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Il reggente del deserto (eLit): eLit
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E-book180 pagine1 ora

Il reggente del deserto (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Gli eredi segreti 1
Due uomini potenti e determinati, due storie appassionanti e indimenticabili.

Sayid al Kadar è stato addestrato fin da bambino a essere un soldato, un guerriero senza paura: il suo ruolo è combattere, non è destinato a diventare il sovrano del regno.
Ma, suo malgrado, si ritrova a ricoprire il ruolo di reggente di Attar, e a dover prendere una decisione assai difficile quando scopre l'esistenza del vero erede al trono. Un neonato che ha intenzione di proteggere a qualunque costo.
La zia del bambino, però, si dimostra fin da subito un ostacolo quasi insormontabile: Chloe James non sembra volersi mettere da parte, ma Sayid conosce il modo migliore per vincere le sue resistenze.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mag 2018
ISBN9788858987520
Il reggente del deserto (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    Il reggente del deserto (eLit) - Maisey Yates

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Heir to a Desert Legacy

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2013 Maisey Yates

    Traduzione di Alessandra De Angelis

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-752-0

    1

    Sayid al Kadar si guardò intorno, scrutando la strada deserta, poi sollevò il bavero del soprabito per riparare la nuca dalla fastidiosissima pioggerellina. Trovava il tempo di Portland assolutamente insopportabile.

    Anche questa parte della città, leggermente più accettabile, sembrava una prigione di cemento, acciaio e vetro. I marciapiedi, gli edifici smisurati, le strade gli trasmettevano una sensazione di claustrofobia. Non era il posto adatto a uno come lui né all’erede al trono di Attar. Eppure, stando alle informazioni raccolte nelle ultime ore l’erede al trono era proprio lì.

    Appena aveva scoperto i documenti nella cassaforte in cui li aveva nascosti suo fratello, aveva provato l’impulso di scoprire se l’erede fosse vivo. Non solo Alik aveva confermato l’esistenza del bambino, ma gli aveva rivelato a tempo di record dove si trovasse. Sayid non avrebbe dovuto sorprendersi della rapidità e dell’efficienza del suo amico: Alik era infallibile.

    Sayid infilò le mani in tasca e attraversò la strada vedendo una donna dirigersi verso il palazzo che lui stava sorvegliando. Quando la incrociò le sorrise, sfruttando il fascino che solitamente teneva ben nascosto e non si curava di esercitare sulle persone. Il suo piccolo stratagemma funzionò, perché la donna digitò il codice per aprire il portone e lo fece passare con un sorriso seducente.

    Sayid non raccolse il suo tacito invito e attese un altro ascensore, poi salì all’ultimo piano, sempre più teso. Per quanto si sentisse fuori posto in quell’ambiente, era sollevato di trovarsi lontano dal palazzo.

    Quando le porte si aprirono era un fascio di nervi. Percorse lo stretto corridoio dello stabile vetusto, dal pavimento di legno che scricchiolava a ogni passo. Nell’aria aleggiava un’umidità fastidiosa che lo faceva pensare alla cella buia di un carcere.

    Detestava quel clima opprimente; fino ad allora non aveva mai avuto motivo di recarsi negli Stati Uniti. Il suo posto era nel vasto deserto di Attar. Da quando l’aereo era atterrato era rimasto negativamente colpito dall’umidità e dal freddo che gli penetrava nelle ossa.

    Ma forse il gelo che percepiva non era dovuto alle condizioni atmosferiche, bensì al dolore provocato dalla notizia della morte del fratello e della cognata.

    E ora era stato colpito da quella rivelazione: l’esistenza del bambino.

    Di solito non gli piaceva avere a che fare con i bimbi, specialmente quelli piccoli, ma non avrebbe mai evitato quel confronto.

    Si fermò davanti alla porta contrassegnata da una targhetta con il numero dell’interno, il 13, e suonò il campanello. Non ricordava quando fosse stata l’ultima volta in cui aveva fatto quel semplice gesto.

    «Un attimo!» gridò una voce dall’interno. Udì un tonfo, un’imprecazione soffocata, poi un pianto di bambino e il rumore di passi.

    Sentendo qualcuno dietro l’uscio, immaginò che stesse guardando dallo spioncino per decidere se aprire o meno. Era veramente una situazione strana per lui, che di solito aveva sempre qualcuno che gli apriva le porte per farlo passare dovunque al suo arrivo.

    «Chloe James?» chiese, sentendo dei fruscii dietro l’uscio.

    «Sì?» disse una voce soffocata.

    «Sono lo sceicco Sayid al Kadar, reggente di Attar.»

    «Reggente? Interessante. Attar, ha detto? Mi sembra che sia una nazione nordafricana, vicino a...»

    «Sono perfettamente a conoscenza della posizione del mio Paese, e di certo anche lei, ma non perché abbia studiato la geografia, come sappiamo.»

    «Ah, sì?»

    Si udì improvvisamente il pianto acuto di un bambino.

    «Mi scusi, ma ho da fare» disse Chloe in fretta. «Ha svegliato il piccolo e ora dovrò faticare per farlo riaddormentare.»

    «Sono qui per il bambino.»

    «Vuole prendere un appuntamento? Vedo quando è libero» replicò lei, sarcastica.

    «Senta, signorina James, se mi fa entrare magari possiamo parlare con più calma della situazione in cui ci troviamo» disse Sayid sforzandosi di assumere un tono conciliante. Era tentato di buttare giù la porta e prendere il bambino, e non avrebbe neanche faticato troppo, ma preferiva evitare un incidente diplomatico.

    «Quale situazione?»

    «Il bambino» ripeté lui esasperato.

    «Cosa vuole?»

    «Quello che voleva mio fratello. È stato sottoscritto un contratto al riguardo, e lei ne è perfettamente a conoscenza visto che reca anche la sua firma. Ora il documento è in mio possesso, e lei ha due possibilità. O ne parliamo adesso o ci vediamo in tribunale.»

    Sayid in realtà non voleva coinvolgere il sistema legale di nessuno dei due Paesi; avrebbe preferito condurre la transazione senza creare traumi né conflitti e soprattutto con riservatezza, finché i suoi consiglieri non avessero architettato una versione dei fatti per spiegare come avesse fatto a sopravvivere il bambino e perché la sua esistenza non fosse stata resa pubblica nelle settimane successive alla morte dello sceicco.

    Tuttavia la sua priorità per il momento era capire esattamente come fosse la situazione, se il contratto redatto corrispondesse a verità o se i rapporti di suo fratello con Chloe James fossero stati di natura diversa da quanto riportato nel documento.

    In tal caso, sarebbe stato tutto molto più complicato e avrebbe potuto impedirgli di portare via il bambino, un’eventualità che si rifiutava di prendere in considerazione.

    La donna socchiuse la porta lasciando agganciata la catenella; di lei si vedeva solo un occhio azzurro che lo scrutava con sospetto. «Mi faccia vedere un documento.»

    Sayid sospirò, frustrato, poi infilò la mano nella tasca interna del soprabito e tirò fuori il passaporto mostrandolo a quell’occhio dall’espressione malfidata. «Soddisfatta?»

    «Neanche un po’, ma entri.»

    La porta si richiuse, Sayid udì il tintinnio della catenella, poi Chloe spalancò l’uscio. Lui varcò la soglia e si trovò in un ambiente soffocante. Le pareti erano tappezzate da scaffali traboccanti di libri che accentuavano la sensazione claustrofobica. C’erano dei libri e un computer portatile sul tavolino basso davanti al divano e una lavagna bianca su un cavalletto in un angolo con una pila di libri accanto; la mancanza di spazio gli trasmetteva un senso di caos che infastidiva una persona abituata a dare un ordine alla propria vita con precisione militaresca.

    Spostò lo sguardo su Chloe e vide che aveva un fisico minuto ma con il seno prosperoso, la pelle chiara cosparsa di efelidi e capelli di un caldo rosso tiziano. Sayid pensò che, se il bambino fosse stato suo, avrebbe dimostrato una certa somiglianza con lei, perché per caratteristiche genetiche era molto diversa da suo fratello, che aveva la carnagione olivastra, e da sua moglie, che era una bella bruna.

    Chloe aveva il girovita leggermente arrotondato e gli occhi cerchiati per la mancanza di sonno; mostrava tutti i segni di una donna che aveva partorito da poco.

    Ora il bambino non piangeva più e nell’appartamentino era sceso il silenzio. «Spero che si renda conto che questa casa è assolutamente priva di sicurezza. Se avessi voluto, avrei potuto tranquillamente introdurmi con la forza, il che significa che potrebbe entrare facilmente chiunque intenda fare del male al bambino. Non dovrebbe tenerlo qui.»

    «Non saprei dove portarlo.»

    «E dov’è il bambino ora?»

    «Aden?» replicò lei, gelida. «Non vorrà vederlo adesso!»

    «Veramente sì.»

    «Perché?» Chloe si spostò come se volesse bloccargli la strada. Era veramente ridicola; come avrebbe potuto opporsi una donnina come lei a un militare addestrato che avrebbe potuto mettere fuori combattimento senza il minimo sforzo un uomo grosso il doppio? Eppure sembrava intenzionata a tenergli testa con piglio combattivo, come una tigre in miniatura.

    «Perché è mio nipote, sangue del mio sangue» dichiarò Sayid con fierezza.

    «Non credevo che si sarebbe sentito legato a lui.»

    «Perché no?» obiettò Sayid, pur dovendo ammettere in cuor suo che non avvertiva con il piccolo il legame affettivo a cui si riferiva Chloe. Era il sangue a unirli, e Sayid aveva giurato di proteggere l’erede al trono con la vita, se fosse stato necessario.

    Lei batté più volte le palpebre, chiaramente in difficoltà. «Perché non è mai stato molto... vicino alla famiglia» precisò, imbarazzata. «Rashid diceva che...»

    «Ah, Rashid» la interruppe lui. Il fatto che si riferisse a suo fratello usando il nome di battesimo dava adito a sottintesi che non gli piacevano affatto perché la situazione minacciava di essere più complicata del previsto. Se Chloe fosse risultata la madre biologica del bambino, sarebbe stato più difficile estrometterla legalmente.

    Difficile, sì, ma non impossibile...

    E comunque, si disse Sayid, nella peggiore delle ipotesi avrebbe riportato con sé in patria il bambino, con la forza se necessario, anche a costo di creare un incidente diplomatico.

    «Perché quel tono?» notò lei, sospettosa.

    «Mi piacerebbe accertare la natura dei rapporti tra lei e mio fratello, in tutta sincerità» ammise Sayid.

    Chloe incrociò le braccia. «Ho dato alla luce suo figlio» dichiarò flemmatica.

    Al pensiero che il fratello avesse potuto compromettere il futuro della nazione, Sayid fu invaso da una furia calma e lucida, perché la rabbia che gli scorreva nelle vene si raffreddò subito al contatto con il suo sangue gelido.

    Ma il fratello era morto; Rashid non avrebbe subito le conseguenze delle sue azioni e sarebbe toccato a Sayid il compito di assicurare che Attar rimanesse in piedi e continuasse a garantire una vita tranquilla ai milioni di sudditi del piccolo regno in mezzo al deserto.

    Lui estrasse dalla tasca interna del soprabito dei fogli piegati. «Quindi ha sottoscritto questo contratto in modo che, se qualcuno avesse scoperto che non era stata Tamara a dare alla luce Aden, avrebbe creduto che facesse parte dell’accordo?»

    «Co... come?» balbettò Chloe, indignata.

    «Ha accettato d’inventare la storia della madre surrogata per coprire la verità, cioè che lei aveva una relazione con...»

    Davanti a quell’accusa, Chloe sollevò immediatamente le mani in un gesto di difesa. «No, no!» si affrettò a negare. «Ho fatto nascere il figlio di Rashid e Tamara» insistette con voce tremante, carica d’emozione.

    «Perché non si è rivolta a me?»

    «Non so... avevo paura» mormorò Chloe, insicura. «Quando hanno avuto l’incidente stavano venendo da me in ospedale dall’aeroporto. Ero stata ricoverata prima del previsto perché ero già in travaglio. Rashid e Tamara mi avrebbero fatto trasferire in una clinica privata, ma il medico di famiglia era con loro, perciò non c’era nessun altro che fosse a conoscenza dei loro piani.»

    Sayid fece una smorfia carica di sdegno mentre si guardava intorno. «Per cui ha deciso di portarlo qui per proteggerlo? In questo appartamento privo delle più elementari precauzioni di sicurezza?»

    «Nessuno sapeva che fossi qui.»

    «Dopo avere scoperto la sua esistenza ho impiegato pochissime ore a individuare dove si trovasse e a presentarmi alla sua porta. Si ritenga fortunata che sia stato io a scovarla per prima, invece di un nemico di mio fratello o del mio Paese» precisò.

    «Come potevo sapere che lei stesso non volesse fare del male a Aden?»

    «Glielo garantisco ora.»

    Chloe lo fissò negli occhi, scontrandosi con lo sguardo cupo, granitico, di Sayid al Kadar. Le sembrava impossibile che fosse proprio a casa sua. Dopo la nascita di Aden aveva seguito con attenzione tutti i servizi al telegiornale che riguardavano Attar e aveva visto quell’uomo salire al potere assumendo con dignità e piglio sicuro il ruolo di sovrano. Il suo atteggiamento fiero sembrava quasi irreale mentre il suo regno era scosso dalla tragedia. Tutti erano sconvolti dalla notizia che lo sceicco e la moglie erano periti in un incidente insieme al nascituro, erede al trono di Attar.

    Almeno questo era ciò che credevano, perché nessuno sapeva che i futuri genitori avevano usato una madre surrogata, che era sana e salva come il neonato.

    In quei momenti di orrore e concitazione Chloe non sapeva cosa fare, perché durante il parto non era arrivato il medico di fiducia dei reali e poi né Tamara né Rashid si erano fatti vivi. Era stata invasa da un senso di oscuro presagio; in cuor suo, istintivamente, sapeva che era successo qualcosa di grave. Poi aveva chiesto a un’infermiera di accendere il televisore e aveva visto la tremenda notizia su tutti i canali. La famiglia reale di Attar era perita in un incidente automobilistico insieme al medico di fiducia mentre viaggiavano lungo un’autostrada statunitense.

    Davanti a quell’immane tragedia che l’aveva colpita, Chloe non aveva potuto fare altro che cercare di resistere e non crollare in preda alla disperazione, stringere a sé il bambino che non era destinato a crescere come suo figlio, ma che in quel momento aveva al mondo solo lei.

    Aveva trascorso stordita le settimane successive, afflitta dalla perdita della sorellastra, Tamara, nonostante la conoscesse a malapena, e preoccupata perché non sapeva come comportarsi riguardo a Aden, se fidarsi dello zio, il fratello minore di Rashid. Si rendeva conto che, se fosse risultato che Aden era vivo, Sayid non sarebbe stato il sovrano

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