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La fortuna dei Compton
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E-book222 pagine2 ore

La fortuna dei Compton

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Info su questo ebook

Sussex, 1813 - Richard Chancellor, agente segreto incaricato dal governo inglese di indagare sui loschi traffici di un gruppo di contrabbandieri, si fa assumere dalla famiglia Compton come istitutore del tredicenne Jack. Qui conosce Pandora, una bellezza statuaria ma dal carattere poco conforme ai canoni dell'epoca, e tra i due nasce ben presto una forte e reciproca attrazione che in breve si trasforma in amore. Ma Richard non può rivelare a Pandora la sua vera identità e cerca di tirarsi indietro, fino a quando...
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2016
ISBN9788858948514
La fortuna dei Compton
Autore

Paula Marshall

Nata e cresciuta in Inghilterra, a dieci anni leggeva già Dickens e Tackeray. La passione per la storia e per l'epoca della Reggenza in particolare ha ispirato in seguito i suoi deliziosi romanzi, avventurosi e ricchi di umorismo.

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    Anteprima del libro

    La fortuna dei Compton - Paula Marshall

    sogno.

    1

    «Ti manca la vita del soldato, eh?» chiese Russell Chancellor al suo fratello gemello Richard.

    Il maggiore di cavalleria Richard Chancellor, chiamato Ritchie da amici e familiari, sollevò lo sguardo dal giornale che stava leggendo. Russell era seduto su una comoda poltrona, con le gambe allungate davanti a sé e un bicchiere in mano. Come al solito, era vestito all'ultima moda. Con il fisico atletico, i capelli biondi e gli intensi occhi azzurri aveva spezzato il cuore di molte fanciulle e suscitato l'invidia di parecchi giovani della sua età.

    Russell era il maggiore dei due, essendo nato pochi minuti prima di Richard. Vicini alla trentina, i due fratelli non si assomigliavano affatto: Russell era biondo ed espansivo; Richard bruno, serio e taciturno, con penetranti occhi grigi. Era atletico quanto il fratello e cavalcava anche meglio di lui.

    Aveva servito come ufficiale sotto Wellington, in Spagna, fino a quando non era stato ferito. Tornato in Inghilterra, era stato assegnato al Ministero della Difesa a Londra. Ritchie non parlava mai del modo in cui si era procurato le terribili ferite che l'avevano costretto a lasciare la Spagna e pareva soddisfatto di quell'occupazione più sedentaria. In fondo, non c'era da stupirsene: avrebbe voluto dedicarsi agli studi, ma il padre, il conte di Bretford, l'aveva invece costretto a intraprendere la carriera militare perché la tradizione familiare esigeva che i figli minori entrassero nell'esercito, e lui non intendeva essere il primo a romperla.

    «Sì, mi manca, ma non si può sempre avere ciò che si vuole» rispose Ritchie. «Il problema è che, dopo aver condotto per anni la vita avventurosa del soldato, il lavoro d'ufficio mi annoia.»

    «Non credevo che la vita militare ti sarebbe piaciuta, e invece ti sei adattato benissimo» osservò Russell. «Del resto, tu fai bene qualsiasi cosa.»

    Ritchie depose il giornale e sorrise. Avrebbe dovuto farlo più spesso, pensò il fratello, notando la trasformazione del suo volto fin troppo serio.

    «Un complimento inaspettato» commentò il primo. «Ora però devo andare: ho un appuntamento al Ministero degli Interni. Lord Sidmouth vuole vedermi con urgenza.»

    «Verrai al ricevimento di lady Leominster stasera?» chiese Russell. «O vuoi rifugiarti in una grotta e vivere per sempre come un eremita?»

    «Non mi interessano le delizie della stagione mondana, e non voglio vivere in un posto scomodo come una grotta» rispose Ritchie. «Ci vediamo domattina a colazione.»

    «Ne dubito. Dopo il ricevimento vado a giocare a carte con un gruppo di amici. Non vuoi unirti a noi?»

    «No, grazie.»

    Per quanto volesse bene al fratello, Ritchie avrebbe preferito che non conducesse una vita fatta solo di ozio e piacere. Il padre se ne lamentava spesso, ma in quel momento quella era l'ultima delle sue preoccupazioni.

    L'ufficio di lord Sidmouth era bello e spazioso, adatto al responsabile della sicurezza del paese nel bel mezzo di un'aspra guerra. Il ministro si alzò dalla scrivania e accolse Ritchie con calore, lo fece accomodare in un'ampia poltrona, gli offrì del Porto e venne rapido al punto.

    «Vi ho convocato, Chancellor, per chiedervi di servire il vostro paese in patria, così come avete fatto in Spagna e Portogallo. So che vi siete distinto sul campo di battaglia, ma conosco anche un particolare non altrettanto noto: facevate parte dei servizi segreti di Wellington e siete stato ufficiale di collegamento con la guerriglia spagnola. Quando i francesi vi hanno catturato, siete riuscito a ingannarli sulla vostra vera nazionalità grazie alla perfetta padronanza dello spagnolo, ma non a evitare le pesanti conseguenze dei loro interrogatori. Le informazioni da voi fornite una volta fuggito sono state preziose, e per questo Wellington ha voluto ricompensarvi rimandandovi in patria in licenza illimitata, in modo che poteste recuperare la salute.»

    «Non vi chiederò come avete appreso tutto questo, signore» disse Ritchie nascondendo a fatica la sorpresa, «vorrei sapere però che legame c'è con il mio lavoro qui a Londra.»

    «Ho bisogno di un uomo coraggioso e intraprendente per una missione impegnativa. Il flusso di beni di contrabbando che entrano nel paese illegalmente sta diventando inarrestabile, con enorme danno per l'erario. Ho inoltre ragione di credere che insieme alle merci sbarchino in segreto sulla costa del Sussex anche agenti francesi, e che fiumi di ghinee d'oro escano dal nostro paese per essere rivendute in Francia. È quasi impossibile ottenere informazioni su questo vergognoso traffico, sebbene chi vi partecipa si sia macchiato di alto tradimento. Ho dunque bisogno di un uomo abituato ad agire sotto copertura e che si trovi sul posto all'insaputa dei contrabbandieri e dei funzionari della dogana, alcuni dei quali temo siano al soldo dei traditori. Un uomo, insomma, che sia in grado non solo di localizzare la base dei contrabbandieri, ma anche di scoprire chi c'è dietro il traffico. Voi siete il candidato ideale per questa missione: dovrete recarvi nel Sussex sotto mentite spoglie e tenere occhi e orecchie ben aperti.»

    Ritchie appoggiò il bicchiere di Porto sulla scrivania. «Naturalmente vi obbedirò, signore, ma non conosco nessuno in quella zona. Saprete certo che le proprietà di mio padre sono nel nord del paese e gli amici che mi sono rimasti in Inghilterra al momento si trovano con Wellington.»

    «Non importa» lo rassicurò Sidmouth. «Per puro caso ho un ottimo travestimento da proporvi. L'altra sera ho saputo da mia sorella che lady Leominster ha chiesto agli amici di raccomandarle un buon istitutore per il nipote tredicenne di sir John Compton, Jack. La tenuta di sir John si trova sulla costa del Sussex, proprio nella zona in cui sospettiamo agiscano i contrabbandieri. So che, oltre alle vostre altre numerose qualità, siete anche uno studioso. Potrei dunque chiedere a mia sorella di raccomandarvi a lady Leominster come istitutore del ragazzo. In questo modo, la vostra presenza da quelle parti non desterebbe sospetti. Dovremo trovarvi un nome fittizio e stabilire un indirizzo a cui scrivere, nel caso abbiate informazioni urgenti. Temo che non possiate fidarvi di nessuno laggiù, nemmeno del magistrato locale. Allora, che ne dite, maggiore Chancellor?»

    Ritchie trattenne a fatica un sorriso: solo poco prima si era lamentato con il fratello della sua noiosa vita d'ufficio! «Sono pronto a intraprendere questa missione, signore. Non posso garantirvi il successo, ma farò del mio meglio» rispose. «Se non avete niente in contrario, potrei adottare come pseudonimo il mio diminutivo Ritchie e il mio secondo nome, Edward, così non avrò difficoltà a rispondere. Sarò Edward Ritchie, un innocuo e timido istitutore.»

    «Magnifico!» approvò Sidmouth. «Stabilirò subito un indirizzo a cui potrete rivolgervi in caso di bisogno. Dubito che corriate un vero pericolo, ma è sempre meglio essere prudenti.»

    Il ministro si alzò e tese la mano a Ritchie, un onore che riservava a pochi eletti. «Vi farò sapere quando dovrete partire per il Sussex. Buona fortuna.»

    Mentre usciva da una porta sul retro, Ritchie decise di comprarsi degli occhialini di vetro: non ne aveva bisogno, ma gli parevano adatti al timido precettore che doveva impersonare.

    «Davvero, zia, avrei fatto volentieri a meno di questa amena riunione organizzata da William» protestò Pandora. «Oggi arriva il signor Ritchie, il nuovo istitutore di Jack, e Rice mi ha chiesto di esaminare ancora i libri contabili. Non ho alcuna voglia di intrattenere gli amici di William, con cui non ho niente in comune, per non parlare poi di quello che ci verrà a costare questo ricevimento.»

    «Su, Pandora, non fare così: è ora che tu ti metta qualche vestito carino e curi un po' la tua acconciatura» cercò di ammansirla la zia.

    «Non ho tempo per queste frivolezze» sbuffò lei. «Puoi fare tu da padrona di casa; inventa pure la prima scusa che ti viene in mente per giustificare la mia assenza.»

    La zia stava per replicare quando Galpin, l'anziano maggiordomo, si fece avanti esitante.

    «C'è un certo signor Ritchie» annunciò. «Dice di essere il nuovo istitutore del signorino Jack. L'ho fatto accomodare in biblioteca.»

    Pandora soffocò un gemito: la stanza era ridotta in uno stato pietoso dopo che Simon, suo padre, aveva venduto quasi tutti i libri per finanziare la sua vita dissoluta. Be', se non altro non avrebbe avuto bisogno di inventare una scusa per giustificare la propria assenza dalla festa di William: doveva vedere l'uomo che le aveva raccomandato lady Leominster. Sperava solo che avesse polso ed esperienza sufficienti per domare Jack, al momento confinato nello studio per aver infranto il divieto di nuotare nel laghetto del parco.

    Ritchie si guardò intorno incuriosito. Attraversando la tenuta di sir John Compton aveva avuto un'impressione di trascuratezza e povertà, confermata dall'aspetto piuttosto cadente della casa. La stanza in cui era stato condotto pareva abbandonata come il resto della villa: sugli scaffali erano rimasti pochi libri e solo la scrivania in un angolo sembrava ancora in uso.

    L'anziano maggiordomo aveva borbottato che la signorina Pandora era solita lavorare in quella stanza. Chi poteva essere? Prima della sua partenza per il Sussex lord Sidmouth aveva menzionato solo sir John e i due nipoti, William e Jack.

    Ritchie aveva già sentito parlare di William Compton. Suo fratello Russell lo aveva definito un giocatore d'azzardo con poca fortuna, il che poteva forse spiegare lo stato della casa e della proprietà.

    Stava riflettendo sulla questione, quando la porta di quercia si aprì e una giovane donna entrò a passo di carica. Era alta quasi quanto lui, una caratteristica rara nelle donne, e indossava un abito verde, sbiadito e antiquato, che sembrava fosse stato tramandato di generazione in generazione come una sorta di bizzarra eredità.

    I capelli biondo oro incorniciavano un viso delicato, dai vivaci occhi verdi, ma l'espressione severa ne offuscava la bellezza. Da quel che poteva vedere le mani erano callose, come se fosse abituata al duro lavoro. Era forse quella la signorina Pandora a cui aveva accennato il maggiordomo? No, doveva essere la governante, non certo un membro della famiglia.

    «Signora» si inchinò deferente.

    «Il signor Ritchie, suppongo» rispose lei.

    In realtà, era sorpresa quanto lui; non sapeva bene che cosa si fosse aspettata, ma certo non quell'uomo alto e bruno. Aveva dato per scontato che l'istitutore dovesse essere un tipo di mezz'età, grassoccio e ansioso. In effetti, benché fosse molto più giovane del previsto, il nuovo arrivato aveva un'aria piuttosto goffa e timida, soprattutto quando si chinò sul malconcio bauletto e sulla valigetta ai suoi piedi.

    Perché Galpin non si era occupato del suo bagaglio? Il vecchio maggiordomo stava diventando smemorato quanto il nonno.

    «Spero che abbiate fatto buon viaggio» esordì. «Sono Pandora Compton, nipote di sir John. Una volta controllate le vostre credenziali, che mi hanno assicurato eccellenti, vi accompagnerò nello studio per farvi conoscere il vostro allievo, mio fratello Jack.»

    Ritchie sistemò meglio sul naso i nuovi occhiali cerchiati d'oro e tirò fuori dalla valigia un fascio di carte.

    «Avevo capito che il mio datore di lavoro sarebbe stato sir John Compton» borbottò, cercando di assumere un tono umile e confuso.

    «È vero, ma il nonno è invalido e non lascia mai le sue stanze al primo piano» gli spiegò Pandora. «Vi porterò da lui dopo che avrete incontrato Jack. Tutte le istruzioni verranno da me, e desidero che mi consultiate per qualsiasi particolare legato all'educazione di mio fratello. In un certo senso, agisco per conto del nonno in tutte le questioni riguardanti la gestione della casa e della tenuta.»

    Che ruolo aveva William Compton in quella casa, allora? Non poteva certo chiederlo a lei, visto che non era tenuto a sapere della sua esistenza. Ringraziò dunque la signorina Pandora e le tese le credenziali richieste, redatte con abilità insieme a lord Sidmouth.

    Nel farlo le loro mani si sfiorarono, ed entrambi percepirono una specie di scossa elettrica. Pur turbati, tuttavia, finsero che non fosse successo nulla.

    Ritchie si chiese sconcertato le ragioni di quella strana reazione: Pandora non assomigliava affatto alle donne minute e delicate che in genere gli piacevano. Nonostante il suo contegno serio e taciturno, non era certo inesperto in quel campo.

    Anche Pandora non aveva mai provato nulla di simile; anzi, fino ad allora aveva evitato ogni contatto con un uomo. Si voltò di scatto, decisa a nascondere il turbamento, e sedette alla scrivania malconcia.

    «Accomodatevi, prego, signor Ritchie. Immagino che sarete stanco.»

    Esaminò con cura le referenze e sollevò su di lui uno sguardo di approvazione.

    «Molto bene» commentò. «Mi sorprende, però, che non abbiate cercato una posizione più consona al vostro indubbio talento.»

    «Infelici circostanze familiari me lo hanno impedito» spiegò Ritchie chinando la testa. «Grazie al cielo, ora le cose sono cambiate e in futuro spero di poter organizzare la mia vita in modo a me più congeniale. Fino a quel momento, tuttavia, dovrò procurarmi un impiego che mi consenta di guadagnarmi da vivere.»

    «Allora, signor Ritchie, vi auguro maggior fortuna per l'avvenire » concluse Pandora alzandosi.

    Lui si inchinò rispettosamente e la seguì al piano di sopra, dove li aspettava Jack. Il ragazzo era seduto su uno sgabello davanti a una vecchia scrivania e aveva un'aria piuttosto ansiosa.

    «Bene, Jack, ecco il tuo nuovo istitutore, il signor Ritchie. È un gentiluomo assai colto e mi auguro che farai del tuo meglio per compiacerlo.»

    Jack scivolò giù dallo sgabello, chinò la testa e borbottò qualcosa di incomprensibile. Era alto, per la sua età, e aveva gli stessi occhi verdi della sorella.

    «Piacere di conoscerti, giovanotto» lo salutò Ritchie. «Spero che andremo d'accordo.»

    Si guardò intorno nello studio, trascurato come il resto della casa. Alla pareti erano appesi dei disegni rozzi ma dotati di un certo vigore. Rappresentavano quasi tutti dei soldati, per la maggior parte dell'antica Roma.

    «Li hai fatti tu?» chiese.

    Jack annuì, tutto rosso.

    «Quando ci viene rivolta una domanda, si usa rispondere. Far segno di sì con la testa non basta» sentenziò Ritchie, severo.

    Pandora sorrise, soddisfatta per quel primo cenno di autorità, e Jack arrossì ancora di più.

    «Sì, li ho fatti io» rispose poi. «Ammiro i soldati, soprattutto quelli romani.»

    «Benissimo» approvò Ritchie. «Se mostrerai lo stesso entusiasmo anche per le altre materie, andremo d'accordo. Altrimenti...»

    «Non mi piace quest'espressione: il vecchio Sutton la usava sempre» replicò Jack.

    «Il signor Sutton» lo corresse la sorella. «Bisogna rispettare chi è più anziano.»

    «Il signor Sutton non meritava alcun rispetto» tenne duro Jack. «Se il signor Ritchie sapesse che cosa ha combinato, sarebbe d'accordo con me.»

    «Jack!» lo rimproverò Pandora.

    Ritchie decise di scoprire al più presto le malefatte del suo predecessore. Per il momento, tuttavia, ritenne più prudente appoggiare il punto di vista del nuovo datore di lavoro.

    «La prima regola dell'etichetta, Jack, è quella di non fare commenti personali» sentenziò di nuovo, solenne. «Lo scriverai dieci volte con la tua miglior calligrafia, mentre tua sorella mi conduce a conoscere sir John.»

    Jack aprì la bocca per esprimere qualche imperdonabile commento sul nonno, ma lo sguardo severo del nuovo istitutore lo indusse a richiuderla in fretta. Il signor Ritchie sembrava un tipo mite, ma anche uno che era meglio non provocare.

    Intelligente ma viziato, fu il verdetto di Ritchie mentre seguiva Pandora su per le scale. Il leoncino andava domato, un compito non troppo difficile per un uomo abituato a comandare come lui.

    Giunti davanti alle doppie porte dell'appartamento di sir John, si imbatterono in un valletto in livrea che le aprì per annunciare il loro arrivo.

    Ritchie si trovò nell'unica stanza della casa ancora in splendide condizioni; sir John era seduto vicino alla finestra, vestito di tutto punto e con una coperta sulle gambe. Un bicchiere di Porto era posato su un tavolino accanto alla poltrona, e attraverso una porta aperta si scorgeva un letto enorme, anch'esso in ottimo stato.

    «Mi hai portato il nuovo istitutore?» chiese il vecchio rivolto alla nipote.

    «Sì, nonno. Ha già incontrato Jack.»

    Sir John volse su Ritchie i suoi occhi acquosi.

    «Come vi chiamate, giovanotto?»

    «Ritchie, signore. Edward Ritchie.»

    «Mmmph» sbuffò l'altro. «Avete studiato a Oxford, ho sentito. Io ho sempre preferito Cambridge.»

    Non sapendo che cosa rispondere, Ritchie rimase in silenzio.

    «Be', il gatto vi ha mangiato

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