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La contessa di Natale
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E-book250 pagine5 ore

La contessa di Natale

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1819 - Grant Rivers, Conte di Allundale, sta cercando in tutti i modi di tornare a casa in tempo per le feste. Inaspettatamente, però, si imbatte in una donna, nascosta in una baracca diroccata lungo la strada, che sta per avere un bambino. La situazione non è semplice e lui si sente in dovere di fermarsi ad aiutarla. Grant, infatti, conosce fin troppo bene i rischi legati al parto e ha vissuto sufficienti dolori nella sua famiglia. Per questo una volta che ha salvato la vita alla bella Kate Harding è determinato a salvarle anche la reputazione. Illusa e abbandonata da un uomo privo di scrupoli, lei ha paura ad accettare l'offerta che Grant le fa: sposarlo entro il giorno di Natale.



Miniserie " I disonorevoli Lords"- vol. 2/4
LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2017
ISBN9788858960554
La contessa di Natale
Autore

Louise Allen

Tra le autrici più lette e amate dal pubblico italiano.

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    La contessa di Natale - Louise Allen

    successivo.

    1

    24 dicembre 1819, al confine tra Inghilterra e Scozia

    Un bicchiere di vino, qualche lusinga, una serata speciale, e si era ritrovata incinta.

    Uno sbadato, innocente ruzzolone dalla virtù alla rovina...

    Non appena il dolore cesserà, andrò ad accendere il fuoco, tentò di convincersi.

    «Devo farcela, per il mio bambino» pronunciò ad alta voce. «Forza, Catherine Harding! Le donne partoriscono ogni giorno in condizioni molto peggiori.»

    Non credeva che il parto potesse essere così doloroso.

    Suo figlio sarebbe nato in quel cottage fatiscente, perché lei era fuggita troppo tardi e si era lasciata derubare nel giardino della locanda.

    Avrebbe fatto qualsiasi cosa per tenere il piccolo lontano dalle grinfie del fratello, deciso a portarglielo via.

    Si mise carponi e iniziò a strisciare verso il focolare, ma la debolezza prese il sopravvento. Tremante, puntò le mani sul pavimento lurido e non si perse d'animo.

    Il parto non sarà lungo.

    Anziché dipingere o suonare, sarebbe stato meglio che le fanciulle imparassero a conoscere la vita, pensò, così avrebbero saputo che un incontro al chiaro di luna poteva avere conseguenze tragiche e che non dovevano fidarsi neppure dei parenti più stretti.

    Lei purtroppo l'aveva capito tardi.

    Se sua madre fosse sopravvissuta alla nascita di Henry... Non era il momento di abbandonarsi a desideri impossibili o di soccombere alla paura, si ammonì, avvicinandosi al focolare spento.

    Da quando aveva pensato di accendere il fuoco doveva essere passato solo qualche minuto, perché la luce non era cambiata.

    Sentì qualcosa urtare contro un sasso, un rumore di passi sull'erba bagnata, un cavallo che sbuffava e una voce maschile.

    «Dovremo adattarci» stava dicendo lo sconosciuto. «Tu zoppichi, ci siamo persi, sta per nevicare e questo è l'unico riparo che ho visto nelle ultime dieci miglia.»

    Inglese e colto, dedusse Kate, prima che l'istinto di sopravvivenza la spingesse a rannicchiarsi sotto un tavolo e a infilare una mano in bocca per non urlare.

    «Almeno non siamo a corto d'acqua» constatò Grantham Rivers immergendo nel ruscello il secchio con il manico rotto che aveva trovato.

    Poco abituato ai monologhi, il cavallo, al riparo sotto la copertura di erica, fece un movimento impercettibile con l'orecchio.

    Doveva fermarsi a riposare, decise Grantham, anche se il tetto del cottage era malandato e la porta e la finestra non esistevano più.

    Aveva studiato Medicina abbastanza a lungo da sapere che non poteva ignorare il mal di testa e le vertigini, indesiderato strascico di un incidente quasi mortale di cui era rimasto vittima la settimana precedente a Edimburgo.

    Smontò, usò le redini come cavezza e mise per terra l'avena che aveva preso dalla bisaccia. «Non mangiarla tutta in una volta, perché non ne avrai altra» raccomandò al castrone. «Anzi, quasi quasi te ne rubo metà e mi preparo qualcosa.»

    C'era ancora abbastanza luce per trovare la pietra incastrata nello zoccolo posteriore, in apparenza dolente, quindi fece una carezza sul muso dell'animale e ricevette in risposta una piccola spinta.

    Pur immaginando che non sarebbe arrivato in tempo al capezzale del nonno che lo aveva cresciuto, aveva voluto proseguire a ritmo sostenuto.

    Abbeywell, in realtà, era l'ultimo posto in cui avrebbe desiderato essere, tuttavia doveva tornare per Charlie, suo figlio.

    Se l'incuria di un operaio non avesse messo a repentaglio la sua vita, sarebbe dovuto partire il 17 dicembre.

    Non appena era rinvenuto e si era reso conto di non essere neanche in grado di attraversare la stanza, aveva scritto a casa per avvisare che era stato trattenuto da una circostanza grave.

    Due giorni più tardi, il maggiordomo lo aveva informato che l'anziano Lord Allundale non avrebbe superato la notte.

    «Ci riposeremo, lasceremo guarire lo zoccolo e passeremo la notte qui, sempre che riesca ad accendere il fuoco.»

    Parlare con un cavallo era da pazzi, ma gli evitava di rimanere in ascolto del vento che spazzava la vallata e minacciava la stalla improvvisata.

    Poiché intorno al cottage c'era parecchia immondizia da bruciare, si sarebbe riscaldato e avrebbe mangiato il cibo che aveva nella bisaccia, concedendosi persino un goccio di brandy.

    Avvertì un odore nell'aria... Con le braccia cariche di rami secchi, si raddrizzò e dilatò le narici.

    Sangue? Sangue e paura.

    Lo aveva sentito per la prima volta nell'estate del 1815, quando si era arruolato volontario assieme ai suoi amici per sconfiggere Napoleone e, imparando a riconoscerlo, era riuscito a salvarsi il collo in più di un vicolo buio.

    Un gemito soffocato innervosì il cavallo.

    Era il vento o un animale? No, quel suono flebile aveva qualcosa di umano.

    Dal momento che non credeva ai fantasmi, non poteva che essere una persona ferita. O forse era una trappola, ipotizzò, sapendo che un cottage era il riparo ideale per i briganti.

    «Mangia la tua avena» ordinò al castrone.

    Estrasse il coltello dallo stivale e gettò via la legna che aveva raccolto. Si mosse rapido per dare un'occhiata all'interno, dove intravide una sedia rotta, un mucchio di paglia, un tavolo rovesciato e alcune ragnatele.

    Sentì ancora un suono lieve, disperato, e l'odore di paura si fece più intenso.

    Accantonando la prudenza, spostò il tavolo, l'unico nascondiglio possibile in quella stanza vuota e vide materializzarsi il peggiore dei suoi incubi: una donna disperata, in travaglio.

    «Andatevene!» gli intimò Kate con un filo di voce, ritraendosi sul pagliericcio. Aveva spostato lo sguardo dal viso dell'intruso al coltello che stringeva tra le mani.

    La bocca e il dorso della mano con cui proteggeva il pancione erano sporchi di sangue, perché si era morsa il pugno nel tentativo di soffocare le grida. «Se fate un altro passo, io...»

    «... depositerete un bambino sui miei stivali?» concluse lui riponendo l'arma nel fodero.

    Mentre si sforzava di sorridere, si rese conto che quella battuta aveva stemperato la tensione. D'istinto aveva appoggiato il cappello sulla sedia, senza preoccuparsi di nascondere la benda che aveva sulla fronte.

    «Non siate ridicolo!» lo redarguì lei, di nuovo all'erta. Chiuse gli occhi per un attimo e li riaprì, imponendosi di concentrarsi. «Il bambino non uscirà mai» aggiunse con un perfetto accento inglese, colto, che non aveva niente a che fare con quel tugurio.

    «È il primo?» le chiese Grant inginocchiandosi accanto a lei. «Sono un dottore, andrà tutto bene, fidatevi di me.»

    Ho già detto due bugie, quante altre ne serviranno? Non ho terminato gli studi di Medicina, non ho mai assistito a un parto e non sono affatto sicuro che tutto andrà per il meglio.

    Aveva fatto nascere molti puledri, disponeva di alcune nozioni mediche, conosceva l'anatomia femminile e gestiva cavalli di razza da anni, quindi se la sarebbe cavata, rifletté.

    Quel bambino, però, doveva sbrigarsi a nascere.

    Nonostante gli abiti di ottima fattura, la benda conferiva allo sconosciuto un'aria da brigante.

    Tuttavia, la sua pacata sicurezza e la sua voce profonda e tranquilla agirono sul corpo contratto di Kate come una dose di laudano.

    Un dottore è la risposta alle mie preghiere sconclusionate. Dopotutto, i miracoli esistono. «Sì, è il mio primo figlio» confermò. Primo e ultimo, perché nessun piacere merita un dolore così grande.

    «Cercheremo innanzitutto di riscaldare questo posto» le spiegò lui coprendola con il cappotto che si era sfilato, «poi proveremo a mettervi più comoda.»

    Il tessuto sapeva di cavallo, di cuoio e della pelle di lui, un odore molto rassicurante.

    «Voi siete il dottor...»

    «Grantham Rivers, al vostro servizio. Chiamatemi pure Grant.»

    Lui andò a prendere un po' di legna nella stalla e poi tornò e si avvicinò al caminetto.

    Mr. Rivers aveva una bella voce e, da quel poco che Kate riusciva a intravedere del suo viso, sembrava tranquillo, anche se si intuiva che avrebbe preferito essere altrove. «Grantham? Come la città?»

    Era incredibile constatare quanto un po' di calore e di conforto potessero fare la differenza.

    «Pare che sia stato concepito lì durante un'appassionata prima notte di nozze.» Alimentò la fiamma con gesti abili e precisi. «Per fortuna, i miei genitori non erano a Biggleswade!»

    Kate non avrebbe mai immaginato di ridere di nuovo, ma la sua risata si trasformò ben presto in un gemito.

    «Respirate» le suggerì. «Respirate e rilassatevi.»

    «Rilassarmi? Siete... impazzito?» replicò, ansimando.

    Respirare era già abbastanza difficile.

    «Non sono pazzo, sono soltanto un uomo e, in quanto tale, non sarò mai all'altezza in situazioni come questa.» Lui abbozzò un sorriso amaro, che svanì all'istante. «Come vi chiamate?»

    Kate si ricordò che era nelle mani di quell'estraneo e che, se non fosse stato la persona perbene che sembrava, non avrebbe avuto via di scampo.

    L'istinto, acuito dalla disperata necessità di proteggere il bambino, la indusse a fidarsi. Gli avrebbe affidato la propria vita, ma non i propri segreti, decise. «Catherine Harding. Miss Catherine Harding» precisò, «Kate, per gli amici.»

    Mentire riguardo al nome sarebbe stato inutile.

    Grant iniziò a rompere le gambe del tavolo mangiate dai topi e dall'umidità, ammucchiandole accanto al fuoco.

    O il legno era molto marcio oppure lui era molto forte, constatò Kate, osservando quelle spalle larghe. «Dov'è il padre del bambino?» volle sapere lui.

    Forse i medici erano abituati a mantenere un atteggiamento distaccato nelle situazioni difficili.

    «È morto.»

    Aveva mentito d'istinto, poi era riemersa la cautela.

    Pur avendo promesso di aiutarla, se avesse scoperto chi era, poteva ancora denunciarla. E non avrebbe esitato a farlo, una volta saputa la verità.

    A giudicare dal tono di voce, dagli abiti e dai modi era un gentiluomo, uno di quelli che soccorrevano le fanciulle in difficoltà, ma erano sempre pronti a proteggersi a vicenda dai complotti.

    «Mi spiace» mormorò Grant.

    Aveva messo il piano del tavolo sul pavimento e ci aveva ammucchiato sopra la paglia più asciutta. «Avete della biancheria con voi? Camicie da notte, sottogonne?»

    Non appena aveva riportato la mente al presente, Kate si era resa conto che le stava parlando. «Non ho molto, purtroppo.»

    Era tutto quello che era riuscita a portare.

    Lui iniziò a rovistare nella borsa, mise da parte una camicia da notte e stese gli indumenti sulla paglia, arrotolando due vestiti per ottenere un cuscino.

    «Dottor...»

    «Grant.»

    «... siete molto efficiente.»

    Arrivò una contrazione più leggera della precedente.

    Era riuscito a farla rilassare, proprio come aveva detto. «Mi sono arruolato per un breve periodo e, nonostante avessi un attendente, ho imparato ad arrangiarmi. Bene, ci siamo. Mettetevi qualcosa di più comodo e adagiatevi su questo lussuoso letto.»

    Quando la guardò negli occhi, Kate si irrigidì.

    Si era fatto buio e lei non riusciva a intravedere la sua espressione.

    «Sono un uomo e, per di più sconosciuto, lo so, tuttavia dovete infilarvi la camicia da notte e lasciarvi visitare» proseguì sbrigativo, come se fosse al limite della pazienza. «Avete bisogno di un medico e non potete permettervi di essere timida, o pudica.»

    Pensa al bambino, si impose lei. Grant Rivers è il tuo angelo custode. Un cherubino di Natale, asessuato, imparziale. Devi fidarti di lui, non hai altra scelta.

    Non era del tutto asessuato, constatò quando la spogliò con gesti abili ed esperti, senza darle il tempo di sentirsi in imbarazzo.

    Indossò la camicia da notte che le aveva sistemato vicino al fuoco per scaldarla, si distese sul giaciglio improvvisato sospirando per quell'inaspettata comodità e non si accorse che gliel'aveva arrotolata attorno alla vita.

    «Mettiamo anche questo» le suggerì, coprendola con il proprio cappotto. «Ci serve una luce e qualcosa di caldo da bere. Stendetevi e badate a non prendere freddo.»

    Con gli occhi socchiusi, Kate lo osservò alimentare il fuoco e mettere un secchio d'acqua a scaldare.

    Lui accese una piccola lanterna, versò l'acqua in un boccale aggiungendo qualcosa che aveva preso da una fiaschetta appoggiata su un mattone accanto al caminetto e si lavò le mani.

    Pur essendo rapidi, i suoi gesti erano tranquilli. Efficiente era senz'altro l'aggettivo più corretto per descriverlo.

    Non voleva attardarsi, tuttavia era obbligato a rispettare i tempi del bambino.

    La sua efficienza e persino la sua impazienza erano rassicuranti, si rese conto Kate. «Da dove spunta la lanterna?» gli domandò.

    «Ne porto sempre una nella bisaccia. Devo soltanto trovare un altro recipiente per l'acqua. Ne servirà molta. Per nostra fortuna, il mucchio di rifiuti qui fuori promette bene.»

    Lungi dall'intaccare la sua mascolinità, l'abilità con cui Mr. Rivers si occupava delle faccende domestiche rivelava uno spiccato senso pratico.

    Lei studiò le spalle larghe, i fianchi stretti, i movimenti armoniosi, i pantaloni scamosciati aderenti. Era convinta che non si sarebbe mai più sentita attratta da un uomo, invece quello era il candidato ideale per risvegliare il suo interesse. Era senza dubbio molto...

    Sopraggiunse un'altra contrazione.

    «Aspettate, vengo subito» le assicurò. Tornò con una serie di vasi così colmi d'acqua che in parte finì sul pavimento. «Ho di nuovo le dita gelate» aggiunse, tendendo le mani verso il fuoco.

    «È straordinario come ci si possa adattare alle circostanze» riuscì a dire Kate, dopo cinque minuti molto difficili. Aveva un tono quasi ragionevole e non sembrava isterica come aveva la sensazione di essere.

    Grant, con la lanterna in mano, si era inginocchiato davanti a lei per chinarsi sotto il cappotto steso sopra le sue gambe e riemerse arruffato ma tranquillo.

    Si appoggiò sui talloni scostando dagli occhi i folti capelli scuri e sorrise, diventando ancora più affascinante. «Il parto crea un'inevitabile intimità» le spiegò. «Tutto sembra procedere come dovrebbe.»

    Quando consultò l'orologio che aveva nel taschino del panciotto, si rabbuiò.

    «Quanto manca?» si informò lei.

    Aveva cercato di non mostrarsi troppo ansiosa, ma temeva di non esserci riuscita.

    «Qualche ora, direi. I primogeniti tendono a prendersela comoda.» Lui si lavò le mani e versò qualcosa da una fiaschetta in un pentolino senza manico. «Bevete questo.»

    Ore?, pensò, stremata.

    Le allungò un recipiente che aveva trovato nelle sue inesauribili bisacce. «Tra un attimo vi porterò da mangiare. Quand'è stata l'ultima volta che avete messo qualcosa nello stomaco?»

    «Ieri ho fatto colazione in una locanda.»

    Le porse del pane e del formaggio, senza parlare.

    «È tutto il cibo che avevate con voi, vero?» Si era accorta che lui non aveva mangiato nulla.

    «Voi avete bisogno di energia, io posso sopravvivere con le mie riserve di grasso» si giustificò lui bevendo un sorso d'infuso. Appoggiò la testa contro la parete di pietra che aveva alle spalle e chiuse gli occhi.

    Quale grasso?, si interrogò Kate, iniziando ad avvertire una certa sonnolenza. Non le sembrava che fosse in cerca di complimenti.

    Era un uomo colto, che si era arruolato. Non indossava la fede e sulla mano sinistra portava un anello con sigillo. I suoi abiti erano di ottima fattura, ma non aveva un domestico al seguito e si preparava ad affrontare una notte piuttosto spartana.

    Il crepitio di un pezzo di legno gettato nel fuoco la destò di soprassalto. «Come vi siete procurato quella ferita alla testa?» gli domandò.

    È un fuggitivo?

    «A Edimburgo un operaio sbadato ha lasciato cadere un'asse. Ho perso conoscenza per un paio di giorni, comunque non ho nulla di rotto.»

    Rincuorata, Kate chiuse gli occhi e si appisolò. Con il dottor Rivers al fianco, non aveva niente da temere.

    2

    Durante la notte Kate dormì a sprazzi mentre le contrazioni diventavano sempre più forti.

    A un certo punto si abbandonò alle mani sapienti di Grant, alla sua voce ferma, rassicurante, alla sua forza.

    L'istinto le diceva che era un brav'uomo. Non si era lamentato neanche quando gli aveva stretto le mani in modo convulso.

    Con il passare del tempo e la dovuta cautela, la fiducia crebbe.

    Lui avrebbe fatto nascere il suo bambino e le avrebbe salvato la vita per consentirle di stringerlo tra le braccia. Era il miracolo che le serviva.

    Non si era mai sentita così stanca, partorire era più difficile di quanto avesse immaginato e aveva l'impressione di trovarsi in quel cottage da anni.

    Sarebbe andato tutto bene. Ci avrebbe pensato il dottor Rivers.

    Grant si rese conto che il parto si stava protraendo troppo.

    Kate era esausta, la luce era pessima, lui non aveva strumenti e non sarebbe stato in grado di affrontare eventuali complicazioni.

    Mentre la luce dell'alba filtrava dalle finestre coperte di ragnatele, bevve un sorso di brandy e si passò le mani sul viso per vincere la paura. Sarebbe riuscito a salvare quella giovane e il suo bambino. Non c'era niente da decidere, o da scegliere, doveva mantenere il sangue freddo, usare la testa e avrebbe sconfitto la morte. Quella volta.

    «Parlate con me, Kate» la esortò. «Da dove venite? Perché siete qui, da sola, la mattina di Natale?»

    «Non sono sola» precisò lei, aprendo gli occhi. «Ci siete voi. Davvero è già Natale?»

    «Sì, auguri.»

    Le mostrò un rametto di agrifoglio che aveva strappato da un albero striminzito quando era uscito a controllare il cavallo e fu ricompensato da un sorriso.

    Dannazione, ha un aspetto terribile, pensò, guardando il volto pallido e stravolto dalla fatica, i capelli flosci e aggrovigliati, gli occhi iniettati di sangue.

    Pur essendo troppo magra, era una combattente.

    «Quanti anni avete?» le chiese.

    «Ventitré.»

    «Parlate con me» ripeté. «Da dove venite? Io vivo oltre il confine, nel Northumberland.»

    «Io vengo dal...» Lei fece una smorfia e si aggrappò alle sue mani. «... Suffolk. Mio

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