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Sposa d'autunno (eLit): eLit
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E-book264 pagine6 ore

Sposa d'autunno (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1472 - Annaliese Stanhope, semplice figlia di un artigiano, non sa che, la notte in cui salva quello sconosciuto lasciato per morto sulla strada, sta per dare una svolta alla sua vita. Al suo villaggio spadroneggia infatti Kramon, un crudele barone cui vengono attribuite nefandezze di ogni genere che dovrebbero essere smascherate da un uomo rude e coraggioso. Peccato che lo sconosciuto da lei salvato abbia anche lui un'aria tanto aristocratica! Si tratta infatti del giovane Kendran Ainsworth che, rimasto vittima di un'imboscata, si risveglia a casa di quella fanciulla meravigliosa che ha ogni ragione di temere la nobiltà. Come farà lui, il fratello più giovane del potente barone di Brakenmoore, a convincerla del suo amore?
LinguaItaliano
Data di uscita28 set 2017
ISBN9788858976043
Sposa d'autunno (eLit): eLit
Autore

Catherine Archer

Innamorata dei romanzi storici dall'età di dodici anni, è una grande appassionata di storia, in particolare del Medioevo. Abita con il marito e i tre figli ad Alberta, in Canada.

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    Anteprima del libro

    Sposa d'autunno (eLit) - Catherine Archer

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Autumn’s Bride

    Harlequin Historical

    © 2001 Catherine J. Archibald

    Traduzione di Pier Paolo Rinaldi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2002 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-604-3

    1

    Inghilterra, 1472

    Annaliese Stanhope lanciò uno sguardo cauto intorno a sé mentre spingeva Hinge, il pigro castrone di suo padre, ad accelerare l’andatura. Sapeva che non avrebbe dovuto trattenersi così a lungo dalla vedova Swift, ma l’anziana donna era sola e amava tanto che leggesse per lei...

    Tornò a scrutare la foresta tenebrosa che la circondava. Splendida alla luce del giorno, di notte si faceva cupa e minacciosa. Ma non era tanto la foresta in sé a metterla a disagio quanto la minaccia rappresentata da chi vi poteva incontrare.

    Il suo cane, Max, sembrava condividere gli stessi timori, perché fece un verso basso e gutturale. Annaliese si disse che questo avrebbe dovuto rassicurarla, visto che le ricordava la sua vigile e protettiva presenza.

    Un’altra parte della sua mente, però, le diceva che un cane non sarebbe bastato a difenderla dalle belve che infestavano la foresta.

    Belve a due zampe, dotate di armi che assicuravano loro il dominio su uomini e animali.

    Lo sapeva, così come sapeva che il pericolo era reale, ma non era la sua sicurezza personale a preoccuparla di più. Era il pensiero di ciò che suo padre avrebbe congetturato mentre aspettava di vederla tornare. Dopo che aveva perso la moglie a causa dell’imprevedibile brutalità di un uomo o di più uomini rimasti ancora impuniti, era più preoccupato che mai per la sua sicurezza e per la sua incolumità.

    Al ricordo di sua madre provò una fitta di dolore, che però si affrettò a scacciare. Non doveva pensarci in quel momento, doveva concentrarsi sul tornare a casa il più in fretta possibile.

    Suo padre era protettivo, ma Annaliese faceva fatica ad accettare simili restrizioni della sua libertà. Odiava vivere nella paura degli uomini che predavano la loro foresta e le strade solitarie. Uomini che facevano tremare di terrore gli abitanti di tutti i villaggi dei dintorni.

    Solo qualche giorno prima il vecchio John, che viveva dall’altra parte del villaggio, era partito per il mercato con il carro pieno dei frutti del suo raccolto. Aveva sperato di evitare quel genere di problemi partendo nelle ore che precedevano l’alba, visto che la maggior parte degli attacchi avvenivano di notte. E invece era stato assalito. Il suo carro, ciò che trasportava e persino l’asino gli erano stati requisiti da un gruppo di uomini a cavallo con il volto nascosto da una maschera.

    Un nuovo brontolio gutturale di Max, questa volta certamente un avvertimento, non fece che aumentare i suoi timori.

    Annaliese spronò senza indugio il cavallo e cercò di scorgere qualcosa nell’oscurità con il cuore che le batteva forte. Ma non vedeva né sentiva nulla. Max sedeva alle sue spalle e guardava davanti a lei, verso destra.

    Gli posò una mano tremante sulla grossa testa e si sforzò di intravedere qualcosa nell’oscurità ancora più fitta, là dove gli alberi rendevano tutto più buio. «Che c’è, Max?» gli disse, e la sua voce suonò come un mormorio roco. Un mormorio che tradiva l’apprensione che cercava a fatica di ignorare.

    Il cane ringhiò e, prima che potesse fermarlo, balzò a terra. «Max, torna qui!» fece lei, tirando le redini.

    Ma questa volta Max, di solito molto obbediente, non le diede retta. Annusò il sottobosco stando sul ciglio della strada e si voltò a guardarla. Un guaito fu la sua unica risposta.

    Lei si schiarì la voce. «Vieni» gli disse, più decisa.

    Il cane guaì di nuovo, in modo più lamentoso. Sembrava combattuto tra il desiderio di obbedire alla sua padrona e ciò che lo aveva attirato lì. Annaliese guardò meglio, cercando di penetrare l’oscurità con lo sguardo.

    Finalmente vide la causa dello strano comportamento del suo cane. La forma immobile di un essere umano.

    Per un lungo momento la paura s’impossessò di Annaliese e lei rimase impietrita dove si trovava. Poi prese una decisione. Se quell’uomo, chiunque fosse, avesse avuto intenzione di farle del male, di certo glielo avrebbe già fatto.

    Eppure non poté fare a meno di scendere dal carro con ogni cautela. Si avvicinò lentamente al grosso cane, una sagoma scura nel buio. Max le venne incontro a metà strada e le leccò una guancia, meno turbato quando lei gli posò una mano sul dorso.

    «Chi è, Max? Chi hai trovato?»

    Max uggiolò di nuovo, tornando a voltarsi verso quel corpo quasi invisibile. Un corpo immobile, eppure Annaliese era ancora incerta sul da farsi.

    Max la guardò, come per incitarla.

    E Max era il suo più caro amico, si disse Annaliese, non doveva fare altro che fidarsi di lui. Max avrebbe fatto lo stesso per lei, e la seguiva ciecamente ovunque andasse.

    «Devo dare un’occhiata?» Max sembrò aver capito perché, uggiolando di nuovo, tornò fra gli alberi a lato della strada.

    Annaliese lo seguì. Quando Max si fermò e abbassò la testa ad annusare, lei si chinò e cercò a tastoni nel buio la testa dell’uomo.

    Sentì la mano bagnarsi di un liquido vischioso. Santo cielo, era sangue senza alcun dubbio!

    Ritrasse la mano di scatto.

    Poi si disse che quel povero sventurato poteva essere stato vittima degli stessi uomini che avevano già arrecato tanta sofferenza a Lundy. Colpire e fuggire era tipico del loro comportamento. Si fece forza e tese di nuovo la mano sulla testa e sulle spalle ampie e nude dell’uomo disteso. L’aria era fredda e di sicuro non gli avrebbe fatto bene. Certo, se fosse stato ancora vivo.

    Si affrettò a farlo rotolare sulla schiena, rendendosi conto della sua statura imponente. Dalla gola dell’uomo sfuggì un suono. Un suono basso, neppure un gemito, ma che bastò a provarle senza ombra di dubbio che lo sconosciuto era ancora in vita.

    Ma anche che era così debole da avere bisogno di aiuto immediato.

    Spostarlo era stato faticoso, si disse, e metterlo sul carro sarebbe stato difficile. Eppure che altro poteva fare? Andare a chiamare suo padre? No, avrebbe perso troppo tempo.

    Corse a prendere il carro. Max rimase accanto all’uomo privo di sensi e, quando la vide tornare alla guida del castrone, abbaiò felice.

    Annaliese fermò il carro accanto al punto in cui si trovava l’uomo, balzò a terra e, con un po’ di fatica, riuscì ad appoggiarlo contro il fondo aperto del veicolo. Poi vi salì. Come capendo ciò che lei stava tentando di fare, Max si unì ai suoi sforzi. Strinse con le sue potenti mascelle il tessuto della calzamaglia dell’uomo e tirò con tutte le sue forze.

    Annaliese tirò e sollevò al tempo stesso. La paura, insieme al timore che la vita di quell’uomo stesse scivolando via col passare degli istanti, sembrò darle più forza di quella che avesse mai creduto di possedere. Proprio non poteva lasciarlo morire lì, sul bordo della strada! Il pensiero che potesse essere una vittima degli stessi uomini crudeli e senza cuore che avevano distrutto la pace della sua famiglia la spinse ad andare avanti.

    Compiuta quell’impresa apparentemente impossibile, Annaliese balzò di nuovo a cassetta e scosse le redini, spronando il castrone. «Ora va’, Hinge!»

    Anche il cavallo sembrò intuire la gravità di quel momento, perché si mise in moto con più brio del solito. Ma anche così le sembrò che fosse passata un’eternità, prima di riuscire a raggiungere l’entrata del cottage di pietra in cui aveva abitato per tutta la vita.

    Balzò a terra e corse alla porta. Questa si aprì di scatto. Suo padre apparve sulla soglia, la sua sagoma ampia e scura che risaltava contro il chiarore della stanza illuminata dalle candele. «Annaliese!» gridò con voce angosciata. «Dove sei stata? Stavo quasi impazzendo per...»

    «Vi prego, padre» gli rispose, interrompendolo. Il senso di colpa e il dispiacere per le preoccupazioni che gli aveva dato le stringevano il petto, ma la vita dell’uomo sul carro aveva la precedenza. «Max e io abbiamo trovato un uomo ferito nella foresta.»

    Suo padre s’immobilizzò, e su quel caro volto si disegnarono sconcerto e confusione. «Un uomo ferito?»

    Annaliese gli prese una mano nella propria e lo accompagnò verso il carro. «Sì. Dobbiamo aiutarlo.»

    «Ma come...»

    «Possiamo solo fare supposizioni» gli rispose, aggrottando la fronte. Il silenzio che seguì quelle parole fu pesante e penoso da sopportare. Suo padre stava certo pensando a tutto il dolore che il loro villaggio stava conoscendo, alla morte di sua moglie, al momento in cui l’aveva trovata priva di vita...

    Annaliese sentì la zia Jane arrivare alle loro spalle. «Cosa...» cominciò a dire, sorpresa proprio come suo padre.

    «Max e io» provò a spiegarle Annaliese con tutta la pazienza che riuscì a trovare, indicando il carro con un cenno, «abbiamo trovato quell’uomo nel bosco. È ferito, anche se non so quanto gravemente. Nel buio non si riusciva a capire. Tutto ciò che ho potuto fare è stato portarlo qui.»

    La zia Jane non aveva bisogno di altre spiegazioni. «Dobbiamo portarlo subito dentro ed esaminargli la ferita.»

    «Sì» rispose Annaliese, perché era proprio ciò che aveva desiderato fare sin dall’inizio.

    Suo padre si voltò, e alla luce che veniva dalla soglia lei poté leggere la preoccupazione che gli incupiva lo sguardo. «Per favore, Annaliese, va’ a prendere un lume.»

    Si voltò per obbedirgli. Da un lato era un sollievo sapere che suo padre aveva preso in mano la situazione. Dall’altro, invece, Annaliese credeva di essersela cavata piuttosto bene, nel portare quell’uomo fin lì. L’idea di essere mandata a prendere un lume mentre suo padre e zia Jane s’occupavano dello sconosciuto le fece provare una improvvisa voglia di ribellarsi.

    Ma si affrettò a scacciarla. Sapeva perché suo padre era così protettivo nei suoi confronti. Aveva imparato quale cupo destino poteva toccare le persone che amava.

    Quando tornò sulla soglia con una lanterna, suo padre e zia Jane stavano già facendo scendere l’uomo dal carro. Si avvicinò loro per fare luce e li vide faticare sotto il peso del corpo che trasportavano.

    Li seguì, tenendo alta la lanterna e dando una trepida occhiata allo sconosciuto. La sua testa penzolava all’indietro, senza segno di vita. Il cuore le si strinse e la paura le fece trattenere il fiato. Non era riuscita a portarlo a casa in tempo? Poi notò un debole muoversi delle palpebre e si sforzò di riprendere a respirare.

    Tornò a guardarlo e il timore fu sostituito dalla pietà. Era coperto di fango e sangue. Il suo unico indumento era la calzamaglia, sporca e macchiata di sangue come tutto il resto. Sangue che sembrava provenire non solo dalla sua nuca ma anche da una ferita al petto. Nei suoi capelli scuri erano impigliati aghi di pino e foglie. Il suo volto coperto da un inizio di barba era così sporco da impedirle di vedere bene i suoi lineamenti. Sembrava giovane, ma non avrebbe saputo dargli un’età precisa.

    Poi, prima che avesse l’opportunità di guardarlo meglio, suo padre e la zia si rimisero in moto. Suo padre era un mobiliere, dunque un uomo molto forte. A dire la verità, era l’uomo più forte che conoscesse, eppure sotto il peso dello sconosciuto sembrava vacillare.

    Anche la zia Jane era forte, come era dimostrato da tutto il lavoro che faceva lì al cottage, ma per evitare di lasciar cadere a terra i piedi dell’uomo doveva faticare parecchio.

    Li guardò imboccare la stretta scala che portava al piano superiore, sentendosi inadeguata, ferma lì con la lanterna in mano. Ma a parte tenere il lume il più in alto possibile, per il momento non c’era altro che potesse fare.

    A un tratto domande senza risposta presero ad affollarle la mente. Chi era quell’uomo? E da dove veniva?

    Che cosa aveva portato quello sfortunato sconosciuto fino ai bordi del loro piccolo villaggio? Era possibile che gli scagnozzi di Kramon fossero i responsabili delle sue ferite, come sospettava?

    In cima alle scale suo padre si voltò verso la propria camera.

    Zia Jane lo fermò. «No, Joseph. Lo porteremo nella mia.»

    Suo padre annuì e si diresse verso la piccola stanza in cui dormiva sua cognata. Annaliese li seguì, illuminando i pochi mobili e il soffitto spiovente. Il pavimento di legno cigolò sotto il loro peso.

    Una volta che ebbero sistemato l’uomo sul letto, suo padre si voltò verso di lei e le prese la lanterna dalle mani. «Grazie, Annaliese, ora puoi andare, Jane si occuperà di lui.»

    «Chi pensate che possa essere?» gli chiese, ignorando quell’ordine velato.

    L’uomo si agitò, gemendo, e Annaliese si voltò a guardarlo, sperando che stesse riprendendo conoscenza. Ma, delusa, non vide alcun segno di coscienza su quel volto sporco.

    Suo padre la prese per un braccio e la portò nello stretto corridoio, chiudendosi la porta alle spalle.

    «Verrà il momento per questa e altre domande, se e quando si riprenderà. Ora Jane deve badare alle ferite di quel poveretto, non dobbiamo farle perdere tempo.»

    Annaliese aggrottò la fronte. «Padre, io posso aiutarla! Sono io, quella che è riuscita a portarlo qui!»

    Suo padre scosse la testa. «E sei stata molto brava a farlo. Ma non ti lascerò badare a uno sconosciuto, Annaliese.»

    «Non sono una bambina, padre» ribatté lei, incupendosi. «Vi siete dimenticato che il mio diciottesimo compleanno è già passato da tempo?»

    «No, non l’ho dimenticato» le rispose con un sorriso rassicurante, «e so che non sei una bambina bensì ciò che di più caro io abbia al mondo. Ma finché non sapremo qualcosa di più sul conto di quel poveretto, dovrai restargli lontana.»

    Annaliese non poteva portargli rancore, quando la guardava con quei suoi occhi tristi. Non ne avevano parlato, ma sapeva che entrambi stavano pensando alla stessa cosa. A sua madre e al modo terribile in cui era morta. Proprio come facevano ogni giorno da quel tragico evento.

    Non poteva insistere. Almeno per il momento, aggiunse fra sé.

    Suo padre annuì, sollevato nel vederla obbedire senza altre discussioni.

    Erano vissuti bene, lì, lei e i suoi genitori. E zia Jane, dopo che le era morto il marito. Suo padre era un mobiliere molto abile e rinomato, e malgrado non amasse vantarsene, la sua reputazione negli anni non aveva fatto che crescere. La sua modestia era solo una delle sue tante qualità.

    «Non c’era nessun segno che potesse lasciar capire cos’è accaduto?» le chiese ancora, aggrottando la fronte. «O chi ne sia il responsabile?»

    Annaliese scosse la testa. «No, non che io potessi vedere. La notte è molto scura. Forse sarà possibile con la luce del giorno.»

    Lo vide fare una smorfia. «Domattina andrò a vedere se riesco a scoprire qualche traccia, anche se non so a cosa ci potrà servire.» Dal tono della sua voce, Annaliese poteva capire quanto fosse preoccupato e amareggiato. «Possiamo solo immaginare chi sia il responsabile. Quest’uomo potrebbe essere un’altra vittima dei banditi che infestano la nostra zona. E se il poveretto è stato attaccato da loro, temo che non si potrà fare molto per aiutarlo.» Strinse le labbra, scuro in volto. «Ah, come vorrei che si potesse rovesciare questo stato di cose! Ma in quest’angolo d’Inghilterra non c’è giustizia né fine alle angherie che dobbiamo sopportare per tener piene le tasche del Barone di Kramon e dei suoi protetti.»

    Annaliese non seppe cosa rispondere.

    Si voltò, mentre sua zia usciva dalla stanza, e si sforzò di mettere da parte il dolore che provava nel discutere di quell’argomento. Zia Jane sospirò.

    «La ferita al petto non è profonda, ma si è infettata. Quella alla testa si è gonfiata in un modo che mi preoccupa. Quel povero ragazzo deve essere rimasto là disteso piuttosto a lungo, prima che tu lo trovassi.»

    «Con cosa pensi che sia stato ferito?» chiese suo padre.

    La zia si strinse nelle spalle. «La ferita al capo è stata provocata da un oggetto pesante. Quella al petto, invece, da un lungo coltello. Un coltello che ha mancato il cuore di poco.»

    Suo padre aggrottò la fronte. «Quindi è stato aggredito. E da qualcuno che aveva l’intenzione di uccidere.»

    «Ma per fortuna» aggiunse Annaliese, «sono passata da quelle parti. E non sarebbe accaduto, se non fossi partita in ritardo dal cottage della vedova Swift, perché altrimenti non avrei preso quella strada.»

    «E non dovrai farlo mai più, altrimenti ti proibirò di uscire da casa» aggiunse suo padre. Annaliese sapeva a cosa fossero dovute quelle parole dure. Poteva essere lei, quella stesa nel letto, ferita e priva di conoscenza.

    Zia Jane sospirò. «Hai ragione a parlare così, Joseph. Anche se, grazie al cielo, Annaliese è passata di là. Perché altrimenti quell’uomo sarebbe potuto essere morto, domattina. Una vera perdita, soprattutto perché credo che lo sconosciuto non conti neppure trenta primavere.» Aggrottò la fronte, pensosa. «Anche se è quasi nudo e senza soldi, è sano e ben nutrito e questo può far sì che si riprenda. Di certo non è un mendicante.»

    Annaliese sentì crescere la sua curiosità sul conto dell’uomo che aveva salvato. Lo aveva salvato e questo glielo faceva sentire, in qualche modo, suo.

    Si scoprì a fare la domanda di cui tanto temeva la risposta. «Sopravvivrà?»

    La zia scosse la testa. «Questo non lo so, solo il tempo potrà dirlo. Ah, se solo riprendesse conoscenza, almeno potremmo chiedergli chi è e da dove viene! Qualcosa mi dice che ha delle persone care, da qualche parte, che si preoccupano per la sua assenza.»

    Annaliese si passò le mani sulle braccia, come per confortarsi. Poteva solo immaginare quanto sarebbe stata preoccupata se suo padre fosse sparito senza una spiegazione.

    All’improvviso si scoprì a dirsi che l’uomo ferito non doveva morire. Se non per se stesso, almeno per il bene di chi poteva aspettarlo a casa.

    E questo non fece che accrescere la sua curiosità sul conto dello sconosciuto. Del suo sconosciuto.

    Annaliese si fermò davanti alla porta dietro la quale si trovava l’uomo che aveva salvato. Tese l’orecchio, in ascolto. Non udì alcun suono, a parte quelli che venivano dal laboratorio sul retro della casa, i rumori fatti da suo padre e dall’apprendista, Walter, al lavoro. Se tutto fosse andato come al solito, suo padre non sarebbe rientrato in casa fino all’ora di pranzo.

    Zia Jane era andata a fare compere al villaggio e sarebbe rimasta assente almeno per un’ora.

    Era trascorso un giorno, e a causa della costante sorveglianza di suo padre non era riuscita a posare lo sguardo sul loro inaspettato ospite. Di lui sapeva poco, oltre al fatto che la sua febbre non era scesa, che non aveva ripreso conoscenza, e che la zia Jane lo aveva dichiarato più attraente di quanto lo stato in cui lo avevano trovato avrebbe lasciato supporre. Quest’ultimo commento era riuscito a dare un motivo in più alla sua curiosità nei confronti dell’uomo che aveva salvato.

    Stava quasi diventando matta. La dichiarazione della zia e i suoi continui sospiri erano troppo da sopportare.

    Annaliese era decisa a vedere con i suoi occhi. E, con la zia fuori di casa, ne aveva finalmente l’opportunità.

    Tornò a voltarsi verso la porta, mordendosi le labbra. La zia le aveva detto di restare in ascolto mentre lei usciva a comprare gli ingredienti per preparare un brodo nutriente al loro ospite. Di certo, si disse Annaliese, poteva fare di meglio

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