Le regole del piacere: Harmony Destiny
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Forse è per questo che quando Jeannie scopre di essere l'unica parente rimasta al nipote appena nato e lascia il lavoro al locale per dedicarsi al piccolo, Robert decide di aiutarla con il bambino. Ma quella vicinanza assume presto il sapore della seduzione, uno sbaglio che Robert non può permettersi. A meno che...
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Le regole del piacere - Sarah M. Anderson
successivo.
1
«Buonasera, dottor Wyatt» disse Jeannie Kaufman mentre l'uomo occupava il solito posto all'estremità del bancone. Era un venerdì sera movimentato, e lui si sedette il più lontano possibile da tutti gli altri avventori del Trenton's.
«Jeannie» la salutò con il consueto tono brusco.
Quella volta avvertì un'ombra di tensione nella sua voce.
Robert Wyatt era un tipo non comune. La sua famiglia possedeva le Wyatt Medical Industries, e il dottor Wyatt appariva nell'elenco dell'ultimo anno dei cinque scapoli milionari più ambiti di Chicago, ciò che, probabilmente, aveva a che vedere tanto con il patrimonio della sua famiglia quanto con il fatto che era alto più di un metro e ottantacinque, con un torace muscoloso e sfoggiava una folta capigliatura scura che faceva risaltare un paio di occhi azzurro ghiaccio.
E, oltre a essere scandalosamente ricco e bello, quell'uomo era anche un chirurgo pediatrico. Eseguiva delicati interventi sul cuore di neonati e bambini. Salvava vite... e lei aveva letto che, spesso, ne copriva le spese se le famiglie non potevano permettersele.
Era troppo fuori standard per essere vero.
Jeannie si aspettava che, sotto tanta perfezione, si nascondesse una canaglia. Altri clienti ricchi e belli erano, però, dei bastardi. Il dottor Wyatt... non lo era.
Era distaccato, meticoloso e non sapeva cosa fosse la paura. Tutte qualità che facevano di lui un ottimo chirurgo. Però, se aveva una personalità, lei non l'aveva mai intravista. Per cinque sere la settimana entrava nel locale alle otto precise, si sedeva sempre allo stesso posto, ordinava sempre la medesima bibita e lasciava la medesima mancia... cento dollari per un conto da venti. In contanti. Non ci provava con nessuna, e scoraggiava le avance di donne o uomini. Era il suo cliente preferito.
Jeannie gli mise davanti il suo Manhattan. Gli preparava quel drink da quasi tre anni. C'erano voluti quasi otto mesi passati a sperimentare per ottenere il giusto cocktail.
Ne era valsa la pena.
Osservare quell'uomo mentre beveva era in pratica un'esperienza orgasmica. Lui non mostrava emozione alcuna, non fingeva di essere simpatico. Tuttavia, quando posava il bicchiere sul bancone... Sorrideva.
Lo si poteva difficilmente classificare come un sorriso. Lei, però, lo conosceva abbastanza bene da saperlo.
Il dottor Wyatt la fissò negli occhi e mormorò: «Perfetto».
Una vampa di desiderio le serpeggiò lungo la schiena. Di regola, Jeannie non serviva sesso insieme ai drink. Comunque, se avesse mai rotto quella regola, sarebbe stato per lui.
Purtroppo, lui frequentava il locale solo per il suo cocktail.
Jeannie servì altri clienti ma la sua attenzione era concentrata su Wyatt. Doveva dargli la notizia... la settimana prossima se ne sarebbe andata per aiutare sua sorella, Nicole, con la bambina che stava per nascere.
La bambina era la chiave che permetteva a Jeannie e a sua sorella di essere di nuovo una famiglia. Qualsiasi famiglia avesse avuto in precedenza, l'aveva persa. Non aveva mai conosciuto suo padre... se n'era andato prima che lei nascesse. Sua madre era morta quando lei aveva dieci anni e Nicole...
Non aveva importanza ciò che, in passato, era andato storto tra loro. L'importante era che avrebbero afferrato al volo l'occasione di essere di nuovo una famiglia. Melissa – così avrebbero chiamato la bambina – sarebbe stato il legame che le univa. Jeannie avrebbe fatto la sua parte, proprio come Nicole aveva fatto per lei quando la loro madre era morta lasciandole sole al mondo.
Per dimostrarle il proprio impegno, Jeannie si era perfino offerta di trasferirsi nella casa della loro infanzia. Sarebbe stato difficile ma... Solo adesso, a ventisei anni, Jeannie si rendeva conto di quanto Nicole avesse sacrificato per lei. Il minimo che potesse fare era ricambiare il favore.
Nicole le aveva detto, però, che non era necessario che dividessero di nuovo lo stesso appartamento. Grazie al cielo, perché vivere insieme avrebbe distrutto la loro ancora fragile tregua. Jeannie avrebbe continuato a lavorare la sera da Trenton's – e a prendersi cura del dottor Wyatt – poi, ogni mattina verso le dieci si sarebbe recata a casa di Nicole per aiutarla a cucinare o a fare le pulizie o per giocare con la piccola.
Anche se Jeannie non era forse la sorella migliore del mondo, intendeva essere la migliore delle zie. Era quello il suo piano.
L'unico intoppo le era seduto davanti.
Wyatt era refrattario ai cambiamenti, come aveva scoperto da quando era iniziato il loro sodalizio. Si era presa un raffreddore e non era andata al lavoro. Lui era rimasto sconvolto che qualcun altro gli avesse preparato un Manhattan scadente. Dopo quell'episodio, il barista che l'aveva sostituita aveva trovato lavoro in un altro locale. Jeannie sapeva che non era una coincidenza.
Poteva darsi che, per metà del tempo che passava seduto al bancone, il dottor Wyatt non dicesse niente. Ma quando parlava? Quando parlava, ogni singola parola la faceva innamorare di quell'uomo o le spezzava il cuore.
«Allora» iniziò lui, e Jeannie capì che stava per spezzarle il cuore.
Attese pazientemente. Avrebbe deciso lui quando parlare.
Aveva perso un piccino? A quanto le risultava, gli erano morti solo due bambini, ed erano stati momenti... orribili. Si era limitato a dire che aveva fallito. Tutto lì. Ma il modo in cui aveva sorseggiato il drink...
Dopo tre anni passati ad ascoltare il dottor Wyatt che apriva il proprio cuore in toni distaccati, Jeannie sapeva anche troppo bene come, con i bambini, le cose potessero andar male. Era quello a innervosirla pensando a Nicole e Melissa.
«Oggi mi è arrivata all'orecchio una notizia» proseguì lui, dopo un lungo momento.
Lei resistette all'impulso di guardare il cellulare. Nicole le avrebbe inviato un messaggio se fosse successo qualcosa. Tuttavia quella era la sera giusta. Jeannie se lo sentiva.
Wyatt si schiarì la gola. «Mi hanno informato che mio padre sta pensando di candidarsi alla carica di governatore.»
Jeannie si immobilizzò. Aveva mai udito il dottor Wyatt parlare dei propri genitori? Aveva dedotto che fossero morti, lasciando al figlio la Wyatt Medical.
E chi diamine l'aveva informato? Che strano modo di esprimersi. «Davvero?»
«Sì» rispose Wyatt. L'inconfondibile amarezza nella sua voce significava una sola cosa.
Quella era una notizia cattiva.
Jeannie lavorava in un bar da quando aveva compiuto diciotto anni. Non vedeva l'ora di allontanarsi da Nicole, la sorella era contraria che si cercasse un lavoro, e di certo non come barista. Voleva che Jeannie andasse al college e diventasse un'insegnante, come lei. Diventare proprietaria di un proprio bar era fuori discussione.
Dopo quella lite, Jeannie si era trasferita, aveva mentito sulla propria età e aveva imparato un mestiere e appreso molto su come vive l'un percento delle persone. Tuttavia, non aveva mai avuto un cliente come Robert Wyatt.
«Il fatto è» proseguì Wyatt, «che se si candida, si aspetterà che noi gli stiamo accanto come una grande famiglia felice.»
Jeannie si protese sul bancone. «Sembra sia un problema.»
«Non immagini nemmeno quanto» borbottò lui, ciò che era perfino più allarmante perché quando mai lui borbottava?
Jeannie notò che la cravatta era stata allentata leggermente, come se l'avesse strattonata in preda alla frustrazione. I capelli non erano spazzolati, ma erano piuttosto arruffati. Aveva le spalle curve invece della consueta postura eretta. Quando alzò lo sguardo, Jeannie scorse le rughe di preoccupazione che gli solcavano la fronte.
Faceva male vederlo in quello stato.
«Allora, non lo faccia» gli suggerì.
«Devo. Non avrò scelta.»
Lei gli diede un'occhiata. «Perché no? Per amor del cielo, lei ha un milione di scelte. Se volesse comprare metà Chicago per allevare gnu, potrebbe farlo. Lei può andare dovunque, fare qualsiasi cosa, essere chiunque voglia perché lei è il dottor Robert Wyatt.»
Lui aprì la bocca e poi la richiuse. Un attimo dopo si scostò dal bancone, fissandola con aria minacciosa mentre lanciava alcune banconote e si voltava per andarsene.
«Dottor Wyatt? Aspetti!» Quando lui non si arrestò, Jeannie gridò: «Robert!».
Si girò di scatto e lei trasalì perché lui era furioso. La furia non era sepolta sotto strati di gelida calma... era proprio in superficie, chiara come il sole.
Era arrabbiato perché l'aveva chiamato per nome? Non aveva importanza. Non intendeva cedere.
Raddrizzò le spalle e disse: «La prossima settimana devo occuparmi di una questione di famiglia e mi prenderò qualche giorno di ferie».
La confusione sostituì l'ira e, in pochi secondi, lui era tornato al bancone con lo sguardo offuscato da qualcosa di simile all'ansia. «Quanti giorni?» Le sfiorò una mano.
«Solo una settimana. Tornerò lunedì l'altro. Promesso. Lei starà bene?» gli chiese.
«Certo» rispose sbrigativo, come se per lui fosse inammissibile non stare bene. «Sono un Wyatt.»
Un istante dopo era sparito.
Jeannie lo seguì con lo sguardo. Non andava per niente bene. Prima di poter decidere fino a che punto preoccuparsi per lui, però, il suo cellulare ronzò.
È ora!, diceva il messaggio di Nicole.
«È ora!» gridò Jeannie. I camerieri applaudirono.
Il dottor Wyatt avrebbe dovuto aspettare. La sua nipotina aveva la precedenza.
2
Jeannie doveva tornare quella sera.
Robert non aveva più frequentato il Trenton's sapendo che lei non c'era, e gli mancava molto la loro routine. Aveva trascorso molto più tempo in ufficio, riesaminando casi e mettendosi in pari con le scartoffie, evitando di pensare a Landon Wyatt o alle campagne politiche.
Adesso era lunedì e Jeannie doveva essere in attesa di rivederlo. A un certo livello, riteneva che il desiderio di vederla fosse preoccupante. Lei era solo una barista che faceva un buon Manhattan. Tutti erano in grado di miscelare un cocktail.
Quella, però, era una menzogna e lui lo sapeva.
Non avrebbe mai dovuto toccarla. Ma lei se ne stava lì, a fissarlo con i grandi occhi castani, e gli chiedeva se sarebbe stato bene, come se le importasse. Non perché lui era il dottor Robert Wyatt, ma perché era Robert.
Ecco cosa gli era mancato. Essere semplicemente... Robert.
Perso nei suoi pensieri, non controllò lo schermo del cellulare prima di rispondere. «Parla Wyatt.»
«Bobby?»
Robert si irrigidì. Non era possibile... Tuttavia, nessun altro lo chiamava Bobby. «Mamma?»
«Ciao, tesoro.» La voce di Cybil Wyatt era fioca. «Cosa mi racconti?» Erano passati quasi tre anni dall'ultima volta che aveva parlato con sua madre.
«Puoi parlare? Sei in vivavoce?»
«Tesoro» proseguì lei. «Hai avuto notizie da Alexander?»
Quello era un no, non poteva parlare liberamente.
Alexander era l'assistente di Landon, sempre felice di eseguire gli ordini del vecchio. «Sì. Mi ha detto che Landon voleva candidarsi per la carica di governatore.» Un'idea spaventosa a livello sia politico sia personale. L'unica ragione per cui Landon Wyatt voleva diventare governatore era perché doveva aver scoperto un metodo per arricchirsi. Non gli bastava tenere in pugno politici e lobbisti. Voleva sempre di più.
«Tuo padre ti vuole al suo fianco.» Dal modo in cui si schiarì la gola a Robert venne voglia di urlare. «Noi ti vogliamo al nostro fianco» si corresse, perché la favola che fossero una famiglia felice era una menzogna che doveva essere difesa a tutti i costi.
«Sei in vivavoce?» chiese di nuovo.
Lei scoppiò in una risatina falsa. «No di certo. È tutto perdonato, caro. Sappiamo che non hai agito di proposito.»
Se non era in vivavoce, era probabile che fosse seduta nel sontuoso ufficio di Landon, dove lui la stava osservando con quei suoi occhi freddi – gli stessi occhi che Robert vedeva nello specchio ogni maledetta mattina – per assicurarsi che la moglie si attenesse al copione. «Lascia che ti aiuti, mamma. Posso portarti lontano da lui.»
«Tra due settimane daremo un gala per il lancio della campagna.» Le si incrinò la voce, però non si interruppe. «Alla galleria d'arte Winston.»
«La conosco.»
«La tua presenza significherebbe molto per tuo padre e per me.»
Robert non dubitava che la madre volesse vederlo. Per Landon, invece, era solo un altro modo per esercitare il controllo su di lui, e Robert aveva giurato che non gli avrebbe più dato quel potere... anche se il prezzo da pagare era il rapporto con la madre.
«Dimmi cosa posso fare per aiutarti, mamma.»
Ci fu una breve pausa. «Anche tu ci sei mancato.»
Dannazione. Non voleva fingere che fossero una famiglia felice. Tuttavia, conosceva Landon abbastanza bene da sapere che se non si fosse fatto vedere, la madre ne avrebbe pagato le conseguenze. Come succedeva sempre.
Robert non poteva permettere che accadesse. Di tutte le cose che Landon aveva fatto e avrebbe continuato a fare, la più meschina era servirsi di Cybil.
«Rifletti su ciò che ti ho detto. Ne parleremo alla galleria.»
«È fantastico, caro. Inizia alle sette, ma vorremmo che tu arrivassi prima. Tuo padre vuole assicurarsi che siamo tutti sulla stessa lunghezza d'onda.»
Essere sulla stessa lunghezza d'onda significava minacce. «Ci proverò. Devo fare le mie visite. Se riesco a portarti via, verrai?» Perché, dopo quanto era successo l'ultima volta...
«Grazie, Bobby» replicò sua madre, e lui si augurò che quello fosse un sì. «Io... noi siamo impazienti di rivederti.»
«Anch'io, mamma. Ti voglio bene.»
Lei tacque, e la linea cadde. Robert rimase a fissare il vuoto. Era ciò che aveva temuto. Landon l'avrebbe costretto a sostenere... quella menzogna. L'avrebbe costretto a stare al suo fianco. E se non si fosse prestato... Avrebbe più rivisto sua madre?
Doveva esserci un modo per fermarlo.
Riudì le parole di Jeannie. Lei può fare qualsiasi cosa, essere chiunque voglia perché lei è il dottor Robert Wyatt.
Forse aveva ragione. Adesso più che mai aveva bisogno di un drink.
«Allora?» chiese