Una dottoressa in Islanda: Harmony Bianca
Di Amy Ruttan
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Info su questo ebook
Dopo l'ennesima delusione d'amore, il chirurgo Betty Jacinth decide che è ora di cambiare scenario e si trasferisce in Islanda. In quelle terre bellissime e selvagge si aspettava di trovare una temperatura rigida, ma non la glaciale accoglienza che le riserva il dottor Axel Sturlusson.
... sotto il luminoso cielo d'Islanda.
Costretto a fare da padre alla nipotina rimasta orfana, Axel ha smesso da tempo di credere nell'amore. Tuttavia la vicinanza di Betty riesce a sciogliere il ghiaccio che si è impadronito del suo cuore e a far divampare un vero e proprio incendio. Ma quando l'ex fidanzato di Betty torna alla carica implorandola di perdonarlo, Axel rischia di vedere tutti i propri sogni infrangersi.
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Una dottoressa in Islanda - Amy Ruttan
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1
Dov'è?
Alla dottoressa Betty Jacinth bruciavano gli occhi. Si era dimenticata di togliere le lenti a contatto sul volo per Keflavik, così ridusse gli occhi a due fessure mentre cercava invano il dottor Sturlusson, che sarebbe dovuto venire a prenderla.
Il dottor Sturlusson era un veterano della medicina oltre che amico di suo padre. I due si erano conosciuti quando il padre di Betty aveva tenuto una serie di seminari in Islanda, prima che lei nascesse. Poi erano sempre rimasti in contatto. Quando suo padre era morto, il dottor Sturlusson le aveva inviato una lettera di condoglianze, invitandola a venire a Reykjavik a lavorare tre mesi.
Come aveva fatto suo padre prima di lei.
Betty aveva rimandato quell'opportunità a lungo, ma ora era ben contenta di andarsene.
Il suo ex, Thomas, aveva sposato la donna con la quale l'aveva tradita, e quindi sentiva il bisogno di cambiare aria.
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore!
Betty avrebbe dovuto andarsene già da tempo, ma non aveva voluto lasciare che Thomas e la sua nuova felicità l'allontanassero dal suo lavoro.
Restare, però, significava permettergli di continuare a esercitare il suo potere su di lei.
Thomas era stato il medico strutturato mentre lei svolgeva la specializzazione. Le aveva insegnato tutto quello che sapeva, e le era rimasto sempre accanto alla morte del padre tanto che lei aveva creduto che l'amasse.
Aveva posto fine alla loro relazione non appena aveva scoperto che Thomas la tradiva, ma lui restava pur sempre il suo capo, e supervisionava tutti i suoi interventi chirurgici. Così si era ritrovata in un circolo distruttivo, paralizzata dall'insicurezza e con il cuore infranto.
Thomas l'aveva usata.
Betty invece era una sciocca.
E, mentre si guardava intorno senza capire una parola degli annunci all'altoparlante, si ritrovò a chiedersi se lasciare il suo lavoro a New York, presso uno degli ospedali più prestigiosi della costa orientale, per venire a Reykjavik fosse stata una follia.
Hai fatto bene, invece. Così non dovrai affrontare Thomas ora che è sposato con Susan.
Dalle vetrate, Betty intravide una vasta distesa, piatta e bianchissima. In che situazione si era cacciata? Non sapeva neanche che giorno fosse. Martedì, forse?
Era ancora in tempo a tornarsene a Manhattan. Poi inspirò a fondo, gli occhi chiusi. No, non poteva tornare indietro. Non c'era nessuno ad aspettarla. Non aveva famiglia all'infuori del padre, e lui non c'era più. A New York le restava solo il lavoro.
Un lavoro dov'era subordinata a Thomas.
Betty si sforzò di trattenere le lacrime che le bruciavano gli occhi. Ce l'avrebbe fatta; doveva solo noleggiare un'automobile e capire come raggiungere il cottage che aveva affittato nel centro di Reykjavik. Il dottor Sturlusson non sembrava il tipo da piantarla in asso, ma forse gli era capitato un imprevisto.
Mentre si guardava intorno in cerca di un autonoleggio, Betty intravide un movimento con la coda dell'occhio.
Voltandosi, rimase a bocca aperta nell'osservare il vichingo alto oltre un metro e ottanta che le si avvicinava in tutta fretta.
Le teneva lo sguardo puntato addosso, e lei avvertì un fremito perché, nonostante la distanza, lo sconosciuto emanava un'aria autoritaria. Aveva i capelli biondo scuro e un fisico atletico; avrebbe scommesso che sarebbe stato in grado di prenderla in braccio senza fatica sebbene, con il suo metro e settanta, non fosse certo una donna minuta.
L'uomo si fermò a pochi passi da lei, fissandola con occhi azzurri e penetranti. L'intensità di quello sguardo la fece fremere di nuovo, ma non di paura; c'era qualcosa di sensuale nel suo muto apprezzamento. L'uomo aveva l'espressione seria, le labbra serrate e la mascella tesa.
Betty capì dal suo atteggiamento che non era felice di trovarsi lì, e ciò la infastidì non poco. Che motivo aveva quello sconosciuto di guardarla con irritazione, come se gli ostacolasse la strada?
Immobile, Betty ricambiò il suo sguardo.
«La dottoressa Jacinth?» chiese lui, quasi incredulo, con voce roca e profonda.
«Sì. E lei chi è?»
«Il dottor Sturlusson» sbottò lo sconosciuto, visibilmente irritato. «Non è ovvio?»
«No, non lo è affatto. Il dottor Sturlusson ha almeno settant'anni, e lei non sembra un settantenne.»
L'uomo alzò gli occhi al cielo. «Si riferisce a mio padre; io sono il dottor Axel Sturlusson.»
«Capisco. Credevo che sarebbe venuto suo padre a prendermi.»
«Infatti, ma ha avuto un contrattempo. Così, eccomi qua.» Dal suo tono, non sembrava affatto entusiasta all'idea di accompagnarla in città.
«Posso noleggiare un'auto e andare da sola; non vorrei essere di disturbo.»
«Ormai sono qui, quindi verrà con me.»
Il suo tono perentorio la infastidì ancora di più. Il dottor Sturlusson era un uomo cortese; suo figlio Axel invece sembrava arrogante e antipatico. Ma la stanchezza le impedì di discutere oltre.
«D'accordo» disse. «Mi faccia strada.»
Lui le guardò i piedi. «Lo sa che siamo in Islanda ed è inverno, vero?»
«Certo che lo so.»
«Quei tacchi sono ridicoli.»
Betty seguì il suo sguardo. «Sono stivali.»
«Fuori è tutto ghiacciato» l'avvisò, arcigno.
«Ma non mi dica» sbottò lei. Era troppo stanca per continuare a battibeccare con quel possente vichingo nel bel mezzo della sala arrivi.
Lui la guardò, torvo. «Non apprezzo il suo sarcasmo.»
«Né io apprezzo il suo tono. Le assicuro che, se riesco a guidare a Manhattan nell'ora di punta, raggiungere il centro di Reykjavik sarà uno scherzo.»
Lui accennò un sorriso, e un lampo divertito gli balenò all'improvviso nello sguardo. «Davvero?»
«Già, e riesco a farlo con i tacchi.»
Ora era visibilmente divertito. «Be', le faccio le mie scuse ma, visto che sono qui, perché non mi permette di accompagnarla?»
«Grazie.»
Axel le fece strada verso l'uscita e Betty lo seguì trascinandosi dietro la valigia, fin troppo consapevole del rumore dei tacchi alti sul pavimento ma rifiutandosi di cedere ad Axel Sturlusson. Non era diventata un chirurgo rinomato tirandosi indietro; aveva imparato a tenere duro.
Tranne per quanto riguardava Thomas. Betty si era lasciata calpestare da lui, e per questo odiava se stessa.
All'uscita dell'aeroporto, Betty si sentì colpire da una raffica gelida completamente diversa dalle temperature alle quali era abituata a Manhattan o nel Tennessee, dov'era nata.
«Vado a prendere la macchina; mi aspetti qui» disse Axel, voltandosi.
Betty si limitò ad annuire mentre tirava fuori un cappello di lana e un paio di muffole. Erano l'antitesi della moda, ma pazienza, stava congelando!
Il SUV di Axel si accostò al marciapiede pochi minuti dopo, e lui scese per afferrare la sua valigia e la borsa e sistemarle dietro, lei fece un passo verso l'auto ma la caviglia si contorse.
Perse l'equilibrio ma, prima che potesse precipitare a terra, fu avvolta da due braccia possenti che la strinsero con delicatezza. Alzò lo sguardo e si trovò quei sorprendenti occhi azzurri. Era così vicina a lui che si accorse, per la prima volta, quanto fossero intensi, e rimase senza fiato. Come se le avessero trafitto l'anima, con un effetto a dir poco conturbante.
«Le avevo detto che quegli stivali erano ridicoli; sapevo che sarebbe scivolata» borbottò lui, rimettendola in piedi.
«Non ho visto il ghiaccio» disse lei, senza lasciare la presa.
«Be', con quelli ai piedi finirà per ammazzarsi.»
Senza lasciarle l'opportunità di rispondere o reagire, Axel si chinò per poi caricarsela sulla spalla. Capovolta, Betty godeva di un'ottima visuale del suo fondoschiena. Di certo era l'incontro più inconsueto che avesse mai avuto, soprattutto alla luce del fatto che avrebbero lavorato insieme in ospedale. Come prima impressione, non era delle migliori, ma neanche tra le peggiori.
«Ehi!» gridò, senza però cercare di divincolarsi.
«Che c'è?» chiese lui mentre si avvicinava al SUV, la mano ancorata sul suo fondoschiena.
«Mi metta giù!»
«Lo farò, una volta che sarà fuori pericolo.»
«Non può trattarmi così, grande omone vichingo!»
Axel la posò sul sedile del passeggero. Sulle labbra gli aleggiava un sorrisetto compiaciuto e accondiscendente.
«Ma se l'ho portata in salvo! Così non dovrà passare il primo mese a Reykjavik a letto con una caviglia rotta. Mio padre non sarebbe felice se la lasciassi cadere.»
Betty lo fulminò con lo sguardo mentre lui si sedeva al posto del guidatore.
«Si allacci la cintura» le ordinò poi.
«È sempre così perentorio?» borbottò mentre gli ubbidiva.
«Solo con le persone che non sanno vestirsi per affrontare il gelo.»
La rabbia di Betty si affievolì e cercò di reprimere un sorriso divertito.
«Ho degli scarponi più adatti, ma sono in valigia.»
«Lo spero. Altrimenti potrà noleggiarne un paio in un negozio a pochi passi dal suo appartamento. È vicino all'ospedale, ma anche al mare, e da quelle parti il ghiaccio può essere pericoloso» affermò Axel, mentre si lasciavano l'aeroporto alle spalle.
«Come fa a sapere dove alloggio?» chiese Betty.
«È stato mio padre a trovarle l'appartamento. E, come ho detto, mi ha incaricato di fare le sue veci. In questo periodo è sovraccarico di lavoro in ospedale, così mi sono occupato io di tutto.»
Le ultime parole le pronunciò in tono guardingo e, vedendogli serrare la mascella per lo stress, Betty si chiese se l'anziano dottor Sturlusson, non fosse malato piuttosto che oberato di lavoro. E se Axel le stesse nascondendo la verità? Betty riconosceva lo sguardo di Axel, così come le era familiare il dolore che si provava nel veder morire un genitore. Aveva perso la madre da piccola, e per anni erano stati soli lei e suo padre, finché non si era ammalato. Betty si era presa cura di lui mentre cercava di portare a termine il primo anno di specializzazione.
«Mi spiace che suo padre stia male» disse con dolcezza.
«Chi ha detto che sta male?»
«L'ho capito dalla sua espressione, dal suo tono di voce. Credevo che...»
«È un uomo molto impegnato» sbottò Axel.
«Okay.»
«Non ha il tempo di dedicarsi ad altro» borbottò Axel, rabbuiandosi. Senza aggiungere altro, tenne lo sguardo puntato sulla strada, la mascella serrata e un'espressione seria negli occhi azzurri.
«Mi scusi se ho fatto una supposizione errata. Ho perso mio padre da poco, e so che avevano la stessa età.»
«Non si preoccupi» le disse con dolcezza. «E le faccio le mie condoglianze. Mio padre aveva molta stima del suo.»
«Grazie.»
Betty guardò fuori dal finestrino, gli occhi appesantiti per la stanchezza dopo il lungo viaggio.
Sentendo il suo respiro profondo e regolare, Axel la guardò. Betty si era addormentata con la testa appoggiata al finestrino. Era davvero bella; questo non l'aveva previsto. A dire il vero, non sapeva cosa si fosse aspettato, ma non certo lei.
Capelli biondi, occhi castani e un viso dai lineamenti delicati e vivaci. Era alta, o meglio più alta delle donne che era solito frequentare. Anche se i tacchi gli impedivano di capire quanto. Sembrava tenere a freno un carattere focoso, e Axel non ne capiva il motivo.
Era attratto da lei ma, alla luce del suo passato, per non parlare del fatto che non sarebbe rimasta a lungo in Islanda, era inutile arrendersi a quell'attrazione.
Si rilassò appena.
Inizialmente, Axel era andato su tutte le furie quando suo padre gli aveva ordinato di assistere il nuovo chirugo americano nel suo