Verità imperfette: Harmony Destiny
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Un inaspettato ritrovamento costringerà entrambi ad affrontare le proprie paure più segrete e a fidarsi ancora di più l'uno dell'altra.
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Verità imperfette - Sarah M. Anderson
successivo.
1
«Forza, signorina Reese» chiamò Marcus Warren girandosi verso di lei. «Non fa così caldo.»
Continuando a correre sul posto, si fermò nel mezzo del sentiero per aspettare che l'assistente lo raggiungesse. Ne approfittò per guardarsi intorno, alla ricerca di un qualche furgoncino con i vetri oscurati che apparisse fuori posto; era una vecchia abitudine, tenere gli occhi sempre aperti per individuare ogni possibile pericolo. Come sempre, però, fatta eccezione per qualche altro jogger, lui e Liberty avevano il lungolago tutto per loro. Grazie al cielo.
Il passato è passato, si ripeté finché l'ansia non tornò da dov'era venuta.
Adorava il lago Michigan. La luce del primo mattino dipingeva l'acqua di un blu profondo; il cielo era terso e riscaldato dal sole sopra la superficie del lago. Più tardi il caldo sarebbe diventato opprimente ma, a quell'ora, correre lungo la riva con la brezza che soffiava dal pelo dell'acqua, era magnifico. Il senso di libertà era ineguagliabile.
Controllò il Fitbit: il battito stava rallentando. «Non vuole farsi battere dal caldo, vero, signorina Reese?» la stuzzicò allungando i quadricipiti.
L'assistente lo raggiunse ansimando. «Posso ricordarle, di nuovo, che non è lei quello che deve prendere appunti mentre corre?» ribatté con un'occhiataccia.
Lui, però, non si lasciò ingannare; era evidente che stesse facendo del proprio meglio per non sorridere.
Continuò con gli stiramenti per farle prendere fiato. «Io parlo. Conterà pure qualcosa, no?»
La signorina Reese sollevò gli occhi al cielo prima di finire l'acqua. Lo fece sorridere: lui era Marcus Warren, unico erede dell'impero finanziario paterno della Warren Investments e di quello materno del Marquis Hotel. Unico proprietario della Warren Capital, un'azienda di venture capital cui aveva dato vita con il denaro del proprio fondo fiduciario. Possedeva metà dei Chicago Blackhawks e un quarto dei Chicago Bulls, oltre al settantacinque percento dei Chicago Fire, la squadra di calcio professionista della città. Era uno degli scapoli più ricchi del paese e probabilmente il più ricco di Chicago.
La gente non sollevava gli occhi davanti a lui.
Tranne la signorina Reese.
Lei si infilò la bottiglietta nella cintura prima di aggiustare l'auricolare bluetooth che non toglieva mai. «Come vuole procedere con gli orologiai?»
La Rock City Watches era un'azienda artigianale con sede a Detroit e aveva chiesto un nuovo finanziamento per espandersi. Marcus guardò l'orologio, che avevano realizzato esclusivamente per lui, con la cassa in oro a ventiquattro carati. «Lei cosa dice?»
La signorina Reese sospirò pesantemente prima di riprendere la corsa, arrancando per il sentiero. Non era una jogger particolarmente aggraziata – arrancare era il verbo che meglio descriveva i suoi movimenti – tuttavia riusciva a stargli dietro e prendeva appunti mentre facevano jogging. Era il momento più produttivo della giornata: Marcus pensava meglio mentre correva.
Per questo correvano ogni singolo giorno, sotto la pioggia o sotto il sole. Il ghiaccio era forse l'unica cosa che li teneva al chiuso, ma aveva comunque un tapis roulant in ufficio; in quel caso, la signorina Reese sedeva alla scrivania e annotava ogni cosa e forniva la propria opinione quando richiesta.
Le lasciò qualche falcata di vantaggio. No, non era affatto aggraziata, questo, però, non gli impedì di godere la vista: la signorina Reese aveva delle belle curve, tanto da attirare l'attenzione di un uomo.
Scosse il capo, allontanando quei pensieri dalla mente. Non era il tipo di miliardario che va a letto con la segretaria... il padre l'aveva fatto abbastanza per tutti e due. Il rapporto di Marcus con la signorina Reese era esclusivamente professionale.
La raggiunse in pochi istanti. «Allora?»
«Nessuno porta più gli orologi» annaspò, «a meno che non si tratti di smartwatch.»
«Ottima osservazione. Sono disposto a investire venticinque milioni nella Rock City Watches.»
L'assistente inciampò per la sorpresa, e Marcus tese una mano per sostenerla. Non la lasciò indugiare sulla sua pelle, però.
«Tutto bene? Siamo quasi alla fontana.» La fontana di Buckingham era il punto dove invertivano il percorso.
Lei gli rivolse un'occhiata ancora peggiore. «Sto bene. Com'è arrivato da quello degli orologi è un mercato morto a investiamo altri venticinque milioni?»
«Se nessuno porta più gli orologi da polso, tornano a essere ciò che erano un tempo: uno status symbol» spiegò. «Solo i più benestanti possono permettersi un pezzo che costa centinaia di dollari. Il mercato degli orologi non è morto, signorina Reese; lo è quello degli orologi di massa. Ma quelli di lusso?» Le mostrò il proprio. «È un gran bell'orologio, non pensa?»
Liberty annuì. «E sarà una bella pubblicità, Made in America e tutto il resto.»
«Però devono accettare la realtà del mercato.»
«Sarebbe a dire?»
«Marketing e dispositivi portatili. Risponda a quelli della Rock City Watches che voglio vedere i progetti. Voglio anche fissare un incontro con loro per discutere di un dispositivo ibrido, un orologio di lusso che possa alloggiare nel cinturino un sistema tecnologico.»
Raggiunta la fontana, lei si fermò e chinò la testa appoggiando le mani sulle ginocchia, inspirando a fondo.
«Che altro?» le domandò Marcus.
«Deve prendere una decisione per il matrimonio Hanson» gli ricordò tra un ansito e l'altro.
Lui gemette. «Devo proprio?»
«È lei che ha deciso di andare» lo ammonì piatta. «È lei che ha deciso di portarsi una ragazza. Ed è lei che ha deciso di prendere due piccioni con una fava organizzando una riunione con i produttori di Feeding Frenzy il giorno dopo le nozze.»
Marcus si concesse un grugnito rivolto all'assistente: la sua mancanza di compassione non era di conforto. Prendere parte al matrimonio Hanson-Spears a Los Angeles non era stata una sua idea, in effetti. Chi diavolo avrebbe voluto vedere l'ex fidanzata che sposava l'uomo con cui l'aveva tradito? Di certo non lui.
La madre, però, aveva decretato che Marcus si presentasse alla cerimonia con una compagna e un'aria felice, in modo che potessero mettersi quello sfortunato incidente alle spalle. Certo, se le avesse dato retta fino in fondo, Marcus avrebbe sposato Lillibeth Hanson in ogni caso, perché cosa conta un piccolo tradimento nel grande schema delle cose? Lillibeth era di ottima famiglia, Marcus era di ottima famiglia. Insieme, secondo i reciproci genitori, avrebbero potuto governare il mondo.
Marcus non ne vedeva il motivo. Si era rifiutato di perdonare Lillibeth e aveva pensato che i genitori avessero accettato la sua decisione. Poi era arrivato l'invito per il matrimonio.
Il peggio era che i genitori non sbagliavano del tutto sulle conseguenze che lo scandalo aveva avuto sugli affari. Per alcuni, la sua incapacità di intuire la verità riguardo a Lillibeth, finché non era stato troppo tardi, era indicativa di un'incapacità di prendere giuste decisioni riguardo agli investimenti. Perciò i genitori gli avevano raccomandato di partecipare al matrimonio per dimostrare che si erano lasciati di comune accordo. E avevano caldamente raccomandato che portasse una compagna, perché presentarsi da solo sarebbe equivalso ad ammettere la sconfitta.
Marcus non doveva far altro che sceglierne una.
Si voltò verso Liberty.
«Quali sono le candidate possibili?»
«Rosetta Naylor.»
Non riuscì a celare una smorfia. «Troppo superficiale.»
«Katerine Nabakov.»
«Troppo mafia russa.»
Lei sospirò pesantemente. «Emma Green?»
Marcus si accigliò ancora di più. In effetti era uscito con lei diverse volte. «Sul serio?»
«È una scelta sicura» gli spiegò l'assistente. «Niente sorprese.»
«Errore. La gente penserebbe che stiamo per sposarci, se usciamo di nuovo insieme.» La gente nel senso dei suoi genitori.
Marcus aveva fatto il possibile per convivere pacificamente con il padre e la madre. Era addirittura andato vicino a sposare Lillibeth Hanson, solo perché loro pensavano che fosse la scelta migliore. Non voleva ricadere in una trappola simile.
«Le opzioni sono limitate e il tempo comincia a scarseggiare, signor Warren» gli fece presente Liberty esasperata. Si piantò le mani sui fianchi. «Il matrimonio è tra due settimane. Se vuole andare in compagnia, dovrà chiedere a qualcuna di venire con lei.»
«Bene. Può accompagnarmi lei.»
L'effetto dell'affermazione fu immediato. Liberty spalancò gli occhi rimanendo a bocca aperta e, per una frazione di secondo, lo percorse con lo sguardo. Nella sua espressione lampeggiò qualcosa che assomigliava pericolosamente all'attrazione.
Come? Lei lo desiderava?
Poi sparì. La signorina Reese raddrizzò le spalle e fece del proprio meglio per apparire autoritaria.
«Signor Warren, sia serio.»
«Sono serio. Mi fido di lei.» Avanzò di un passo. «A volte penso che sia l'unica persona onesta con me. Non cercherebbe di vendere i dettagli del nostro appuntamento alle riviste scandalistiche.» Il che aveva rappresentato gran parte del problema con lo scandalo di Lillibeth: lei aveva sfruttato l'affare, dipingendo Marcus come un fidanzato scadente fuori e dentro la camera da letto.
Liberty si mordicchiò il labbro. «Vuole la mia opinione? Non penso che dovrebbe andare. Perché darle l'opportunità di ferirla di nuovo?» La sua voce era calata di tono e non suonava affatto imperiosa. Anzi, sembrava come se... se volesse proteggerlo.
Era una domanda lecita. Marcus non voleva andare, non voleva dare a Lillibeth la chance di umiliarlo ancora. Tuttavia aveva promesso ai genitori che avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco, assicurandosi che il nome dei Warren fosse sempre sinonimo di potere e denaro.
«E per la cronaca» proseguì lei, «penso che anche partecipare a quel reality, Feeding Frenzy, sia una pessima idea. Il vero problema con Lillibeth è stato che d'un tratto la sua vita privata è diventata di pubblico dominio. Andare in televisione a scommettere su proposte di investimento? È come un pubblico invito alla gente per sfruttarla.»
«Dovrebbe essere un modo per pubblicizzare il mio marchio.»
Liberty sollevò di nuovo gli occhi, come se fosse la cosa più stupida che avesse mai sentito. «Sta scherzando? Ha costruito un'azienda di successo senza essere una celebrità. Ci sono innumerevoli persone che pendono dalle sue labbra. Che diamine, sono sorpresa che non sia stato accostato da qualche jogger che aspetta solo di proporle la sua idea da un milione di dollari.»
L'idea di essere accostato da un estraneo lo fece irrigidire. Ma no... nessun veicolo sospetto con uomini armati nei paraggi. Il passato è passato.
«Sa cosa le dico?» Liberty avanzò di un passo verso di lui, puntandogli l'indice contro. «Se partecipa a questo reality, ecco cos'accadrà: non potrà più fare jogging sulla riva del lago senza incappare in qualche idiota in scarpe da ginnastica che vuole un ritaglio del suo tempo e della sua fortuna. Non alimenti la macchina, Marcus. Non faccia quello che gli altri pensano che dovrebbe fare. Per l'amor del cielo, faccia quello che lei vuole fare.»
Marcus. L'aveva mai chiamato per nome, prima? Improbabile. Il modo in cui le sue labbra formulavano la parola... no, l'avrebbe ricordato se l'avesse già visto. «Magari voglio che mi accompagni al matrimonio.»
Difficile capire se fosse arrossita, perché era già rossa per la corsa e per il caldo. Eppure qualcosa nella sua espressione cambiò.
«No» rispose piatta. Prima che potesse prenderla sul personale, aggiunse: «Io... è che... io non vado bene per lei».
Marcus sentiva il dolore nella sua voce. Si avvicinò ancora e le posò una mano sulla spalla. Liberty alzò gli occhi, spalancati e... speranzosi? Lasciò scivolare la mano dalla spalla al suo viso e, per la miseria, lei si abbandonò a quella carezza. «Perché non andrebbe bene per me?»
Il momento in cui ebbe pronunciato quelle parole, si rese conto di aver esagerato. Sì, Liberty Reese era un'assistente eccezionale e sì, era bella... quando non era sotto sforzo per una corsa nella calura estiva.
Tuttavia quello che era cominciato come un commento innocente ora significava qualcosa di diverso. Qualcosa di più.
Liberty innalzò le barriere. Arretrò, mettendo fine al contatto, e si voltò verso il lago. «La temperatura sta salendo» considerò in tono apatico. «È meglio tornare.»
«Ha ancora dell'acqua?»
Parve in imbarazzo. «No.»
«Mi dia la bottiglia» la invitò Marcus tendendo la mano. «Vado a riempirla alla fontana.»
Lei gli porse la bottiglietta che aveva riposto nella cintura e lo ringraziò con tono normale, come se lui non l'avesse appena invitata e non le avesse appena accarezzato la guancia. Come se lei non l'avesse appena rifiutato. Per qualche motivo, questo gliela fece ammirare ancora di più.
«La aspetto qui. Cerchi di non avere alcuna idea brillante, okay?»
Marcus partì alla massima velocità e la sentì protestare: «Esibizionista».
Scoppiò a ridere.
L'acqua della fontanella era troppo calda, perciò la lasciò scorrere qualche secondo, sperando che si rinfrescasse. Mentre aspettava, si guardò intorno; c'era un cestino della spazzatura poco distante, ed era circondato da