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La misteriosa donna dell'isola
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E-book266 pagine7 ore

La misteriosa donna dell'isola

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Info su questo ebook

Wild Lords and Innocent Ladies 3

Isola di Illiakos-Inghilterra, 1822
I ricordi che Lord Stanton ha del tempo trascorso sull'isola di Illiakos sono confusi, offuscati dalla febbre che lo attanagliava a causa delle gravi ferite. Tutto ciò che rammenta è la misteriosa fanciulla che lo ha accudito salvandogli la vita. Di lei non ha mai potuto vedere il viso, coperto da un velo, ma la sua premura, il suo spirito arguto, la sua dolcezza gli hanno rapito il cuore. Anche ora, a distanza di anni e nella lontana Inghilterra, le appartiene. È forse per questo che quando una delegazione reale di Illiakos decide di soggiornare proprio a Stanton Hall per discutere di importanti negoziati con gli inglesi, lui riconosce subito nell'accompagnatrice della principessa l'amata soccorritrice. Questa volta, però, non ha alcuna intenzione di rinunciare a lei né di lasciarla tornare nella sua isola!
LinguaItaliano
Data di uscita20 dic 2018
ISBN9788858992067
La misteriosa donna dell'isola

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    Anteprima del libro

    La misteriosa donna dell'isola - Lara Temple

    successivo.

    Prologo

    Regno di Illiakos, Mediterraneo, 1817

    «Pazzi! Sparare nella nebbia in quel modo. Altri due minuti e avrebbero visto le bandiere maltesi! E se dovevano davvero sparare a qualcuno, perché non a un maltese? Perché a un inglese? Ora che Napoleone è finito, l'Inghilterra regna sui mari, il che significa che sarebbe una vera disgrazia, per me, se lui morisse.»

    «Mi dispiace, Maestà» mormorò Christina, mentre continuava a frugare tra le erbe che lei e la piccola Principessa Ariadne avevano raccolto nei giardini del palazzo.

    «Sta per morire, papà?» chiese Ari, infilando la mano nella sua.

    «Non lo so.» Il re emise uno sbuffo di frustrazione. «Non mi fido di quello stupido di un dottore. Sostiene che la pallottola è uscita, ma non pensa che l'uomo sopravvivrà alla febbre. Il codardo ha mandato a chiamare un prete. Voglio che te ne occupi tu, Athena.»

    «Io?»

    «Sì. Hai sempre aiutato tuo padre con i pazienti. Usi quelle erbe che le donne vengono a chiederti. Questa storia non mi piace. Ho visto l'uomo... Tutto in lui parla di ricchezza e privilegio, e tuttavia non ha niente con sé, neppure una lettera. Il capitano maltese dice che ha pagato più del prezzo stabilito per essere trasportato da Venezia e che l'ha visto in compagnia di uno degli uomini più importanti del Khedivè di Alessandria. Gli inglesi verrebbero a cercare un tipo del genere. Se deve morire, preferisco che lo faccia altrove, perciò mettilo in condizione di viaggiare, Athena.»

    La nota di preoccupazione nella voce del re distrasse Christina dall'enormità del compito e dalla consapevolezza di essere del tutto inadeguata. Avrebbe fatto qualunque cosa per il re e per Ari. Doveva loro più della gratitudine, doveva lealtà e amore.

    «Sapete che farò qualunque cosa sia di aiuto, Maestà.»

    «Lo so. Puoi essere caparbia come le scogliere di Illiakos, quando ti metti in testa qualcosa. Quindi va' e concentrati nel rimettere in piedi quell'inglese. Via tutte e due, adesso.»

    «Posso andare a svenire davanti a lui, papà?» domandò Ariadne, speranzosa.

    «In nome di Zeus, cosa intendi per svenire, Ari?»

    Di solito la gente tremava quando si trovava ad affrontare la collera del re, ma la piccola Ari sapeva bene quanto Christina che suo padre abbaiava più di quanto mordesse.

    «Ho sentito le cameriere dire che è bello come un dio, e loro gli danno un'occhiata e svengono. Allora, posso farlo anch'io?»

    «No, non puoi. Non ci saranno svenimenti. Però hai toccato un punto importante. Quando tuo padre morì, Athena, ho giurato sulla testa di Zeus che ti avrei protetta come se fossi mia figlia, e questo si applica alla tua modestia quanto alla tua vita. Quando lo assisterai, indosserai i veli, e manderò Yannis a fare la guardia. Non sappiamo niente di quell'inglese, dopotutto.»

    «Ma, Re Darius, assistere un paziente velata non è molto...»

    «E porta alcuni dei miei giornali inglesi da leggergli.»

    «Se è privo di sensi, leggergli qualcosa sarà inutile...»

    «Devi discutere con me per ogni cosa, Athena?» la interruppe il re sollevando le mani al cielo. «Forse udire la sua lingua natale gli ricorderà i propri doveri e lo farà risvegliare. Adesso va' e vedi cosa puoi fare, mi hai sentito?»

    «Metà castello può sentirvi, Maestà» replicò Christina mentre strofinava via dalle mani il resto delle erbe. «Tornerò presto, Ari.»

    «E mi dirai se è davvero così bello?»

    Christina sorrise al ringhio del re, mentre spostava la massa di riccioli scuri dalla fronte della principessina. «Non è la bellezza di un uomo quello che conta, ma il suo cuore» affermò con un po' di pedanteria. Mentre si dirigeva alla porta, aggiunse, per buona misura: «Per non parlare del buon carattere e dell'umore costante».

    Non aspettò di udire la replica del re alla sua lieve impertinenza, ma andò direttamente nella stanza del prigioniero. Non si aspettava davvero di riuscire a soddisfare le aspettative di Sua Maestà, facendo risvegliare l'inglese. Poteva condividerne il disdegno verso il dottore che aveva preso il posto di suo padre, ma non pretendeva di saper fare di meglio.

    «Salve, Yannis, il re mi ha mandato a vedere se si può fare qualcosa per l'inglese.»

    Yannis, una delle guardie più fidate del re, inarcò le sopracciglia. «Kyrie Sofianopoulos sostiene che non sopravvivrà alla febbre.»

    «Allora non potrò nuocergli, vero?»

    «No, e neppure giovargli. Se il re ha detto così, comunque... Naturalmente lui ne sa di più.»

    Christina sorrise alla cieca accettazione dell'infallibilità del re ed entrò nella stanza, preparandosi al peggio. Mentre si avvicinava al letto del malato, la sua mente fece qualcosa di insolito: si divise in due. La ragionevole Christina esaminò il colore febbrile delle guance dell'inglese e il lato sinistro del suo petto nudo. La ferita era proprio sotto la cassa toracica ed era coperta da un bendaggio macchiato d'arancio e marrone. Tuttavia, anche mentre si metteva al lavoro rimuovendo le bende, una parte del tutto sconosciuta dentro di lei sollevò il capo e offrì un'opinione. Le cameriere avevano ragione: poteva essere in punto di morte, ma era l'uomo più attraente che avesse mai visto.

    A volte Christina aveva osservato i pescatori a petto nudo, al porto, e sebbene anche loro possedessero muscolature impressionanti, quell'uomo era a un livello diverso. Alto e snello, ma con spalle e braccia che apparivano in grado di rovesciare un tempio, e un intero panorama di piani duri e pendenze, deturpato qua e là da cicatrici, alcune delle quali avevano l'aspetto di vecchie ferite da coltello, inclusi due tagli piuttosto profondi sull'avambraccio. A parte quelle imperfezioni, sembrava una versione nordica di Apollo, con serici capelli castano chiaro, simili a un campo di grano visto da lontano. Anche nello stato febbrile in cui si trovava, c'era durezza nella sua espressione. I lineamenti erano cesellati, senza troppa carne sugli angoli forti degli zigomi e del mento, e le linee delle labbra scolpite. La bocca aveva due profonde incisioni agli angoli, che davano un tocco finale a un volto che, più che a una persona reale, faceva pensare a come dovesse apparire la statua di un Apollo affaticato dall'aver trascinato tutto il giorno il sole attraverso il cielo.

    Tuttavia non fu il suo aspetto a immobilizzarla. Per un momento, mentre stava accanto a lui, i suoi occhi si aprirono e guizzarono su di lei. Erano di un grigio profondo spruzzato di argento, come quello di nuvole in attesa di scatenare un temporale. La sua voce fu un tuono roco, un avvertimento che terminò in una supplica. «La neve... sta gelando... Moreau non avrebbe dovuto lasciarla. Troppo tardi.»

    La stava fissando senza vederla, e Christina gli prese la mano per rispondere alla supplica. «Non è troppo tardi.»

    «Troppo tardi» ripeté l'uomo, e stavolta i suoi occhi fissarono quelli di lei, che sorrise rassicurante, perché non voleva che morisse così disperato.

    «No, non è troppo tardi, lo prometto. Fidatevi di me.»

    Lo sguardo dell'inglese si schiarì per un momento, le pupille contratte finché Christina poté vedere il contorno argenteo che le circondava. Poi le sue palpebre si chiusero di nuovo e lui tornò ad agitarsi, cercando di liberarsi dal bendaggio. Lei distolse l'attenzione dal suo volto e si concentrò sul proprio dovere.

    Un'occhiata alle condizioni infiammate della ferita e alla sfumatura malsana della pelle le rivelarono che la diagnosi del dottore non era ingiustificata. Ci sarebbe voluto più di un giornale per far rimettere quell'uomo.

    «È in cattive condizioni, vero?» si informò Yannis da sopra la sua spalla. «Avevo detto al re di metterlo su una barca diretta ad Atene e di lasciarlo morire là. Non abbiamo bisogno di problemi con gli inglesi.»

    Christina soffocò un sospiro. Non serviva a niente arrabbiarsi con lui. «E il re cosa ha detto?»

    «Niente che possa riferire a voi, piccola infermiera.» Yannis ghignò. «La mia punizione è di fare la guardia e aiutarvi a controllare che l'inglese non muoia. Dunque, cosa dobbiamo fare, per prima cosa?»

    «Tu portami una grande brocca d'acqua, mentre io prendo la borsa di mio padre e quegli stupidi veli.» Non c'era da sperare che il re dimenticasse il suo ordine.

    «Veli?»

    «Il re mi ha ordinato di indossare dei veli mentre mi occupo dell'inglese.»

    «Buona idea» approvò Yannis. «Non ci si può fidare di un uomo senza un nome. Chissà da che cosa stava fuggendo.»

    Lei non rispose. Non perché fosse sciocco vedere fantasmi dove non ce n'erano, ma perché c'era qualcosa, negli occhi e nella voce dell'inglese, che dava un certo credito alle parole semischerzose di Yannis. Non aveva importanza, comunque. Tutto quello che importava era che un uomo rischiava di morire e che forse lei poteva salvarlo, e allo stesso tempo aveva l'occasione di ripagare parte del debito che aveva verso la sua famiglia di adozione.

    Così iniziò una delle settimane più strane della sua vita. Christina andava diverse volte al giorno ad assistere l'inglese, mentre Yannis l'aiutava ad assicurarsi che bevesse il brodo che lei preparava. Inoltre, nonostante si sentisse piuttosto stupida, eseguì l'ordine del re e gli lesse i giornali inglesi. Nel giro di due giorni quello che aveva ritenuto un compito fastidioso divenne quasi un'attività scaramantica. Era imperativo che lui sopravvivesse, non solo per il re, ma perché così doveva essere. Lottò per la sua vita con lo stesso fervore che avrebbe dimostrato se a essere ammalati fossero stati Ari o il re, il che non aveva alcun senso.

    I veli erano una seccatura, ma presto trovò che le comunicavano un senso di libertà. La mettevano in grado di osservare con attenzione l'inglese senza preoccuparsi di essere di nuovo penetrata dai suoi occhi di ghiaccio. Nella penombra imposta dagli indumenti, non era costretta a distogliere lo sguardo dal suo volto o dal fisico magnifico, nonostante si vergognasse di ritrovarsi a fare di nascosto ciò che le cameriere facevano apertamente ogni volta che portavano provviste o pulivano la stanza.

    Non è bello come Apollo? E guardate quelle spalle!, sospiravano in greco mentre Christina tentava con forza di ignorare il loro rapimento e il proprio turbamento.

    Dopo una settimana il polso dell'uomo si stabilizzò, e lei notò che la sua espressione cambiava quando gli leggeva i giornali. La bocca aspramente scolpita si muoveva come per una conversazione interiore con l'argomento. La politica veniva accompagnata da un cipiglio, e le notizie sulla società londinese da un lieve arricciarsi del sottile labbro superiore. Il suo volto, però, diventava più espressivo quando lei indulgeva in una lettura che l'affascinava: le colonne dei cuori solitari. C'era qualcosa di così toccante e misterioso in quelle righe, come frammenti di dramma e romanzi che sarebbero rimasti per sempre senza risposta. Senza neppure farci caso, un giorno iniziò a discuterne con il suo paziente privo di sensi.

    «State a sentire questo» disse. «Sembra un tipo molto appassionato. A MA... Presumo sia Maria, o forse potrebbe essere Margarita? Questo aggiungerebbe un tocco esotico. Comunque, lui scrive: IO MERITO QUESTO? A lettere maiuscole, anche. Mi domando se non costi di più. Poi continua: È generoso? È giusto? Se per mercoledì non sentirò niente da parte tua, allora strapperò il tuo ricordo dal mio cuore e tenterò di cancellare il tuo dolce sorriso dalla mia anima. Orlando. Accadeva tre settimane fa... Mmh, mercoledì è passato, e io non saprò mai se Orlando è stato benedetto dalla sua Maria, o se lei ha scelto qualcuno di più ragionevole. Immagino che vivere la vita a lettere maiuscole possa essere un po' stancante.» Fece una breve pausa, poi esclamò: «Oh, no, questo è ancora peggiore! A P. Se tu comprendessi il dolore e la disperazione in cui sono sprofondato non solleveresti la testa. Con te potrei soffrire ogni privazione. Da solo sono tutto disperazione. Una punta di gentilezza potrebbe cancellare ogni pena. S. B. Santo cielo! Be', penso sia molto coraggioso mettere un tale dolore sulla carta, ma non riesco a immaginare di scrivere qualcosa di così...».

    «Sdolcinato.»

    Il foglio si accartocciò tra le sue mani. La parola era stata debole ma decisa, e per un momento Christina esaminò la stanza, cercando l'origine di quel suono, finché non si rese conto che proveniva dall'inglese. Era sveglio: non il breve riemergere dalla febbre dei giorni passati, ma davvero sveglio, e la stava scrutando. Lucidi, i suoi occhi erano anche più impressionanti: acuti e taglienti come una spada.

    «Dove diavolo mi trovo?» domandò lui.

    «A Illiakos.»

    «Illi... Diavolo! Adesso mi ricordo. La tempesta. Ci hanno sparato.»

    «Erano convinti che foste dei pirati.» Christina tentò di essere conciliante, pensando al re.

    «Stavamo battendo bandiera maltese» puntualizzò lui. «Chiaro come il giorno.»

    «Sì, be', ma non lo era. Un giorno chiaro, intendo.»

    Lui gemette, tentando di spostarsi sul letto. «Ricordo. La maledetta nebbia. Siamo finiti sulle secche. Perché state leggendo la posta del cuore? E a voce alta anche, per l'amor del cielo!»

    «Re Darius ha richiesto che vi leggessi i quotidiani inglesi. Pensava vi avrebbe aiutato a riprendervi.»

    «È più probabile che quella robaccia nauseante mi faccia peggiorare. Non avevo idea che le persone scrivessero simili idiozie.»

    «Non sono idiozie per loro. Chiunque sia disposto a denudare la propria anima in quel modo merita della simpatia, che voi lo approviate o no.»

    La bocca di lui si rilassò appena in quel che poteva essere l'accenno di un sorriso. Era la prima volta che Christina gli vedeva quell'espressione, e il suo battito, che aveva iniziato a calmarsi, riprese il galoppo.

    «Neanche voi sembravate approvare, poco fa. Quindi non penso che possiate proclamare la vostra superiorità morale.»

    Lei arrossì, chiedendosi come fosse finita nel mezzo di una discussione mentre avrebbe dovuto chiamare il dottore o fare qualcosa di altrettanto ragionevole, ma il provocatorio lampo di divertimento negli occhi dell'uomo la trattenne al proprio posto. Brancolò alla ricerca di qualcosa da dire. «Per vostra informazione, vi ho già letto le pagine politiche da cima a fondo. Due volte. E quelle sono ugualmente deprimenti. Anche di più.»

    Lui aggrottò la fronte. «Ora ricordo... Stavate leggendo qualcosa sullo zar e il sultano. Ma sono notizie vecchie, risalgono a più di un mese fa.»

    «La posta ci mette un po' ad arrivare da noi» gli spiegò Christina. «Le scorrerie dei pirati hanno reso difficile il commercio, così le navi viaggiano in convoglio. Spero che la prossima settimana riceveremo i giornali da Atene.»

    «Noi... Chi siete voi e perché state indossando una tenda? La vostra voce sembra provenire da sotto l'acqua.»

    «Sono veli nuziali» rispose lei con tutta la dignità possibile. «A Illiakos, nel primo mese di matrimonio, le spose li indossano in pubblico. Simboleggiano il periodo durante il quale le persone sposate si dedicano totalmente l'una all'altra.»

    «Buon Dio, altre stupidaggini sentimentali! Non invidio la vostra notte di nozze.» La sua risata finì in un ansito di dolore, mentre lui tentava di sollevarsi a sedere.

    Christina lasciò cadere il giornale. «Per favore, restate disteso, il dottore ha rimosso la pallottola, ma avete perso una gran quantità di sangue.» Sedette sul bordo del letto e lo spinse indietro con gentilezza, come aveva fatto nei suoi accessi di febbre. Tuttavia, adesso era diverso. La pelle dell'uomo non stava più ardendo, ma la sua sì.

    Nel momento in cui gli toccò le spalle, Christina raggelò. Si impose di pensare che era solo un uomo malato, quello che stava curando, ma la sensazione era molto diversa. Le sue dita stavano tentando di curvarsi sulla superficie vellutata che copriva le creste rocciose delle spalle di lui. Sedendo in quel modo, se si fosse sporta solo un po', sollevando la testa... togliendosi i veli...

    Rimosse la mano, ma non poté radunare abbastanza forza da alzarsi. Così sedette con le mani intrecciate in grembo, in attesa.

    Anche lui si immobilizzò, e c'era un'espressione confusa nei suoi occhi di ghiaccio, come se stesse tentando di ricordare una parola. «Siete già stata qui, vero? Ricordo...» Allungò una mano verso i veli, e Christina si alzò di scatto, il che fu un errore, perché inciampò nella massa di stoffa e incespicò all'indietro.

    «Attenta!» Lui allungò un braccio per afferrarla. Impallidì e con un gemito di dolore ricadde sui cuscini.

    «Non muovetevi.» La preoccupazione superò la confusione. Christina sollevò con gentilezza i bendaggi, sospirando di sollievo nell'esaminare la cicatrice intatta al di sotto. «È stato sciocco.»

    «Non sono stato io a saltare come un gatto scottato» borbottò lui tra i denti serrati. «Avete chiarito il punto. Non toccherò i veli. Il maledetto dottore può aver estratto la pallottola, ma penso che abbia lasciato un fascio di coltelli al suo posto.»

    Nonostante il disagio, la bocca di Christina si curvò in un sorriso. «Non un fascio, solo uno. È considerato di buon augurio.»

    «State scherzando, vero?» L'inglese sgranò gli occhi, e lei sorrise.

    «Certo che sì. Il medico è soltanto terrorizzato dal re, il che lo rende un po' goffo. Per favore, appoggiatevi indietro mentre applico un unguento che allevierà l'infiammazione e il dolore.»

    «Non ho bisogno di altre cure. Quel pazzo di un dottore ha già fatto abbastanza danni, per quanto posso vedere, e che sia dannato se vi lascerò spargere qualche pestilenziale rimedio popolare su una ferita aperta. Quello di cui ho bisogno è andarmene da questa isola.»

    «Sono solo erbe bollite, eccellenti per prevenire la putrefazione delle ferite. Vi assicuro che non ci sono ali di pipistrello né orecchie di tritone. Se volete rimettervi in fretta, vi suggerisco di lasciarmi applicare l'unguento.»

    La bocca dell'uomo si tese per un momento al suo rabbuffo. Poi, con un'imprecazione degna di un marinaio, si appoggiò indietro e chiuse gli occhi. La sua pelle era calda e vellutata sotto le dita di Christina. Lei lavorò in fretta, spargendo l'impiastro con delicatezza sopra l'area arrossata attorno alla ferita, sulla quale fece scorrere le dita con la leggerezza di una farfalla. Lui non sussultò, ma la tensione dei suoi muscoli e il modo in cui le mani si chiudevano a pugno sui fianchi erano abbastanza rivelatori. Christina provava una tentazione quasi irrefrenabile di piegarsi e premere un bacio sul suo petto nudo, di allentare quel controllo, di rassicurare, esplorare...

    Sapeva che avrebbe dovuto ritirarsi, ma le sue dita continuarono nella suadente carezza, finché non finì le scuse e non ebbe altra scelta che fermarsi.

    Per diversi battiti di cuore la stanza rimase in silenzio. Il petto dell'uomo si sollevò e si abbassò, poi lui aprì gli occhi, fissandola. «Avete delle mani pericolose, piccola infermiera.»

    Christina piegò le dita a pugno e abbassò lo sguardo. «Dubito si possano definire pericolose. Non in confronto a qualunque cosa vi abbia fatto questo.» Indicò le cicatrici, tentando di non guardarle.

    Lui sollevò il braccio e lo scrutò, come se fosse sorpreso di trovarle lì. «Queste sono solo un utile ricordo che mi impedirà di vagare attorno ai bazar di Costantinopoli dopo una notte di pesanti bevute, quando non sono il benvenuto in città.»

    «Qualcuno ha tentato di uccidervi?»

    «Non tutti mi trovano affascinante.»

    «Posso capirlo, ma non mi sembra una ragione sufficiente per tentare di eliminarvi.»

    «Grazie. Sciocco, da parte mia, aspettarmi un diniego.»

    «Inoltre, non tutte quelle cicatrici provengono dallo stesso episodio o dalla stessa arma» aggiunse lei, ignorando il suo poco convincente tentativo di apparire offeso.

    Con un cipiglio, lui abbassò lo sguardo sul proprio torace. «No. Temo di portare sul corpo un diario delle mie follie. Quest'ultima rappresenterà un capitolo particolarmente inglorioso. Non ho fatto niente per meritarmela, a parte trovarmi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Che cosa umiliante!»

    «Le altre sono state meritate?»

    «A parte questa.» Lui girò la mano sinistra per mostrare una chiazza bianca lungo la base del palmo. «È la conseguenza di aver tentato di salvare un amico dalla sua follia, quando durante un temporale si arrampicò sul muro esterno della nostra stanza, a scuola, e quasi finì come ornamento dei cespugli di sotto.»

    «La follia sembra essere contagiosa. I vostri amici sono pazzi quanto voi?»

    Lui sorrise. «Raven era già così quando

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