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L ultima battaglia di un libertino: Harmony History
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L ultima battaglia di un libertino: Harmony History
E-book248 pagine3 ore

L ultima battaglia di un libertino: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1815
Jack Armstrong ha fama di impenitente libertino e seduttore, ma finché era generale delle truppe inglesi in Canada non se ne è mai curato. Ora che è rientrato in patria e deve vedersela con la moglie, umiliata e offesa dalle continue infedeltà, capisce che, se vuole avere un erede, deve prima riguadagnare la sua fiducia. E poiché le tattiche militari per lui non hanno segreti, è convinto che riconquistare Elizabeth non sarà un problema. Ma dopo aver passato qualche tempo con lei, si rende conto che nessuna battaglia lo ha preparato all'impresa che si ritrova a fronteggiare. Tanto più che quella donna dal carattere irreprensibile in poche settimane è riuscita a far capitolare il suo cuore indurito!
LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2020
ISBN9788830510333
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    Anteprima del libro

    L ultima battaglia di un libertino - Susanna Fraser

    Immagine di copertina:

    Gian Luigi Coppola

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    An Infamous Marriage

    Carina Press

    © 2012 Susan Wilbanks

    Traduzione di Nausikaa Angelotti

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-033-3

    Prologo

    A bordo della H.M.S. Antigone, Atlantico del Nord, gennaio 1815

    «Alla pace!»

    Jack sollevò ligio il bicchiere e ripeté: «Alla pace!» assieme al resto degli ufficiali radunati al tavolo del Capitano Tizley.x

    Erano una decina gli uomini che banchettavano nell’angusta sala dal basso soffitto, ma solo Jack sfoggiava il rosso dell’esercito in mezzo a quel mare di divise blu. Per fare onore alle celebrazioni della serata, il cuoco del capitano si era davvero superato. L’ultimo maiale della nave era stato sacrificato e trangugiato come arrosto succulento e adesso un dolce all’uvetta e un rotolo farcito di marmellata omaggiavano la tavola con una doppia portata di dessert.

    In quanti desideravano davvero la pace, si chiedeva Jack mentre tracannava il suo, forse, settimo bicchiere di vino. Lui no di certo. Non aveva intrapreso quel viaggio verso l’Inghilterra sperando nella pace, né in una lunga tregua, ma pensando a una strategia migliore per riprendersi il Canada. Sapeva di essere in grado di recuperare il controllo dei Grandi Laghi, e riteneva di poter argomentare l’utilità di uno stato cuscinetto retto dagli Indiani per convincere anche il più cinico e pragmatico tra i politici a rendere giustizia, una volta tanto, agli indigeni del Nord America loro alleati.

    Ma quel giorno avevano incrociato una nave diretta a ovest e qualcuno aveva menzionato la sottoscrizione di un trattato con gli americani, così tutti i suoi piani erano andati in fumo. La pace, infine.

    Facevano pace con l’America, così come avevano fatto pace con la Francia l’anno prima, quando Bonaparte si era arreso e aveva abdicato.

    Alla pace! Jack non era pronto per la pace. La convalescenza per le ferite che gli avevano inferto a Queenstown Heights era stata troppo lunga. Gli serviva un’altra occasione per sfoggiare il coraggio e il talento che possedeva, per dimostrare che meritava il titolo di cavaliere e la promozione a generale di divisione con cui lo avevano premiato in ospedale.

    «Cosa farete dopo la pace, Sir John?» chiese con occhi indagatori il Capitano Tizley.

    Jack sorrise. «Devo capire cosa hanno in serbo per me le Guardie a Cavallo. Magari mi rispediranno in Canada.» Lo sperava. Ci aveva passato buona parte dei suoi anni da adulto e, quando pensava a casa, il ricordo andava a quei boschi e a quella natura selvaggia, non al villaggio del Northumberland della sua infanzia. Quali che fossero i termini della pace con gli americani, il Canada doveva essere comunque presidiato, e chi poteva farlo meglio di lui, che conosceva e amava quel paese come nessun altro?

    «Quindi non vi interessa tornare in Inghilterra e stabilirvi lì?»

    Jack non desiderava affatto tornare a Selyhaugh. Tutto ciò che aveva amato del suo villaggio nativo era morto: l’amico d’infanzia prima e la madre poi. Gli restava solo una moglie che non aveva voluto, nemmeno nel momento della solenne promessa. «Non ho mai avuto una vita stabile» rispose. «E voi, capitano?»

    «Nossignore. Se mai dovessi diventare ammiraglio tuttavia, potrei iniziare a desiderarne una. Una tenuta in campagna, una posizione in società, una famiglia mia.»

    L’idea era seducente, ammise Jack. Nonostante gli anni di lontananza, sentiva ancora il peso del lignaggio familiare. La madre avrebbe desiderato dei nipoti che vivessero sulla terra di famiglia e suo zio sarebbe andato su tutte le furie se avesse saputo che, dopo gli sforzi fatti per piazzarlo nell’esercito e aiutarlo nella carriera, quel nipote ribelle non aveva intenzione di generare eredi che mantenessero vive le tradizioni militari degli Armstrong.

    Ma Jack era stato troppi anni lontano da Elizabeth per nutrire speranze di quel genere.

    «Farete furore a Londra, sir» intervenne Devenish, il giovane e solare tenente dell’Antigone. «Un eroe di guerra e oserei dire l’unico gentiluomo della Stagione che può affermare di avere vissuto tra gli Indiani d’America... Le debuttanti faranno la fila.»

    Purtroppo non era così. «Ahimè, non lo credo» mormorò Jack. «Temo di essere già maritato.»

    «Ma non avete mai menzionato alcuna moglie» si fece sfuggire Devenish, per poi aggiungere con aria mortificata: «Accettate le mie scuse, sir».

    «Non ce n’è bisogno.» Del resto era la verità. Jack parlava di rado di Elizabeth, e non pensava a lei, a meno che non vi fosse costretto. Per certo, non vi era stato alcun motivo di parlarne con le sue nuove conoscenze.

    «Avevamo una vita tranquilla nel Northumberland» spiegò con sufficiente onestà, «e Lady Armstrong ha scelto di restare lì per tutto questo tempo.» Il che era vero. Non aggiunse che negli ultimi cinque anni l’unica forma di comunicazione tra loro era rappresentata dalle obbedienti lettere con cui lei gli rendeva conto della gestione della terra e della proprietà. Lettere a cui lui rispondeva dopo mesi, esprimendo la propria approvazione – Elizabeth era, se non altro, parsimoniosa e sobria, di quello doveva darle atto – rincuorato dal tempo che ancora lo divideva dalla recita di quel ridicolo cerimoniale.

    Anziché subire altre domande impertinenti, fece quindi cenno al cameriere di servire un altro giro. «Un bicchiere, Mr. Devenish?»

    «Sissignore.» Il giovane ufficiale sorrise e alzò il proprio calice. «Alle mogli... e alle amichette.»

    «Che non si incontrino mai!» diverse voci si levarono in coro dal tavolo.

    Jack trattenne un sospiro. La paura di affrontare sua moglie era assurda, considerato che non aveva battuto ciglio davanti a moschetti, cannoni e spade sul campo di battaglia, eppure avrebbe preferito evitarla. Voleva un figlio però, e se lei era una creatura fredda e noiosa allora lui avrebbe chiuso gli occhi, pensato a Sarah, Marie-Rose o Hannah e con un pizzico di fortuna avrebbe fatto centro al primo tentativo, dopodiché avrebbero potuto continuare a evitarsi. Scommetteva che Elizabeth sarebbe stata altrettanto felice di toglierselo di torno.

    Sposarla senza conoscerla era stata una follia. Una promessa strappata sul letto di morte non era certo il modo migliore per prendere moglie e lui era stato pazzo ad accettare, anche se all’epoca gli era sembrata un’idea eccellente...

    1

    Selyhaugh, Northumberland, cinque anni prima

    Mai come allora Jack era stato così felice di sfuggire alla presenza di sua madre, nemmeno quando, da bambino, si cacciava nei guai peggiori. Era di gran lunga più malata e smemorata di quanto gli avessero fatto credere le lettere di Giles ed Elting, anche se, per dovere di onestà verso l’amico d’infanzia e il farmacista del villaggio, andava detto che quelle lettere risalivano a un anno prima. La notizia lo aveva raggiunto troppo tardi.

    All’epoca viveva nel Territorio dell’Indiana, tra gli Shawnee. Fingendosi commerciante di pelli, li corteggiava affinché si schierassero con i britannici in caso di nuova guerra contro gli americani. Scivolare oltre il confine del Canada, presentarsi al cospetto del Generale Brock e assicurarsi un passaggio in Inghilterra non era stata cosa da poco. Se si fosse trovato più vicino, ad esempio di stanza nella penisola iberica con Wellington, nel giro di due mesi dal colpo apoplettico che aveva segnato l’inizio del declino della madre sarebbe stato al suo fianco.

    All’inizio la situazione non sembrava grave, gli avevano detto i servi. Otto, persino sei mesi prima lo avrebbe riconosciuto e lui avrebbe potuto dirle addio quando era ancora in sé. Certo, un figlio più responsabile sarebbe rimasto a casa, a coltivare la terra e ad allevare i cavalli, come suo padre prima di lui. Ma già molto prima che il fratello maggiore morisse, rendendolo l’unico erede di Westerby Grange, Jack si era dedicato anima e corpo alla carriera militare, che lo zio Richard aveva progettato per lui dall’infanzia. Del resto, l’esercito gli forniva una comoda via di fuga.

    Non voleva vivere a Selyhaugh e anche in quell’occasione, per quanto la madre avesse bisogno di lui, non si sarebbe trattenuto a lungo. Gli restavano due settimane di licenza per sistemare gli affari e organizzare le cure della donna, prima di rientrare in Canada, ma dopo un solo giorno, inventò una scusa per uscire a prendere una boccata d’aria.

    All’inizio lei lo aveva scambiato per lo zio Richard, che non le era mai piaciuto, poi, con estremo dolore, per il proprio padre, che invece adorava. A volte le tornava alla mente un figlio di nome Jack, ma quel Jack era ancora un infante ai suoi occhi, o al massimo uno scolaretto. Di conseguenza, la sconcertante presenza di quel soldato sembrava agitarla, così lui si convinse che lasciare la casa avrebbe fatto bene a entrambi.

    Fece sellare Penelope, una bella puledra dal manto grigio pezzato e, dopo una lunga corsa per i campi, riportò la giumenta a un trotto decoroso, dirigendola verso Selyhaugh. Fu a quel punto che decise di andare a trovare Giles e la sua nuova moglie. Forse avrebbe dovuto farsi annunciare, ma era sicuro che non fossero necessarie troppe cerimonie.

    Quelle nozze lo avevano colto di sorpresa, anche se non ve n’era alcun motivo, visto che sia lui che l’amico avevano l’età giusta per abbracciare la vita matrimoniale. Giles era tuttavia molto più povero e, dopo essersi mantenuto per anni a stento come precettore a York, era appena diventato curato della chiesa parrocchiale di Selyhaugh.

    Jack aveva scritto a Giles ed Elting non appena giunto a Londra, per assicurare loro che sarebbe salito al nord una volta incontrati i comandanti delle Guardie a Cavallo. Per tutta risposta Giles aveva accusato i venti dell’Atlantico di non avere soffiato abbastanza forte, facendolo mancare al matrimonio, che si era celebrato solo una settimana prima.

    Devi venire a trovarci non appena il dovere te lo consente, gli aveva scritto. Non vedo l’ora che tu conosca Elizabeth. Il suo sorriso è il più bello che si sia mai visto e i suoi occhi sono meravigliosi.

    Davanti alla casetta modesta ma accogliente che Giles gli aveva descritto e che si trovava nei pressi della vecchia chiesa del villaggio, Jack smontò e legò Penelope al cancello.

    Il cottage gli parve tranquillo, vuoto, quasi desolato, poco adatto a una luna di miele. Col cappello sottobraccio bussò al portoncino e, dopo una lunga pausa, la porta si spalancò.

    Una donna smilza e ordinaria, sui venticinque anni, gli piantò addosso un paio d’occhi marroni come il fango, iniettati di sangue.

    La guardò confuso, senza capire se si trattava della padrona o della donna di servizio. Nonostante l’aspetto da gentildonna, era ben lontana dalla raffinatezza della Mrs. Hamilton descritta nella lettera di Giles.

    «Buongiorno» azzardò fendendo il silenzio, «se non sbaglio qui vive Giles Hamilton.»

    La donna si morse le labbra screpolate. «Esattamente. Sono sua moglie» rispose laconica.

    Qualcosa non andava, ma Jack si nascose dietro i convenevoli. «Felice di conoscervi. Sono Jack Armstrong. Forse avete sentito parlare di me... Ho scritto a Giles una settimana fa per avvisarlo del mio arrivo. Avrei dovuto avvertirvi, ma volevo subito correre qui.»

    La donna deglutì e si forzò di rivolgergli un mezzo sorriso. «Certo, Colonnello Armstrong, purtroppo però... Giles è malato.»

    Si spiegavano così gli occhi arrossati e quell’aspetto infelice. Povera ragazza, in un lampo era passata da sposa a infermiera. Jack sorrise per rassicurarla. «Mi dispiace molto, signora. Non vi disturberò oltre. Resterò a Selyhaugh per almeno un paio di settimane. Posso tornare quando si sarà ripreso? Nel frattempo, mi permetto di mandarvi assistenza. Mrs. Purvis è un’ottima infermiera e in cantina abbiamo ancora delle mele.»

    «Sta morendo» sussurrò Mrs. Hamilton.

    Per un attimo Jack perse il fiato. «Non è possibile!» Giles che moriva? Era da sempre il ritratto della salute e la sua ultima lettera era un’esplosione di vivacità e gioia.

    «Continuo a ripetermelo anch’io» commentò lei. «Ma è sempre più debole e io ho tanta paura» proseguì con voce spezzata, poi si ricompose subito. «Scusatemi, colonnello. Non dovrei affliggervi con questo fardello.»

    A quelle parole Jack rispose senza esitazioni: «Sciocchezze. Giles è il mio più vecchio amico, non sarà mai un fardello per me, posso entrare?».

    La donna lo accolse con un pigro gesto di benvenuto. «Certo.»

    Elizabeth non aveva mai visto un uomo più in salute del Colonnello Armstrong. Tutto in lui, dagli occhi scuri e luminosi ai fitti ricci, al passo svelto e deciso, era espressione di forza e vitalità. Una settimana prima avrebbe ammirato quelle qualità, in quel momento quasi la disgustava vedere che qualcuno poteva essere così incredibilmente vivo, mentre il suo amato lottava per ogni respiro.

    «Posso vederlo?» chiese lui appena l’uscio fu richiuso.

    Lo studiò un istante. In molti erano venuti in visita e li aveva tenuti quasi tutti fuori dalla camera, accettando però le offerte di cibo e medicine, ma Giles non vedeva l’amico da anni e lei decise di fare un’eccezione.

    «Sì. Era impaziente di ritrovarvi. Forse gli farà bene.» Lo condusse di sopra, sperando che il visitatore potesse contagiare Giles con la propria forza, così come i piccoli Fordham gli avevano ceduto la malattia. Purtroppo la salute non si trasmette, la morte invece, quella sì.

    A quel pensiero si fermò di colpo sulle scale, tanto che l’ospite quasi inciampò. «Sono costretta a chiedervi, se avete avuto il morbillo» gli sussurrò.

    «Certo. A nove anni.» La guardò confuso. «Non ditemi che Giles sta morendo di morbillo...»

    Da principio, alla comparsa delle prime chiazze, quando avevano capito che si trattava di una malattia infantile, ne avevano riso entrambi. Ma da allora lui era peggiorato e a nulla erano serviti i salassi di Mr. Elting, né le medicine. Una lacrima calda le scivolò sulla guancia, allora la scacciò con rabbia, stupita di averne ancora in serbo. «Non vorrei, però è così. A essere precisi, sta morendo di polmonite, ma tutto è partito dal morbillo.» Riprese a salire le scale, cercando di non fare rumore.

    «Signora, non voglio sembrarvi sconsiderato. Conosco bene i pericoli delle febbri. Avete chiamato qualcuno? Il dottor Adams di Alnwick è molto bravo. Se il denaro è un problema sarò felice di pagare la parcella. Devo molto a vostro marito e alla sua amicizia.»

    Il denaro era senz’altro un problema, ma lei non si era risparmiata. «È stato qui ieri e Mr. Elting viene tutti i giorni. Lo salassano e mi lasciano medicine e pomate, che non servono a nulla.» Esitò. «A nulla.»

    «Mi dispiace.»

    Lei annuì e riprese a salire, sobbalzando allo scricchiolare dei passi alle proprie spalle, ma cosciente del fatto che quell’uomo robusto, alto quanto Giles e più solido nella corporatura, non poteva aiutarla.

    Anche la porta della camera cigolò, nonostante l’estrema attenzione con cui lei l’aprì. Era strano come tutti i piccoli difetti del cottage, che l’avevano affascinata quando lo percepiva ancora come un nido, il luogo deputato a una nuova felicità nuziale, ora accrescevano la sua disperazione, nell’attesa della morte.

    Quando era uscita dalla stanza Giles dormiva, ma adesso era sveglio, e cercava di appoggiarsi su un gomito. Elizabeth accorse al capezzale, tuttavia non le sfuggì l’espressione di stupore del colonnello.

    E pensare che solo sette giorni prima aveva giaciuto col marito in quello stesso letto, pelle contro pelle nell’abbraccio dell’amore, progettando il futuro, pensando ai nomi dei loro figli. Con la punta del dito aveva seguito il profilo del suo viso, accarezzando la nobile fronte, il naso dritto dalle fattezze greche, la sottile linea della barba. Tutto era bellissimo. Ora era finito, sepolto sotto le pustole e il rossore di un gravissimo caso di morbillo.

    Lo aiutò a tirarsi su, sistemandolo sui cuscini. «Guarda Giles» lo esortò. «C’è il tuo amico, il Colonnello Armstrong.»

    «Sì» mormorò lui nella vaga eco di un dolce sorriso. «Jack, vieni qui e lascia che...» Un violento attacco di tosse lo scosse. «Dell’acqua, mia cara.»

    Elizabeth gli porse un bicchiere pieno di un preparato che, a detta del dottor Adams, alleviava ogni dolore. Lui ne ingoiò una sorsata e poi lo scansò, chiamando a raccolta tutte le sue energie.

    «Non quella disgustosa medicina, solo acqua fresca.»

    Con un sospiro lei lo accontentò.

    Dopo avere bevuto, Giles si rivolse al colonnello. «Dunque le nostre lettere ti hanno scovato.»

    «Alla fine sì.»

    «Sono felice che tu sia qui.» Si sforzò di tirare un respiro profondo, rantolando, poi tossì di nuovo.

    Elizabeth notò alcune macchie di sangue sul fazzolettino. Comparse la sera prima, la terrorizzavano più di tutti gli altri sintomi messi assieme.

    «Mi dispiace vederti in questo stato, amico mio» disse Jack con un tono di voce che Elizabeth considerò perfetto per la situazione.

    «Mai quanto a me.» Giles diede un altro colpo di tosse.

    La donna, temendo che la presenza dell’amico non fosse affatto di aiuto, ma lo stesse affaticando, incitò il marito a bere altra acqua. «Mio caro, non sprecare energie.»

    Giles scosse la testa. «Altroché... devo usarle piuttosto... finché ne dispongo.» E tese la mano tremante, fragile e bianca, verso il Colonnello Armstrong, che la strinse tra le proprie. «È bello averti qui.»

    Elizabeth notò lo spasmo che colse il marito, quando tentò una stretta più salda.

    «Sei l’uomo che aspettavo. Adesso però, devi farmi una promessa.»

    «Qualunque cosa.» Il colonnello era deciso e sicuro e la giovane si domandò cos’avrebbe chiesto Giles, dato che

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