Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Le grandi battaglie aeree
Le grandi battaglie aeree
Le grandi battaglie aeree
E-book744 pagine10 ore

Le grandi battaglie aeree

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Le imprese, le vittorie e le sconfitte più incredibili mai avvenute in cielo

Il volo ha sempre affascinato l’essere umano e la possibilità di potersi librare nel cielo ha alimentato la fantasia di poeti, scrittori, mercanti, inventori e scienziati dall’alba della civiltà. Quando il 17 dicembre 1903 i fratelli Wright riuscirono a mantenere in volo per 12 secondi l’aeromobile da loro progettato, molti aspetti della vita dell’uomo vennero rivoluzionati per sempre. Il sogno dei condottieri di ogni tempo di materializzarsi con i propri eserciti sull’avversario si stava improvvisamente realizzando: stavano nascendo le operazioni militari nella terza dimensione. Lo sviluppo del mezzo aereo fu così rapido che solo pochi anni dopo il volo del flyer esistevano già aerei da ricognizione e da bombardamento. In poco più di cento anni le operazioni aeree si sono dimostrate determinanti per il successo sul campo, portando in maniera improvvisa sull’obiettivo un devastante potere distruttivo e concretizzando in una sola azione tutti gli elementi dell’arte militare convenzionale: sorpresa, fuoco, massa e manovra.

La storia dell'evoluzione delle operazioni militari nella terza dimensione: dai fratelli Wright allo spazio

Alcune battaglie presenti nel libro:
Libia 1911, la nascita del potere aereo
La Prima guerra mondiale, dallo zeppelin al raid di Tondern, da Francesco Baracca al Barone Rosso
Etiopia e spagna prove generali della Seconda guerra mondiale
Il Blitzkrieg
Creta 1941: l’assalto aereo più sanguinoso
Pearl Harbor 1941
Operazione Husky, attacco alla Sicilia
D-day, l’attacco alla fortezza Europa
La guerra di Corea
Rolling Thunder
Conflitti arabo-israeliani 1968 e 1973
L’offensiva aerea della NATO in Serbia e Kosovo
La seconda guerra del Golfo
La Russia in Siria
La guerra e lo spazio
Andrea Lopreiato
È nato nel 1972. Ha frequentato l’Università a Modena e Torino dove si è laureato in scienze politiche. È paracadutista, pilota di aerei plurimotori da trasporto e droni, professioni che ha svolto in Italia e all’estero. Vive e lavora a Viterbo.
LinguaItaliano
Data di uscita22 ott 2019
ISBN9788822739056
Le grandi battaglie aeree

Correlato a Le grandi battaglie aeree

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Guerre e militari per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Le grandi battaglie aeree

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Le grandi battaglie aeree - Andrea Lopreiato

    1. LIBIA 1911, LA NASCITA

    DEL POTERE AEREO

    L’invenzione che tutti aspettavano

    Nel 1903, i fratelli Wilbur e Orville Wright effettuano presso il campo di Kitty Hawk il primo volo con un aeromobile a motore più pesante dell’aria; la stampa non dà più di tanta importanza a questo evento, portato a termine da due meccanici di biciclette, laddove eminenti ingegneri hanno fallito; paradossalmente, anche i due inventori non vogliono clamore attorno alla loro invenzione, temono infatti che altri inventori possano carpire segreti e informazioni sulla loro macchina volante, il Flyer.

    I fratelli Wright non sono gli unici a tentare il volo. Ci sono infatti decine di inventori alle prese con i rudimenti del volo e, da un momento all’altro, ci sarà chi arriverà a finalizzarne i principi aerodinamici dalla teoria alla pratica.

    All’inizio del 1903 l’invenzione non è ancora pronta, ma ci sono buone premesse, la tecnica di controllo del volo su tre assi¹ dei Wright è la chiave del successo; hanno scoperto che per far virare un aereo non bisogna semplicemente agire sul timone, come avviene per le imbarcazioni, piuttosto serve inclinarlo lateralmente, come fanno gli uccelli e come fanno anche i ciclisti con le biciclette, di cui i fratelli padroneggiano la tecnica.

    Nel 1908 i fratelli propongono alle forze armate americane una versione biposto denominata Military Flyer a beneficio del Signal Corps, la branca che cura le trasmissioni con telegrafo e telefono, ovvero il rapido movimento di informazioni; ma ormai i principi del volo sono stati divulgati e sono appannaggio di altri produttori che stanno costruendo aerei in serie.

    In America e in Europa ci sono svariati inventori che sono alle prese con la trasformazione di alianti e deltaplani in aeromobili; i primi anni del Novecento sono tutto un fervore di eventi, dimostrazioni, gare, imprese che hanno come protagonisti le nuove macchine volanti.

    I militari degli eserciti più moderni hanno già a che fare con gli aeromobili da alcuni anni; infatti, gli aerostati, impiegati quali posti d’osservazione sopraelevati, sono in uso sin da metà Ottocento con alterne fortune. Nel 1849 le truppe austriache erano impegnate a riportare sotto controllo i rivoltosi a Venezia che avevano costituito la Repubblica di San Marco; il leggendario maresciallo Radetzky decide di impiegare dei palloni aerostatici per bombardare la città, ma in breve l’operazione si tramuta in un fiasco, in quanto i palloni persero la rotta e ammararono di fronte agli attoniti veneziani, senza riuscire a causare alcun danno. L’impresa viene subito definita la buffonata di Radetzky, ma gli osservatori più attenti ne riconobbero subito la potenziale minaccia. Durante la guerra di secessione americana i palloni da osservazione vennero impiegati sapientemente come osservatori sopraelevati d’artiglieria, guadagnandosi l’interesse degli entourage militari.

    L’esperienza italiana

    Il Regio esercito italiano costituì sin dal 1884 un servizio aeronautico inquadrato dall’arma del genio, dotato di aerostati da osservazione; questi vennero impiegati già nel 1887 nella guerra di Eritrea. Nel 1902 vennero sostituiti con i palloni frenati drachen appositamente studiati per l’osservazione del campo di battaglia e per questo muniti di telefono con cui comunicare a terra, mentre nel 1905 entrarono in servizio i primi dirigibili cioè aerostati a motore in grado di navigare. Quando nel 1908 si presentò l’occasione di integrare palloni drachen e dirigibili con gli aerei, la struttura militare che si occupava di volo era già ben collaudata.

    Il battesimo del fuoco per il battaglione specialisti, così erano chiamati gli aviatori, avvenne nel 1911 in occasione della guerra di Libia, dove i piloti italiani si guadagneranno l’invidiabile primato di essere la prima forza aerea della storia mai impiegata in combattimento.

    In quell’anno il primo ministro Giovanni Giolitti decide di porre in atto l’invasione della Libia, un protettorato del traballante Impero turco; un’azione spregiudicata che, secondo il governo italiano, deve servire da monito per le potenze attive nel bacino del Mediterraneo. L’Italia, ormai divenuta una potenza regionale, vuole mostrare ai concorrenti che è in grado di aggiudicarsi una colonia come le grandi potenze e vendicarsi dell’oltraggio francese a seguito dell’occupazione della Tunisia, allora noto come schiaffo di Tunisi. L’Impero turco, da anni in decadenza, sarebbe anche stato disposto a trattative per cedere, dietro adeguato compenso, un protettorato sul vylaiet di Tripolitania, ma non ci sono margini di trattative in quanto l’Italia propende a priori per l’opzione militare.

    Il 2 ottobre la squadra navale, agli ordini dell’ammiraglio Faravelli, si presenta davanti alle coste di Tripoli e, dopo un breve bombardamento, sbarca i fanti di marina per occupare i punti chiave della città; operazioni similari avvengono anche a Homs, Derna, Bengasi e Tobruk come previsto dal piano d’invasione italiano. Questa forza da sbarco è solo l’avanguardia di un contingente composto da 35.000 uomini appartenenti al Regio esercito; infatti una volta terminata la fase anfibia dell’operazione, il comando della spedizione viene assunto dal generale Caneva per proseguire, con le forze di terra, la penetrazione nel territorio libico.

    I turchi non possono opporre che una resistenza simbolica in quanto sono in drastica inferiorità numerica, sono solo 4000 uomini dell’esercito regolare guidati da Enver Pashà e altrettanti miliziani agli ordini di Omar Al Muktar². Anche in campo tecnologico i turchi sono inferiori agli italiani e vengono presto costretti ad arretrare nel deserto, da dove organizzano la resistenza della popolazione locale. L’impresa italiana non lascia però indifferenti i nazionalisti turchi e presto si aggiungerà alla resistenza anche Mustafa Kemal³ che, con pochi altri giovani ufficiali turchi, tutti volontari, inizia un’intensa attività di guerriglia.

    Gli italiani hanno comunque difficoltà a muoversi in un ambiente desertico, reso ostile dalla natura e dalla guerriglia, e pertanto si trincerano nelle località conquistate e scoprono i disagi di operare a distanza dalla madrepatria.

    LA NASCITA DEL SERVIZIO AERONAUTICO DEL REGIO ESERCITO

    Il ministero della Guerra, nel 1884, autorizzò la creazione di un servizio aeronautico come ente aggregato al 3º reggimento del Genio, composto da aerostati da ricognizione e avvistamento.

    Il primo pallone aerostatico svolse le prove di volo a Roma il giorno 11 giugno 1894, pilotato dai suoi stessi costruttori, il capitano Maurizio Mario Moris e il tenente Cesare Dal Fabbro. La nuova unità creata fu la compagnia specialisti del volo che 10 anni dopo divenne la brigata specialisti del Genio, formata da tre compagnie, una sezione meccanica e un’officina.

    Nel 1904, l’ormai maggiore Moris iniziò la progettazione di dirigibili, ritenuti più confacenti alle esigenze di ricognizione del Regio esercito, i quali vennero finanziati e realizzati due anni dopo con un assegno straordinario di 425.000 lire oltre i normali stanziamenti. Grazie a questi fondi e a una integrazione fornita dalla regia marina, il 3 ottobre del 1908 volò il primo dirigibile Crocco-Ricaldoni.

    Nell’aprile del 1909 Wilbur Wright visitò Roma e su invito dello stesso Moris effettuò addestramento al pilotaggio presso il campo di Centocelle: tra i suoi allievi figurò anche il tenente di vascello Mario Calderara, primo aviatore militare italiano.

    Quando Wright lasciò l’Italia, un aeroplano venne lasciato al campo di volo e lo stesso Calderara iniziò a impartire lezioni di volo ad altri ufficiali. L’apprezzamento per le potenzialità del mezzo aereo fu tale che vennero varate in breve due leggi: la nº 422 del 10 luglio e il regio decreto 944 del 28 ottobre 1910 prevedevano l’assegnazione di fondi per assetti di volo e assistenza tecnica, mentre la legge 515 del 17 luglio e il decreto del 9 agosto 1910 stabilivano l’ampliamento e la struttura delle future forze aeree.

    La Brigata specialisti divenne un Battaglione autonomo con 10 aerei, 2 dirigibili e 2 aerostati inquadrati nella Sezione aviazione; era il 28 ottobre 1910 e meno di un anno dopo, il 29 settembre 1911, l’unità venne mobilitata per essere schierata in Libia nel contesto della guerra italo-turca, dove ottenne il plauso delle autorità militari, tanto che il 27 giugno 1912 fu ufficialmente istituito il servizio aeronautico.

    Primi in combattimento

    Il contingente italiano comprende punte d’eccellenza tecnologica come autoveicoli, motociclette, radio, dirigibili, mitragliatrici ma, tra queste, la punta di diamante è la nuova flottiglia aeroplani. La costituzione del servizio aereo del Regio esercito quale corpo indipendente era avvenuta solo l’anno precedente, ma gli aerei sono in servizio dal 1908 e il settore è in continua evoluzione. A conferma di ciò, anche nei mesi precedenti all’invasione gli aerei erano stati impiegati in esercitazioni e raid aeronautici a scopo sportivo, ma comunque utili alla pianificazione di missioni a lungo raggio. All’epoca il confine tra aviazione civile e militare è effettivamente molto labile: le macchine sono quasi tutte monoposto con qualche versione biposto per addestramento. Non c’è spazio per carico bellico rilevante e non si pensa ancora a scontri tra aerei per cui molti velivoli non sono armati; la ricognizione resta il punto di forza.

    Il battaglione specialisti del genio inviato in Libia ha in forza due palloni drachen⁴, due dirigibili, nove aerei militari e nove civili; tali materiali, imbarcati sulle navi da carico, giungeranno in teatro operativo in momenti diversi.

    Il battaglione specialisti non ha comunque aerei e piloti a sufficienza per garantire la sostenibilità a operazioni militari continuative contro un avversario sfuggente. L’organico della flottiglia aeroplani comprende solo 11 piloti militari e 30 uomini tra tecnici e meccanici che verranno presto affiancati anche da personale civile. La flotta aerea è molto eterogenea non avendo ancora il regio esercito standardizzato la linea di volo su un velivolo specifico; al fronte giungono due Bleriot, tre Nieuport, due Farman tutti di origine francese dotati di motore Gnome, e due Etrich Taube di produzione tedesca con motore austrodaimler.

    1.Libia.jpg

    Basi aeree italiane nel teatro libico.

    I compiti principali della flottiglia aeroplani sono prevalentemente connessi all’osservazione del tiro d’artiglieria e alla ricognizione, missioni che precedentemente venivano svolte esclusivamente con l’impiego di palloni drachen e mongolfiere con a bordo ufficiali osservatori. L’inventore della radio Guglielmo Marconi, in persona, giunge in Libia per sistemare a bordo degli aerei degli apparati ricetrasmittenti, per permettere di comunicare tempestivamente eventuali obiettivi osservati dall’alto; per l’epoca si tratta di evoluzioni epocali ma le necessità del conflitto non si fanno attendere e tutte queste innovazioni verranno presto testate sul campo. Il 23 ottobre, il capitano Carlo Piazza, comandante della flottiglia, compie la prima missione di guerra della durata di un’ora; si tratta di un volo di ricognizione durante il quale il pilota stesso disegna alcune sketch map delle posizioni turche presso un’oasi a sud di Tripoli; un’impresa, se si considera che almeno una mano deve sempre stare sui comandi di volo, non essendo presente alcuna forma di assistenza al pilotaggio. Il 1° novembre, il tenente Gavotti compie la prima missione di bombardamento gettando a mano 4 bombe da 2 kg sulle posizioni turche ad Ain Zara; data la modesta quantità di esplosivo l’effetto è soprattutto psicologico.

    La flottiglia aerea prova sul campo la sua utilità e al primo campo d’aviazione nei pressi di Tripoli ne segue uno a Bengasi, sul quale viene basata una seconda flottiglia di tre aerei. Anche a Tobruk e a Derna vengono schierate altre formazioni con quattro aerei ciascuna, operate da piloti civili volontari, in quanto i piloti militari scarseggiano: sebbene con personale misto e con un variegato assortimento di aerei, l’intero fronte ottiene la copertura aerea.

    Gli aerostati al tramonto

    Oltre agli aerei sono operativi in Libia anche i più leggeri dell’aria, i dirigibili e i palloni drachen inquadrati nella sezione aerostatica. Dal marzo 1912, tre dirigibili piccoli (da qui il codice P), con equipaggio misto esercito-marina vengono impiegati per osservazione del tiro, ricognizione e bombardamento; il loro impiego viene ritardato per via delle difficoltà del trasporto via nave dall’Italia e per le avversità incontrate nel costruire un hangar appropriato al rimessaggio. I dirigibili P1, P2 e P3 effettuano 127 missioni di guerra, iniziate il 5 marzo 1912 con una ricognizione e bombardamento su Gargareh e Zanzur, percorrendo in volo a fine conflitto oltre 100.000 km in territorio ostile e lanciando 360 bombe. I piccoli erano stati concepiti per esigenze della Marina, pertanto sono caratterizzati dall’abitacolo in legno per poter ammarare in sicurezza. Queste aeronavi hanno un volume oscillante tra 4200 e 4700 metri cubi: non si trattava di grosse aeronavi, ma le loro ridotte dimensioni ne facilitano la logistica e un versatile impiego in un teatro operativo molto difficile.

    Il drachen è il decano degli aeromobili militari il cui uso è consolidato da tempo. Si tratta di un pallone aerostatico gonfiato a idrogeno, sotto il quale è posizionata una cabina per un ufficiale osservatore d’artiglieria, che ha la caratteristica di essere vincolato a terra. L’ufficiale osservatore a bordo, dopo aver individuato il nemico, può comunicare via telefono le coordinate e, successivamente, le correzioni del tiro alle batterie di cannoni. In caso di emergenza è previsto il lancio col paracadute, un privilegio che durante la prima guerra mondiale verrà negato ai piloti d’aereo per non indurli ad abbandonare l’aereo alla vista del nemico: uno stupido espediente che costerà la vita a decine di aviatori.

    Combat proven

    La flottiglia aerea nata essenzialmente per l’osservazione dimostra sul campo che anche il bombardamento aereo ha una sua valenza. Inizialmente questo viene effettuato con bombe di circostanza, ma col proseguire della campagna vengono studiate munizioni specifiche, un sistema di lancio e un dispositivo di puntamento. I turchi dal canto loro sviluppano alcune tecniche elementari di tiro contro bersagli in rapido movimento e il 31 gennaio 1912, il capitano Mantù viene colpito dal fuoco contraereo, divenendo il primo aviatore ferito in battaglia, anche se all’avversario vanno tutti i primati in materia di contraerea.

    Dalle prime sketch map disegnate dal capitano Gavotti si passa a macchine fotografiche impiegate in volo che forniscono dati precisi per l’analisi dei dati d’intelligence, mentre le radio di bordo permettono di guidare addirittura il fuoco delle artiglierie navali.

    Gli osservatori militari provenienti dai Paesi amici assistono all’impiego avveniristico che il Regio esercito sta facendo del mezzo aereo, senza dimenticare anche l’egregio apporto di drachen e dirigibili, mezzi oggi desueti ma allora ancora competitivi.

    Il Regio esercito non riesce ad agganciare i guerriglieri in uno scontro risolutivo, pertanto il confronto si impantana in una serie di scontri secondari e in uno stillicidio di risorse logistiche. Presto, lo stato maggiore italiano si rende conto che non è possibile mantenere un contingente in stato di guerra permanente al di fuori della madrepatria, pertanto viene attuato un decisivo cambio di strategia. L’Italia, vista l’impossibilità di una vittoria tattica contro la guerriglia, decide di spostare lo scontro su un altro scacchiere: il mare. La potente e moderna flotta italiana viene inviata a minacciare il territorio metropolitano dell’Impero turco. Il sultano, data l’impossibilità di difendere il proprio territorio, decide di scendere a patti e fa cessare le ostilità in Libia. L’Italia ottiene così, oltre alla sua agognata colonia, anche il Dodecaneso, un arcipelago nel mare Egeo popolato da greci.

    «Purché non disturbino i cavalli!»

    Di questo primato e dell’impiego del mezzo aereo nella guerra italo turca resta poco da ogni punto di vista. Durante la prima guerra mondiale l’impiego del mezzo aereo, sebbene crescente, non si rivelerà mai risolutivo; mentre dal punto di vista tecnico militare, tutte le importanti lezioni di tattica individuate nel conflitto, come l’impiego della combinazione trincea-filospinato-mitragliatrice, quale formidabile sistema difensivo, l’uso dei veicoli e l’impiego del mezzo aereo, saranno presto dimenticati e porteranno a veri massacri nel corso dei combattimenti.

    Gli americani impiegheranno gli aerei nella spedizione punitiva messicana del 1916, facendo emergere oltre alle problematiche di tipo tecnico, anche una serie di contrasti interni tra sostenitori e oppositori del mezzo aereo; l’attività operativa sarà comunque una prova generale di quanto verrà da loro attuato durante la prima guerra mondiale.

    «Purché non disturbino i cavalli!» era l’assunto, tra il serio e il faceto, che ripetevano i vertici militari quando si paventava un impiego massivo del mezzo aereo; gli entourage militari dell’epoca, ancora ancorati a schemi di battaglia napoleonici, limitati all’impiego di fanteria, artiglieria e cavalleria, dimostreranno con i fatti l’incompetenza nel condurre una guerra in cui le tattiche, tecniche e procedure saranno assolutamente inadeguate nei confronti degli armamenti tecnologicamente avanzati.

    La guerra italo-turca mise inoltre in evidenza la debolezza dell’impero ottomano, innescando il desiderio di combattere per l’indipendenza dei popoli balcanici ancora sotto il giogo di Istanbul; moti che ingenereranno un domino di guerre e alleanze che sfocerà nella prima guerra mondiale, un evento in cui le forze aeree faranno la loro apparizione senza dimostrarsi però risolutive come si riveleranno in seguito.

    DOUHET IL FILOSOFO DEL POTERE AEREO

    Ai militari italiani non va solo il primato del’impiego del potere aereo, in quella che oggi definiremmo air supremacy/air superiority, ma anche il primato di aver concepito una dottrina sul potere aereo studiata in tutto il mondo. Il generale dei bersaglieri Giulio Douhet è stato il primo pensatore militare, in assoluto, a stilare una serie di saggi sul potere aereo, confluiti in un’opera pubblicata nel 1921 e intitolata Il dominio dell’aria, in cui prefigurava l’importanza del mezzo aereo nella guerra moderna.

    Il giovane Giulio entra all’Accademia Militare di Modena nel 1889 e diviene sottotenente dei bersaglieri, una recente specialità della fanteria contraddistinta da atleticità e rapidità della manovra. La carriera di Douhet viene stravolta quando, nel 1911, viene inviato in Libia allo scopo di redigere un rapporto sull’impiego dell’aviazione da guerra; qui assiste alle prime missioni operative degli aerei e si convince dell’estrema efficacia del bombardamento.

    Il 27 giugno del 1912 la legge numero 698 istituisce il servizio aeronautico, presso la direzione generale genio ed artiglieria e contestualmente crea il battaglione aviatori con reparti equipaggiati con aeroplani e una scuola di volo presso l’aeroporto di Torino-Mirafiori. L’anno successivo, il maggiore Douhet assume il comando del battaglione aviatori e lo riorganizza in squadriglie autonome dal punto di vista operativo e logistico, dotandole di aviorimesse smontabili, automezzi e carri officina. Forte della sua esperienza scrive il libro Regole per l’uso degli aeroplani in guerra, uno dei primi manuali di dottrina sulla materia, ma le sue tesi vengono viste come troppo radicali.

    Egli sostiene infatti la teoria per cui in una guerra totale, bisogna attaccare non solo i combattenti sul fronte, ma anche i centri vitali del Paese avversario come fabbriche, infrastrutture pubbliche, città, al fine di piegare la capacità produttiva ma anche fiaccare il morale e la voglia di combattere dell’avversario, senza lesinare gas asfissianti e bombe incendiarie sulle città.

    Nel 1914, nonostante il parere contrario del pioniere del volo, nonché ispettore dell’aviazione, generale Moris, Douhet autorizza la costruzione del bombardiere Caproni Ca-33, cosa per la quale viene rimosso dall’incarico e trasferito alla fanteria, proprio mentre inizia la prima guerra mondiale

    Vista la stasi del fronte terrestre, Douhet, forte delle sue convinzioni in materia aeronautica, comincia a invocare la costruzione di cinquecento bombardieri in grado di lanciare 125 tonnellate di bombe al giorno. Per suffragare la sua tesi, scavalca la catena gerarchica che ritiene troppo miope e scrive privatamente ai vertici politici per promuovere le proprie idee e criticare l’incompetenza dei comandanti superiori, tra cui il generale Cadorna, capo di stato maggiore dell’Esercito.

    Uno dei documenti inviati viene intercettato dalle autorità militari e, stante lo stato di guerra e la delicata situazione del fronte, questa mancanza di fiducia e la divulgazione di informazioni classificate vengono punite con un anno di reclusione e nel 1917, il congedo.

    Douhet viene comunque riammesso in servizio dopo alcuni mesi, quale capo della direzione generale d’aviazione, ma questa volta lascia il servizio in seguito a dissapori con la ditta Ansaldo.

    Nel 1921 raccoglie le sue idee, arricchite dall’esperienza bellica, in un volume intitolato Il dominio dell’aria, dove espone le sue avveniristiche teorie. Queste vengono studiate in tutto il mondo, recepite dall’americano Mitchell e messe in pratica durante la seconda guerra mondiale da britannici e statunitensi nei confronti della Germania e del Giappone. Le due bombe atomiche, lanciate per costringere alla resa i giapponesi, sono state il suggello finale alla dottrina sul potere aereo concepita da Douhet trenta anni prima.

    Nonostante la grande passione per il volo, Douhet non conseguì mai il brevetto di pilotaggio.

    1 Orizzontale, verticale e longitudinale.

    2 Detto il leone del deserto era un imam senussita che guidò la guerriglia contro le truppe italiane sino al 1931.

    3 Mustafa Kemal detto Ata Turk, il padre della Turchia, guiderà la rivolta dei giovani turchi, cioè i giovani ufficiali dell’esercito turco, nazionalisti e modernisti che porteranno la Turchia a diventare una repubblica.

    4 Palloni permanentemente vincolati al suolo che venivano alzati per operare come piattaforma da osservazione soprelevata; drachen in tedesco significa aquilone o drago.

    5 Situazione in cui uno degli avversari detiene la superiorità sull’avversario comunque presente, contrariamente alla supremazia in cui l’avversario è praticamente assente.

    2. LA PRIMA GUERRA MONDIALE,

    I CACCIA, GLI ZEPPELIN E IL RAID

    DI TONDERN

    Nel 1914 le principali potenze del pianeta si scontrano nel primo grande conflitto mondiale. Sei imperi, decine di regni e repubbliche si schierano in due coalizioni contrapposte: gli imperi centrali e l’Intesa. Si tratta della prima guerra totale dove, non solo esercito e marina, ma anche industria e società vengono coinvolte completamente, affiancate da un’altra novità dell’epoca, la leva in massa, che mette a disposizione milioni di soldati. Il progresso tecnologico è riuscito a produrre un’arma micidiale, la mitragliatrice, che unita al binomio trincea e filo spinato, rende la fanteria carne da macello. Dallo scoppio del conflitto, in breve, ogni fronte si trasforma in un dedalo di buche e trincee ricoperte da chilometri di filo spinato; dopo alcuni rapidi movimenti, gli eserciti si arroccano dietro queste postazioni campali quasi imprendibili. Gli assalti della fanteria si trasformano in massacri: infatti, bisognerebbe avanzare in ordine sparso, alternando corsa rapida a tratti percorsi strisciando, ma, all’epoca, si teme che i soldati scappino o che si nascondano a terra. Perciò al fischio dei comandanti bisogna correre verso le mitragliatrici nemiche che sparano, sperando di raggiungerle e colpirle con la baionetta, prima che queste uccidano tutti gli assaltatori; di rado ci si riesce. L’indomani il nemico, probabilmente, tenterà lo stesso tipo di attacco suicida: è la guerra di trincea.

    I giovani, animati da sinceri sentimenti patriottici, si arruolano a frotte e subiscono fieri questo folle sistema di combattimento, ma presto la cruda realtà si palesa in tutto il suo orrore. Anche i giornali di propaganda non riescono a sostenere la balla dell’epopea della fanteria, quando nella realtà i soldati muoiono a migliaia ogni giorno.

    Le navi da guerra sono potentissime, ma restano chiuse nei loro porti e, nonostante l’impiego di sommergibili e naviglio sottile, non ci sono battaglie navali decisive: l’unico grande scontro sarà la battaglia dello Jutland, nota in Germania come dello Skagerrak.

    L’aviazione invece è un’altra cosa. I piloti di per sé sono già degli idoli delle folle per il semplice fatto che sfidano la sorte volando; ora appaiono in uniforme e giacconi in pelle, sciarpe di seta e cappelli con visiera. Sono i nuovi cavalieri, duellano nei cieli in scontri epici e quando uno viene abbattuto, l’altro gli atterra vicino, si sincera del suo stato di salute e poi riprende il volo. I piloti ricercano l’abbattimento dell’aereo, non la morte del pilota avversario!

    I giornali ne vanno matti e iniziano a tenere statistiche sui combattimenti aerei; la popolazione preferisce leggere di questi duelli, piuttosto che dei morti gassati o congelati sulle Alpi o sulla Somme.

    Presto i nomi dei piloti, o meglio degli assi, cioè quelli con più di cinque vittorie, diventano familiari come se si trattasse di un campionato sportivo, dove, al pari, anche i temuti avversari sono volti noti. Baracca, Fulco Ruffo di Calabria, Udet, Von Richthofen, Rickenbacker e tanti altri sono i beniamini del pubblico.

    I corpi aerei nel conflitto

    Ogni esercito inizia il conflitto con un corpo aereo assolutamente sottodimensionato, con i velivoli orientati quasi esclusivamente all’osservazione e i dirigibili pronti anche a bombardare, sebbene con modesti risultati; ci sono ancora molti palloni drachen utili e di semplice gestione. Le teorie di Douhet sono effettivamente molto lontane dalla realtà; infatti, piegare la volontà dell’avversario bombardandone il territorio e i punti nevralgici, sebbene tecnicamente possibile, è ancora una chimera.

    L’osservazione aerea è molto importante per dirigere il fuoco dell’artiglieria e per individuare concentramenti di truppe avversarie. Gli aerei che partono per questo tipo di missioni si incrociano in volo, ma non hanno nemmeno armi adatte al combattimento aereo. I piloti si prendono a pistolettate come dei cowboy, mentre effettuano le loro missioni. In breve si capisce che ci devono essere degli aerei a protezione delle missioni d’osservazione; nascono così i caccia o cacciatori, armati con mitragliatrici da fanteria, che spesso si inceppano quando l’aereo si trova in assetti inusuali⁶.

    Gli aerei hanno però un problema a gestire la mitragliatrice; quando questa è posizionata sopra alle ali, al pilota è richiesto di alzarsi in piedi per sparare o riarmare, una cosa non semplice se si deve al contempo pilotare un velivolo da seduti! Quando la mitragliatrice è posizionata sulla fusoliera, questa spara attraverso il disco dell’elica protetta da prismi metallici, spesso portandosi via pezzi delle pale.

    Ricapitolando: si combatte con armi che spesso si inceppano, mentre si spara da un aereo che fa evoluzioni, stando in piedi col rischio di cadere fuori o stando seduti ma distruggendo l’elica col proprio fuoco.

    Un pilota riesce a creare un meccanismo rudimentale che coordina il fuoco della mitragliatrice con la rotazione dell’elica (che nel dubbio viene comunque corazzata); si tratta di Roland Garros che, per lo stupore dei lettori, non ha mai giocato a tennis, ma piuttosto cerca di trovare un modo efficace per abbattere gli avversari. Abbattuto nel luglio del 1915, il suo aereo viene esaminato dai tedeschi, che sotto la guida di Anthony Fokker ne migliorano il sistema di sparo attraverso l’elica, guadagnando un edge qualitativo notevole sulle forze aeree dell’Intesa.

    In italiano e in tedesco si chiamano rispettivamente cacciatori e "jaeger, poi semplicemente caccia; gli americani li chiamano pursuit"⁷, gli inseguitori; per i britannici sono "scout". Indifferentemente dal loro nome, il compito è chiaro: trovare qualsiasi cosa voli, inseguirla e abbatterla.

    In un primo tempo la caccia viene attivata quando arrivano aerei avversari ma poi, come spesso avviene, copiando dalla natura, i caccia sono sempre in pattuglia in volo, come fanno i falchi in cerca di prede, prima in piccoli gruppi, poi in grandi formazioni. Gli aerei sono variopinti, soprattutto se si tratta di un asso: in tal modo l’avversario si spaventa al solo apparire di un determinato gagliardetto o coccarda colorata. Anche i freddi tedeschi colorano i loro aerei, tanto che la squadriglia del Barone Rosso viene chiamata il circo volante.

    La superiorità aerea, sul fronte francese, viene dapprima raggiunta dai tedeschi che attuano un blocco aereo luftsperre, forti dei loro Fokker eindecker, dei validi monoplani; ma presto la reazione alleata ristabilisce un equilibrio nei cieli. I corpi aerei si iniziano a delineare come organizzazioni indipendenti e ad abbozzare quelle che diverranno le forze aeree che si sfideranno nella seconda guerra mondiale.

    I reparti di volo crescono in numero; i pochi caccia in servizio all’inizio del conflitto diventano in breve migliaia e con compiti specifici: caccia, bombardieri e attacco al suolo in supporto diretto delle truppe; ma ancora la tecnologia delle trasmissioni non permette di disporre in massa di apparati radio e ottenere azioni aderenti e ben coordinate.

    La prima metà del 1917 è un periodo ricco di successi tattici per il Royal Flying Corps⁸ britannico, anche se pagato a caro prezzo subendo perdite superiori alla Luftstreitkräfte;⁹ questa situazione culmina nell’aprile 1917 con il bloody April, in cui i britannici subiscono un picco di perdite elevatissimo, pur di mantenere la superiorità aerea nella zona di operazioni. Ma la situazione è presto destinata a cambiare nella seconda metà del 1917, quando diviene operativo l’aereo Sopwith Camel equipaggiato con due mitragliatrici a fuoco frontale.

    Nel corso del conflitto, la produzione di aerei alleata supera in numero quella degli imperi centrali, motivo per cui questi non riusciranno mai a riprendere la superiorità aerea, nonostante il numero di vittorie a loro sempre favorevole. La risposta tedesca è quindi quella di realizzare la superiorità aerea locale, là dove serve per supportare le truppe a terra; ed ecco che le squadriglie da caccia, le jasta, dall’abbreviazione di jagdstaffel (squadriglia da caccia), si spostano rapidamente sul fronte con tutto il seguito di meccanici, costituendo, sotto tenda, tutti i servizi necessari a degli aeroporti improvvisati, altra caratteristica che contribuisce all’appellativo di questi reparti noti come circo volante.

    Nel 1918, malgrado i tentativi delle forze aeree tedesche di riprendere l’iniziativa in occasione dell’offensiva Kaiserschlacht¹⁰, la superiorità aerea resta in mano al Royal Flying Corps che, tra l’altro, il 21 aprile 1918 riesce ad abbattere il Barone Rosso, l’asso per eccellenza della aviazione tedesca, proprio durante un combattimento con i Sopwith Camel.

    Il 1918 vede anche il coinvolgimento dell’Air Service degli Stati Uniti che, con difficoltà, cerca di riorganizzarsi in territorio francese. Infatti, sebbene i volontari americani avessero volato nelle formazioni alleate fin dai primi anni della guerra sotto forma di volontari, le squadriglie interamente americane divennero operative solo a partire dal 1918. Paradossalmente, pur essendo stata la nazione patria del volo, gli Stati Uniti sono arretrati in materia di aviazione militare, se paragonati alle potenze europee, e nessun modello di aereo di concezione statunitense entra in azione nel conflitto.

    Kaiserschlacht

    Nella primavera del 1918 i tedeschi mettono a punto una grande offensiva sul fronte francese, la Kaiserschlacht, forse la più imponente di tutta la guerra, con lo scopo di ottenere rapidamente una decisiva vittoria sulle preponderanti forze dell’Intesa. La linea di fronte alleata nella zona d’operazioni è tenuta principalmente dagli Old Contemptibles¹¹ del British Expeditionary Force (bef) e da alcuni reparti francesi. A similitudine dei piani Schlieffen e Moltke¹² la strategia tedesca si basa essenzialmente su una mossa avvolgente, effettuata da reparti ammassati segretamente e dalla rapidità di esecuzione.

    Lo scontro è titanico: da un lato il feldmaresciallo Ludendorff, già vincitore di numerose battaglie sul fronte russo, dall’altro i generali Foch, Haig e Pershing; i soldati sono milioni, i cannoni migliaia e tra questi ci sono anche dei reparti italiani, in ossequio al principio di difesa collettiva preteso dall’Intesa e, per lo stesso motivo, ci saranno reparti alleati anche nella battaglia di Vittorio Veneto.

    Tra le varie forze, che i tedeschi approntano e concentrano per l’offensiva, ci sono anche forze aeree appositamente riorganizzate. I tedeschi puntano molto sulla funzione di supporto diretto alle truppe, tanto che le squadriglie dedicate a questo impiego cambiano nome: da schutzstaffeln¹³, squadriglie di protezione (della fanteria), diventano schlachtstaffeln, squadriglie da battaglia. Ma la preparazione non è solo formale: i piloti migliorano la loro preparazione tattica tramite esercitazioni a terra sul plastico dell’area di operazioni, e poi in volo, dove mettono in atto tecniche di volo radente e mitragliamento al suolo. Due jagdgeschwader (stormi caccia) si uniscono all’unità già presente in loco: va in scena circo volante del Barone Rosso; in totale la metà dei caccia tedeschi è schierato nel settore dell’offensiva. Si tratta di circa 326 caccia, così tanti che bisogna approntare in fretta nuovi aeroporti per ospitarli, a cui si aggiungono anche 45 palloni drachen e una forte componente contraerea dotata di oltre 1000 cannoni.

    Sul fronte opposto, la nuova Royal Air Force (raf) non smentisce la sua postura aggressiva, datale da Sir Trenchard, schierando 1255 velivoli e ricevendone in rinforzo altri 114 prima della battaglia. Gli ufficiali di artiglieria avviano una stretta collaborazione con la raf, effettuando un corso di aero-cooperazione con tanto di voli addestrativi dedicati all’osservazione e correzione del tiro d’artiglieria. Altri 600 aerei francesi sono schierati in concorso alle proprie formazioni di fanteria.

    La Kaiserschlacht dura circa tre mesi: la raf sostiene da vicino i suoi reparti con bombardamenti, mitragliamenti al suolo e cercando di mantenere la superiorità aerea sulla zona d’operazioni; i tedeschi, nonostante il concentramento di mezzi non hanno sviluppato una strategia di impiego a massa dei mezzi, mentre gli americani, che stanno ancora organizzando il loro Air Service, in Francia non partecipano al combattimento. Al termine dell’offensiva terrestre, i successi tedeschi, nonostante le ingenti perdite di uomini e mezzi, non sono risolutivi; gli alleati riusciranno a ripianare le perdite rapidamente mentre i tedeschi, in mancanza di una paritetica resilienza, saranno costretti a cedere di lì a pochi mesi.

    A termine della Kaiserschlacht, sul fronte aereo le perdite britanniche ammontano a 400 aerei, quelle tedesche a soli 76; comunque, i mezzi impiegati, nonostante il loro prezioso contributo, sono insufficienti e ancora poco incisivi per orientare le sorti della battaglia; infatti, la superiorità aerea alleata, mantenuta soprattutto grazie agli aerei della raf, è evidente, ma questo non basta a far desistere i tedeschi dall’avanzare. Nonostante tecniche e tattiche di combattimento aereo siano state migliorate e adattate alla situazione, non è ancora stata prevista una strategia aerea o un vero e proprio piano per un’operazione aerea complessa. Le attività sopra ai cieli francesi durante la Kaiserschlacht non sono passate inosservate e qualche mese dopo ci penserà l’americano Billy Mitchell a creare un vero e proprio piano d’operazioni per la componente aerea.

    QUATTRO AEREI PER QUATTRO ASSI

    Fokker Dr.

    i

    Triplano, monomotore, monoposto, di fabbricazione tedesca, progettato da Anthony Fokker e Reinhold Platz, viene ricordato come il caccia tedesco per eccellenza della prima guerra mondiale, in quanto utilizzato da Manfred Von Richthofen nella caratteristica livrea rossa. Costruito in 320 esemplari, operò nei ranghi della Luftstreitkräfte sul fronte francese. Il triplano noto anche come dreidecker entrò in servizio come caccia il 21 agosto 1917 e nel giro di poco tempo divenne il caccia preferito da molti assi tedeschi, non tanto per la sua scarsa velocità, ma per le sue caratteristiche di agilità quasi insuperabili in virata e nelle manovre di salita e in picchiata che rendevano il velivolo perfetto nel combattimento aereo e nel mitragliamento al suolo.

    Il Dr.

    i

    era equipaggiato con un motore da 110 cavalli e poteva raggiungere i 160 km/h e due mitragliatrici calibro 7,92 mm; la tripla struttura alare si dimostrò dapprima cedevole per via delle differenti sollecitazioni e venne migliorata mentre la difficoltà in atterraggio rimase un neo del progetto sin dall’origine, così come l’abitacolo stretto, motivo per cui negli atterraggi d’emergenza i piloti impattavano il viso sul cruscotto o sulle culatte delle mitragliatrici.

    Sopwith Camel

    Biplano, monomotore, monoposto di produzione britannica, entrò in servizio nel 1916 e fu il primo caccia inglese con le mitragliatrici sincronizzate per sparare attraverso l’elica; motorizzato con vari apparati, dal Cleregt da 110 cavalli sino al Bentley da 150. Venne prodotto in 5700 esemplari per equipaggiare i Paesi del Commonwealth e gli alleati dell’Intesa sul fronte occidentale e orientale.

    Il Sopwith Camel fu il primo caccia ad avere una blindatura sotto il motore e l’abitacolo che, unito alla velocità di 185 km/h e alle doti di estrema maneggevolezza, ne faceva una macchina particolarmente indicata per il dogfight o, nelle mani di piloti inesperti, un pericoloso velivolo con tendenza allo stallo.

    La capacità di eseguire strettissime virate rendeva molto facile ai piloti evitare il tiro dei caccia nemici, riuscendo a rientrargli alle spalle in poche manovre e abbatterli. Il Sopwith Camel era equipaggiato di base con due mitragliatrici Vickers 7,7 mm, ma in alcune versioni ne poteva aggiungere anche una in verticale che sparava sotto l’aereo, una terza frontale, e una serie di 8 razzi al fosforo, o bombe posizionata tra le due ali.

    Nel 1918 il primato di prestazioni che il Sopwith aveva mantenuto sino ad allora venne meno e l’aereo venne dirottato principalmente verso compiti di attacco al suolo pur restando sempre in servizio di prima linea, cosa che portò a fine guerra portò all’invidiabile primato di 1294 aerei nemici abbattuti.

    sva

    Savoja-Verduzio-Ansaldo

    Biplano, monomotore, italiano, progettato da Rodolfo Verduzio e Umberto Savoja fece parte di una famiglia aerei da caccia, ricognizione e bombardamento, divenendo il primo caccia bombardiere della storia dell’aviazione. Punti di forza dell’aereo erano la progettazione estremamente scientifica, la strumentazione d’avanguardia e il potente motore

    spa

    o Isotta Fraschini da 205 cavalli che lo spingeva fino a oltre 220 km/h. Entrato in servizio nel marzo del 1917 fu prodotto in 1200 esemplari e con versioni monoposto, biposto e idrovolante, impiegato dal Regio esercito in guerra e negli anni ’20 da altre nazioni.

    L’armamento di base era costituito da 2 mitragliatrici calibro 7,7 mm e bombe; nelle varie versioni, il carico e l’autonomia variavano sensibilmente sino al mitico

    sva

    10 impiegato da Gabriele D’Annunzio e dal capitano pilota Natale Palli, per il volo su Vienna; l’aereo biposto era equipaggiato con una mitragliatrice frontale, una brandeggiabile posteriormente, ma per permettere il raid venne installato un serbatoio aggiuntivo per allungare l’autonomia a ben 7 ore e 20 minuti, oltre all’inversione del posto di pilotaggio per permettere al pilota vate di sedersi davanti.

    Lo

    sva

    venne prodotto anche dopo la guerra e impiegato sino agli anni ’30 per attività militari e sportive.

    SPAD vii

    xii

    Biplano monoposto da caccia sviluppato dalla Sociéte Pour l’Aviation et ses Dérivés progettato da Louis Béchereau, equipaggiato con un motore Hispano-Suiza da 150 cavalli che lo spingeva a oltre 200 km/h. Lo

    spad

    fu utilizzato in Francia, Gran Bretagna, Belgio e Italia che ne impiegò 214 esemplari. Poiché entrò in servizio nel 1916, fu uno degli aerei più attivi della guerra e fu impiegato dai principali assi alleati quali Fonk, Baracca, Rickenbacker. Nel 1917 però le sue prestazioni iniziarono a essere inferiori

    alle esigenze e anche l’armamento, costituito da un’unica Vickers calibro 7,7 mm non era più sufficiente; quindi, dopo una produzione di ben 5600 esemplari, venne approntata una nuova versione, lo

    spad

    xii

    . Questa disponeva di due mitragliatrici, un motore da 220 cavalli e raggiungeva una velocità di quasi 220 km/h cosa che compensava la maneggevolezza inferiore ai pari classe Fokker Dr.

    i

    e Sopwith Camel. A termine del primo conflitto mondiale, ne erano stati prodotti 8472 nella versione

    spad

    xii

    , in servizio principalmente presso i Paesi dell’Intesa tra cui l’Italia.

    Francesco Baracca

    Francesco Baracca nasce a Lugo di Romagna, Ravenna, il 9 maggio 1888 da una famiglia della nobiltà rurale. Nel 1907 entra all’Accademia Militare di Modena e nel 1909 viene nominato sottotenente in cavalleria. Dopo varie assegnazioni a reparti a cavallo, nel 1912 il giovane Francesco si avvicina al mondo aeronautico conseguendo il brevetto di volo presso l’aeroporto di Roma-Centocelle, distinguendosi per una particolare propensione a tale attività tanto che nel 1914 viene trasferito al battaglione Aviatori. Nel 1915 viene inviato in Francia per effettuare il passaggio macchina¹⁴ sul Nieuport Ni-10 in servizio presso l’Aéronautique Militaire e al suo rientro viene inviato immediatamente sul fronte italiano.

    L’attività operativa si estrinseca principalmente in voli di osservazione, ricognizione e pattugliamenti ma successivamente iniziano gli scontri con le unità aeree austroungariche.

    Nel frattempo viene costituita la specialità della caccia e Baracca a bordo di un Ni-11, il 7 aprile 1916, sopra il cielo di Gorizia, abbatte un ricognitore austroungarico Hansa-Brandenburg c.i. Non solo la vittoria è la prima per il futuro asso italiano ma è anche la prima in assoluto per il Regio esercito, pertanto il pilota viene decorato con la medaglia d’argento al valor militare.

    Come era consuetudine nel primo conflitto mondiale l’equipaggio abbattuto venne catturato e visitato dall’asso italiano per uno scambio di cortesie militari, come segno di rispetto reciproco per il rischioso lavoro svolto.

    Nel dicembre del 1916, l’ormai capitano Baracca abbatte il suo quinto aereo diventando così ufficialmente un asso dell’aviazione; in virtù di questa sua qualità corroborata da altre vittorie, nel maggio del 1917 viene trasferito nella 91a squadriglia nota come La squadriglia degli assi, un’unità in cui il Regio esercito aveva concentrato i migliori aviatori.

    Qui insieme ad altri assi quali Fulco Ruffo di Calabria (20 vittorie), Pier Ruggiero Piccio (24), Ferruccio Ranza (17), Bartolomeo Costantini (6) opera a bordo di un Ni-17 abbattendo numerosi aerei avversari, evidenziando sé stesso e il reparto come un un’unità in grado di fare la differenza.

    Alla fine del 1916 la squadriglia di Baracca viene equipaggiata con il caccia

    spad

    con il quale Baracca raggiunge la sua trentesima vittoria, ma l’attività operativa e le condizioni di vita sono molto pesanti, pertanto l’asso viene messo temporaneamente a riposo, sino al maggio del 1918, per sintomi di quello che oggi chiamiamo stress post traumatico.

    Il 19 giugno 1918 Baracca effettua tre missioni di volo nel corso delle quali il suo aereo viene danneggiato; la pressione operativa è tale che cambia aereo e si invola per la

    quarta missione della giornata: sarà l’ultima della sua carriera, in quanto in breve viene abbattuto in modo ancora oggi incerto. È possibile che sia stato abbattuto da fuoco terrestre ma in zona sono presenti anche velivoli austroungarici; per la propaganda italiana l’essere stato abbattuto da fuoco terrestre ne preserva l’immagine di asso imbattuto.

    Quando morì, Francesco Baracca aveva appena compiuto 30 anni e abbattuto 34 aerei avversari; oggi di lui restano le eroiche gesta e il cavallino rampante, sua insegna personale, divenuto il celeberrimo logo della Scuderia Ferrari.

    Manfred von Richthofen

    Manfred von Richthofen nasce a Breslavia, Impero Germanico, il 2 maggio 1892 in una famiglia nobile di tradizioni militari. All’età di 21 anni, dopo aver frequentato l’accademia militare, diviene sottotenente di cavalleria e assegnato al 1º reggimento ulani col quale inizia la prima guerra mondiale. Sul fronte occidentale partecipa dapprima all’avanzata tedesca in Belgio, dove si guadagna una croce di ferro per il coraggio dimostrato in battaglia; ma la stasi del fronte lo vede inattivo per vari mesi. Solo nel 1915 viene ammesso alla frequenza dei corsi di volo e inviato sul fronte orientale; dopo un breve ciclo operativo è di nuovo sul fronte francese dove il 1° settembre 1915 abbatte il suo primo aereo, anche se la vittoria non viene omologata, cosa che si ripete sette mesi dopo.

    Nel 1916 von Richthofen è trasferito sul fronte orientale dove opera con un reparto di bombardieri, ma dopo poche settimane viene reclutato dall’asso tedesco Oswald Boelcke per costituire un’unità da caccia da impiegare sul fronte francese. Alla fine del 1916, dopo solo quattro mesi con l’unità da caccia, Von Richthofen vanta l’abbattimento di 16 aerei nemici, per cui riceve la decorazione prussiana "Pour le Mérite" e contestualmente assume il comando della jagdstaffel 11. Nel giugno del 1917, con le vittorie aeree che si susseguono, von Richthofen nonostante sia ancora capitano diventa comandante del jagdgeschwader 1, la più grande unità da caccia costituita, presto ribattezzata col soprannome di circo volante.

    Uno delle ragioni di questo soprannome è il fatto di dipingere gli aerei con colori variopinti e sgargianti unitamente a loghi e insegne personali: in particolare, gli aerei Albatros D. III e Fokker Dr.

    i

    di von Richthofen sono dipinti di rosso, cosa che determinerà il suo appellativo di Barone Rosso.

    Il 21 aprile 1918, uscito in pattuglia col cugino Wolfram e altri sette piloti, viene intercettato da dei Sopwith Camel della 209a squadriglia della RAF. Nel combattimento che ne segue, al fine di preservare l’inesperto parente, von Richthofen si spinge troppo sulle linee alleate e viene abbattuto. La

    raf

    accredita l’abbattimento al capitano pilota canadese Arthur Roy Brown, ma sembra più verosimile un centro della contraerea britannica. Il Barone Rosso, con un ultimo alito di vita, porta l’aereo a terra, ma spira immediatamente; alcuni giorni dopo un velivolo della

    raf

    lancia una corona di fiori sul campo del jagdgechwader 1, rassicurando i colleghi tedeschi che il loro comandante è stato sepolto con tutti gli onori militari. A quasi 26 anni il Barone Rosso aveva abbattuto 80 aerei: il record della prima guerra mondiale.

    René Fonck

    René Fonck nasce da umili origini a Saulcy-sur-Meurthe, il 27 marzo 1894. Non effettua studi particolari e quando nel 1914 viene chiamato alle armi, dati i suoi pregressi

    come meccanico, viene indirizzato all’arma del genio come soldato semplice; solo un anno dopo viene ammesso ai corsi di volo.

    Nel 1916 il giovane Fonck, durante missioni d’osservazione a bordo di un Caudron, abbatte due aerei tedeschi, ma le vittorie non vengono omologate. Ciononostante viene spostato a un reparto da caccia, il groupe de combat n°12, soprannominato Groupe des cigognes; volando con gli

    spad

    diverrà un vero flagello per i piloti tedeschi.

    Fonck ha una vista eccezionale e riesce a individuare l’avversario con molto anticipo; in più ha un tiro precisissimo, capace di abbattere l’avversario con poche raffiche; un’altra sua caratteristica sono gli abbattimenti multipli, che gli conferiscono alcuni primati e decorazioni. In virtù dei suoi successi, Fonck riesce a ottenere una serie di promozioni e dopo aver raggiunto il grado di sottufficiale, a fine 1917 viene finalmente nominato sottotenente.

    Fonck ha un carattere riservato e schivo e mal si presta a essere l’idolo dei giornali: benché sia ricordato come asso degli assi, non sarà mai popolare come gli altri protagonisti delle battaglie aeree.

    Il 26 settembre 1918 Fonck registra sei aerei abbattuti in un giorno, stabilendo un nuovo record. Termina la guerra con il grado di tenente e 75 vittorie, confermandosi il primo tra gli assi alleati; lui ne rivendica molte di più, ma alcuni abbattimenti non rispettano la procedura di omologazione. Nel dopoguerra, Fonck si dedica alla carriera militare ed è coinvolto in alcune imprese aeronautiche a titolo personale e per conto delle forze armate francesi. Avviatosi alla carriera politica, viene eletto deputato e, nel secondo conflitto mondiale, avrebbe collaborato con il governo di Vichy, anche se alla fine del conflitto tali accuse decadono. L’asso degli assi, uno dei piloti più decorati di Francia, muore nel 1953.

    Edward Vernon Rickenbacher

    Edward Vernon Rickenbacher nasce a Columbus (Ohio) da emigrati svizzeri di lingua tedesca, l’8 ottobre 1890. Il giovane Edward interrompe la scuola a 13 anni e in seguito alla morte del padre, inizia a lavorare per aiutare la sua famiglia. Nel 1916, a guerra iniziata in Europa, sulla scia di sentimenti anti-tedeschi Edward trasforma il cognome Rickenbacher in Rickenbacker che suona più inglese, e in più inserisce il middle name Vernon.

    Quando gli americani entrano in guerra, il giovane sergente Rickenbacker chiede di essere inviato al corso di pilotaggio, dove primeggia nelle materie meccaniche tanto che i suoi superiori lo vorrebbero trattenere come insegnante; alla fine la spunta e viene inviato in zona d’operazione col 94th squadron equipaggiato dapprima con i Nieuport e poi con gli

    spad

    XIII. La prima vittoria arriva il 29 aprile 1918, ma già a fine maggio ha raggiunto le 5 vittorie che gli valgono la certificazione di asso.

    Nel mese di settembre 1918, Rickenbacker viene promosso capitano e assume il comando del 94th squadron. Riprende ad abbattere aerei avversari, aggiungendo alla sua lista di vittime anche dei palloni frenati, solitamente molto difesi dalla contraerea.

    Rickenbacker termina la guerra con 26 vittorie, ottenute però in un arco di tempo molto limitato. Diviene così l’asso americano più decorato, nonché il pilota dell’

    us

    Army Air Service con più ore di volo di guerra (circa 300). Nel dopoguerra, congedatosi come capitano, si dedica a varie attività tra cui fondare una casa automobilistica, dirigere una compagnia aerea e collaborare alla progettazione di aerei innovativi. Durante la seconda

    guerra mondiale è vittima di un disastro aereo: il B-17, a bordo del quale stava visitando le basi americane nel Pacifico, è costretto all’ammaraggio, costringendolo per i successivi 24 giorni su di un battello di salvataggio che condividerà con gli altri aviatori scampati al disastro. Successivamente viene inviato in Unione Sovietica per supervisionare gli aerei americani ceduti al temporaneo alleato, ma effettua anche attività di intelligence circa le capacità belliche dei sovietici.

    Dopo la seconda guerra mondiale continua la guida della compagnia aerea sino al 1959, anno in cui si ritira a vita privata. Muore il 23 luglio 1973, dopo una vita vita spesa per l’aviazione civile e militare.

    I bombardamenti sul fronte italo-austriaco

    L’impiego della componente aerea sul fronte italo-austriaco avviene, principalmente, in corrispondenza con i punti di attrito tra le forze di terra nelle valli e nelle pianure, con scarsa attività sull’arco alpino; ciò a causa delle difficoltà dei velivoli a raggiungere quote elevate e di volare in sicurezza in alta montagna, soprattutto nel periodo invernale.

    Durante il conflitto vengono prodotti dal Regno d’Italia 11.986 aerei contro i 5431 dell’impero austro-ungarico, comunque una cospicua quantità se paragonata alle ridotte dimensioni del fronte.

    Nei primi mesi di guerra, l’attività aerea di entrambi gli schieramenti si limita a ricognizioni disarmate orientate al supporto all’artiglieria: unica eccezione è il bombardamento aereo effettuato dagli austriaci su Venezia il primo giorno di guerra, il 24 maggio 1915, a opera di tre idrovolanti Lohner decollati da Pola.

    Nel 1916, anche l’aviazione italiana subisce pesantemente la supremazia dei monoplani Fokker, i leggendari eindecker, che tanti problemi hanno creato anche al Royal Flying Corps britannico e ai francesi; ma la flotta nazionale torna competitiva nella seconda metà del 1916, anche grazie al crescente numero di vittorie degli assi italiani a bordo dei Nieuport di progettazione francese.

    L’aviazione austro-ungarica non dispone di bombardieri plurimotori, ciononostante le missioni di bombardamento effettuate hanno un notevole successo, come il bombardamento di Milano del 14 febbraio 1916 e quello di Venezia del 9 agosto 1916, quando gli aerei austriaci affondano addirittura un sommergibile britannico ancorato al porto; gli attacchi alle città italiane continuano, sebbene con sempre minore efficacia sino al 1918. In totale le vittime italiane dei bombardamenti austro-ungarici furono nell’ordine delle centinaia.

    Anche gli italiani si organizzano per azioni di bombardamento, ma data la supremazia dei Fokker, sino al 1916 le missioni sono circoscritte alla zona dei combattimenti; solo a fine guerra la superiorità del Servizio Aeronautico Italiano e l’accresciuta autonomia degli aerei permettono dei raid in profondità sul territorio austriaco.

    Il 9 agosto 1918 avviene il leggendario volo su Vienna: 7 velivoli Ansaldo sva 10 modificati, appartenenti alla 87a Squadriglia "La Serenissima", sorvolano la capitale austriaca per lanciare dei volantini contenenti una provocatoria esortazione alla resa. L’azione era stata ideata da Gabriele D’Annunzio, non nuovo ad azioni dimostrative di particolare efficacia. Il vate l’aveva progettata più di un anno prima, ma la cosa incontra non poche difficoltà tecniche connesse all’autonomia dei velivoli, ancora non perfettamente in grado di compiere un volo di mille chilometri; tali circostanze inducono lo stato maggiore a rinviare l’operazione. L’azione era stata concepita per essere effettuata con bombardieri Caproni, ma si ritiene che la scarsa velocità degli aerei metta a rischio l’azione, anche in considerazione della presenza di caccia austriaci e tedeschi sulla linea del fronte.

    Il 4 settembre 1917, D’Annunzio compie un volo addestrativo di dieci ore senza problemi, dimostrando la fattibilità tecnica della missione, ottenendo contestualmente il benestare del comando italiano allo svolgimento dell’operazione su Vienna. Scrive lo stesso D’Annunzio: «[...] qui a San Pelagio faccio una vita durissima, vegliando tutte le notti, tornando dal vano volo stanchissimo [...] domattina si ricomincia».

    Lo stato maggiore e la casa reale impongono però che il raid non abbia finalità belliche e che gli aerei siano disarmati. Dopo due tentativi abortiti per condimeteo¹⁵ avverse, un terzo tentativo avviene il giorno dopo, per l’appunto il fatidico 9 agosto. Alle 05:30 del mattino, 11 aerei partono dal campo volo di San Pelagio, tre dei quali immediatamente rientrati alla base e uno costretto a un atterraggio forzato dietro le linee nemiche. I sette aerei superstiti, che proseguono in volo verso la capitale austriaca, vengono avvistati in rotta da due caccia austriaci, i quali preferiscono atterrare e dare l’allarme piuttosto che affrontarli in battaglia; la notizia è così paradossale che i piloti non vengono creduti. La squadriglia italiana giunge su Vienna in formazione stretta alle 9:20: la visibilità sulla città è ottimale e ci si può abbassare sino agli 800 metri, ritenuti ottimali per la dispersione tanto delle 50.000 copie di un manifesto in lingua italiana, scritto da personalmente da D’Annunzio, quanto delle 350.000 copie di un volantino, tradotto in tedesco, redatto da Ugo Ojetti, un abile giornalista che ricopre la carica di regio commissario per la propaganda sul nemico.

    Dopo aver lanciato il carico, la formazione rientra alla base con un itinerario alternativo, per evitare caccia e contraerea avversarie messe in allarme dal sorvolo di andata, atterrando alle ore 12:40, dopo aver percorso 1000 km in 7 ore e 10 minuti. Si tratta di un’importate missione di guerra psicologica, la quale dimostra la vulnerabilità del territorio metropolitano austriaco da parte degli aerei italiani. Un simile episodio era avvenuto durante la guerra italo turca del 1912, quando una squadra navale italiana aveva forzato la potente difesa turca dei Dardanelli dimostrando la vulnerabilità delle difese costiere ottomane. In entrambi i conflitti l’Italia arriverà in breve alla vittoria finale.

    ANSALDO%20SVA%2010.jpg

    Ansaldo SVA. Con un simile aereo modificato venne condotto il celebre volo su Vienna.

    Gli Zeppelin

    Il conflitto contribuisce al proliferare di squadriglie di aerei deputati al supporto al combattimento e al conseguimento e mantenimento della superiorità aerea, volta a operare in collaborazione tra chi combatte in aria e chi combatte a terra. Ma ci sono altre funzioni teorizzate sull’impiego degli aerei, come il bombardamento delle città

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1