La proposta di Lord Ravenscar
Di Lara Temple
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Inghilterra, 1824.
Alan Rothwell, Marchese di Ravenscar, è furioso quando la giovane ed eccentrica ereditiera Lily Wallace si rifiuta di vendergli la sua proprietà. Alan ha bisogno di Hollywell House come dimora per alcuni veterani di guerra, ma quella donna impossibile non vuole sentire ragioni, tanto che ogni incontro fra loro si trasforma in un vivace battibecco. Cresciuta libera da qualsiasi convenzione sociale, Lily non ha intenzione di lasciarsi mettere i piedi in testa da un uomo, anche se affascinante come Ravenscar. Ma quando una febbre debilitante costringe quest'ultimo a trascorrere qualche giorno a Hollywell House, Lily sa che la loro reputazione è ormai irrimediabilmente compromessa. L'unica soluzione? Un matrimonio che metterebbe fine al desiderio che li consuma.
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Anteprima del libro
La proposta di Lord Ravenscar - Lara Temple
successivo.
1
Alan Rothwell, Lord Ravenscar, fermò i suoi purosangue sul vialetto di Hollywell House. Durante il viaggio da Bath il cielo era diventato sempre più cupo, e quel grigiore si addiceva al suo umore e alle pietre scure dell'antica dimora.
La tenuta aveva visto giorni migliori, ma con un po' di fortuna sarebbe riuscito a riportarla agli splendori di un tempo. Prima, però, doveva diventare sua, e Alan non aveva la minima idea da chi potesse acquistarla.
Il reverendo Albert Curtis, il precedente proprietario, dopo essersi ripreso da un brutta febbre era morto all'improvviso mentre teneva un sermone durante una funzione in chiesa.
Per prima cosa Alan doveva scoprire chi avesse ereditato Hollywell House.
«E adesso, capitano?» gli domandò il palafreniere, fissando preoccupato le nubi che minacciavano pioggia.
Alan gli passò le redini e saltò a terra.
Il vialetto, come tutta la casa, non era stato oggetto di alcuna manutenzione negli ultimi anni ed era in condizioni peggiori della strada di campagna che aveva percorso per arrivare fino a lì. Il povero Albert non si era mai preoccupato della tenuta, preferendo i viaggi nella sua missione in Africa, il vero scopo della sua vita.
«La porta sembra aperta. Forse il nuovo proprietario è venuto a dare un'occhiata, così potrò parlargli» rispose Alan. «Fai muovere i cavalli, Jem, cercherò di fare in fretta.»
«Sembra che voglia piovere da un momento all'altro, capitano.»
«Non sarebbe ora che tu la smettessi di chiamarmi capitano?» ribatté Alan. «Sono ormai sei anni che abbiamo lasciato l'esercito, sergente.»
«Siete sempre nervoso quando veniamo in questa zona del Somerset.»
«Ho le mie buone ragioni.»
«Forse perché siete troppo vicino alla proprietà di Lady Ravenscar, capitano.» Jem sogghignò, facendo ripartire la carrozza prima che il padrone potesse ribattere alla sua provocazione.
Jem aveva ragione, ovviamente. Il suo umore peggiorava tutte le volte che si avvicinava a Ravenscar Hall. Stanton lo aveva avvertito di stare lontano da Hollywell House e di cercarsi un'altra tenuta da acquistare, dall'altra parte del fiume. Cercò di immaginare la reazione di sua nonna alla notizia che aveva deciso di acquistare una proprietà così vicina alla casa della sua infanzia.
Casa? Non era mai stata la sua vera casa, se n'era andato da Ravenscar Hall a sei anni, insieme ai genitori e alla sorella Catherine, e già allora era stato un sollievo.
Quando i suoi genitori erano morti prematuramente, non sarebbe mai voluto tornarci insieme a Cat, ma non era stato possibile evitarlo. Per fortuna aveva trascorso la maggior parte di quegli anni difficili in collegio, invece che a Ravenscar Hall e, quando Cat si era sposata, aveva giurato di non rimetterci più piede fino a quando i suoi nonni fossero stati in vita.
Hollywell House era tutta un'altra cosa.
Per un ragazzo di dodici anni, vittima della tirannia del nonno, la biblioteca di Jasper e Mary Curtis era stata un rifugio benedetto. Proprio per quella biblioteca aveva pensato di acquistare la proprietà e, dopo l'incendio che aveva danneggiato irrimediabilmente la sede di Bristol della sua fondazione per gli invalidi di guerra, era necessario trovare un luogo adatto in cui trasferirla.
Motivo per cui doveva assolutamente parlare con l'erede di Albert per convincerlo a vendere.
La porta era aperta, come aveva detto a Jem, così entrò nella casa. Solo un mese prima era venuto a trovare Albert Curtis e, insieme, avevano bevuto un bicchiere di brandy nella biblioteca al centro della quale troneggiavano le due armature medievali, che aveva ribattezzato scherzosamente Harry e Falstaff fin dall'infanzia. Sembrava che facessero la guardia al piccolo scaffale intarsiato nel quale il vecchio Jasper, il padre di Albert, conservava i suoi libri favoriti, fra due poltrone di pelle fatte venire dalla Francia prima della rivoluzione.
Quando Alan entrò nella biblioteca, quasi non la riconobbe. Le armature erano a pezzi sul pavimento, insieme ai volumi che prima si trovavano nello scaffale intarsiato, anche quello caduto a terra.
Libri e cocci di soprammobili erano un po' dappertutto e, in mezzo a quel caos, una giovane donna impugnava la mazza ferrata che Falstaff aveva sempre stretto orgogliosamente nei suoi guanti metallici.
«Siete stato voi?» lo apostrofò lei accennando alla confusione che li circondava.
La domanda gli parve sciocca e priva di senso. Come poteva essere stato lui a combinare un simile disastro? La giovane lo guardava fisso negli occhi, muovendo minacciosamente la mazza come se intendesse dargli un colpo in testa.
Era molto graziosa, pensò Alan, peccato che si comportasse come se fosse pazza.
«Io? Perché mai avrei dovuto fare una cosa simile?» reagì. «Potete posare quella mazza, non ho la minima intenzione di avvicinarmi a voi, credetemi» aggiunse, risentito per la sua assurda accusa.
La giovane appoggiò sul pavimento la punta della pesante arma, ma non lasciò l'impugnatura, come se non si fidasse di lui. «Chi siete, e cosa ci fate qui?» lo interrogò perentoria.
«Potrei chiedere la stessa cosa a voi» ribatté Alan.
«Questa è casa mia» lo informò lei.
Questo spiega tutto, pensò Alan. «Intendete dire che siete voi l'erede di Albert Curtis?» domandò incredulo.
Lei fece un cenno di assenso, alquanto seccata dall'espressione scettica di lui. «Albert Curtis era mio cugino, o meglio, era il cugino di mia madre. Vi manda Mr. Prosper?»
«No, un mese fa avevo parlato con Mr. Curtis perché volevo acquistare la tenuta... Non per me, ma per...»
«Ci sarete rimasto male, quando è morto. Il vostro cliente, intendo dire, ci sarà rimasto male» commentò lei, scambiandolo per un agente immobiliare.
La giovane sorrise, e il suo volto si trasformò. Aveva gli occhi castani dai riflessi dorati, e dal cappellino uscivano alcuni riccioli ramati. Ad Alan erano sempre piaciute le bionde, ma poteva sempre convertirsi alle rosse, pensò.
«Il mio cliente? È morto anche lui, non gli importa più di queste cose» scherzò.
Lei inarcò un sopracciglio. «Non siete un avvocato né un uomo d'affari» decretò. «Ne ho conosciuti a dozzine, ma nessuno di loro avrebbe mai osato parlare così di un suo cliente.»
«Avete conosciuto dozzine di avvocati? Siete forse una criminale?» la canzonò Alan.
«Peggio. Se non siete un avvocato, o un uomo d'affari, perché siete qui?»
Peggio di una criminale?, si chiese Alan. Forse era davvero pazza. Non sembrava particolarmente a disagio per la recente morte del cugino né per le condizioni in cui si trovava la biblioteca, e neppure per la presenza di uno sconosciuto in casa sua.
Inoltre lo trattava con una superiorità e un'indifferenza che ferivano il suo orgoglio maschile. Di solito le donne civettavano con lui e Alan era cosciente di esercitare su di loro un notevole fascino.
Lo sguardo gli cadde su uno dei libri sul pavimento, proprio davanti a lui. Era un saggio sugli usi e i costumi di alcune tribù africane. Povero Albert, pensò, di certo una delle sue letture preferite.
«Ho appreso della morte di vostro cugino solo pochi giorni fa» la informò.
«Perché siete entrato, se sapevate che lui non c'era più?» lo interrogò lei, sospettosa.
Alan fece qualche passo in avanti per raccogliere una copia delle Meditazioni di Marco Aurelio, finita sotto un pezzo della corazza di Harry. La copertina era rovinata, ma si poteva rimediare facilmente. Se la mise sotto il braccio e si volse di nuovo verso la giovane donna.
Lei continuava a osservarlo con sospetto, ma senza timore. Forse confidava troppo nella pesante mazza che non aveva alcuna intenzione di lasciare.
«Che cosa può essere peggio di una criminale?» la incalzò Alan. «Una monaca?»
«Con quale criterio giudichereste una monaca peggiore di una criminale?» replicò lei. «Rimettete quel libro al suo posto, è mio» gli ordinò.
«Le monache sono peggio delle criminali, dal mio punto di vista» le spiegò. «Non corteggerei mai una monaca. Meglio una criminale.»
Era riuscito a incuriosirla.
I suoi occhi dorati diventarono color del miele, grandi e luminosi. Aveva una carnagione perfetta, e la sua voce era limpida e musicale. Parlava con un accento difficile da definire, né londinese né di quella zona. Sembrava una signorina perbene, ma chissà...
«Non vedete che disastro abbiamo intorno?» sbottò lei. «Questa biblioteca sembra Cartagine distrutta dai Romani. Avete di fronte una donna con una mazza ferrata in mano e pensate a civettare con lei? O siete pazzo, o un povero disperato che non si rende conto della situazione. Mettete giù quel libro, vi ripeto, adesso appartiene a me.»
«Perché dovreste perdere tempo a discutere con un pazzo, o un disperato?» le domandò lui avvicinandosi.
«Posate quel libro e state lontano da me.»
«No, se non mi direte cosa ci può essere di peggio di una criminale secondo voi. Non metto neppure in discussione che non siate una monaca.»
Lei, per tutta risposta, sollevò la mazza per il manico e la lasciò ricadere pesantemente sul pavimento con un tonfo che fece tremare la stanza.
Alan si fermò.
«Vi do tre possibilità di indovinare chi sono» gli propose. «Se vincete, vi regalerò Marco Aurelio. Se perdete ve ne andrete senza far storie.»
Era davvero una creatura bizzarra e divertente, pensò Alan. Gli stava salvando la giornata, che si era prospettata grigia e noiosa.
Gli sarebbe piaciuto che fosse una cortigiana, facile da conquistare, ma i suoi vestiti erano quelli di una fanciulla di buona famiglia. La pelisse color bronzo ricamata di fiori gialli era semplice e molto elegante. Anche il cappellino sembrava costoso, per quanto sobrio e privo di tutti i frivoli ornamenti che tanto dilettavano le sue coetanee.
Appariva perfettamente rispettabile e, se l'avesse incontrata in un salotto londinese, se ne sarebbe tenuto lontano, come faceva con tutte le donne di quell'età, alla perpetua ricerca di un marito.
Però le giovani donne rispettabili non vagavano per tenute di campagna tutte sole, difendendosi con una mazza ferrata, anche se avevano ereditato la tenuta e la mazza. Erano sempre accompagnate e approfittavano della prima occasione per svenire, scoppiare in lacrime, oppure accogliere con risolini irritanti ogni parola che veniva rivolta loro.
«Vediamo... Siete un'attrice, e il vostro ultimo ruolo è stato quello di Didone sulle rovine di Cartagine. Non mi sembra che la presenza di una mazza medievale sia un particolare plausibile, da un punto di vista storico.»
«Vi sbagliate, ma la mazza mi fa sentire sicura. Tentate ancora.»
Era bene istruita, pensò Alan. Non molti conoscevano la storia di Didone e di Cartagine. «Siete una di quelle donne intellettuali che amano la storia medievale» provò a indovinare.
«Lo considero un complimento, ma è inesatto. Provate ancora, per l'ultima volta.»
Prima che Alan potesse parlare la porta della biblioteca si aprì e comparve un uomo di dimensioni considerevoli. La mazza finì definitivamente sul pavimento.
«Finalmente!» esclamò lei. «Dove sei stato, Jackson? Accompagna fuori quest'uomo. Credevo fosse stato lui a combinare un simile disastro, ma penso di essermi sbagliata.» Si girò verso Alan. «Ehi, voi! Posate quel libro, non ve lo siete ancora guadagnato.»
Forse lei non era una criminale, rifletté Alan, ma quell'uomo grande e grosso poteva esserlo, a giudicare dal suo aspetto.
«Ho il diritto a un ultimo tentativo, no?» protestò prima di essere scacciato. «Come nelle favole.»
Lei rise. Con il grazioso piedino toccò la mazza ferrata, e lui notò che le scarpette erano delle più costose. Lo sapeva bene, perché ne aveva regalate diverse, simili a quelle, alle sue amanti.
«Come nelle favole, avete ragione. Su, provate un'altra volta, vi spetta di diritto» gli concesse.
Era incantevole, pensò Alan.
I suoi occhi dorati lo avevano catturato, la sua boccuccia sembrava attirarlo come il miele. Le sue labbra dovevano essere altrettanto dolci e profumate, pensò avvicinandosi, anche se la saggezza e l'esperienza gli avevano insegnato a stare alla larga da donne come lei.
«D'accordo, farò il mio ultimo tentativo per avere il libro di Marco Aurelio. Voi appartenete a quella categoria di donne che ritengono di aver diritto a ogni forma di omaggio, anche se non se la sono mai meritata, e che pretendono di venir adorate dagli uomini per qualità che non possiedono. In altre parole, siete un'ereditiera.»
Si era aspettato che si offendesse, non che sembrasse divertita. Forse era davvero una donna rispettabile, come appariva, ma di certo non era prevedibile. Un punto a suo favore, almeno per quanto riguardava il suo apprezzamento.
«Come sapete che non ho fatto niente per meritarmi ogni forma di omaggio?» obiettò lei. «Senza contare che essere un'ereditiera è un duro lavoro, come può testimoniare anche Jackson.»
«Vi serve per tenere a bada i cacciatori di dote?» chiese Alan voltandosi verso di lui.
«In un certo senso...» Lei fece una smorfia. «Be', direi che vi siete guadagnato il vostro Marco Aurelio. Addio» lo congedò senza tanti complimenti.
«Un momento. Dobbiamo ancora discutere della vendita della tenuta. Vi offro lo stesso prezzo che avevo offerto a vostro cugino. Una somma alquanto generosa, ve lo assicuro.»
«Chi rappresentate? Per conto di chi volete acquistare questa casa?»
Per un attimo Alan si chiese se fosse il caso di parlarle della fondazione che assisteva i veterani di guerra. Di solito lui e i suoi amici preferivano tenere per sé la loro partecipazione all'iniziativa, fatta in termini del tutto volontari e senza scopo di lucro. Forse la cugina di Albert non aveva la vocazione alla filantropia che aveva sempre contraddistinto il suo defunto parente.
«Che importanza ha?» ribatté. «Non basta che il prezzo sia conveniente per voi? Dubito abbiate intenzione di stabilirvi qui.»
Forse aveva fatto un passo falso, perché la luce negli occhi di lei cambiò, e il suo sguardo adesso non prometteva niente di buono.
«Hai sentito, Jackson? Qui c'è un altro che ha un'opinione ben precisa su ciò che posso, o non posso, fare.»
Il corpulento servitore reagì con sdegno altrettanto evidente. «Ho sentito. Che vergogna!»
Alan tentò di non sorridere. «Ora mi direte che l'ultimo sciocco che ha cercato di suggerirvi cosa fare è stato strangolato e sepolto in giardino?» la prese in giro.
«No, ma mi state facendo venire la tentazione di fare così con il prossimo sciocco che verrà a importunarmi. Sapete dov'è la porta.»
«Credete davvero di liberarvi di me in questo modo?» reagì Alan. «Proprio come un'ereditiera capricciosa che ottiene sempre ciò che vuole?»
«Non permettetevi di offendere Miss Lily» lo ammonì il muscoloso servitore mettendogli una mano pesante su una spalla.
«Jackson, no!»
Alan fece appena in tempo a voltarsi mentre l'uomo cercava di assestargli un pugno nello stomaco. Evitò il colpo e lo restituì con forza. Era abituato a frequentare una palestra, a Londra, e a esercitarsi nella nobile arte del pugilato insieme ai suoi amici. Non disdegnava una bella rissa, in qualche taverna malfamata, oppure nei villaggi, e trovò interessante combattere con un uomo delle dimensioni di Jackson.
Non gli era mai capitato un avversario così alto e massiccio, una specie di armadio che camminava. Jackson rimase stupito e anche un po' seccato all'idea che qualcuno non avesse paura di lui. Soprattutto quando, con un ultimo pugno, Alan lo mandò a gambe all'aria sui libri sparsi sul pavimento, che attutirono la sua caduta.
«Attento! I miei libri!» strillò la sua padrona, più preoccupata per i volumi che per lui.
Jackson si rialzò grugnendo qualcosa e ricominciò a prendersela con Alan. Era abituato a vincere facilmente, o meglio a mettere in fuga gli avversari spaventati per la sua stazza. Lo metteva a disagio la facilità con cui Alan schivava agilmente i suoi colpi e riusciva a infierire su di lui.
Invece Alan si stava divertendo, ed era quasi sul punto di chiedere a Jackson una breve interruzione per togliersi la giacca e proseguire con più agio, quando la porta si aprì e un'anziana signora si stagliò sulla porta.
La sua reazione nel vedere il combattimento consistette in