Peccati ad alto rischio: Harmony Destiny
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Anteprima del libro
Peccati ad alto rischio - Andrea Laurence
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Back In Her Husband’s Bed
Harlequin Desire
© 2014 Andrea Laurence
Traduzione di Giada Fattoretto
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-811-8
1
«Signor Reed, il sistema di sorveglianza ha individuato Barracuda alla postazione tre, accanto alle slot machine.»
Nate sorrise. Annie era caduta nella sua trappola. Sapeva che non avrebbe resistito alla tentazione di partecipare al torneo di poker, anche se significava tornare sulla scena del crimine. In qualità di proprietario e manager dell’hotel e annesso casinò Desert Sapphire far localizzare Annie dagli uomini della sicurezza era gioco da ragazzi per Nate.
«I monitor lo confermano. Si sta dirigendo verso il tavolo da poker.» Gabriel Hansen, il capo della sicurezza, si portò una mano all’auricolare e ascoltò con attenzione, poi annuì. «Sta giocando la mano alla texana con Nakimori e Kline.»
«C’era da scommetterci.» Nate si avviò verso l’ascensore. Non c’era tempo da perdere. Il magnate giapponese e il petroliere avevano soldi a palate e si sarebbero presto ritrovati senza un centesimo se non si sbrigava a intervenire. Non a caso la chiamavano Barracuda.
«Ha bisogno di aiuto, Signor Reed?» Gabe era anche il suo migliore amico, nonostante il tono formale che usavano a lavoro. Gabe sapeva cosa significava l’arrivo di Annie. Si era offerto di accompagnare Nate più per amicizia che per senso del dovere.
Nate sospirò e assicurò il nodo della cravatta di seta. Aveva il sentore che Gabe avrebbe goduto nell’ammanettare Annie e scortarla all’interno del casinò di modo che tutti potessero vederla. A essere onesti la cosa non gli sarebbe dispiaciuta, ma lei non avrebbe mai accettato il piano che voleva proporle se Gabe l’avesse umiliata in quel modo. «No, è tutto sotto controllo.»
Grazie al tesserino di riconoscimento fece scendere l’ascensore dalla sua suite al venticinquesimo piano fino all’ingresso principale del casinò. Le porte si aprirono sul corridoio che portava agli uffici, dove si amministravano le attività del casinò.
Il percorso per raggiungere l’area di gioco non era lungo, ma a Nate sembrò infinito. Annie era lì. Nel suo casinò. Dopo tre interminabili anni. Avrebbe dovuto essere eccitato all’idea di poterla finalmente affrontare. Di vendicarsi, annientandola. Se non proprio elettrizzato, quanto meno compiaciuto. Il piano stava funzionando, eppure non era soddisfatto.
Aveva la gola secca, il cuore a mille. Si sarebbe potuto dire che fosse nervoso, ma non era da lui. Assurdo: Nathan Reed, milionario, proprietario di un casinò, ex scapolo più ambito di Las Vegas, nervoso. Che idea ridicola. Eppure Annie era sempre stata il suo tallone d’Achille.
Nate girò l’angolo e spiò l’entrata della sala da gioco. La riconobbe all’istante. Era di schiena, curva sulle carte che teneva in mano, le gambe accavallate sotto al tavolo. I lunghi capelli corvini le ricadevano sulle spalle abbronzate. Accanto a lei Nakimori si appoggiò allo schienale della sedia, gettando contrariato le proprie carte sul banco.
Nate si fermò dietro ad Annie, posandole una mano sulla spalla. Non batté ciglio. Lo stava aspettando. Iniziava lo spettacolo.
«Signori» esordì, rivolgendo un’espressione sicura agli altri giocatori e stringendo loro la mano. «È bello avervi di nuovo qui al Sapphire. Come procede oggi?»
Jackson Kline ricambiò il sorriso. «Andava benone finché non è arrivata questa bambolina... mi ha spillato più soldi della mia ex moglie.»
Nate sorrise e annuì affabile. «Allora sono certo che non vi dispiacerà se vi privo della sua compagnia.»
«Siamo nel bel mezzo di una partita.»
Erano le prime parole che gli rivolgeva da quando era sparita nel nulla. Non un ciao né mi dispiace o ti trovo bene. Si era lamentata perché aveva interrotto la mano a poker.
Nate si sporse a baciarle l’orecchio. Il familiare profumo del suo shampoo al gelsomino lo inebriò. Gli ricordava le notti passate con lei a fare l’amore, ma questa volta non ci sarebbe cascato. «Dobbiamo parlare. Chiudi.» La richiesta era semplice, ma decisa.
«Bene, signori» sospirò Annie. «Credo di dover lasciare.» Fece scivolare le carte sul tavolo e scostò con delicatezza la mano di Nate dalla spalla. La lasciò fare, arretrando abbastanza da permetterle di alzarsi.
«Arrivederci» la salutarono i due, visibilmente sollevati.
Annie afferrò la borsetta in pelle rossa e si avviò verso l’uscita con Nate che la marcava stretto. La affiancò, prendendole il gomito con fermezza, guidandola verso l’ascensore.
«Toglimi le mani di dosso» sibilò lei. Cercò di divincolarsi con scarsi risultati.
Nate non riuscì a trattenere una risata. «Scordatelo. Sappiamo benissimo cos’è successo l’ultima volta. Se preferisci ti faccio scortare dagli uomini della sicurezza.»
Annie si fermò improvvisamente, strattonando Nate perché la guardasse. Lo fissò con occhi azzurri intrisi di rancore. Occhi che lo penetrarono, creando una subitanea connessione. «Non ne avresti il coraggio» lo sfidò.
Dio, era ancora bellissima. Lo eccitava, come sempre. L’attrazione tra loro non si era affievolita; era stato quello a unirli. Ma non era bastato a far durare la loro storia. Gli scocciava da morire che Annie avesse ancora quell’effetto su di lui dopo tutto quello che gli aveva fatto.
«Scommettiamo?» rispose. Si protese vero di lei, finché non si ritrovò a pochi centimetri dal suo viso. «Mi stai mettendo alla prova?» Nate si voltò di scatto senza attendere una risposta, trascinandola nervosamente con sé.
Annie si mise l’animo in pace e non oppose resistenza. Non la lasciò finché non entrarono nella sua suite. A quel punto lei si liberò dalla stretta e si mise a sedere irritata su un divano di pelle.
«Quindi?» gli chiese. «Mi hai trascinata quassù facendomi lasciare una mano da cinquemila dollari. Cosa vuoi?»
Nate evitò di accomodarsi, scegliendo invece di appoggiarsi all’enorme scrivania in mogano che un tempo era appartenuta a suo padre. Incrociò le braccia al petto e inspirò profondamente. «Ho una proposta per te, Barbara Ann.»
Annie inarcò le sopracciglia, sospettosa, palesemente incurante del fatto che l’avesse chiamata con il nome di battesimo. «Non hai niente che mi possa interessare, Nathan, o il mio avvocato avrebbe già avanzato una richiesta.»
«Non è vero. Posso darti quello che desideri da tre anni: il divorzio.»
Lo scrutò, probabilmente cercando di capire dove stava la fregatura. «Sono anni che tu e i tuoi avvocati tirate per le lunghe il processo, che tra l’altro mi sta costando una fortuna in spese legali. E adesso me lo offri su un piatto d’argento?»
«Non esattamente.» Nate sorrise e si versò dello scotch. L’avrebbe tenuta in sospeso per un po’ per prolungarle la tortura. Lei l’aveva fatto aspettare anche troppo. «Qualcosa da bere?» le offrì sollevando il bicchiere, più per cortesia che per il desiderio di farla sentire a suo agio.
«Sai che non bevo.»
Nate si irrigidì. Se n’era dimenticato. Annie odiava il modo in cui l’alcol le faceva perdere il controllo. È sorprendente quanti dettagli scivolino via quando non si sta più con una persona. Quali altre cose aveva archiviato? «Allora una soda? Acqua?»
«No, sto bene così, grazie.»
Nate mise del ghiaccio nel suo bicchiere e annuì soddisfatto prima di versare il liquido ambrato. «Molto bene.» Bevve un sorso, apprezzando la sensazione di calore che si irradiava nello stomaco. Lo faceva sentire più sicuro e lo distoglieva dai pensieri libidinosi che voleva ignorare a tutti i costi.
Ogni minuto trascorso con lei diventava sempre più difficile. Annie aveva lo strano potere di fargli ribollire il sangue. Era qualcosa che andava oltre la bellezza esotica o l’intelligenza fuori dal comune. Ricordava ancora la sensazione di quei capelli setosi sul suo petto mentre era sopra di lui, la musicalità della sua risata. Era una combinazione letale. Il solo rincontrarla era bastato per riaccendere la passione mai sopita.
Ma poi si ricordò che lei voleva il divorzio. Che l’aveva lasciato dopo meno di due settimane di matrimonio e non si era più fatta sentire se non attraverso il suo avvocato per l’avvio delle pratiche.
Avrebbe dovuto essere grato ad Annie per essersi preoccupata di chiedere la separazione. Sua madre non si era presa nemmeno quella briga. Era solo sparita, facendo sprofondare suo padre in una spirale depressiva che aveva quasi portato alla rovina il Desert Sapphire e l’eredità del nonno. Nate era più forte. Aveva ricostruito l’hotel e salvato l’attività anche se Annie l’aveva piantato. Non si sarebbe fatto annientare da una donna.
Anche se la donna in questione era favolosa.
Lo guardò con circospezione mentre si avvicinava a lei, sorseggiando il suo drink. «Di sicuro non hai cambiato idea così all’improvviso, quindi dimmi cosa sta succedendo.»
Certo che non aveva cambiato la sua posizione. Anzi, il pensiero di accontentarla lo tormentava, ma la competizione era più importante. L’organizzazione che sponsorizzava il più prestigioso torneo di poker del settore aveva un contratto in essere con un altro casinò. Per convincerli a passare al Desert Sapphire gli ci erano voluti tre anni e un paio di promesse che avrebbero richiesto la collaborazione di Annie per poter essere mantenute.
«Ho in mente un piano per rendere il torneo un evento senza precedenti, e tu sei la persona che mi serve per questo lavoretto.» Fece una pausa, prendendo un altro sorso di scotch, pensieroso. «Se firmo i documenti e ti concedo il divorzio dovrai aiutarmi.»
«Non capisco. Come potrei...»
Nate la interruppe con un gesto della mano. «Sono sicuro che hai sentito parlare delle truffe che circolano nel poker. Si sta spargendo la voce e la reputazione dello sponsor per il torneo ne sta risentendo. Tutti credono che colpiranno anche durante la gara.»
Annie sospirò. «Circolano sempre voci di questo genere, ma si risolve sempre tutto in una bolla di sapone. Chi viene beccato di solito è un pesce piccolo in confronto alle montagne di soldi che girano in questi eventi. Qual è il punto?»
«Ospitare il torneo farebbe pubblicità al mio hotel. Come sai negli ultimi vent’anni si è sempre svolto al Tangiers. Convincere gli organizzatori a spostarlo qui mi è costato più di qualche semplice trattativa. Volevano garanzie concrete sul fatto che chiunque fosse stato beccato a imbrogliare durante la gara sarebbe stato smascherato e denunciato, per lanciare un messaggio alla gente.»
«E come mai si fidano più di te che dei proprietari del Tangiers?»
«Perché ho uno dei migliori sistemi di sicurezza che ci sono in circolazione, oltre ai migliori uomini. Usiamo tecniche molto più all’avanguardia rispetto agli altri casinò.»
«Non esagerare. Non credo che riuscirai a fermare chi bara.»
«Questo hotel era sull’orlo della bancarotta quando l’ho rilevato da mio padre. Non stava bene all’epoca e c’era chi si approfittava bassamente della situazione. Il problema più grave era il gioco d’azzardo, soprattutto fra gli stessi impiegati. Volevo darci un taglio e ho investito tutto ciò che potevo in sistemi ad alta tecnologia per arginare in modo radicale il fenomeno. Negli ultimi cinque anni le perdite dovute ai truffatori sono scese dell’ottanta per cento.»
«Allora, se sei così bravo, perché hai bisogno di me?» Annie incrociò le braccia, sulla difensiva, premendo il seno all’interno della profonda scollatura del top rosso senza maniche.
Solo un rapido sguardo a quelle morbide, femminili curve lo iniettò di desiderio, tanto da costringerlo a voltarsi. «Perché» spiegò, «ho il sospetto che questa sia un’operazione più elaborata rispetto alle solite. Sono coinvolte diverse persone... facce nuove con la fedina penale pulita. Ma dobbiamo riuscirci. Se sgominiamo questa banda mi hanno garantito un contratto di dieci anni per il torneo. Nemmeno mio nonno era mai arrivato a tanto.»
«E quindi?» intervenne lei. «Secondo te so chi è coinvolto?»
«Credo che tu abbia dei sospetti. Sei nel giro da anni e ne avrai sentite di storie.» La fissò. «E credo anche che saresti in grado di stanarli se avessi la giusta... motivazione.»
Annie si alzò di scatto, allertata da quella proposta. «Non sono una spia.» Non si sarebbe rovinata la reputazione per nulla al mondo. Nemmeno in cambio di un divorzio o di attenzioni da parte di un uomo affascinante come Nate. L’onore prima di tutto.
«Se ci muoviamo bene nessuno saprà mai che sarai un’infiltrata.»
«E come? Ci sono telecamere ovunque. E poi è probabile che questi tipi abbiano dei complici, magari anche tra i tuoi dipendenti. Non credi che noteranno che comunichiamo?»
«No. Impossibile.»
Non le aveva detto tutto. Lei era una pokerista, ma lui giocava a scacchi. Era tre mosse avanti. Annie odiava quando qualcuno si dimostrava più furbo di lei. «Illuminami.»
Lui le rivolse un sorrisetto scaltro. «Qui non ci sono telecamere.»
Annie scrutò l’ufficio e il buio corridoio che portava alla suite di Nate. Sperava sinceramente che fosse la verità. Altrimenti avrebbero avuto degli spettatori durante la loro notte di nozze. «E nessuno si insospettirà vedendomi nella tua suite? Vedendomi trascorrere il tempo con il proprietario del casinò?»
«Perché non dovresti passare il tempo con tuo marito?»
Le si gelò il sangue nelle vene. Se c’era una cosa che la rassicurava era che nessuno era a conoscenza dell’errore che avevano commesso. Il loro matrimonio era un segreto che aveva condiviso solo con la sorella, Tessa, e sua madre. Certo, con il tempo