L ufficiale e l'ereditiera: Harmony Jolly
Di Donna Alward
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È arrivato il momento, per gli eredi Pemberton, di rivendicare il proprio ruolo all'interno dell'impero di famiglia e di conquistare il vero amore.
L'ultimo incarico dell'ex ufficiale della SAS Jacob Wolfe, come guardia del corpo dell'aristocratica Charlotte Pemberton, è il più difficile che abbia mai svolto. L'intensa connessione che da subito si è creata fra loro lo sta portando al limite ma lui è determinato a ignorarla. Finché un singolo ballo non porta a un bacio proibito ... e Jacob infrange tutte le sue regole. Ma quando la notte trascorsa insieme porta a una conseguenza inaspettata, lui si ritrova a dover affrontare una missione a cui nessuno lo ha mai preparato: quella di padre!
Donna Alward
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L ufficiale e l'ereditiera - Donna Alward
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1
Jacob Wolfe non si sentiva a disagio a viaggiare in prima classe. Ciò che lo faceva sentire a disagio era, piuttosto, stare seduto accanto a Charlotte Pemberton.
Erano su un volo notturno, partito da Londra e diretto a New York, e tutti i passeggeri stavano dormendo o comunque avevano gli occhi chiusi e gli auricolari negli orecchi.
Tutti tranne Charlotte, che aveva il portatile aperto davanti a sé, con accanto un bicchiere di vino, gli occhiali abbassati sul naso e lo sguardo fisso sul monitor, mentre era tutta intenta a lavorare a... qualcosa.
Jacob non aveva idea di che cosa stesse facendo esattamente e non gli importava. Era lì per proteggerla, non per spiare cosa la tenesse occupata. Il mondo della moda, tra l'altro, non lo aveva mai affascinato. Essendo un ex militare del Servizio Aereo Speciale, le sfilate, i party e le stravaganze dei Pemberton non erano mai rientrate nella lista delle sue priorità.
Nonostante gestisse un'agenzia di sicurezza per VIP, infatti, lui era una persona semplice, a cui piacevano le cose semplici e già sapeva, dunque, che si sarebbe annoiato a morte nei prossimi nove giorni. D'altro canto l'Aurora Inc. era un nuovo cliente molto importante, e lui avrebbe ricevuto una lauta ricompensa per quell'incarico, quindi sarebbe stato impeccabile e avrebbe cercato di non pensare al fatto che, per fare da babysitter alla sorellina del Conte di Chatsworth, aveva dovuto rinunciare alla sua prima vacanza dopo tre anni.
Il caso, infatti, aveva voluto che l'uomo che originariamente avrebbe dovuto svolgere il lavoro, avesse preso un virus durante la sua ultima missione, quindi ora era costretto a casa, a Londra, mentre lui era diretto verso la sfavillante New York.
Era il suo lavoro, ma si sentiva comunque irritato, perché aveva avviato quell'attività per proteggere le persone che erano davvero in pericolo, non per accudire principesse viziate!
Charlotte bevve un sorso di vino e poi lo guardò. «Non dormi?»
«Negativo, signorina» le rispose lui.
Lei aggrottò la fronte. «Se continuerai a chiamarmi signorina
, temo che avremo un problema.»
«Ricevuto, signorina.»
Lei sbuffò. «Signor Wolfe, per favore, chiamami semplicemente Charlotte e dammi del tu.»
Invece di rispondere, lui sollevò un sopracciglio.
Di nuovo, Charlotte sbuffò. «Dovresti ordinare una birra e rilassarti.»
«Non bevo in servizio, signorina.»
Questa volta, Charlotte appoggiò la testa allo schienale e si voltò verso di lui, guardandolo dritto negli occhi. «Temo che sarà una settimana molto lunga se saremo così formali. Senti, neanche a me piace questa situazione. Non ho bisogno di una guardia del corpo. È una follia. Non mi avrebbero consentito di partire, però, se non avessi accettato questa condizione, quindi eccoci qui.»
Jacob ricambiò il suo sguardo. «Non sono qui per divertirmi ma per fare il mio lavoro. Il resto non conta.»
Ed era la verità. Non aveva alcuna importanza, infatti, che Charlotte Pemberton fosse la cliente più bella che lui avesse mai avuto. Occhioni da cerbiatto di un caldo color nocciola che virava al verde, con sfumature dorate. Capelli di seta castani che le incorniciavano un viso dai lineamenti delicati, e una deliziosa fossetta sotto le labbra voluttuose, che le regalava un'aria al tempo stesso raffinata e ironica. Ecco, la speranza era che la signorina Pemberton fosse davvero dotata di un briciolo di ironia, altrimenti sarebbero state giornate davvero interminabili.
Lei sospirò. «Lo so, mi dispiace. Sono arrabbiata con la mia famiglia per avere creato questa situazione, non certo con te.»
«Buono a sapersi» replicò lui abbozzando un sorriso.
Anche Charlotte sorrise e a quel punto la tensione che si era accumulata tra loro nelle ultime quattro ore – vale a dire da quando si erano incontrati in aeroporto – si allentò, anche se di poco.
«Hanno preso un po' troppo sul serio alcune e-mail e lettere.»
«Meglio prevenire che curare.» E Jacob parlava con cognizione di causa, visto che aveva costruito la propria attività su questo principio.
«Non sono una bambina. Ho ventotto anni. Non ho bisogno che qualcuno decida della mia vita.»
«Sì, signorina.»
«Smetti di chiamarmi signorina
.»
Jacob non poté fare a meno di sorridere. Quando passò la hostess, si fece portare un bicchiere d'acqua, mentre lei ne ordinò un altro di vino e poi ricominciò a digitare sulla tastiera del PC. Era ovvio che Charlotte non aveva nessuna intenzione di riposare. Lui invece avrebbe cercato di dormire durante il volo per essere in forma quando sarebbero atterrati.
Certo, New York non era Tenerife, ma in fondo sarebbe potuta andare peggio. Lui aveva visto l'inferno con i propri occhi, ed era certo che New York non potesse essere tanto male.
E allora, per quale ragione si sentiva così inquieto?
Charlotte aspettò che Jacob Wolfe chiudesse gli occhi per rilasciare il respiro che aveva trattenuto per quelle che le sembravano ore.
Quando aveva saputo che sua madre aveva assunto una guardia del corpo per accompagnarla alla Settimana della Moda, si era opposta con tutte le proprie forze. E ancora adesso era convinta che fosse stata una decisione assurda. Proprio quando aveva l'opportunità di realizzare qualcosa di importante sua madre le aveva affibbiato un babysitter. Era ridicolo!
Come lo era il fatto che il babysitter in questione fosse così... magnifico. Jacob Wolfe non era uno di quei ragazzi carini e perfetti che lei era abituata a vedere nell'ambiente in cui lavorava. Ragazzi che lei aveva frequentato con piacere, con capelli e pelle perfetti e con il fisico fatto per indossare abiti da migliaia di dollari. Ragazzi che non le suscitavano alcun coinvolgimento emotivo.
Jacob era del tutto diverso, nonostante l'abito su misura di ottimo taglio e la cravatta perfettamente annodata anche dopo tutte quelle ore di volo. Possedeva un carisma incredibile. Aveva un fisico prestante, come richiedeva la sua professione, capelli biondo scuro, corti ai lati e più lunghi nella parte alta, con qualche ciocca ribelle che gli sfiorava gli occhi di ghiaccio, e una leggera peluria sulle guance che gli conferiva un'aria intrigante.
Insomma, avrebbe potuto essere interessante trascorrere qualche giorno insieme, se non si considerava il fatto che il signor Wolfe doveva avere almeno dieci anni più di lei, che non sorrideva quasi mai e che pensava solo al lavoro.
Ma forse era meglio così. Del resto, sarebbe stata talmente impegnata che non avrebbe avuto tempo per concedersi distrazioni. Però le sarebbe piaciuto vederlo sorridere ancora...
Lo guardò di nuovo, invidiandogli la sua capacità di dormire in aereo, cosa che lei non era mai riuscita a fare. Era pronta a scommettere che Jacob fosse bravo nel proprio lavoro, ma non le piaceva affatto l'idea che lui la seguisse ovunque. Non voleva che le persone sapessero che lei aveva una guardia del corpo, e non voleva nemmeno che cominciassero a girare pettegolezzi sul suo conto. Già immaginava i titoli delle riviste: Chi è il misterioso accompagnatore di Charlotte Pemberton? La sua famiglia era già stata nell'occhio del ciclone ultimamente e lei non intendeva sollevare un altro polverone.
Scoraggiata, aprì una mail salvata in una cartella e aggrottò la fronte.
New York è la città dove non si dorme mai. Nemmeno tu lo dovresti fare.
#tienigliocchiaperti
Detestava quei messaggi. Gli addetti all'IT dell'Aurora Inc. finora non erano riusciti a localizzare il mittente. Lei era convinta che non fosse nulla di serio. Essendo una Pemberton, era cresciuta sotto la luce dei riflettori e sapeva che potevano verificarsi situazioni come questa. Negli ultimi due mesi aveva ricevuto tre messaggi, ma non era successo nulla. La sua famiglia, tuttavia, era stata irremovibile. Solo la sorella Bella si era schierata dalla sua parte, sostenendo che doveva essere lei a decidere se avere o meno una guardia del corpo. A ogni modo, la trasferta sarebbe durata poco più di una settimana, quindi si trattava di una soluzione temporanea.
Chiuse la mail e aprì l'agenda, per controllare i propri impegni. Non vedeva l'ora di atterrare e andare nell'appartamento dell'Aurora Inc., dove avrebbe fatto una bella dormita rigenerante, prima di affrontare New York.
Jacob si domandò come fosse possibile che Charlotte avesse quell'aspetto così fresco, considerando che non aveva mai riposato durante il viaggio. Lui si era appisolato per un'ora e quando si era svegliato l'aveva vista ancora davanti al PC.
Ora erano su un taxi, diretti all'appartamento dell'Aurora Inc.
«Non dormi mai?» le domandò, guardandola.
«Certo che sì» gli sorrise. «Non lo faccio però sugli aerei. Dopo che ci saremo sistemati, dormirò per tutta la mattina. In effetti dovresti farlo anche tu, considerando che hai riposato solo un'ora.»
«Sono abituato a dormire poco» le spiegò lui guardando fuori dal finestrino.
«E credi che io non lo sia?» Charlotte ridacchiò. «Dovresti vedermi la sera prima di un evento. Caffè e cioccolato sono la mia benzina e niente mi può fermare.»
Sì, Jacob non ne dubitava. Del resto lei era così, piena di vita. Possedeva la tipica energia giovanile che lui purtroppo aveva esaurito tanto tempo prima, in Sud America, dove aveva lasciato tutte le proprie speranze, la propria innocenza, e l'amore della sua vita...
Non doveva avercela con Charlotte, però, perché lei viveva una vita dorata. Anche se gli interessi di lei gli apparivano futili, non aveva alcun diritto di giudicarla. In fondo lui era venuto a contatto con il lato peggiore dell'umanità proprio per evitare che altre persone corressero il rischio di assistere all'orrore che avevano visto i suoi occhi.
E nonostante non appartenesse al mondo di Charlotte Pemberton e fosse maggiormente avvezzo a jeans e T-shirt, per questa settimana avrebbe indossato abiti firmati e si sarebbe calato alla perfezione nella propria parte.
Il taxi si fermò davanti a un edificio grigio, Charlotte pagò con la carta di credito, mentre Jacob scese dall'auto per accertarsi che fosse tutto tranquillo. L'aria di febbraio, accompagnata da qualche fiocco di neve, era così gelida che gli penetrò nelle ossa facendolo rabbrividire. Non appena l'autista aprì il bagagliaio, lui scaricò le valigie: la sua borsa, il trolley di Charlotte, e altre due grosse borse da viaggio. Non si poteva dire che Charlotte fosse il tipo di donna che viaggiava leggera. D'altro canto era una Pemberton, e immaginò che non potesse permettersi di essere fotografata due volte con addosso lo stesso abito.
Appena raggiunsero l'ingresso il portiere aprì la porta per loro, facendoli entrare nell'atrio caldo e lussuoso. Salirono poi sull'ascensore, ampio e silenzioso, che li portò rapidamente al piano scelto.
Dopo avere trascinato le valigie nel foyer, Jacob fece una pausa. «Bentornata a casa?» le domandò, lanciandole un'occhiata.
«Già.» Charlotte sospirò. «Può sembrarti strano, ma sai che preferirei essere in un ambiente più piccolo e... accogliente?»
Sì, la poteva capire. Quell'appartamento era enorme e un po' freddo. Il colore che prevaleva, infatti, era il bianco con qualche accenno di verde. Era... perfetto. Per una rivista di arredamento. Le ampie finestre, però, offrivano una vista mozzafiato su Central Park, e sul tavolo era stato sistemato un vaso con dei candidi gigli.
Voltandosi, Jacob vide che Charlotte si stava guardando attorno con aria spaesata. «Tutto a posto?»
Lei annuì e gli sorrise. «Sì. Ho solo bisogno di riposare. Credo che andrò subito a dormire.»
«Lascia che controlli le altre stanze prima» reagì Jacob, sentendo montare l'irritazione quando Charlotte ridacchiò.
«Davvero? Sono certa che non c'è nessuno in questo appartamento e che siamo perfettamente al sicuro. Mia madre ti ha assunto per precauzione, non sono davvero in pericolo.»
«Devo fare il mio lavoro. Resta