Due settimane e poi...: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Due settimane di tregua per giocare alla coppia felice e innamorata e poi tutto tornerà come prima. Ma le cose non vanno per il verso giusto e Max e Gabriella si troveranno ad affrontare qualche piccante imprevisto.
Catherine Spencer
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Due settimane e poi... - Catherine Spencer
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Millionaire’s Marriage
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2001 Catherine Spencer
Traduzione di Federica Jean
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2002 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5893-954-3
www.harlequinmondadori.it
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1
«Ho lasciato detto che saresti venuta. Se non sarò a casa al tuo arrivo, ti farà entrare il portiere.»
Il profondo tono baritonale della voce di Max riusciva ancora a farle venire la pelle d’oca, anche dopo tanti mesi di separazione. Gabriella dovette fare uno sforzo di volontà per non cedere all’impulso di pregarlo di essere presente al suo arrivo. «Ti riferisci a Howard?» chiese, in tono distaccato.
«Mi sorprende che ricordi ancora il suo nome, dopo quasi due anni.»
«Ho dimenticato ben poco della nostra vita in comune, Max» ribatté lei, con freddezza. «Howard è una delle poche persone che ricordo con piacere. Sarà bello sapere che c’è almeno un viso amico nel palazzo... Sempre che tu non gli abbia fatto cambiare idea su di me.»
Suo marito sbuffò. «Mi dispiace dover infliggere un colpo al tuo egocentrismo, ma il tuo nome non ricorre spesso nelle nostre conversazioni» disse.
Gabriella rimpianse di aver introdotto quell’argomento. Avrebbe dovuto sapere che Max non pensava più a lei, eppure quelle parole l’avevano ferita. «Sei sicuro che ce la faremo?» gli chiese, presa dal dubbio. «Due settimane di convivenza potrebbero sembrare interminabili.»
«Io posso farcela, e sono sicuro che ci riuscirai anche tu» replicò lui, in tono secco. «Sei sempre stata brava a fingere. Probabilmente, è questa tua inclinazione a renderti una modella famosa. Interpretare tante situazioni diverse davanti a un obiettivo deve essere un po’ come recitare.»
Gabriella strinse i denti, irritata dal tono sprezzante con cui lui liquidava il successo che aveva raggiunto al prezzo di un duro lavoro. «Non sapevo che seguissi la mia carriera con tanta attenzione.»
«Infatti non la seguo» dichiarò lui. «Ma dovrei essere cieco e sordo per non sapere di essere sposato, almeno tecnicamente, con il volto più famoso del Nord America. Comunque, date le qualità di attrice consumata, non dovrebbe esserti difficile recitare la parte della mogliettina felice per due settimane, soprattutto considerato che cercherò di restare fuori dai piedi il maggior tempo possibile. In fondo siamo sposati da più di due anni. I tuoi genitori non si aspettano certo che ci comportiamo come due sposi in luna di miele.»
«Meglio così, dato che non ho nessuna esperienza di luna di miele» gli rammentò lei.
Era vero. Per Gabriella, la loro breve vita matrimoniale aveva significato solo solitudine e rifiuto.Sapeva bene cosa voleva dire stare accanto a un marito che ti tollerava a stento e non lo nascondeva. Sapeva cosa significava dormire sola in un grande letto matrimoniale mentre tuo marito dormiva nella camera degli ospiti... Tranne le rare occasioni in cui l’istinto lo spingeva ad avvicinarsi nella notte, e una volta soddisfatto il proprio appetito a lasciare silenziosamente la stanza. E quelle poche volte in cui non era stato capace di resisterle non avevano fatto altro che accrescere la sua avversione per lei.
«Gabriella? Mi senti?»
Riscossa da quei pensieri dalla voce impaziente di Max, Gabriella tornò al presente. «Oh... Scusa, ero distratta.»
«Ti ho chiesto a che ora atterreranno a Vancouver.»
Max si riferiva agli anziani genitori di lei, che la credevano felicemente sposata con un uomo che stimavano e rispettavano. Era a loro beneficio che Gabriella e suo marito sarebbero tornati temporaneamente a vivere sotto lo stesso tetto.
Per l’ennesima volta, lei si chiese perché non era riuscita a escogitare qualche scusa quando i suoi genitori le avevano annunciato che sarebbero venuti a trovarla in Canada dalla nativa Ungheria. «Alle tre di domani» rispose.
«Tu sei a Los Angeles, adesso?»
«Sì, ma il mio aereo parte tra due ore. Sarò a casa tua nel primo pomeriggio.»
«Bene. Avrai tutto il tempo per disfare le valigie, allora. A proposito, sarà meglio che tu faccia provviste. Nel frigorifero c’è solo l’essenziale e non credo che soddisfi le tue raffinate esigenze.»
Perché la trattava in quel modo?, si chiese lei, con una fitta al cuore. Perché insinuava che lei avesse gusti incontentabili e stravaganti? Se aveva delle responsabilità nel naufragio del loro matrimo nio, di certo non era colpevole di avere dissipato i soldi di Max. Eppure, lui era sempre stato convinto che l’avesse trascinato all’altare solo per il suo conto in banca.
Ma non aveva senso riprendere di nuovo quella discussione. «D’accordo» disse soltanto.
«Allora, è tutto. Se non ci vedremo stasera, ci incontreremo a colazione domani mattina.»
«Un’ultima cosa, Max...»
«Che altro c’è?» chiese lui con impazienza.
«Dove... Voglio dire... Qual è la mia stanza?»
Max lasciò trascorrere qualche secondo prima di rispondere. «Credevo che lo scopo di questa farsa fosse convincere i tuoi genitori che il nostro matrimonio va a gonfie vele, nonostante ciò che scrivono i giornali scandalistici.»
Lei deglutì nervosamente. «Infatti.»
«E allora pensaci un attimo... in quale stanza credi che dormirai, Gabriella?»
Sentendosi stupida, lei azzardò: «Nella... tua?».
«Risposta esatta!» commentò lui con sarcasmo. «Portati abbastanza abiti da riempire gli armadi, altrimenti i tuoi capiranno che sei solo di passaggio. Non dovrebbe essere un problema per te...»
«No, infatti» rispose lei cercando di ritrovare un po’ di compostezza. «Ho tre valigie.»
«Ne sono lieto. Ci sono altre domande?»
«No» sussurrò lei con un filo di voce, ma lui aveva già riagganciato senza attendere risposta.
Gabriella era cresciuta in un palazzo settecentesco, non enorme e un po’ trascurato, ma pur sempre un palazzo. L’appartamento che aveva acquista to a Tokio diciotto mesi prima, quando aveva lasciato Max, era piccolo ma delizioso. Il suo acquisto più recente, una villa con un bellissimo giardino fiorito a Roma, era un vero gioiello architettonico del diciassettesimo secolo.
Tuttavia, non appena mise piede nell’ingresso rivestito di marmo dell’attico a due piani di Max restò senza fiato, proprio come la prima volta che lo aveva visto.
Depose le valigie e le buste con la spesa nel tinello e attraversò il grande salone a destra della scala a chiocciola. Aprì la porta a vetri che immetteva sulla terrazza e contemplò l’acqua trasparente della piccola piscina, che scintillava al sole di quel pomeriggio di giugno. Ai bordi della terrazza, grandi vasi di coccio contenevano una profusione di fiori di ogni tinta.
Oltre al parapetto, il profilo di Vancouver si estendeva apparentemente all’infinito. Poteva scorgere le imbarcazioni navigare le calme acque del Georgia Strait e la grande arcata del Lion’s Gate Bridge.
Sembrava di essere in paradiso, eppure lei non era mai stata tanto infelice come in quel luogo incantato.
Appena sposata, Gabriella aveva varcato la soglia dell’appartamento per la prima volta in una bella giornata di sole come quella. Quel giorno, il suo volto era rigato di lacrime. Max e lei erano sposati da poco più di quarant’otto ore, ma lei sapeva già quanto suo marito la disprezzasse.
Era rimasta immobile, in quello stesso angolo della terrazza, fin dopo il tramonto, pregando di riuscire a farsi amare da lui. O, almeno, di smettere di amarlo tanto.
Ma le sue preghiere erano rimaste inascoltate.
Irritata con se stessa per essersi permessa di ricadere in quello stato d’animo, si riscosse e rientrò in casa. Con una stretta al cuore, notò che dall’appartamento era stato tolto ogni oggetto che ricordasse la sua presenza.
«Fai quello che vuoi» le aveva detto seccamente Max, quando gli aveva proposto di abbellire l’appartamento con vari oggetti che aveva portato con sé dall’Ungheria. Si trattava di lampade, quadri, stampe, soprammobili antichi che provenivano dalla casa dei suoi genitori. Tutte cose che si era lasciata alle spalle quando era fuggita dalla prigione che il suo matrimonio era diventato.
E adesso ogni traccia del suo passaggio in quella casa era stata accuratamente cancellata, proprio come lui l’aveva cancellata dalla sua vita. Quell’ambiente, privo dei ricordi della sua infanzia e della sua terra di origine, le parve freddo e inospitale.
Tuttavia, pensò, era improbabile che Max avesse gettato via le sue cose. Erano oggetti preziosi, e rappresentavano tutto ciò che restava dell’eredità di una famiglia che era stata molto ricca in passato. Probabilmente le aveva sistemate in qualche ripostiglio.
Mentre tornava verso il tinello, evitò accuratamente di guardare la scala a chiocciola che conduceva al piano superiore, dove si trovavano le camere da letto. Trasportò le buste con le provviste in cucina dove scoprì che mancava tutto. Solo la ra strelliera dei vini era ben fornita. Nel frigorifero, invece, trovò solo un pezzo di formaggio rinsecchito, alcune bottiglie di birra e un cartone di succo d’ananas.
La dispensa non offriva molto di più: un paio di scatole di cereali e qualche barattolo di minestra già pronta. Un esame dei fornelli e del forno le confermò che nessuno dei due veniva usato da tempo.
In generale, l’appartamento dava l’impressione di appartenere a qualcuno che vi capitava solo di passaggio. Non c’era nulla che indicasse la presenza di una coppia innamorata e il naturale disordine che accompagna una casa abitata. Se non avesse