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Innocenza e bugie
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E-book238 pagine4 ore

Innocenza e bugie

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1816

Decisa a trovare il mascalzone che ha messo nei guai la sorella, Rosalie si traveste da cortigiana e si esibisce in un locale piuttosto malfamato, dove ritiene che lui passi le sue serate. Qui incontra Alec Stewart, reduce di Waterloo, e affascinata dalla sua avvenenza e dal suo savoir-faire, gli concede un bacio. Un bacio che colpisce al cuore il bel capitano, tanto più che l'innocenza di Rosalie è davvero inconsueta per una cortigiana. Ma tutto sembra finire lì. Fino al giorno dopo, quando i due si incontrano di nuovo, in una veste completamente diversa.
LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2018
ISBN9788858991787
Innocenza e bugie

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    Anteprima del libro

    Innocenza e bugie - Lucy Ashford

    Immagine di copertina:

    Nicola Parrella

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Captain’s Courtesan

    Harlequin Historical

    © 2012 Lucy Ashford

    Traduzione di Elena Vezzalini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-178-7

    1

    Londra, febbraio 1816

    «Il Temple of Beauty?» ripeté il Capitano Alec Stewart, inarcando le sopracciglia scure mentre riponeva il fioretto nella rastrelliera. «Quanti anni avete, Harry? Venti? Siete ancora un pivellino, giovanotto. Quel locale non è altro che un covo di prostitute, credete a me.»

    Nell’ultima mezz’ora, nella vecchia sala polverosa nel cuore di un edificio nell’East London conosciuto con il nome di Two Crows Castle, erano risuonati il rumore metallico di lame luccicanti, le imprecazioni di Lord Harry Nugent e i rimproveri del suo istruttore. La lezione di scherma era terminata; Harry si lasciò cadere su una panca, asciugando il sudore dalla fronte e continuando a implorare il maestro.

    «Oh, Alec, vi prego, ditemi che verrete! È il mio compleanno e le ragazze non sono diverse da quelle che girano per Londra!»

    Stewart emise una risata fragorosa. «Fidatevi, sono prostitute» insistette mentre versava del brandy in due bicchieri. Porgendone uno all’allievo, concluse: «Non verrò, ma vi porgo comunque i miei auguri».

    Harry Nugent, incredibilmente ricco ma pessimo schermidore, sospirò e sorseggiò il brandy dal sapore aspro. Con una certa trepidazione lasciò vagare lo sguardo nella sala dall’alto soffitto, dove il vento gelido di febbraio faceva sbatacchiare i vetri coperti di ragnatele e proiettava le ombre delle candele accese sulle travi annerite dal fumo. A quel punto osservò il maestro di scherma, un uomo alto e dinoccolato che non pareva affatto provato dagli sforzi appena compiuti.

    Harry inspirò a fondo. «Alec!»

    «Mmh?»

    «Non è giusto che viviate in un rudere come questo e che vi guadagniate da vivere gestendo una scuola di scherma. Siete un eroe di guerra, perbacco!»

    «Eroe di guerra oppure no, possiedo a malapena mezzo scellino. In ogni caso, questo posto non mi dispiace.»

    Harry guardò l’istruttore estrarre un fioretto dalla rastrelliera e soppesarlo. Alec era uno dei migliori spadaccini di Londra e un tempo aveva vantato un’invidiabile reputazione come capitano dei Dragoni Leggeri. All’epoca si diceva in giro che fosse un uomo spensierato, capace di non preoccuparsi nemmeno la notte prima di una battaglia. Le signore di Londra lo adoravano: aveva potuto scegliere tra il fior fiore delle ereditiere dell’alta società e per un breve periodo si era fidanzato con una di loro. Ma a un certo punto si era isolato dalla scena sociale londinese e nei suoi occhi castani era apparsa un’espressione cinica.

    «D’accordo, ma vivere in questo modo!» si lasciò sfuggire Harry. «Dovreste affrontare la questione con vostro padre, lo dicono tutti.»

    Alec fendette l’aria con un colpo di prova del fioretto. «Dite sul serio?» replicò in tono gentile. «Questo significa che vi divertite a parlare di me con i vostri amici nei club di Londra e nei bar, Harry?»

    «No!» negò l’altro, confuso. «O meglio, non diciamo niente che non affermeremmo in vostra presenza» precisò. «Non è necessario, sapete, che vi intratteniate con le ragazze, questa sera, dovete solo unirvi a noi e divertirvi un po’. E magari uscire vi farebbe bene. Vostro fratello ha detto...»

    Le dita affusolate e flessibili di Alec strinsero l’elsa del fioretto. Se Lord Harry Nugent avesse combattuto al suo fianco a Waterloo, avrebbe saputo che quel gesto invitava alla prudenza.

    «E quando avete incontrato il mio stimato fratello?» domandò, strascicando le parole.

    «È stato un caso, l’ho visto da Tellworth a St. James ieri sera.»

    È ancora a Londra, dunque. «E cosa ha detto, di preciso?»

    «Ha detto...» cominciò l’altro esitante, «che, come tutti i reduci, amate troppo il brandy, ma noi sappiamo che non è vero, e che evitate le buone compagnie.»

    «Le buone compagnie? E credete che il mio amabile consanguineo si recherà da Tellworth anche questa sera? Il mio fratellino dal viso innocente, di intrigante onestà?»

    «Non che io sappia» rispose Harry arrossendo. «Suvvia, Alec, perché non vi rappacificate con lui? Sicuramente è ciò che vostro padre desidera, non credete? Sarebbe davvero splendido!»

    Alec si avvicinò e gli scompigliò i riccioli biondi. «Rappacificarmi?» ripeté. «Harry, lasciate che vi dica una cosa. Se stasera mi capitasse di incontrare mio fratello, sarei felice di ridurre in tante strisce sottili la giacca elegante che sicuramente indossa.» Il fioretto che teneva in mano mandò un bagliore quando eseguì un coup de pointe. «Non condivido i suoi gusti in fatto di abbigliamento, capite?»

    «Oh, Signore!» borbottò Harry.

    «Nessuno spargimento di sangue, state tranquillo. E mio fratello dovrebbe essermi grato.» Dopo aver riposto il fioretto, Alec spinse con gentilezza l’allievo verso la porta. «Divertitevi al Temple of Beauty, mio giovane e innocente amico. E se davvero credete che fra quelle ragazze ve ne sia una sola che non sia una prostituta, allora siete più credulone di quanto pensassi. Ecco, prendete il vostro...» Guardò perplesso il copricapo dall’ampia tesa. «Suppongo che lo definiate un cappello. E la giacca.»

    «D’accordo. Ci vediamo la prossima settimana alla solita ora? E, Alec... credete che stia facendo dei progressi?»

    «La vostra tecnica continua a stupirmi, Harry» dichiarò pacatamente dopo un istante di silenzio.

    «Oh, bene.» L’altro se ne andò con aria soddisfatta. Alec, che aveva chiuso la porta con troppa energia, dovette spazzolare via dalle spalle l’intonaco che era caduto dal soffitto.

    Quella dannata casa cadeva a pezzi. Come la sua vita.

    Secondogenito di un conte, Alec aveva servito nell’esercito per sette anni ed era tornato a casa con la reputazione di uomo ardimentoso. Il suo futuro si prospettava brillante.

    Peccato che a Londra l’aria fosse contaminata. Da suo fratello.

    «Scusate, capitano.» Nella sala entrò un uomo non alto, ma robusto, con una benda nera sull’occhio. «Ci sono tre tipi che vorrebbero parlare con voi.» Dietro di lui c’erano degli uomini, con tutta evidenza ex combattenti, con le uniformi stracciate che coprivano i corpi magri. E salutarono Alec, il quale si stupì. Malgrado la condizione pietosa, lo avevano salutato.

    «Appartenevano al Quattordicesimo, capitano» spiegò Garrett. «Chiedono se abbiamo posto per loro.»

    Two Crows Castle era sovraffollato. Alec trasse un respiro profondo. «Garrett, non vedo davvero come possiamo...»

    «Potremmo sistemare qualche materasso in più nelle soffitte, capitano!»

    «Va bene.» Come avrebbero potuto rifiutare ospitalità a quegli uomini coraggiosi, che forse avevano combattuto al suo fianco nei sanguinosi campi di battaglia in Spagna? «Va bene» ripeté, «occupatene tu.»

    «Subito, capitano!» Dopo averlo salutato, Garrett si girò per accompagnare i reduci nei loro nuovi alloggi. «Sbrigatevi, ragazzi!»

    «Dio vi benedica, capitano. Siete uno dei migliori! Un eroe di Waterloo, e anche di più» lo ringraziarono quelli.

    Dopo averli liquidati con un gesto della mano, Alec si sedette e si passò una mano tra i capelli scuri.

    Un eroe? Suo padre era di ben altra opinione.

    «Da mio figlio non me l’aspettavo.» Nel lussuoso salotto della sua dimora a Mayfair, un anno prima, il Conte di Aldchester era rimasto letteralmente sconvolto vedendo Alec in piedi davanti a lui. «Non posso credere che tu sia venuto fin qui per cercare di distruggere la felicità che ho ritrovato grazie alla donna che amo.»

    Alec aveva avuto indosso l’uniforme dei Dragoni Leggeri, composta da una giacca blu e pantaloni bianchi. Era l’inizio del 1815, e sebbene tutti gli alti ufficiali dell’esercito fossero stati avvisati che Napoleone aveva intenzione di fuggire dall’isola d’Elba, lui aveva altre preoccupazioni per la testa. Qualcuno infatti gli aveva detto che il padre aveva intenzione di sposarsi in giugno.

    «Vi prego, credetemi, signore!» Impettito, Alec aveva detestato ogni istante di quella conversazione. «È proprio la vostra felicità che mi sta a cuore...»

    Il conte si era alzato in piedi lentamente, dimostrando di colpo tutti i suoi anni. Un tempo anche lui aveva sognato di fare carriera nell’esercito, alle pareti della sua bellissima casa erano appesi dei dipinti che rappresentavano le famose vittorie inglesi di centinaia di anni prima: Blenheim, Ramillies, Malplaquet. E aveva atteso con dolorosa impazienza i brevi congedi che permettevano al figlio di tornare a casa. «Ah, quel Wellington!» era solito dire. «Di questo passo, figlio mio, strapperà al Duca di Marlborough il titolo di più grande generale inglese di tutti i tempi.» E a quel punto, con occhi scintillanti d’orgoglio, ascoltava i resoconti di Alec, che gli raccontava le campagne del duca di ferro.

    Ma in quel terribile incontro avvenuto in febbraio non c’era stata traccia di orgoglio in lui.

    «Sai bene» aveva dichiarato in tono grave, «che un tempo vivevo aspettando il tuo ritorno a casa per avere notizie della guerra. Ma che tu venga qui a riferirmi delle chiacchiere volgari...»

    «Padre, desideravo solo chiedervi se la conoscete da abbastanza tempo, se siete sicuro di potervi fidare di lei sotto ogni punto di vista.»

    «Fidarmi? Già, Stephen mi aveva avvertito che saresti stato geloso del mio matrimonio, che avresti temuto di perdere il mio favore» aveva risposto il conte con aria disperata.

    «Non è vero, padre, credetemi!»

    «Ora basta» gli aveva intimato il conte mettendosi a sedere. «Devi capire che, dopo ciò che mi hai detto, non posso più riceverti in questa casa come mio figlio.»

    Parole fatidiche. Irrimediabili. E se il padre gli era sembrato distrutto mentre le pronunciava, anche la sua voce era incrinata dall’emozione quando aveva risposto: «Signore, sono desolato. E vi prego di credere che nutrirò sempre una grande stima nei vostri confronti. Ma vi supplico, per l’ultima volta, di ascoltare ciò che mi sento costretto a dirvi. Questo matrimonio non si deve fare!».

    Suo padre l’aveva fissato, quasi sbalordito. «Non riesco a capire. Forse dovresti incontrarla, parlarle.» Si era alzato in piedi e aveva cominciato a misurare la stanza a grandi passi. «Sì, faremo così. E ti renderai conto di averla giudicata male.»

    «Non cambierò idea. Mi dispiace.»

    Il conte si era perso d’animo, sembrava disperato. Poi il suo sguardo si era fatto duro. «D’accordo, finiamola qui. C’è un’altra cosa che devo dirti, comunque. La mia futura moglie sta cercando una sistemazione a Londra per sua madre e ritiene che la casa di Bedford Street, che ti ho dato in uso negli scorsi anni, sarebbe adatta. Perciò devo chiederti di liberarla al più presto. È ovvio che non riceverai più il tuo appannaggio.»

    Alec era rimasto impettito, il volto inespressivo. «Resta la faccenda della casa per i reduci a Spitalfields, padre. Mi auguro, anche se vi ho contrariato profondamente, che continuerete a finanziarla.»

    «Se vuoi la mia opinione» ribatté il conte con voce leggermente incrinata, «sto cominciando a pensare che frequentare uomini di quel genere ti abbia fatto dimenticare il senso del dovere nei confronti della famiglia! E dato che sembri tenere più ai tuoi compagni di battaglia che a me, ti suggerisco di gestirla da solo.»

    «Non è vero. Io...»

    «Basta così!»

    Con la mandibola contratta, Alec aveva accennato un inchino al genitore e si era congedato.

    Il desiderio di suo fratello si era finalmente realizzato. Quella rottura tra padre e figlio non si sarebbe più sanata.

    Poco tempo dopo Alec era stato richiamato in servizio. Napoleone era fuggito dall’isola d’Elba e al suo comando l’esercito francese si era diretto verso nord per affrontare gli alleati nell’ultima, sanguinosa battaglia di quella lunga guerra: Waterloo.

    Quando Alec era tornato, non aveva più una casa sua. Mentre era impegnato a combattere, suo padre si era sposato e i parenti della sua nuova matrigna si erano sistemati nella piccola abitazione in cui lui aveva vissuto.

    A quel punto aveva deciso di trasferirsi nella casa per reduci a Spitalfields; costruita da un certo Ducroix, un ricco tessitore ugonotto, un tempo era stata una splendida dimora. Poi per la casa, come per il quartiere, erano arrivati momenti difficili. Il nome che i locali le avevano affibbiato, Two Crows Castle, sembrava più che mai un’ironica presa in giro.

    Prima del loro allontanamento, era stato suo padre a pensare di acquistarla e restaurarla. «Non riesco a godere delle mie ricchezze quando vedo dei soldati feriti e indigenti mendicare agli angoli delle strade» aveva spiegato ad Alec.

    Il conte aveva acquistato l’edificio, ma il restauro non era mai iniziato, perciò toccava ad Alec cercare di tenere in piedi la casa fatiscente, usando il denaro della sua pensione da ufficiale, una piccola eredità lasciatagli dalla madre e i proventi delle lezioni di scherma. Gli sembrava di essere in debito con quegli uomini, che dopo avere dato tutto ciò che avevano per la patria erano rimasti privi di tutto, anche della salute.

    Alec non aveva più visto suo padre dal giorno del terribile litigio e da allora aveva rifiutato tutti gli inviti dell’alta società. Si era costruito una nuova vita e in un certo senso era contento.

    O meglio, lo sarebbe stato se non avesse dovuto fare i conti con il suo dannato fratello.

    Il ritorno di Garrett lo scosse bruscamente dalle proprie riflessioni.

    «Li ho sistemati lassù, capitano» lo informò con aria soddisfatta. «Sono in sei nella soffitta, stanno un po’ stretti, ma hanno combattuto tutti in Spagna, perciò hanno tante cose da raccontarsi.» Lo guardò con circospezione. «Ho delle notizie per voi.»

    «Sì?»

    «A quanto pare» rispose l’altro precipitosamente, «vostro fratello è stato visto nel parco, ieri pomeriggio. Era proprio lui, con il suo bizzarro calesse. E c’era anche una signora. Un’autentica bellezza, capitano. Capelli scuri, occhi azzurri...»

    Alec sentì una minacciosa pulsazione alle tempie. Stai calmo, si ammonì. «Sai» dichiarò in tono soave, «ho un urgente bisogno di parlare con mio fratello.»

    «Lo immaginavo, perciò ho chiesto in giro cosa intendesse fare nel resto della giornata. Pare che abbia deciso, all’improvviso, di recarsi in un locale in St. James, questa sera. Il Temple of...»

    «Non sarà il Temple of Beauty

    «Sì, proprio quello, in Ryder Street. Ora, so che ha trasformato la sua casa in una fortezza per difendersi da voi, ma probabilmente in quel locale si recherà da solo...»

    E non si aspetterà certo di incontrare suo fratello minore. Alec non esitò. «Esco, Garrett. Non aspettarmi» annunciò mentre si infilava il soprabito.

    «Siete sicuro di non volere compagnia, capitano?»

    «Abbastanza.» Dopo avere spalancato la porta si fermò bruscamente, perché nel corridoio vide un grosso cane dal pelo chiaro che lo guardava in ansiosa attesa.

    Si girò su se stesso, stringendo gli occhi minacciosamente. «Garrett, cosa ci fa qui questo animale?»

    «Sono giorni che gironzola qui intorno, capitano. Non ha cibo, né un tetto. Pensavo che potessimo accoglierlo.»

    Alec si passò una mano fra i capelli. «Ti rendi conto di quanto mangia un cane di queste dimensioni?»

    Imperturbabile, l’altro rispose: «Non sa dove andare, capitano. Si chiama Ajax».

    «Ajax. Bene, fammi la cortesia di trovargli un’altra sistemazione!»

    «D’accordo. Chiudete la porta con cautela.»

    Troppo tardi. Quando la porta si chiuse sbattendo dietro Alec, dei frammenti di intonaco piovvero dal soffitto. Sospirando, Garrett andò a prendere una scopa per raccoglierli, poi accarezzò il cane sulla testa. «Questo dannato posto sta cadendo a pezzi... Non preoccuparti, ragazzo. Il nostro capitano è un uomo di buon cuore. Almeno, quasi sempre.»

    Guardando il suo nuovo amico, Ajax agitò la coda.

    2

    Temple of Beauty, Ryder Street, St. James’s.

    Più tardi, quella stessa sera

    Nell’affollato camerino del primo piano aleggiava un profumo dozzinale. Rosalie Rowland si diresse verso la porta più vicina e l’aprì di una fessura, confidando in un refolo di aria fresca.

    Oh, accidenti! Si affrettò a richiuderla.

    Uomini. Una fila di uomini partiva dal pianterreno e si snodava sulle scale. Erano alti o bassi, ricchi o poveri, grassottelli o magri, e l’aria era satura del loro odore di tabacco e bevande alcoliche. Uomini, in fila per vedere, tra le altre, lei. Sul palco, quella sera, nella sala superiore del famoso Temple of Beauty.

    Cercò di scacciare l’ennesima ondata di panico. Se non fosse morta di polmonite con quel costume leggero come il velo di una sposa, si sarebbe ammalata a causa della sporcizia. Un dettaglio che non preoccupava affatto l’orgoglioso proprietario, Mr. Perceval Barnard, né sua moglie. E nemmeno le altre ragazze, intente a chiacchierare e a ridacchiare mentre si truccavano davanti agli specchi appesi di traverso alle pareti.

    «Le dee greche in scena tra dieci minuti» stridette Mrs. Patty Barnard. «E cercate di essere affascinanti!»

    «Credo che intenda dire preparatevi a essere molestate» rimarcò una certa Sal, una bella ragazza dai capelli scuri. Quando Rosalie era arrivata al locale, l’aveva presa sotto la sua ala protettiva avvisandola di stare attenta soprattutto a Patty Barnard, una donna petulante e dominatrice sulla quarantina, dai capelli rosso fiamma che abbagliavano la vista.

    Mrs. Barnard non

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