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Una felicità inaspettata
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E-book152 pagine2 ore

Una felicità inaspettata

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Info su questo ebook

Thea: Quando ho preso posto accanto al nuovo consulente, il dottor Lucas West, ho avuto bisogno di tutto il mio autocontrollo per non correre fuori dalla stanza. Non vedevo Lucas da sette anni, da quando ha lasciato che mi imbarcassi da sola sul volo per il Bangladesh, abbandonandomi con il cuore a pezzi e la consapevolezza che nulla sarebbe stato più come prima.
Lucas: Lasciare Thea è stato uno degli errori più grandi della mia vita. Ora sono cambiato, sono un padre single e ho imparato a prendermi le mie responsabilità. L'unica cosa che è rimasta immutata è l'attrazione che provo per lei. Riuscirò a convincerla a dare al nostro amore una seconda possibilità?
LinguaItaliano
Data di uscita10 mar 2021
ISBN9788830526747
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    Anteprima del libro

    Una felicità inaspettata - Annie Claydon

    sconosciuta.

    1

    Sette anni dopo – Primo giorno

    Non c'era nulla d'urgente nel modo in cui il telefono squillò, ma tutto andava inserito nel giusto contesto. Non molte persone chiamavano alle sette di un lunedì mattina solo per una semplice chiacchierata. In fondo, era una delle leggi dell'universo: se si arriva al lavoro presto, sperando di godersi un paio d'ore di quiete prima dell'apertura del centralino, allora succederà qualcosa.

    Afferrò il telefono. «Dottoressa Coleman.»

    «Grazie al cielo sei qui...»

    «Che succede, Jake?» chiese, osservando l'ordinata pila di scartoffie che aveva di fronte. In confronto al disordine caotico del reparto d'Emergenza del Central London, quella era una pallida imitazione della realtà.

    «Ho un paziente maschio di trentaquattro anni su cui vorrei una seconda opinione. Verresti a dargli un'occhiata?»

    «Scendo subito.» Certo, il lavoro d'ufficio era importante, ma non la faceva sorridere quando si svegliava la mattina. E, mentre metteva giù il telefono, Thea stava sorridendo.

    «Dove sono tutti?»

    Jake Turner era un bravo ragazzo e un buon medico, ma di solito non badava molto agli orari. I turni caotici del reparto d'Emergenza avevano quell'effetto.

    «Sono le sette di mattina, Jake. Le persone normali non si saranno neanche alzate dal letto.»

    «Ah. Ecco perché ho dovuto fare parecchie telefonate.»

    «Quindi non sono stata la prima persona a cui hai pensato? Sono molto delusa.»

    Jake rise. «Ho provato a chiamare Michael Freeman. Pensavo che volesse essere messo al corrente della situazione.»

    Michael era il direttore del reparto di Pneumologia dell'ospedale. «Allora, cosa avrebbe dovuto richiedere le attenzioni del nostro amato direttore? Non vedo nessun buco nel muro o dignitario in visita.»

    «Derek Thompson. Maschio, trentaquattro anni, tosse persistente, polmoni congestionati e recente perdita di peso. Gli ho fatto fare delle lastre e credo che possa essere tubercolosi.»

    «Anamnesi?»

    «Sta male da qualche tempo. Il suo medico di base gli ha dato degli antibiotici e per un po' è migliorato, ma poi ha avuto una ricaduta dopo la fine della terapia. È arrivato la scorsa notte con dolori al petto e difficoltà respiratoria.»

    Thea sfogliò gli appunti che Jake le aveva dato. «È stato all'estero, ultimamente?»

    «No. Niente di niente. Ed è un professore.»

    «Dove insegna?»

    «Nella scuola in fondo alla strada.»

    Un brivido le corse lungo la schiena. Duemila studenti, tra gli undici e i diciotto anni, chiusi in una sovraffollata scuola del centro città. E un caso sospetto di tubercolosi. «Fantastico. Spero che tu ti stia sbagliando, Jake.»

    Ma era improbabile. Jake era un medico troppo in gamba.

    «Già. Speriamo.»

    Michael Freeman, direttore del reparto di Pneumologia, si appoggiò allo schienale della poltrona di pelle, massaggiandosi il collo come se gli facesse male. «Siete sicuri?»

    «Sì. Ho segnalato l'urgenza delle analisi e dovremmo avere i risultati entro ventiquattr'ore. Ma il paziente ha tutti i sintomi della tubercolosi polmonare.» Thea tirò fuori le lastre dalla cartellina e le appese sulla lavagna luminosa.

    Michael le studiò attentamente. «Sono d'accordo. Pensate di ricoverarlo?»

    «Sì, voglio tenerlo sotto osservazione per qualche giorno.» Thea indicò i punti che evidenziavano presenza di liquido nella cavità pleurica del paziente. «Il versamento pleurico potrebbe risolversi quando inizieremo la terapia, ma se peggiorasse dovremo praticare una toracentesi.»

    «Sono d'accordo. Voglio che supervisioni tu stessa le procedure d'isolamento e le notifiche. Se il contagio si è già diffuso, voglio che ci pensi tu.»

    «Spero che non ce ne sia bisogno.»

    Michael si appoggiò nuovamente allo schienale. «Lo spero anch'io. Cosa ne pensi? Quale potrebbe essere la peggiore delle ipotesi?»

    Quello era il modus operandi preferito di Michael. Conosceva già le risposte e, da direttore del reparto, era compito suo prendere decisioni. Ma ascoltava sempre i suoi medici, lasciandoli arrivare alle sue stesse conclusioni.

    «Dato che la tubercolosi non è così contagiosa...» iniziò a dire Thea, poi sospirò. Quel falso ottimismo certo non aiutava. «La peggiore delle ipotesi sarebbe avere un numero indefinito di ragazzi infetti. Il paziente non è stato all'estero negli ultimi cinque anni, quindi la fonte del contagio molto probabilmente è in quest'area. Rintracciare tutte le persone con cui è entrato in contatto sarà un lavoro duro e dovremo svolgerlo con attenzione. Non vogliamo diffondere il panico, ma dobbiamo fornire controlli immediati dove necessario.»

    Michael annuì. «Certo. E cosa suggerisci per iniziare le ricerche?»

    «Non possiamo farlo da soli. Dobbiamo consultare l'Istituto Sanitario Nazionale e probabilmente richiedere un altro paio di infermieri specializzati per dare una mano al personale ospedaliero.»

    «Hai idee su chi potrebbe dirigere la squadra dell'ospedale?»

    «Credevo che lo facessi tu.»

    Michael le rivolse il sorriso che riservava a chi non riusciva a stargli dietro. «Dalla tua cartella personale so che hai lavorato in Bangladesh per due anni, in una clinica per la tubercolosi.»

    «Tre anni fa.» Thea non parlava mai del Bangladesh. Era sorpresa che Michael sapesse che c'era stata, ma probabilmente doveva aver letto il suo curriculum.

    «Vuoi dire che hai dimenticato tutto quello che hai imparato lì?»

    Non se lo sarebbe dimenticato mai. Le sofferenze che aveva visto in quella clinica, durante il suo primo, breve viaggio, avevano messo in secondo piano il suo dolore. Il sogno di Lucas era diventato il suo e lei aveva capito che sarebbe dovuta tornare in quel paese.

    Due anni dopo ci era riuscita, ed era andata in Bangladesh a lavorare. E poi era successo. Quello che era accaduto era stato talmente traumatico e impossibile da dimenticare che aveva distrutto tutto e l'aveva spinta a tornare a casa. Ma ormai era acqua passata. Doveva andare avanti.

    «Se vuoi che qualcun altro diriga la squadra dell'ospedale, allora vorrei che tu mi tenessi in considerazione come candidata. Credo di avere i requisiti necessari.»

    Michael annuì sorridendo, facendole capire che la conversazione stava procedendo proprio come si era aspettato. «Mi fa piacere che tu lo pensi, perché avevo in mente proprio di offrirti la direzione della squadra. A una condizione, però.»

    «Quale?» chiese Thea. Michael aveva pronunciato quelle parole in un modo che non le piaceva.

    «La conferenza di cui ti ho parlato la settimana scorsa. Quella per cui non hai mostrato alcun interesse.»

    Thea sentì il cuore sprofondarle nel petto. «Quella a Mumbai, dove ti è stato chiesto di presentare una relazione sulla diffusione della tubercolosi a Londra.»

    «Proprio quella. Ma chiedono solo che un rappresentante del reparto presenti una relazione. Non hanno mai menzionato il mio nome.» Michael fece una pausa, guardandola negli occhi. «La maggior parte delle persone farebbe carte false per un'occasione del genere.»

    Ma Thea non era come la maggior parte delle persone. «Credevo che fosse implicito che dovessi farlo tu. Sei tu il rappresentante del reparto.»

    «Io sono il direttore del reparto. Il che significa che è mio compito incoraggiare i miei medici a esprimere il loro pieno potenziale.» Michael la guardò. «Sta a te. Se vuoi dirigere la squadra, devi essere pronta a condividere le tue esperienze e quella conferenza sarà un'ottima occasione per te. Prendere o lasciare.»

    Non le sarebbe più capitata un'opportunità come quella. Se teneva davvero a ciò che faceva... C'erano così tante ragioni per accettare l'offerta, ma Thea non riusciva a superare la paura di ritrovarsi in piedi davanti a una sala piena di persone.

    «Va bene» disse, le parole che faticavano a uscire.

    «Bene. In questo caso, voglio che tu mi tenga aggiornato e mi faccia sapere di cosa hai bisogno.»

    «Grazie.» Avrebbe iniziato subito. «Per quanto riguarda le analisi alla scuola, dovremmo riuscire a iniziare tra qualche settimana.»

    «Perché?» chiese Michael. Sapeva bene quanto lei che la cosa migliore sarebbe stata aspettare dieci settimane, il periodo d'incubazione della tubercolosi.

    «Il paziente è stato a casa dal lavoro per un po'. Gli è stata diagnosticata una polmonite ed è rimasto a casa tre settimane prima di Pasqua. Il suo medico gli ha dato degli antibiotici a cui ha risposto, ma non è tornato subito al lavoro perché mancavano solo pochi giorni all'inizio delle vacanze. Le sue condizioni sono nuovamente peggiorate dopo Pasqua e da allora non è più rientrato a scuola.»

    «Quindi... quanto tempo è passato?»

    «Non ha contatti con i ragazzi da sette settimane, ormai.»

    Michael annuì. «In un certo senso, è positivo. Non saremo attaccati da genitori ansiosi di sapere perché i loro figli non vengono immediatamente sottoposti alle analisi di routine.»

    «Sì, ma avremo...» Thea fece una smorfia. «Avrò molto da fare per mettermi in contatto con tutti e organizzare il necessario per quando inizieranno le analisi.»

    «Allora assicurati di sfruttare tutto il supporto degli enti esterni. Hai bisogno di aiuto con gli altri casi su cui stai lavorando?»

    «Non al momento, ma mi piacerebbe che l'offerta restasse valida per un po'. E vorrei pensare bene a dove sistemare la squadra e l'attrezzatura per le analisi. Vorrei allestire una clinica separata.»

    Michael annuì in segno d'approvazione. «Va bene. Fammi sapere quando hai deciso e alla burocrazia ci penso io.»

    Thea aveva già qualcosa in mente, ma voleva prima incontrare il paziente. «Grazie. Va bene dopo pranzo per te?»

    «Ho un po' di tempo libero verso l'una. Se non credi che sia troppo tardi» disse Michael, guardandola divertito. Thea lo ignorò. Le aveva affidato il suo lavoro e lei gli avrebbe dimostrato che aveva fatto la scelta giusta, senza lasciargli alcun dubbio.

    Il dottor Lucas West entrò nel piazzale dell'ospedale e raggiunse il parcheggio sotterraneo. Sarebbe dovuto arrivare solo il giorno successivo, ma l'appuntamento di quel pomeriggio era finito prima e l'esperienza gli diceva che si poteva capire molto di un ospedale semplicemente facendoci un giro alla fine di una giornata lavorativa, senza avvertire della sua presenza. Voleva vedere come funzionava il reparto di Michael Freeman quando non si aspettava visite.

    E lo preoccupava il fax che aveva ricevuto quella mattina. Un caso di tubercolosi era sempre preoccupante, ma se riguardava un insegnante di una grande scuola del centro città, allora richiedeva un'attenzione immediata.

    L'ospedale era vecchio di cinquant'anni ed era stato costruito con l'insopprimibile ottimismo degli anni Sessanta. Da allora ne aveva sicuramente passate tante e, nonostante fosse scrupolosamente pulito, Lucas notò che era decisamente obsoleto e faticava a gestire tutte le persone che vi si rivolgevano.

    Notò anche che all'accettazione del reparto di Pneumologia gli avevano indicato di tornare di nuovo al pianterreno, quando si era identificato come consulente dell'Istituto Sanitario Nazionale. Avrebbe dovuto parlare con il direttore. Chiaramente nessuno aveva fatto molta attenzione alla logistica: un gran numero di pazienti avrebbe dovuto percorrere l'ospedale da un capo all'altro, solo per poi essere rispedito indietro.

    Trovò la stanza che stava cercando

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