringendo l’avversario a chiedere la pace. Teoria valida nelle premesse, ma improponibile quando, sempre il Douhet, suggeriva di ridurre al minimo gli effettivi dell’esercito e della marina, ritenendoli utili solo alla difesa nazionale. La realtà ha invece sempre dimostrato che, per vincere una guerra, serve l’impiego congiunto e specifico di tutte le forze armate e che il territorio nemico lo si occupa con le forze di terra. Si teorizzò di aviazione d’assalto accanto ai bombardieri, di caccia-bombardieri ad alta velocità orizzontale e ascensionale, elevata quota di tangenza, limitato raggio d’azione, di bombardamento in picchiata a bassissime quote contro piccoli obiettivi in movimento, di attacchi aerei con siluri contro le flotte sia alla fonda che in mare aperto.

    Nel campo della guerra navale, invece, il pensiero strategico e tattico venne poco curato, consolidando quello che aveva contraddistinto l’inizio del secolo, fatta eccezione per l’uso del sottomarino, ritenuto ormai imprescindibile. Il ventennio tra le due guerre fu dominato da economie nelle forze navali e da accordi internazionali che portarono alla riduzione del naviglio e che produssero l’effetto di scoraggiare le iniziative e le nuove idee. Fu dedicata così poca attenzione alla difesa del traffico marittimo contro gli attacchi dei sommergibili anche se, soprattutto da parte dei britannici, si svilupparono radar e radio e se ne introdusse l’impiego, fino alla realizzazione del

    sonar

    (Sound Navigation And Ranging: Navigazione e telemetria per mezzo del suono). Sorse anche un acceso dibattito sul ruolo e l’importanza dell’aviazione navale, collegato inevitabilmente al problema del potenziale aereo in generale. Vi era chi sosteneva che il potere aereo aveva reso obsolete le grandi flotte da battaglia e chi invece credeva che le nuove artiglierie navali e le contraeree avrebbero ridotto il peso dell’intervento aereo nella guerra sul mare; chi era convinto che l’aereo era adatto solo a un ruolo di ricognitore a lungo raggio e chi accettava questo ruolo ma prevedeva che gli scontri tra navi di superficie sarebbero stati preceduti da battaglie aeree che avrebbero influito sul risultato finale. Erano comunque tutti concordi che le future flotte dovevano comprendere navi portaerei che avrebbero consentito di conquistare la supremazia nell’aria.

    Eppure solo Stati Uniti e Giappone intrapresero la strada giusta, lasciando alle loro marine l’aviazione navale e mettendo a punto a partire dagli anni Trenta una serie di apparecchi idonei per l’impiego sul mare, distinti in ricognitori, siluranti, caccia e bombardieri, quasi tutti monoplani. La Gran Bretagna, che pure era stata tra le prime a realizzare una nave a pieno ponte per il decollo e l’appontaggio di aerei, rimase al palo. Gli inglesi non facevano differenza tra aerei navali e terrestri e così la Royal Navy dovette cedere più della metà dei mille velivoli che aveva in dotazione nel 1918 alla neo-costituita Royal Air Force (

    raf

    ). L’Italia, pur modernizzando la flotta, non costruì nessuna portaerei, come non costituì reparti di aerosiluranti, nonostante i siluri aerei di nuova concezione fossero progettati e realizzati (e naturalmente venduti all’estero) proprio nel nostro Paese. La Germania, secondo le restrittive clausole del trattato di Versailles, possedeva una marina militare costituita solo da un piccolo naviglio leggero: quando sarà il momento punterà soprattutto sui sottomarini e le corazzate tascabili.

    Da questa rapida panoramica del periodo fra le due guerre si deduce che nel campo aereo e navale una certa evoluzione ci fu, mentre in quello delle forze terrestri i vincitori, a parte qualche modifica o ammodernamento di poca importanza, perdurarono in una stasi che si protrasse fino alle disfatte iniziali della seconda guerra mondiale. Lo storico inglese B.H. Liddell Hart così spiega invece il riarmo tedesco:

    Il trionfale successo della tattica e delle forze corazzate tedesche nei primi due anni del conflitto gettò una luce ironica sulle misure prese per disarmare la nazione sconfitta dopo l’altra guerra. Materialmente, tali misure si dimostrarono efficaci, poiché le numerose infrazioni compiute dai capi militari tedeschi erano su piccola scala e in se stesse non portarono a un considerevole recupero di forza. Fino al momento in cui il governo nazista calpestò apertamente le restrizioni del trattato di pace, i progressi effettivi del riarmo della Germania non avevano costituito un pericolo serio. Fu l’esitazione dei vincitori dopo quel momento che permise alla Germania di riacquistare una potenza formidabile. Inoltre, una conseguenza importante del disarmo forzato fu quella di partire senza ingombri: l’esercito tedesco non era intralciato da quell’accumulazione di armi del 1914-18 che legava invece le mani alle nazioni vittoriose, un carico di mezzi superati che tendeva a vincolare ai vecchi metodi e le aveva indotte a sopravvalutare la loro forza. Quando l’esercito tedesco iniziò il riarmo su larga scala, ebbe il beneficio di un maggior agio per lo sviluppo delle armi più moderne suggerite da concezioni nuove (B.H. Liddell Hart, Storia di una sconfitta).

    Gli anni Venti, comunque, videro sporadici e cauti tentativi per modernizzare gli eserciti e assimilare le lezioni apprese in guerra. Le discussioni erano incentrate su alcuni concetti, come il tipo di guerra del futuro, sulla dimensione degli eserciti (professionali o nazionali?), sulle potenzialità dell’aereo e, soprattutto, sull’impiego del carro armato.

    Nel 1919 la Gran Bretagna ritornò all’ordinamento pre-guerra eliminando la coscrizione obbligatoria e riducendo drasticamente l’esercito. I conservatori, naturalmente, si opposero a qualsiasi tipo di innovazione, in questo aiutati dalla grande depressione del 1929, che acutizzò la crisi delle forze armate, e dalla conferenza sul Disarmo, tenutasi a Ginevra nel 1932. Solo i già citati generale Fuller e capitano Liddell Hart pubblicarono le loro teorie che con il tempo si sarebbero rivelate esatte. L’aeroplano, il carro armato e i gas erano destinati a surclassare il potenziale umano come elementi decisivi per vincere le guerre. Le popolazioni civili sarebbero quindi state coinvolte nei conflitti esattamente come gli eserciti: da qui la necessità di prepararsi scientificamente alla guerra dimenticando le dottrine e le istituzioni militari del passato.

    La funzione classica della fanteria come forza d’urto sarebbe stata inutile e andava affidata alle unità corazzate formate da carri da ricognizione ed esplorazione, artiglierie semoventi corazzate, carri anticarro e carri da combattimento; alle loro spalle si dovevano costituire basi per le forze d’attacco con artiglierie controcarro, campi minati e fortificazioni per proteggere le truppe ausiliarie e i servizi (J.F.C. Fuller, The Reformation of War).

    Concetti che anticipavano in parte il futuro, anche se basati sull’impiego dei soli carri senza l’appoggio della fanteria.

    Liddell Hart migliorò il quadro, sostenendo la creazione di un esercito basato sulla meccanizzazione, che avrebbe trasformato il concetto di movimento. Infatti, in luogo degli attacchi frontali della prima guerra mondiale, era preferibile un movimento sui fianchi del nemico o una profonda penetrazione nelle sue linee da parte di colonne corazzate indipendenti per tagliare le comunicazioni e paralizzare i comandi avversari. Per fare ciò, però, era necessario sviluppare una fanteria corazzata come parte integrante delle forze corazzate strategiche. Nel 1927 venne costituita la prima unità meccanizzata sperimentale, nella quale, però, la fanteria era rappresentata in entità trascurabile. La massa era formata dai carri, a cui si chiedeva di svolgere i ruoli specifici della cavalleria tradizionale. La tendenza a considerare i mezzi corazzati solo come eredi della cavalleria fu un errore che si trascinò per tutti gli anni Trenta e che solo i tedeschi superarono, realizzando una stretta collaborazione tra la fanteria motorizzata e i carri armati senza diminuire l’operatività strategica e tattica di questi ultimi.

    Si iniziò comunque una lenta modernizzazione della fanteria, rendendo i reparti più snelli, mobili e dotati di una maggiore potenza di fuoco. Le unità vennero dotate di autocarri, uno per il trasporto di ogni plotone, di veicoli blindati e cingolati leggeri come il Bren-Gun-Carrier, che trasportava una mitragliatrice leggera Bren e i suoi inservienti. I battaglioni furono ridotti di numero e riorganizzati su quattro compagnie di tre plotoni ognuna e dotati di plotoni trasmissioni, anticarro, antiaereo e genio, con mortai, mitragliatrici leggere, personale servizi e polizia militare. Nel 1938 venne costituita la divisione mobile, che comprendeva una brigata carri e alcuni reparti di cavalleria meccanizzata. I carri vennero perfezionati, aumentati di numero e suddivisi in due categorie: i carri per cavalleria (carri leggeri di piccole dimensioni armati di sala mitragliatrici o/e di cannone di piccolo calibro), impiegati nella ricognizione, e i carri per la fanteria (più pesanti, armati con cannone e mitragliatrici), riuniti in plotoni e compagnie e adibiti all’appoggio delle unità minori di fanteria.

    Alla vigilia della guerra vennero costituite brigate carri, formate da tre battaglioni carri pesanti, assegnate alle divisioni di fanteria e ai corpi d’armata, ma solo durante il secondo conflitto mondiale furono create, secondo le teorie di Liddell Hart e il modello tedesco, le divisioni corazzate comprendenti aliquote di carri, fanteria e artiglieria meccanizzate e motorizzate.

    Nel 1918 fu istituita la Royal Air Force con la fusione del Royal Flying Corps dell’esercito e del Royal Naval Air Service dell’ammiragliato. La nuova arma, tuttavia, subì le drastiche riduzioni imposte alle forze terrestri e fu organizzata solo per difendere il territorio nazionale, Londra e le città industriali. Solo con il riarmo della Germania nazista e delle altre nazioni, la Gran Bretagna modificò la sua politica relativa all’arma aerea dando inizio al rinnovamento e al cambiamento delle strategie, con l’idea di portare il combattimento sul territorio nemico tramite il bombardamento di obiettivi industriali e militari. Vennero così realizzati nuovi bombardieri monoplani dalle ottime prestazioni e caccia moderni. Il migliore fu il Supermarine Spitfire (vedi paragrafo dedicato), derivato dall’idrovolante Supermarine, che aveva permesso agli inglesi di strappare all’Italia la coppa Schneider.

    La Royal Navy, invece, fu mantenuta in ottima efficienza, con l’aggiunta, accanto alle navi da battaglia, delle portaerei.

    Al termine della prima guerra mondiale anche in Francia i tagli alle forze armate furono drastici, anche se più drammatici per la poca lungimiranza dimostrata, non avendo il Paese una barriera come la Manica e la flotta più potente del mondo a difenderla dai nemici storici con i quali invece confinava. L’esagerata convinzione di essere stata la nazione che aveva contribuito di più alla vittoria alleata spinse il vertice dell’esercito, il cui comandante in capo era il maresciallo Pétain, l’eroe di Verdun, a ritenere inutile qualsiasi variazione di dottrine e mezzi. Il pensiero militare rimase fermo al 1918, nella convinzione che i mezzi utilizzati per la vittoria nella prima guerra mondiale, compresa la cavalleria, sarebbero stati sufficienti per trionfare anche in un eventuale conflitto futuro. Ancora nel 1935 il generale Weygand, che subentrò a Pétain nel 1931, raccomandava al consiglio di guerra di essere prudente nella meccanizzazione dell’esercito e chiedeva di «non dimenticare che i cavalli sono sempre utili […] soprattutto quelli da sella».

    Le armi della fanteria e dell’artiglieria rimasero praticamente invariate per tutto il ventennio, nonostante la fanteria rimanesse indiscutibilmente l’arma principale sul campo di battaglia. Il tutto, naturalmente, a scapito dei carri armati, che rimasero quelli lenti, dalla corazzatura leggera e dal raggio operativo limitato che erano stati realizzati per la guerra precedente e che rimanevano esclusivamente il mezzo d’appoggio della fanteria. Invano ufficiali come il generale Estienne e il colonnello De Gaulle, fautori delle idee di Fuller e Liddell Hart, sollecitarono un rimodernamento dell’esercito, ottenendo nel 1934 solo la costituzione di una divisione di cavalleria completamente motorizzata, i cui compiti erano però quelli svolti dalla cavalleria tradizionale. Nel 1938, quando le divisioni corazzate tedesche erano ormai una realtà, il numero di dicembre della «Revue d’Infanterie» riportava le idee dell’alto comando:

    Neppure i carri armati più moderni possono condurre da soli un combattimento. La loro missione deve restare quella di partecipare alle azioni dell’artiglieria e della fanteria in funzione di protezione e di appoggio […] Sul campo di battaglia, il principale nemico del soldato rimane sempre il fante nemico, il quale, come ci ricordano tutte le nostre istruzioni, è l’unico a conquistare le posizioni, a organizzarle e a difenderle. Il carro armato deve essere considerato soprattutto come uno dei mezzi ausiliari del fante.

    I carri armati vennero così dispersi fra le unità di fanteria; la produzione di quelli nuovi, in quegli anni, fu di soli 8 al mese, nonostante lo Char

    b

    si rivelasse, sotto molti aspetti, superiore ai migliori carri tedeschi di inizio guerra.

    Il problema principale nasceva dal fatto che lo stato maggiore generale era rimasto fermo al concetto del fronte continuo difensivo che aveva contenuto gli attacchi tedeschi e respinto gli invasori. La dottrina difensiva era e rimase il dogma imperante dei francesi fino al 1940, quando ormai era troppo tardi per cambiare. Tale concetto fu addirittura rafforzato dalla drastica diminuzione degli effettivi a disposizione dell’esercito, in parte dovuto alla riduzione della durata della leva, in parte alla scarsa natalità. Con meno uomini a disposizione per difendere il confine orientale, la Francia diede il via alla costruzione di massicce linee di fortificazioni, che presero il nome di Linea Maginot. La Maginot partiva da Basilea, sul confine svizzero, e arrivava ai confini francesi, lussemburghesi e belgi, che rimanevano scoperti per questioni politiche. Da lì passarono i panzer tedeschi che conquistarono la Francia, travolgendo l’esercito transalpino ormai uso all’inazione, alla rilassatezza e alla pigrizia convinto dell’invulnerabilità della Linea Maginot.

    L’aviazione francese, che nel 1918 aveva a disposizione 4500 velivoli usciti da un’industria specializzata, venne ridotta di dimensioni, continuando a usare gli stessi rudimentali aerei di cui era dotata durante la Grande Guerra. L’aeroplano era considerato, come il carro armato, solo un’arma ausiliaria alle forze terrestri. Nel momento in cui, finalmente, nel 1934, di fronte al riarmo tedesco, si decise di fornire l’aeronautica di aerei moderni, l’industria, dopo anni di ristagno negli studi e nelle ricerche, non si rivelò all’altezza del compito. Quando l’aviazione francese si presentò alla prova del fuoco, venne neutralizzata in pochissimo tempo.

    Gli Stati Uniti, decisivi per la vittoria finale, pur sopravvivendo alla crisi economica e finanziaria che colpì l’Europa, uscirono scioccati dal primo conflitto mondiale a causa delle perdite subite che, pur essendo nettamente inferiori a quelle delle altre nazioni partecipanti, rappresentavano un numero insopportabile per l’opinione pubblica americana. Si diffuse l’idea del non più guerre e di conseguenza l’esercito fu ridotto all’osso e impiegato solo per il servizio oltremare e per addestrare i componenti della guardia nazionale e della riserva organizzata. Il Tanks Corps fu disciolto e i carri leggeri Renault da cui era costituito vennero distribuiti tra le divisioni di fanteria e rimasero in servizio fino all’inizio degli anni Trenta. I criteri di impiego furono gli stessi dei francesi.

    Anche negli Stati Uniti vi erano ufficiali lungimiranti, come il maggiore Chaffee, che seguivano le teorie di Liddell Hart e compagni, ma non ottennero alcun credito. I nuovi, pochi, esperimenti furono fatti solo su carri leggeri e i prototipi del primo carro medio convertibile

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    3: non incontrarono però l’approvazione dell’esercito americano e furono acquistati dai sovietici che, studiandone il funzionamento, realizzarono il famoso

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    ! Solo nel 1934 si ricominciò a lavorare su carri leggeri e medi dai quali derivarono corazzati di successo come il Grant e lo Sherman.

    Al momento della smobilitazione, le forze aeree americane, distaccate presso il genio come Air Service, furono ridotte del 95%, nonostante l’Army Reorganization ne prevedesse la riorganizzazione e l’espansione. L’esercito sosteneva che l’arma aerea era nata come servizio per le forze di terra e il suo compito doveva rimanere quello di appoggiare le operazioni terrestri. Questo non impedì la trasformazione dell’Air Service in un Air Corps che, dal 1933, dipese direttamente da un quartier generale centrale delle forze aeree, responsabile presso lo stato maggiore generale. Il nuovo servizio riuscì a far realizzare dalla Boeing un buon bombardiere pesante, il

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    Fortezza volante, e alcuni caccia e bombardieri leggeri dalle buone prestazioni, anche se inferiori a quelli similari tedeschi e giapponesi.

    La marina, invece, riteneva l’aeroplano un ottimo mezzo ausiliario per le sue operazioni e ne richiese un gran numero, potendo sfruttare i maggiori stanziamenti finanziari a disposizione, dal momento che la politica militare globale statunitense era orientata primariamente verso la creazione di una potente marina da guerra.

    Il 28 gennaio 1918, forte di 100.000 soldati, fu creata l’Armata Rossa. Nell’ottobre del 1920, perdurante la guerra civile, il numero degli effettivi era salito a 5.500.000 uomini. Quando il conflitto si concluse con la vittoria dei bolscevichi, l’Unione Sovietica era sull’orlo del collasso. La situazione costrinse le autorità, nonostante l’opposizione di Trotskij, a ridurre l’esercito, la marina e le guardie confinarie alla cifra di mezzo milione, sicuramente insufficiente a proteggere il Paese da invasioni esterne. I capi politici sovietici, a differenza dei loro colleghi occidentali, ritenevano però le istituzioni militari uno degli elementi più importanti di coesione per una nazione così vasta e composta da razze diversissime tra di loro e diedero quindi inizio alla ricostruzione e ristrutturazione delle forze armate.

    La riorganizzazione dell’esercito tenne conto dell’esperienza della guerra civile, che era stata principalmente un conflitto di movimento condotto da grosse unità di cavalleria. Furono costituite numerose divisioni di cavalleria e vietato l’accesso all’Armata Rossa a chi non appartenesse al proletariato (quindi solo figli di operai e contadini). Venne poi istituito il Direttorato Politico Centrale, che affiancava il capo di stato maggiore generale con funzioni di controllo politico sulle forze armate. Fondamentale fu poi la stipula nel 1921 del trattato di Rapallo tra Germania e Unione Sovietica, un accordo di carattere commerciale e militare che prevedeva l’installazione di imprese tedesche sul suolo sovietico. Oltre alla possibilità per i tedeschi di costruire fuori dal loro territorio armamenti proibiti dal trattato di Versailles, la Reichswehr poteva disporre di basi militari in Unione Sovietica per le esercitazioni dell’aviazione e delle truppe motorizzate. In cambio, i sovietici, oltre all’affitto delle loro basi, potevano accedere a tutte le nozioni tecniche, teoriche e pratiche dei tedeschi acquisite sul loro suolo.

    Le riforme militari sovietiche del 1924-25 furono opera del generale Frunze, un vecchio rivoluzionario che optò per la modernizzazione dell’Armata Rossa. Questa partì dalla riorganizzazione degli stati maggiori e dei quadri di comando a ogni livello, grazie all’istituzione di accademie e scuole militari in cui venne curata la preparazione tecnica e specifica di tutti gli ufficiali. Gli effettivi dell’esercito regolare vennero fissati in 562.000 uomini in tempo di pace, ma mantenuti sempre sul piede di guerra. La divisione di fanteria prevedeva tre reggimenti fucilieri su tre battaglioni, una batteria d’artiglieria, uno squadrone di cavalleria, un reggimento di artiglieria leggera, zappatori, genio e trasmissioni. Alle compagnie erano assegnate numerose mitragliatrici leggere e pesanti. La cavalleria era ordinata su divisioni di quattro reggimenti l’una, con batterie d’artiglieria. Vi erano poi brigate indipendenti di cavalleria e divisioni territoriali, per un totale di 19 corpi d’armata. Per quanto riguarda i mezzi corazzati venne creato uno speciale ufficio tecnico che, inizialmente, lavorò su telai di carri armati e autoblinde della prima guerra mondiale, finché, nel 1930, realizzò un carro pesante, il

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    24, armato di un cannone da 45mm e 4 mitragliatrici.

    Fu proprio negli anni Trenta che, con l’avvento dell’industrializzazione, venne sviluppato il concetto di un moderno esercito motorizzato che poteva contare su poderose forze corazzate e artiglieria in cooperazione con l’aviazione, specializzata in azioni di bombardamento e di attacco al suolo. Nel 1932 venne costituito il primo corpo meccanizzato al mondo, che comprendeva più di 500 carri armati. Nel 1936 l’Armata Rossa possedeva 4 corpi meccanizzati, 6 brigate meccanizzate indipendenti e 6 reggimenti meccanizzati indipendenti. Il corpo d’armata meccanizzato comprendeva 2 o 3 brigate meccanizzate di circa 100 carri ciascuna, una brigata di fanteria motorizzata e un reggimento di artiglieria da campagna motorizzata. I carri armati, inizialmente, derivavano da carri leggeri inglesi, ma poi fu realizzata una serie di carri pesanti di progettazione sovietica, come il

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    28, il

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    34 e il

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    35.

    L’aviazione militare sovietica, che negli anni del primo dopoguerra era costituita da aerei di vario tipo risalenti al 1918, era divisa in aviazione terrestre, con squadriglie da caccia, da ricognizione e d’addestramento, e aviazione navale. Nel 1924-25 fu riorganizzata in base alle funzioni di combattimento e cioè come aviazione da combattimento, cui appartenevano le squadriglie terrestri e navali, e aviazione di retrovia, che svolgeva servizi d’aeroporto, di riparazione, di rifornimento, d’addestramento, di ricerca e altri incarichi speciali. L’aviazione con base a terra venne suddivisa in strategica, con squadriglie di intercettori, da combattimento, con bombardieri leggeri e pesanti e ulteriori forze di ricognizione, e tattica, con il compito di cooperare con l’esercito eseguendo ricognizioni tattiche al fine di localizzare le postazioni d’artiglieria nemiche. L’aviazione navale era articolata in unità d’intercettazione, ricognizione e posa di mine. I velivoli erano di provenienza straniera o copie di quelli acquistati fabbricate in Unione Sovietica.

    La marina, invece, rimaneva con i mezzi pre-guerra ed era la forza militare meno efficiente.

    Nel 1937-38 due fattori sconvolsero l’ammodernamento dell’Armata Rossa: il primo dipese dall’errata valutazione di Stalin dell’uso dei carri armati durante la guerra civile spagnola che lo spinse a sciogliere i corpi meccanizzati e riassegnare i carri all’impiego originale di semplice appoggio alle fanterie. Il secondo fu il Grande Terrore, la purga del corpo ufficiali che annientò l’efficienza combattiva delle forze armate sovietiche. Le conseguenze furono la disastrosa guerra russo-finnica del 1939-40 e il primo periodo buio dell’attacco tedesco del 1941.

    Nel marzo del 1920 il compito del futuro Generaloberst Hans von Seeckt si presentava arduo. Le perdite per l’impero tedesco erano state di più di sette milioni, di cui quasi due milioni erano stati i morti. Alla conclusione delle ostilità sul fronte occidentale, milioni di soldati germanici rimanevano in armi e mal sopportavano la sconfitta: nel caos della smobilitazione, della rivoluzione e controrivoluzione, il corpo ufficiali dell’esercito germanico tenne insieme un apparato militare che represse ammutinamenti e rivolte e ristabilì una sorta di ordine pubblico. Con il crollo delle istituzioni, oltre a supportare il nuovo governo repubblicano, era necessario garantire la sicurezza delle frontiere orientali. Nacque così il fenomeno dei Freikorps (corpi liberi o corpi franchi), organizzazioni paramilitari in cui confluirono ufficiali e soldati smobilitati che si dedicarono a contrastare le sollevazioni comuniste in Germania e a combattere i russi bolscevichi nel Baltico tra il 1919 e il 1920.

    Nel frattempo era stato firmato l’armistizio e il trattato di Versailles aveva imposto alla nuova repubblica tedesca durissime sanzioni, tra le quali il drastico ridimensionamento dell’esercito. Nel marzo 1919 fu costituita una forza difensiva provvisoria con unità dell’esercito e della marina (Vorläufige Reichswehr) per un totale di 400.000 uomini. Si trattava di un esercito di transizione organizzato in attesa che fossero stipulati gli accordi finali con i vincitori, il che avvenne il 1° gennaio 1921. Da quella data le forze armate tedesche vennero limitate a 100.000 unità con un massimo di 4000 ufficiali: fu vietata la coscrizione obbligatoria e sciolti lo stato maggiore generale e le accademie militari. La Reichswehr (questo era il nuovo nome) era composta dal Reichsheer, un esercito costituito da sette divisioni di fanteria, tre di cavalleria, senza cannoni pesanti, aviazione, carri armati e stato maggiore, e dalla Reichsmarine, una marina militare formata da 15.000 uomini e 36 navi di piccolo tonnellaggio, senza sommergibili.

    L’incarico di riorganizzare questo piccolo esercito (e di riarmarlo segretamente) venne affidato al generale von Seeckt che, come primo provvedimento dopo avere sciolto lo stato maggiore generale, istituì il Truppenamt (ufficio truppe, una sorta di stato maggiore clandestino nel quale fece convergere i migliori ufficiali sopravvissuti alla prima guerra mondiale). Anche la selezione dei centomila fu accurata, prediligendo uomini capaci e di valore, sia per quel che riguardava gli ufficiali che i sottufficiali e la truppa. I componenti delle forze armate, indipendentemente dal grado, vennero sottoposti a continui corsi di aggiornamento e, quando e dove possibile, a esercitazioni. Fu curata la preparazione fisica e l’addestramento al comando, in modo che quando si fossero potuti nuovamente ampliare gli organici delle forze armate, gli ufficiali subalterni avrebbero potuto integrare quelli superiori, i sottufficiali avrebbero potuto prendere il posto dei tenenti e i soldati quello dei sottufficiali. La divisione di fanteria fu organizzata su tre reggimenti di fanteria, uno di artiglieria, un battaglione pionieri, un reparto da ricognizione e servizi e uno squadrone di cavalleria autonomo per un totale di sette divisioni più altre tre di cavalleria. Le armi erano rimaste quelle della Grande Guerra con lanciabombe e mine anticarro al posto di cannoni controcarro, proibiti dai trattati. L’artiglieria comprendeva solo i sette reggimenti da campo assegnati alle divisioni di fanteria, una batteria d’addestramento e tre gruppi a cavallo, armati con vecchi cannoni da 77mm e obici da 105mm.

    Pur in mancanza di numeri e di mezzi, lo studio degli errori commessi durante la prima guerra mondiale portò gli ufficiali del Truppenamt a intuire che esisteva una stretta correlazione tra la potenza di fuoco e la capacità di movimento e che la mobilità sarebbe stata la chiave del successo nei conflitti futuri. La soluzione del problema era affiancare mezzi corazzati a veicoli blindati che trasportavano uomini, cannoni e rifornimenti, con gli aerei che avrebbero fornito un supporto di fuoco mobile.

    La stipula di patti segreti di collaborazione con l’Unione Sovietica a partire dal trattato di Rapallo (16 aprile 1922) permise ai tedeschi di usufruire delle industrie russe per progettare e costruire aerei e carri armati in territorio straniero e inviare i propri tecnici e gli equipaggi a sperimentarli. Anche cannoni di grosso calibro e mitragliatrici moderne furono realizzate all’estero, come il cannone tedesco da 88mm che fu sperimentato in Svezia, dove vennero inoltre costruiti i primi prototipi. Era l’inizio del riarmo segreto della Germania.

    Le continue riforme che il Truppenamt apportava alla Reichswehr resero questa la forza armata più moderna ed efficace di quei tempi, una compagine elitaria composta da professionisti, basata sulla mobilità e la modernità degli armamenti, con una dottrina tattica impostata su una guerra prevalentemente offensiva con la collaborazione tra esercito, marina e aeronautica. La qualità era stata realizzata: ora mancavano i numeri, che si sarebbero potuti trovare solo grazie a un cambio radicale della politica della Nazione. E questo avvenne a partire dal gennaio 1933 quando Hitler divenne cancelliere del Reich e si dichiarò favorevole a una politica di ampio e rapido riarmo in barba ai divieti delle nazioni vincitrici del primo conflitto mondiale. Per assurdo furono proprio le ristrettezze imposte dal trattato di Versailles a rendere così efficienti le nuove forze armate tedesche. Il trionfale successo della tattica e delle forze corazzate naziste nei primi due anni della seconda guerra mondiale derivò dal fatto che la Germania disarmata poté ripartire da zero nella progettazione e costruzione dei nuovi mezzi, senza l’intralcio dell’accumulo di armi del 1914-18, che legò invece le mani alle nazioni vittoriose, inducendole a sopravvalutare la propria forza nonostante quei mezzi fossero superati e vincolassero ai vecchi metodi di combattimento. I tedeschi ebbero quindi il beneficio di un maggior agio per lo sviluppo delle armi più moderne suggerite da concezioni nuove.

    Quando nell’agosto del 1934 Adolf Hitler divenne anche il comandante in capo delle forze armate, poté dare l’avvio al riarmo che aveva promesso ai vertici militari fin dal suo insediamento. Il primo provvedimento fu il ripristino della coscrizione obbligatoria, che entrò in vigore per legge il 21 marzo 1935. Quel giorno veniva ufficialmente disatteso uno degli obblighi imposti alla Germania dal trattato di Versailles, ormai rinnegato da Hitler. La durata del servizio di leva fu fissata a un anno per tutte le forze armate, ma già il 24 agosto 1936 fu portato a due. I giovani, fin dall’età di diciassette anni, erano obbligati a servire nel Reichsarbeitsdienst (

    rad

    , servizio lavoro del Reich) dove contribuivano alla costruzione delle opere pubbliche e si sottoponevano a esercitazioni sportive e militari allo scopo di prepararsi alla futura vita del soldato. Raggiunta la maggiore età gli idonei venivano ammessi nelle forze armate e, se optavano per la carriera militare, dopo dodici anni di servizio potevano accedere alla scuola sottufficiali.

    Il 21 maggio 1935 la Reichswehr prese il nome di Wehrmacht (forza di difesa) il cui primo comandante in capo fu il feldmaresciallo Werner von Blomberg, ministro della Difesa. La Wehrmacht era costituita da tre forze armate, la Heer (l’esercito), la Kriegsmarine (la marina militare) e la Luftwaffe (l’aeronautica militare). Fu istituito un comando supremo, l’Oberkommando der Wehrmacht (

    okw

    ), che doveva sovraintendere ai comandi delle tre forze armate che, tuttavia, pretesero e godettero di larga autonomia. Essi erano l’Oberkommando des Heeres (

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    ) che coordinava le operazioni dell’esercito, l’Oberkommando der Marine (

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    ) e l’Oberkommando der Luftwaffe (

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    ).

    Nel 1939 l’esercito, dalle dieci divisioni del 1921, si trovò con 98 divisioni, di cui 62 immediatamente utilizzabili: erano divisioni corazzate, meccanizzate, di fanteria, di fanteria da montagna, di cavalleria e aviotrasportate, tutte supportate da reggimenti di artiglieria e reparti del genio e delle trasmissioni. Le unità di punta erano composte da truppe d’élite che sapevano come impiegare i mezzi corazzati in una guerra rapida e offensiva. Le divisioni di fanteria tradizionale erano composte da tre reggimenti di fanteria, uno di artiglieria ippotrainata su tre gruppi leggeri e uno pesante, un battaglione pionieri parzialmente motorizzato, un gruppo controcarro motorizzato e unità esploranti, sanitarie, di ricognizione, e mitraglieri per un totale di circa 17.000 uomini. Simili erano le divisioni di montagna, mentre quelle di fanteria motorizzata erano costituite da un gruppo cannoni d’assalto, due reggimenti granatieri corazzati e uno di artiglieria motorizzata, più un gruppo controcarro motorizzato, uno esplorante, uno sanitario e servizi vari, tutti motorizzati: in tutto 16.000 uomini e 4000 autoveicoli.

    Le divisioni corazzate erano invece articolate su una brigata carri di due reggimenti, una brigata granatieri corazzati su due reggimenti, un reggimento artiglieria meccanizzata, un gruppo esplorante e un gruppo anticarro motorizzati, pionieri e servizi, con 17.000 uomini, 400 carri (due terzi leggeri e un terzo medi) e 4000 veicoli. Una forza inarrestabile per l’epoca. Le divisioni leggere erano costituite da un gruppo corazzato con carri leggeri, uno o due reggimenti di cavalleria meccanizzata, un battaglione esplorante motorizzato, un reggimento di artiglieria, un gruppo anticarro e un battaglione pionieri tutti motorizzati.

    Le unità mobili dell’esercito erano rappresentate da quattordici divisioni tra corazzate, motorizzate e leggere, per un totale di 200.000 uomini addestrati con armamento ed equipaggiamento moderno. Il resto dell’esercito, però, si spostava ancora a piedi, mentre cannoni, rifornimenti e vettovagliamenti erano trainati e trasportati da cavalli e da muli. Durante i primi anni di guerra, le folgoranti vittorie della Wehrmacht nascosero questo limite logistico che esplose in tutta la sua evidenza durante la campagna di Russia.

    I tedeschi già disponevano di armi di concezione moderna come la mitraglietta

    mp

    38 e di carri medi

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    che furono impiegati fino al termine del conflitto.

    Su volontà di Hitler, a partire dal 1933 vennero addestrati come truppe combattenti alcuni reparti delle

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    , le Waffen

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    , che entrarono a far parte della Wehrmacht, dipendendo però dall’

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    solo dal punto di vista logistico. Dai quattro reggimenti iniziali del 1939 si arrivò a 38 divisioni, di cui 7 corazzate al termine del conflitto.

    L’aviazione militare tedesca nacque in guerra e fu sciolta alla sua conclusione, perché il trattato di Versailles proibì alla Germania l’uso militare di qualsiasi tipo di aereo. I piloti veterani, però, vennero assunti nelle prime compagnie aeree civili, mentre i giovani che si sentivano attratti dal volo furono avviati a corsi sugli alianti. Una volta ottenuto il brevetto entravano a loro volta nell’aviazione commerciale e venivano ogni tanto inviati all’estero per corsi di perfezionamento. Il regime fascista di Mussolini accolse numerosi futuri assi della Luftwaffe per insegnare loro le tecniche di combattimento sui caccia e sui bombardieri, naturalmente mascherate da corsi di aggiornamento per l’aviazione civile. L’aeronautica militare tedesca rinacque in Unione Sovietica, in un aeroporto in disarmo a 110 km a nord di Voronež, dove venne creato il Centro aeronautico di Lipeck, presso il quale furono inviati segretamente aerei smontati, motori, armi, munizioni e duecento ufficiali specializzati in tattica aerea, bombardamento, armamento e ricognizione. Dopo gli accordi di Parigi del 1926, la Germania ebbe la possibilità di costruire aeroplani con caratteristiche militari, con il divieto però di effettuare voli che non fossero esclusivamente civili. La progettazione e la sperimentazione segreta in Unione Sovietica procedettero a ritmo vertiginoso sino al 1933, quando venne fondata clandestinamente la Luftwaffe, poi ufficializzata al mondo il 1° marzo 1935.

    Nel 1937 i reparti da combattimento, da bombardamento e da ricognizione già disponevano di aerei moderni come il Dornier Do 17, l’Heinkel He 111 e lo Junkers Ju 88, che divenne famoso per la sua versatilità come bombardiere medio, in picchiata, da attacco al suolo, aerosilurante, ricognitore, caccia a grande autonomia e caccia notturno. Il compito primario dell’aviazione, secondo la dottrina di guerra tedesca, consisteva nell’appoggio alle forze terrestri. La Luftwaffe, non ritenendo efficace il bombardamento in quota con l’impiego di un grande numero di aerei, si concentrò sull’uso di bombardieri medi veloci e sull’attacco in picchiata, considerato più razionale perché consentiva di centrare con un elevato grado di precisione il bersaglio. Il velivolo più efficace si rivelò lo Junkers Ju 87 Stuka, benché fosse lento, poco maneggevole e vulnerabile. Non venne invece sviluppato alcun grande quadrimotore per il bombardamento strategico.

    Per quanto riguarda l’aviazione da caccia, furono sviluppati due tipi di velivoli: un caccia leggero a elevata velocità per la copertura delle forze terrestri, per la difesa del territorio nazionale e la protezione degli aerei da bombardamento e picchiata, e un caccia pesante o distruttore per la scorta ai bombardieri medi, attacco al suolo e caccia notturno. I velivoli standard divennero rispettivamente il Messerschmitt Bf 109 e il Messerschmitt Bf 110. L’impiego della Luftwaffe prevedeva una stretta collaborazione con le forze terrestri e navali con compiti precisi: l’azione diretta contro le forze aeree avversarie, l’appoggio ravvicinato e a lungo raggio dell’esercito e della marina, l’attacco ai centri vitali nemici quali le industrie belliche, raffinerie, linee di comunicazione e trasporto e la difesa aerea del territorio nazionale.

    Nel settembre del 1939 la Luftwaffe era composta da quattro Luftflotte (flotte aeree) alle quali se ne aggiunsero altre tre nel corso della guerra, di cui una, la Luftflotte Reich, creata appositamente per la difesa del territorio tedesco. Entrò in guerra con 2695 velivoli, 771 dei quali erano caccia Messerschmitt Bf 109.

    Il 21 giugno 1919 la Flotta d’alto mare germanica, forte di sedici navi da battaglia, si autoaffondò nella baia di Scapa Flow, base della Grand Fleet britannica. Il trattato di Versailles e la ristrettezza di fondi provvidero a ridurla a una flottiglia minore di poche decine di vascelli, con il divieto di avere aerei, portaerei e sommergibili. La ricostruzione fu affidata nel 1928 all’ammiraglio Raeder, ufficiale abile ed energico che si dimostrò all’altezza del compito. Inizialmente lenta, fu incentrata su naviglio tecnicamente moderno e sulla scelta di realizzare unità veloci a grande autonomia, idonee a una guerra contro il traffico commerciale. Nacque il progetto della corazzata tascabile della classe Deutschland, una nave di nuova concezione, potente, veloce e dotata di una grande autonomia grazie al motore diesel.

    Un massiccio rafforzamento (Piano

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    ) iniziò a partire dal 29 giugno 1935, con il varo di una prima flottiglia di sommergibili (U-Boot), tre corazzate tascabili, due incrociatori da battaglia e tre incrociatori pesanti. A queste unità si aggiunsero 21 cacciatorpediniere, 12 motosiluranti, 57 sommergibili oceanici, e, tra l’agosto 1940 e il febbraio 1941, le corazzate Bismarck e Tirpitz.

    La missione strategica della marina era l’annientamento della marina militare britannica: gli eventi del settembre del 1939 interruppero però la realizzazione del Piano

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    per quanto riguardava il naviglio di superficie, costringendo lo stato maggiore della marina a modificare i piani strategici concentrandosi sugli U-Boot, che divennero il fiore all’occhiello della Kriegsmarine, capace di schierarne in servizio 1193 entro il luglio 1943.

    In Italia, a seguito degli avvenimenti politici di inizio anni Venti, si pose il problema di una radicale ristrutturazione dell’esercito. L’incarico fu affidato nel 1923 al generale Diaz, ma la riorganizzazione prevista necessitava di una spesa che il Paese non poteva permettersi e così il Duca della Vittoria diede le dimissioni da ministro della Guerra. Il nuovo titolare del dicastero, generale Antonino Di Giorgio, preparò una riforma che prevedeva la riduzione degli effettivi e la costituzione di un piccolo esercito professionale altamente addestrato ed equipaggiato in modo moderno, ampliato solo in caso di guerra dai riservisti e dai coscritti, che, in tempo di pace, erano sottoposti a un breve addestramento durante un altrettanto breve servizio di leva. Anche questa riforma prevedeva una spesa insostenibile e così la soluzione fu quella di sostituire il nuovo ministro con il presidente del Consiglio in persona, Benito Mussolini, già ministro dell’Aeronautica e futuro ministro della Marina.

    Nel 1926 fu varato il nuovo ordinamento dell’esercito, con l’adozione della divisione ternaria (su tre reggimenti) al posto di quella quaternaria, su due brigate di fanteria di due reggimenti ognuna.

    La divisione era quindi composta da tre reggimenti di fanteria, un reggimento di artiglieria, artiglieria divisionale someggiata, reparti del genio e delle trasmissioni più i servizi, compresi mezzi someggiati e auto carreggiati.

    La ferma fu stabilita in diciotto mesi e la ristrutturazione tecnica frenata dalle difficoltà finanziarie. Il parco artiglierie fu limitato, anche se il volume di fuoco di una divisione italiana non era inferiore in quegli anni a quello delle corrispondenti formazioni degli altri eserciti europei. Di conseguenza ebbero un lento sviluppo anche i mezzi motorizzati e corazzati, poco impiegati durante la prima guerra mondiale a causa del territorio in cui si svolsero le operazioni sul fronte italiano. Venne comunque istituito un reggimento carri armati su 5 battaglioni per un totale di circa 180 carri. Negli anni Trenta, in collaborazione con gli inglesi, l’Ansaldo realizzò il Carro veloce 33, poi conosciuto come l33,

    che divenne il cingolato più diffuso nelle unità corazzate italiane e che, per i tempi, si rivelò un mezzo efficiente e di facile impiego su terreni impervi come l’Africa Settentrionale e Orientale. Lo sviluppo di carri medi, come l’

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    11 e il derivato e più famoso

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    13, si avrà solo verso la fine del decennio, così come la costituzione di brigate corazzate. Il Regio Esercito rimase

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