Sfida allo sceicco (eLit): eLit
Di Maisey Yates
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Non è la prima volta che Ferran si trova di fronte alla lama di un assassino, anche se mai era accaduto che a brandirla fosse un aggressore tanto affascinante. In breve tempo lo sceicco disinnesca la minaccia, e a quel punto Samarah deve scegliere tra le grigie catene di una cella e quelle ben più dorate che potrebbero riunire i loro due paesi.
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Anteprima del libro
Sfida allo sceicco (eLit) - Maisey Yates
978-88-3050-026-6
1
Lo sceicco Ferran Bashar, governatore di Khadra, non sarebbe sopravvissuto alla notte. Non lo sapeva ancora, ma era la verità.
Uccidere un uomo non sarebbe mai stato facile. Eppure era per questo che si era allentata, per questo che si era esercitata. Ripetutamente. Cosicché, quando fosse arrivato il momento, non ci sarebbe stata nessuna esitazione. Nessun rimorso.
Attese fuori dalla camera dello sceicco, un panno intriso di cloroformio in mano e un coltello nascosto nell'abito. Lo avrebbe colto di sorpresa.
Come poteva essere sbagliato, quando sapeva cosa la dinastia di lui aveva procurato alla propria? Era una tradizione lunga quanto i loro regni a esigerlo. A esigere che la discendenza finisse con lui.
Esattamente come la propria era finita con suo padre.
Con un'unica figlia sopravvissuta che mai avrebbe potuto portare il suo nome. Con un regno che aveva perso la propria corona e sofferto anni di tumulto.
Ma non c'era tempo per i sentimentalismi. Bisognava agire. Si era fatta assumere un mese prima a palazzo solo con quello scopo. E Ferran non era stato cauto. Certo che non lo era stato. Perché avrebbe dovuto insospettirsi? Perché avrebbe dovuto riconoscerla?
Eppure lei aveva riconosciuto lui. Lo aveva osservato. Studiato.
Era un uomo possente, alto e slanciato, con muscoli pronunciati e una forza impressionante. Lo aveva visto bruciare fino all'ultimo accenno di energia colpendo un sacco da boxe, ancora e ancora. Sapeva come si muoveva. Sapeva fino a quale livello avrebbe resistito. Sarebbe stata pietosa. Non avrebbe sentito nulla.
Non avrebbe saputo cosa stava per accadere. Non avrebbe supplicato per la propria vita. Non avrebbe atteso in una cella la fine della propria esistenza, com'era invece accaduto a suo padre. Lo avrebbe semplicemente finito.
Sì, diversamente da lui, avrebbe dimostrato pietà. Almeno in quel modo.
E quella notte avrebbe vinto.
In caso contrario sarebbe stata lei a non vedere la luce dell'alba. Era un rischio disposta a correre.
Attese, i muscoli tesi, i nervi in allerta. Sentì dei passi, pesanti e regolari. Era Ferran, non poteva sbagliare.
Trasse un profondo respiro e aspettò che la porta si aprisse. Ecco, un taglio di luce sul pavimento di marmo tirato a lucido. Riusciva a vedere il riflesso di lui. Possente. Alto. Da solo.
Perfetto.
Trattenne il fiato e attese.
La porta si chiuse, e lei comprese di dover agire immediatamente. Pronunciò una preghiera appena prima di uscire dall'ombra. Una per la giustizia, una per il perdono. E una per la morte, perché arrivasse in fretta. Per Ferran. Oppure per lei.
Lo sceicco si voltò proprio mentre lei stava per assalirlo. I loro occhi si incrociarono. Così vibranti. Così belli. Così familiari.
A dispetto di tutti gli anni passati, lei lo riconobbe. E in quel momento, tutto ciò che riuscì a fare fu fissarlo. Immobile. Senza fiato.
Fu quell'esitazione a tradirla. Ferran fece un passo di lato, prendendola per il braccio. Lei torse il polso, poi incrociò una gamba dietro l'altra e scivolò per terra, divincolandosi dalla presa.
Lo afferrò per una spalla e usò la sua coscia per piombargli sulla schiena, l'avambraccio intorno al collo, il panno intriso di cloroformio ancora in mano.
Ferran tornò a stringerle il polso, ma questa volta la presa fu più salda. Questa volta sapeva che avrebbe provato a sfuggirgli.
Gemette, rafforzando la stretta sul collo con l'altro braccio. Lui la inchiodò al muro, l'impatto contro la superficie di pietra fu tale da strapparle il respiro.
Gli allacciò le gambe alla vita, poi però lui la scaraventò contro il muro. Poteva anche essere un'ottima lottatrice, ma si ritrovò sopraffatta dalla forza di lui.
Chiuse gli occhi e ripensò alla propria casa. Non le strade di Jahar, ma il palazzo. Quello da cui lei e sua madre erano state allontanate. Dopo l'esecuzione di suo padre per mano di Ferran.
Una scarica di adrenalina le attraversò le vene. Doveva reagire, o sarebbe morta. Ferran era spietato. Non avrebbe esitato a spezzarle il collo.
Si rialzò in fretta e lo colpì con un calcio in pieno viso scaraventandolo a terra, quindi approfittò del vantaggio per piantargli entrambe le ginocchia sulle spalle, una mano alla gola.
Vide i suoi occhi scintillare nel buio.
Doveva farlo subito, finché lo aveva di fronte. E senza l'ausilio del cloroformio.
Allontanò l'ultimo dubbio e infilò la mano nel vestito per afferrare il coltello. Non c'era tempo per dubitare. Non c'era tempo per esitare. Di certo lui non l'aveva fatto, quando si era trattato di giudicare suo padre.
Brandì il coltello ma Ferran le catturò i polsi e riuscì ad allontanarla sospingendo entrambi contro il bordo del letto. Nella lotta la lama del coltello le rigò la guancia. Un rivolo di sangue le scivolò in bocca.
«Chi ti ha mandata?» chiese con voce roca.
«Nessuno. Non mi ha mandata nessuno.»
«E cosa sei venuta a fare?»
«A ucciderti, ovviamente.»
Ferran le torse il braccio, costringendola a lasciare andare il coltello. «Allora hai fallito.»
«Soltanto per ora.»
«E per sempre. Ciò che mi interessa sapere è perché una donna si sia nascosta nella mia camera per togliermi la vita. A ogni modo, considerato che questo non accadrà, né stanotte né mai, forse dovresti cominciare a chiederti perché non dovrei giustiziarti. Per il tentato omicidio di un leader mondiale. Per tradimento. Potrei farlo. Potrei addirittura farti sbattere in cella in questo preciso istante. Basta solo una chiamata.»
«Allora perché non lo hai ancora fatto?»
«Perché uno sceicco sa perfettamente che qualunque cosa, per quanto brutta, può sempre essere sfruttata a proprio vantaggio.»
«Io non ti fornirò mai un vantaggio.»
«Allora goditi la prigione.»
Samarah esitò. Perché non avrebbe fatto un'alleanza con Ferran. Era impossibile. Quell'uomo le aveva distrutto la vita. Rovesciato il governo del suo paese. Messo in fuga i pochi familiari rimasti come fossero cani. Lasciato lei e sua madre per strada a cavarsela da sole fino a quando quest'ultima non era morta.
Le aveva tolto ogni cosa. E lei aveva trascorso la vita con un solo scopo in testa. Assicurarsi che non la passasse liscia. Che la dinastia finisse con lui, esattamente come era finita la propria.
E adesso era sul punto di fallire.
A meno che non si fosse fermata. A meno che non avesse ascoltato. A meno che non avesse fatto ciò che Ferran suggeriva. Voltare la situazione a proprio vantaggio.
«E cosa dovrei darti in cambio della mia libertà?»
«Non ho ancora deciso» affermò lui. «Non ho ancora deciso se la tua libertà sia trattabile o meno.»
Si avvicinò, e Samarah si accorse che adesso era lui a stringere in mano il coltello.
«Non mi fido di te, piccola vipera del deserto.»
«E fai bene, perché ti taglierei la gola se solo ne avessi la possibilità.»
«A ogni modo adesso ho io il coltello, e tu sei l'unica ferita. Ti lascerò andare, per il momento, ma solo se acconsentirai a seguire le mie istruzioni.»
«Dipende da quali siano.»
«Voglio che tu salga sul letto, al centro, e che ci rimanga.»
La ragazza si irrigidì, una nuova paura a scuoterle il corpo. Era preparata a morire. Ma, neppure per un attimo, aveva contemplato l'idea che lui potesse abusare di lei. No, meglio la morte. Lo avrebbe combattuto a ogni costo. Non gli avrebbe permesso di disonorare un'altra volta lei e la sua famiglia. Sarebbe morta lottando, ma non gli avrebbe permesso di violentarla.
Meglio la lama di un coltello che lui.
Anche se il Ferran che conosceva...
In fretta si liberò del pensiero. Ferran era capace di qualsiasi cosa. E non aveva nessuna lealtà. Non importava chi fosse stato in un altro tempo. Non quando aveva dato prova della propria falsità. Non quando aveva dimostrato come fosse stata tutta una farsa.
Non si mosse, e nemmeno lui lo fece.
«Non mi toccherai.» La voce adesso era tremante.
«Non ho nessuna intenzione di toccarti. Ho semplicemente bisogno di tenerti d'occhio. Sei minuta, certo, eppure sei forte, altrimenti ti avrei sopraffatta con facilità. È per questo che ho dovuto usare la mia stazza come vantaggio. Adesso, però, ho anche un'arma. Ma non mi fido. Per cui sali sul letto, al centro, le mani in grembo. Non voglio disonorarti o umiliarti ulteriormente, e nemmeno sono dell'umore giusto per fare sesso. Da questo punto di vista sei al sicuro.»
«Preferirei morire, piuttosto.»
«E io sarei il primo a ucciderti, per cui mi sembra che l'accordo sia stato raggiunto. Quindi adesso sali sul letto e siediti.»
Finalmente lei obbedì. Si mise al centro del materasso. Letti del genere appartenevano al passato, un passato che ricordava appena. Da quando era scappata dal palazzo di Jahar aveva dormito su giacigli di fortuna, su pavimenti di legno e ruvide lenzuola. Nel retro di un negozio. Al piano superiore dello studio di arti marziali in cui era solita allenarsi. Nello sporco di un vicolo. Era stato al palazzo di Khadra, dove era entrata a lavorare come serva, che aveva dormito per la prima volta in un letto dopo sedici anni.
Un letto a una sola piazza, ma morbido e con due cuscini. Un lusso che aveva dimenticato, e si era scoperta in colpa ad apprezzarlo. La prima settimana aveva dormito sul pavimento per dispetto, anche se non era durata.
E adesso era sul letto di Ferran. Il pensiero le fece accapponare la pelle.
Appoggiò le mani sul grembo. E attese. Non c'era ragione di fidarsi della sua parola, non quando nel sangue gli scorreva tanto disonore.
Si era macchiato della peggiore delle colpe. L'esecuzione di suo padre. L'ordine era stato suo. A nulla erano serviti la promessa di un legame tra le famiglie reali o i sorrisi scambiati tra amici.
Di conseguenza, non si fidava neppure del giuramento di non toccarla.
«Te lo chiederò di nuovo» la ammonì. «Chi ti ha mandata?»
Credeva ancora fosse una pedina. Ancora non aveva capito.
«Agisco di mia iniziativa. Te l'ho già detto.»
«A che scopo?»
«Vendetta.»
«Capisco. E quale torto ti avrei fatto?»
«Hai ucciso il mio re, sceicco Ferran.»
«Non è mia abitudine uccidere la gente.» Il tono era gelido.
«Forse non in prima persona, ma sei stato tu a ordinare il processo che ha sentenziato l'esecuzione dello sceicco di Jahar. E si dice anche che tu abbia avuto un certo ruolo nell'assedio del palazzo. Ricordo quel giorno fin troppo bene... non ho mai visto tanta violenza.»
Ferran raggelò, la tensione nel corpo evidente, il pugno stretto intorno al coltello. E, per la prima volta, lei ebbe davvero paura. Per la prima volta guardò l'uomo e vide lo spietato guerriero del deserto di cui tanto aveva sentito parlare. Trenta giorni a palazzo le avevano mostrato una persona più civile di quanto si fosse aspettata. Ma non lì. Non in quel momento.
«Non c'è stato alcun sopravvissuto nel raid al palazzo di Jahar.»
«Purtroppo per te ce ne sono stati, invece. Vedo che capisci da dove vengo.»
«L'intera famiglia reale,