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Il segreto dell'istitutrice
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E-book251 pagine3 ore

Il segreto dell'istitutrice

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1823 - Louisa Brockhurst è una donna in fuga, dalle amiche del Club delle Istitutrici, dalla sua famiglia e dal terribile segreto che custodisce da anni e che la rende irrequieta e incapace di radicarsi. Dopo aver vagato alcuni mesi senza una meta precisa, la donna arriva nella locanda di John Taylor, ex pugile e vedovo, che accetta di darle lavoro. Louisa, grazie alla sua intelligenza e alle sue capacità, passa in breve tempo da cameriera a socia di John. Dall'intesa lavorativa a sentimenti ben più profondi il passo è breve, ma l'istitutrice non è ancora pronta a rinunciare alla propria indipendenza. Riuscirà la gentilezza e la comprensione di John a far breccia nella diffidenza di Louisa e a indurla a confidargli il suo segreto? O la paura avrà la meglio sui sentimenti e la porterà a fuggire di nuovo?



Miniserie "Il Club delle Istitutrici" - Vol. 4/4
LinguaItaliano
Data di uscita20 ott 2016
ISBN9788858957059
Il segreto dell'istitutrice

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    Anteprima del libro

    Il segreto dell'istitutrice - Ellie Macdonald

    successivo.

    1

    Settembre, 1823

    La porta sbatté sonoramente alle spalle di Louisa, ma nella sala affollata nessuno parve accorgersene.

    L'acqua che scorreva giù per il cappotto aveva creato una pozzanghera attorno ai suoi piedi. L'umidità era penetrata sia nella stoffa che negli stivali, rendendo la sua pelle fredda e appiccicaticcia. Mentre cercava di controllare i brividi, i suoi occhi si adattarono alla luce della stanza, cogliendo gli uomini riuniti al centro. Nella locanda riecheggiavano scommesse e incoraggiamenti, ma lei non riusciva a vedere quale fosse lo spettacolo attraverso la massa di corpi maschili.

    Alcune ciocche di capelli erano sfuggite dal cappuccio. Sollevò una mano per allontanarle dalla faccia. Le sue dita erano gelide, e le strinse in un futile tentativo di scaldarle. Poteva sentire le calze incollarsi alle gambe e ai piedi e ammassarsi in modo fastidioso negli stivali fradici, i cui buchi avevano scelto di manifestare la loro presenza lasciando entrare ogni possibile goccia di pioggia e fango. Si costrinse a non pensare alle condizioni del suo vestito o alla possibilità che la tela del portmanteau non fosse riuscita a resistere alla pioggia torrenziale.

    «Andiamo, Harry, mettici la schiena!»

    «Ce l'hai quasi, Giant Johnny. Più forte, adesso!»

    «Questo scellino dice che Harry vincerà!»

    Le esclamazioni divennero ruggiti, l'eccitazione crebbe. Louisa poteva udire le grida disperate di coloro che avevano piazzato una scommessa sul perdente Harry. Lei ancora non riusciva a vedere cosa stesse succedendo, ma era chiaro che Giant Johnny stesse avendo la meglio, qualunque cosa stessero facendo.

    I suoi occhi esaminarono la sala: diverse candele si erano spente, gettando il locale nella penombra; piatti coperti di cibo dimenticato erano abbandonati ovunque, senza che nessuno si preoccupasse di pulirli; i candelieri perdevano cera sui tavoli, e diverse panche erano sostenute da blocchi di legno per assicurarne la stabilità; l'aspetto del cibo faceva il paio con gli odori provenienti dalla cucina, cui Louisa non osava rivolgere lo sguardo.

    La sala era popolata unicamente da uomini. In giro non c'erano cameriere per pulire il disastro lasciato dagli avventori. Contro una parete si allungava il banco della mescita, che divideva la stanza dai fusti di birra allineati sul retro. Un grosso gatto grigio sedeva nello spazio tra due fusti, gli occhi fissi su di lei. Era l'unica creatura vivente ad aver notato il suo ingresso.

    «Sì» mormorò Louisa guardando l'animale. «Ho l'aspetto di qualcosa che tu abbia trascinato qua dentro.»

    Il gatto sbadigliò, rivelando le zanne aguzze. Giudicando gli scommettitori e Louisa stessa indegni di nota, si spostò e iniziò a pulirsi, facendo guizzare la piccola lingua rosea sul pelo.

    Era illogico che il disprezzo di un gatto dovesse irritarla, ma quello era il suo umore al momento.

    Esclamazioni di vittoria risuonarono nella sala, mischiandosi ai gemiti di sconfitta, e la folla iniziò a disperdersi. Un uomo sedeva a un tavolo, torcendo e flettendo la mano con evidente sofferenza. Delle monete passarono di proprietario. Solo uno contestò la correttezza dell'incontro, ma venne zittito da una grande mano, che atterrò pesantemente sulla sua spalla.

    Gli occhi di Louisa si spalancarono nel vedere il possessore della mano alzarsi: un vero gigante che superava i sei piedi d'altezza, torreggiando su ogni altro nella sala. Un collo robusto sorreggeva una grossa testa e un paio di sopracciglia scure sovrastava gli occhi, anch'essi scuri, separati da un naso storto, ovviamente rotto in qualche momento della sua esistenza. Una barba accuratamente rasata gli correva lungo la mascella, accentuandone gli angoli. Un petto a barile si allargava in spalle così ampie che Louisa fu certa che avrebbe potuto confortevolmente sedere su una di esse. Il lino bianco della camicia non faceva nulla per nascondere la vastità di quel corpo. Le braccia, simili a tronchi d'albero, erano gonfie di muscoli e le cosce premevano contro la stoffa dei calzoni marroni.

    «Allora, George» rombò la voce, calma, nella sala ormai tranquilla. «Harry non ha protestato. Perché lo stai facendo tu?»

    «Ma... ma Johnny...»

    «Hai scommesso su Harry?» lo interruppe il gigante.

    «Sì.»

    «E lui ha vinto?»

    «No.» La faccia di George assunse un'espressione rassegnata.

    «Allora non c'è ragione perché tu non paghi, vero?» Il gigante sorrise, rivelando dei denti bianchi. Non ne mancava nessuno, sebbene alcuni fossero storti.

    «No, Johnny.»

    «Mi fa piacere sentirlo.» Johnny batté una manata sulle spalle di George.

    L'uomo più piccolo sussultò, ma Louisa ebbe la sensazione che il gigante avesse trattenuto la sua forza per rendere minimo l'effetto. «Sai cosa penso degli imbrogli.» Si guardò intorno. «Bene, qualcuno ha sete?»

    Louisa osservò il gigante spostarsi dietro il bancone, su cui gli uomini poggiarono i loro boccali vuoti. Lui li riempì, prendendo allo stesso tempo le monete, ridendo e parlando con i clienti. Quando alla fine i suoi occhi caddero su di lei, Louisa deglutì. Johnny riempì l'ultimo boccale, si pulì le mani in una salvietta e le si avvicinò, divorando a lunghi passi la distanza che li separava.

    «Buonasera, signorina» la salutò con la sua voce profonda, accennando con il capo. «Cosa posso fare per voi?»

    Louisa strinse la presa sulla cinghia del suo portmanteau, restando per il resto immobile e senza abbassare gli occhi. «Questa è una locanda, giusto?»

    «Sì. Il Beefy Buzzard. Le stanze sono di sopra. Ve ne serve una?»

    «Ehi, Johnny, c'è qualche nuovo intrattenimento?» Un grido da ubriaco sovrastò gli altri.

    La faccia di Louisa avvampò nonostante il freddo della pioggia che indugiava sulla sua pelle. Johnny si girò a mezzo e gridò: «Ehi, rispettate la signora, altrimenti andatevene! Tua moglie sarà felice di averti a casa presto stanotte, Charlie!».

    L'affermazione fu seguita da prese in giro e spintoni da parte degli amici di Charlie.

    «Spiacente.» Il gigante tornò a girarsi verso Louisa con un ghigno sulla faccia. «Non sono sempre il mucchio più educato.»

    Lei lo guardò, soppesando in silenzio le proprie opzioni. La pioggia non era ancora cessata e non c'era un'altra locanda nelle vicinanze. Non aveva davvero altra scelta, a parte il Beefy Buzzard. Che Dio l'aiutasse! L'uomo tese una mano verso di lei. «John Taylor, proprietario e locandiere, al vostro servizio.»

    Louisa esitò un momento prima di allungare la propria mano, che scomparve immediatamente in quella grande di lui. Il calore avvolse le sue dita, filtrando all'interno. «Mrs. Brock» replicò, tentando di non tradire la propria reazione alla stretta. Quel nome le era servito bene nei mesi passati.

    Mr. Taylor aggrottò la fronte e guardò verso la porta. «Vostro marito sta controllando la carrozza?»

    «Sono vedova» mentì lei, propinandogli la storia che si era preparata. Suscitava meno curiosità una vedova che viaggiasse da sola, rispetto a una giovane donna nubile.

    «Le mie condoglianze» disse lui. «È un giorno poco gradevole per andare in giro da soli.»

    «Per viaggiare comunque, di sicuro.»

    «Difatti. Lasciate che vi accompagni alla vostra stanza, così potrete scaldarvi.» Indicò le scale, ma Louisa non si mosse.

    Sentì la faccia avvampare di nuovo e digrignò i denti. Poi, sollevando il mento in un gesto di sfida, proclamò, a fatica: «Temo di avere pochi fondi, signore». Mr. Taylor si accigliò, ma non disse niente, così lei continuò. «Ho intenzione di pagare in altri modi.» A quell'affermazione lo sguardo di lui corse lungo il suo corpo e lei sentì il rossore aumentare, stavolta di collera. «Non quello!» scattò. «Mai quello.»

    Gli occhi dell'uomo incontrarono i suoi e le sopracciglia si sollevarono. «Non ho l'abitudine di compromettere donne che abbiano bisogno di ricovero, Mrs. Brock. Stavo solo valutando cosa sareste in grado di fare.»

    Louisa sollevò ancora di più il mento. «Posso pulire, lavare i piatti o cucinare.» Cucinare poteva essere un problema, ma, a giudicare dagli odori e da ciò che vedeva arrivare dalla cucina, di sicuro nessuno avrebbe notato la differenza. «Qualunque cosa mi chiediate di fare, entro i limiti della decenza naturalmente, la svolgerò al mio meglio. Sono una grande lavoratrice.»

    Mr. Taylor scosse la testa. «Possiamo discuterne domattina. Adesso avete bisogno di un letto e di un bagno caldo, mi sembra. Sistemiamo prima questo, va bene?»

    Prese il suo portmanteau prima che lei potesse protestare e si diresse pesantemente verso le scale. Al suo passaggio la folla si divise in due file di ubriachi che le indirizzarono sguardi lascivi. Louisa sollevò appena le gonne zuppe e si affrettò dietro il locandiere e su per la rampa.

    Il corridoio era anche più buio del locale di sotto, solo tre candele illuminavano l'intera zona. Lui aprì una porta e scomparve all'interno. Louisa esitò sulla soglia, incapace di vedere nella stanza buia. Avvertì il rumore del suo portmanteau che cadeva sul pavimento. Dei passi si levarono dalle tenebre, avvicinandosi.

    Louisa deglutì quando Giant Johnny entrò sotto la luce fioca, sorreggendo un candeliere. Lui non si fermò e, con la fiamma di una delle candele alla parete del corridoio, accese quella che aveva in mano. Poi tornò nella camera, circondato da un debole alone di luce. Lei lo osservò inginocchiarsi e accendere il carbone nel camino. La luce e il calore iniziarono a diffondersi nella stanza.

    Giant Johnny - Mr. Taylor - si raddrizzò e la guardò, tenendo sui fianchi i pugni grossi come prosciutti. La fissò con i seri occhi scuri. «Sarete al sicuro qui, Mrs. Brock. Ve lo assicuro personalmente. Chiuderò presto il locale e mi accerterò che gli uomini non vi infastidiscano.»

    «Grazie.»

    «Ci vorrà un po' di tempo, ma posso procurarvi un bagno, qui sopra. Acqua calda e tutto quanto.»

    «Sarebbe magnifico, grazie.»

    Lui continuò a fissarla, ancora sulla soglia. «Resterete in zona a lungo, o siete solo di passaggio?» domandò.

    Louisa batté le palpebre. «Non lo so ancora. Al momento i miei piani sono piuttosto... fluidi.» Come erano sempre stati da quando aveva lasciato Ridgestone, del resto, più di due mesi prima.

    «Bene, potete avere questa stanza per tutto il tempo che vi serve. Prenderemo accordi domattina.»

    «Grazie.»

    Lui si schiarì la gola. «Non posso uscire di qui finché rimanete sulla soglia, Mrs. Brock. Devo tornare dai miei clienti prima che decidano di attaccarsi ai barili per conto loro.»

    «Oh.» Louisa entrò in fretta nella camera. «Certo.»

    Con un sorriso sghembo, l'uomo si avviò verso l'uscita. «Vi suggerisco di restare qui dentro. Tra poco vi porterò un piatto di cibo. Non aprite la porta a nessun altro.»

    Lei lo guardò, dubbiosa. «È così pericoloso? Non suona incoraggiante.»

    Mr. Taylor si fermò e si girò a osservarla, manifestando in volto lo scontento per la sua affermazione. «Garantisco per la vostra sicurezza, ma neanch'io posso essere dappertutto. Non siete obbligata a seguire il mio consiglio, comunque.»

    Lei deglutì, comprendendo di essere stata sgarbata. Anche così, le scuse le restarono incollate in gola. Distolse lo sguardo dalla porta, non volendo che lui notasse qualunque emozione avesse in volto, e annuì.

    Mr. Taylor si schiarì la gola, un rombo profondo che le riportò alla mente quello che poteva essere il suono di un vulcano sul punto di eruttare. «È tardi, e dovete stare scomoda in quegli abiti bagnati. Vi porterò su una tinozza d'acqua al più presto. O preferite mangiare, prima?»

    «Qualunque cosa riusciate a fare. Mi adatterò alle vostre esigenze. Non c'è nessun altro a darvi una mano, vero?»

    «Mr. Packard è il cuoco, ma non aiuta spesso fuori dalla cucina. Due ragazzi vengono durante il giorno, ma tornano presto a casa a causa dell'età.»

    «Come ho detto, mi adatterò» ripeté Louisa. «Grazie.»

    Con un cenno, Mr. Taylor chiuse la porta dietro di sé con uno scatto deciso.

    Nel corridoio, John allentò la presa sul pomello della porta e scosse la testa. La signora poteva anche essere graziosa, ma aveva la lingua di una vipera. Anche sgocciolando acqua sui pavimenti e con le labbra blu per il freddo, non poteva nascondere le sue attrattive. Che risultavano meno invitanti, però, non appena apriva bocca.

    Scuotendo di nuovo la testa, tornò alla folla dabbasso. Anche un tipo come lui sapeva che era il caso di stare lontano da creature simili, specialmente se voleva mantenere in buona funzione le sue parti vitali.

    2

    Louisa premette il naso sulle calze e annusò. Erano ancora umide, ma non avevano odore di muffa, benché fossero rimaste bagnate all'interno del portmanteau.

    Mentre era in attesa del suo cibo e del bagno - che non era mai arrivato, nonostante le assicurazioni di Giant Johnny - aveva appeso alcuni indumenti accanto al fuoco ad asciugare. Tornando a sistemare le calze vicino al camino, Louisa esaminò la stanza in un modo che l'oscurità della notte passata non le aveva permesso di fare. E fu felice che così fosse stato.

    Le ragnatele adornavano le pareti e le mensole, mentre un fitto strato di polvere ricopriva le tende alle finestre e il pavimento. Le impronte dei suoi piedi rivelavano chiaramente ogni punto su cui avesse camminato. Il vetro della finestra era coperto da un tale sudiciume da rendere superfluo l'uso delle tende. Durante il suo sonno irregolare, aveva notato lo scarso spessore del materasso, dei cuscini e delle coperte, ma era ancora impreparata per la fredda realtà alla luce del giorno. Forse sarebbe stata più comoda sul pavimento.

    Il tavolo sul quale aveva piluccato il suo immangiabile pasto era graffiato e macchiato. Una delle gambe era stata rimpiazzata precariamente, il che ne spiegava il dondolio. La sedia non era abbinata, ma almeno aveva sostenuto il suo peso con sicurezza. Il vassoio sul tavolo appariva ancora meno appetibile alla luce del giorno, un fatto che Louisa non avrebbe ritenuto possibile.

    Facendo una smorfia, tornò accanto al camino e richiuse il portmanteau, prima di infilare le calze. In piedi, distese le grinze del suo vestito e indossò le scarpe. Si avvolse nel mantello e sollevò la borsa, intenzionata ad andarsene. Poteva non avere denaro, ma c'erano dei limiti a ciò che era in grado di sopportare. Di sicuro doveva esserci un'altra locanda che potesse raggiungere a piedi.

    Sollevando il mento, marciò fino alla porta e la spalancò con uno strattone. Lanciò uno strillo, e un vasto corpo rotolò verso di lei, agitando gambe e braccia. Balzando indietro, riuscì a non farsi schiacciare le dita quando Giant Johnny atterrò ai suoi piedi.

    «Acc... Per tutti i diavoli dell'inferno!» imprecò lui, rotolando sul fianco e tenendosi la testa.

    «Mr. Taylor!» Louisa lasciò cadere la borsa e gli si inginocchiò accanto. «Vi siete fatto male?»

    «Voi che ne dite?»

    Al suo ringhio sofferente, lei batté le palpebre e arretrò, sedendo sui talloni. «Be', a giudicare dalla vostra reazione penso che sopravviverete.»

    Lui la guardò da sotto le mani. «Davvero?» La sua voce era piatta.

    «Cosa stavate facendo fuori dalla mia stanza?» volle sapere lei.

    Un altro sguardo e una smorfia, mentre lui rotolava in posizione seduta. «Vi avevo detto che vi avrei tenuta al sicuro. Ho dormito contro la vostra porta per assicurarmi che nessuno vi infastidisse. Non nutro illusioni sulla morale degli ubriaconi.»

    Lei batté di nuovo le palpebre, perplessa. «Capisco. Suppongo abbiate appoggiato la sedia contro la porta, perciò quando l'ho aperta avete perso l'equilibrio.»

    «Supponete correttamente.»

    «Forse in futuro troverete prudente appoggiarvi a un oggetto più stabile, come la parete.» Louisa si alzò in piedi e giunse le mani davanti a sé.

    «Forse lo farò.»

    «Tuttavia, posso aiutarvi in qualche modo?» chiese lei. «Una compressa fredda per la testa, forse?»

    Lui spostò le dita sulla nuca. «Non credo sia necessario. Ho ricevuto colpi alla testa peggiori di questo» rispose, sussultando mentre tastava un punto sensibile.

    «Non mentre eravate impegnato a proteggere me» lo rimbeccò lei.

    Un po' instabile, Mr. Taylor si alzò in piedi e raddrizzò la sedia caduta. «Il motivo per cui ci si procura delle ferite non le rende peggiori, Mrs. Brock.»

    «No» convenne lei, «ma adesso il mio obbligo verso di voi è un fatto.» I suoi occhi seguirono i suoi movimenti, mentre lui si alzava. Buon Dio, il soprannome Giant Johnny era davvero appropriato! Sembrava una montagna. Un pensiero fuggevole le attraversò la mente: come sarebbe stato avere quelle grandi braccia attorno a sé?

    Lui agitò una mano con indifferenza. «Non pensateci. Non avevate motivo di aspettarvi che dormissi davanti alla porta per mantenere la mia promessa.»

    «In ogni caso...»

    Mr. Taylor occhieggiò il suo portmanteau e poi la guardò, interrogativo. «State andando via? Pensavo che i vostri piani fossero fluidi.»

    Louisa sollevò il mento. «È così, infatti, ma ciò non significa che debba restare qui per consolidarli.»

    Lui si piazzò le grosse mani sui fianchi, raddoppiando la propria ampiezza. «Ma non significa neppure che dobbiate partire.» Louisa aprì la bocca per replicare, ma lui la fermò alzando una mano. «So come sia andare alla deriva. Se volete, potete restare qui. È chiaro che ho bisogno di aiuto, l'aiuto di una donna.» Indicò la stanza. «Ho poche conoscenze e ancor meno inclinazione per la pulizia. Ho bisogno di qualcuno che si assuma questo compito. Vi interessa?»

    Louisa lo fissò. Aiutarlo, diventando una cameriera? In una locanda? Di tutte le opzioni che aveva considerato, quella di lavorare in un posto simile non le era mai passata per la mente. Non era adatta per un tale lavoro. Un'istitutrice, una dama di compagnia... ma una cameriera? Cosa avrebbe detto la sua famiglia?

    Strinse le labbra e sollevò il mento. Erano passati sei anni dall'ultima volta che aveva permesso ai suoi parenti di influenzarla, e almeno quel lavoro le avrebbe risparmiato di dover vagare sotto la pioggia, con l'autunno che si avvicinava.

    Era sicura che sarebbe riuscita a difendersi dagli avventori più insubordinati. Sarebbe stato denaro guadagnato duramente, e la situazione attuale del suo portamonete non le permetteva di obiettare a qualunque modo trovasse per guadagnare di più. Sarebbe stata di sicuro la sfida più grande che avesse mai affrontato, ma quanto difficile poteva mai essere?

    «Che ne dite, Mrs. Brock?»

    La voce di lui la sottrasse alle proprie considerazioni. Guardandolo pensierosa, evitò di accettare subito la sua offerta. «Che tipo di benefici posso aspettarmi?»

    «Giusta paga, pasti e una stanza.» La risposta fu rapida.

    «Quanti pasti?»

    «Quante volte mangia in media una persona?» ritorse Giant Johnny. «Tre, secondo i miei calcoli.»

    Il suo stomaco sarebbe sopravvissuto a tre pasti di quel genere? Louisa annuì. «Questa stanza? O una più piccola nell'attico?» Come istitutrice, aveva dormito in numerose camerette e intendeva lottare per la più grande che potesse ottenere.

    «Questa va bene. Non è una locanda affollata, così posso farne

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