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Il club degli innocenti (eLit): eLit
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E-book343 pagine4 ore

Il club degli innocenti (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Mariah Bolt 2

L'analista della CIA, Mariah Bolt, ricorda il suo defunto padre come l'uomo che ha abbandonato la famiglia per scappare in Europa con un'altra donna. I fan di Ben Bolt lo riveriscono come un genio letterario. Ma Mariah è ora la riluttante custode della sua eredità e non sospetta di aver ereditato anche una bomba a orologeria.
Mentre sta per partire per una vacanza con la figlia adolescente, viene infatti chiamata per un compito urgente, tentare un uomo perché tradisca il suo paese. C'è solo un problema: per arrivare a quest'uomo deve avere a che fare con l'ex amante del padre. Improvvisamente il passato è tornato con una vendetta.
E quando sua figlia quindicenne scompare, Mariah ricorderà ancora una volta che non ci sono limiti nel terrificante gioco dello spionaggio internazionale.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ago 2018
ISBN9788858989692
Il club degli innocenti (eLit): eLit
Autore

Taylor Smith

"Amo l'ambiguità che c'è in ognuno di noi: luce ed ombra dice Taylor Smith e la racconto nei miei libri". Un'autrice che interpreta il genere thriller in modo personale e coinvolgente, con grande attenzione ai caratteri dei personaggi.

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    Anteprima del libro

    Il club degli innocenti (eLit) - Taylor Smith

    successivo.

    Prologo

    Era esausta. Ferita, sanguinante, nuotava disperatamente. Le gambe e le braccia intorpidite dal freddo e dalla faticosa lotta contro le onde. Nella mente le echeggiava un grido silenzioso, che nasceva dal dolore, misto a spavento e sdegno: Sono troppo vecchia per farcela!

    Da giovane forse avrebbe avuto qualche possibilità, pensava Renata. Allora era in buona forma anche se non abituata a grandi sforzi, dato che era l'unica figlia viziatissima di uno degli uomini più ricchi del mondo. Ma adesso aveva sessantun anni, non possedeva più la resistenza di un tempo.

    Il cervello le diede una risposta secca: Nuota o ci lasci la vita, stupida!

    Diede un'occhiata dietro di sé: delle voci dure risuonavano nel buio, scambiandosi ordini furibondi. Potevano individuarla? Stavano inseguendola? Sembravano così vicini...

    No, cercò di rassicurarsi. Era solo uno scherzo acustico della tersa aria notturna. Erano lontani, non riusciva neppure a vederli bene adesso, non fosse stato per il fascio di luce del riflettore a segnalare che non avevano rinunciato a darle la caccia.

    Solo a lei?

    Provò un guizzo di vergogna pensando alla ragazzina che aveva abbandonato al pericolo mentre lei cercava di salvarsi. Suo marito aveva detto una volta, riferendosi a lei, che c'era qualcosa di anormale in una donna priva di solidarietà. Aveva ragione?

    Rallentò le bracciate e si voltò di nuovo a guardare l'imbarcazione, cercando di distinguere le sagome sul ponte, ma neppure la vista era più quella di un tempo. Se la ragazza era ancora a bordo, non riusciva a scorgerla.

    Forse, ragionò, anche Lindsay era riuscita a lanciarsi in acqua, approfittando della confusione seguita alla sua fuga. La ragazza aveva un aspetto fragile, ma in base alle informazioni ricevute nuotava magnificamente. Quindi, se era riuscita a svignarsela, aveva le sue stesse possibilità di salvarsi. Forse anche di più. Dopotutto, pensò risentita, aveva la giovinezza dalla sua.

    Renata provò un'altra fitta dovuta al senso di colpa. E se Lindsay non ce l'avesse fatta a sottrarsi a quelle canaglie? Facile immaginare ciò che attendeva quella deliziosa creatura.

    Be', ragione di più per continuare a nuotare.

    Lungo la costa, da Dana Point a Long Beach, i fuochi d'artificio esplodevano in vivide cascate o girandole luminose a festeggiare il 4 luglio. Decine di barche oscillavano sull'acqua, a godersi lo spettacolo.

    Quei criminali dovevano aver pensato che tutto quel frastuono e la confusione li avrebbero favoriti, ma non avevano previsto che una delle prigioniere si gettasse in acqua. E lo spettacolo pirotecnico, invece di renderla più visibile, la nascondeva tra i riverberi mentre lei si metteva in salvo.

    Lì per lì, con quel baccano, non si era neppure accorta che si erano messi a sparare. Alla cieca, probabilmente, ma un colpo fortunato era andato a segno: una sensazione dura e bruciante alla spalla. Si impose di ignorarla. Bastava raggiungere una delle barche, là, più avanti... Poi avrebbe messo in moto la polizia.

    Ma il vestito le intralciava i movimenti. Riuscì faticosamente a liberarsene, con sussulti di dolore. La spallina del reggiseno premeva sulla ferita e le mutandine tendevano a scivolare giù. Eliminò anche quelli.

    Poi riprese a nuotare, dominando il panico con la pura forza della sua leggendaria, indomita volontà, ma dopo un poco si sentì sopraffare dalla stanchezza. Le pareva di nuotare da ore e la distanza dalla barca verso cui stava puntando non pareva essersi ridotta.

    Forse stanno allontanandosi... e mi abbandonano qui! Oddio, non ce la faccio!

    La voce spazientita di suo padre: Finiscila di lagnarti e dacci dentro, ragazza! Siamo noi gli artefici del nostro destino!

    Verissimo. Terribile essere così fiacca, pensò con rabbia. Vita troppo sedentaria, ecco il guaio. Un tempo era attivissima: faceva immersioni nel Mediterraneo, ballava tutta la notte... e tanti, tanti uomini. Ora si limitava a inaugurazioni di mostre, cene alla Casa Bianca, mondanità assortite. Di sicuro niente che potesse prepararla a gettarsi da un'imbarcazione e guadagnare, contusa e ferita, una spiaggia distante poche miglia.

    La lotta con quelle onde possenti che tendevano a trasportarla in diagonale rispetto alla riva la stremava. La spalla aveva bisogno di un po' di requie.

    Solo per un momento. Sono sfinita.

    Si allungò sul dorso, a braccia allargate: piccolo crocefisso nudo sulla superficie del mare. Avvertì un rivolo tiepido che dalla spalla scendeva verso il seno destro per perdersi sotto l'ascella. Tastò i margini della ferita. Strano, non doleva più. L'effetto narcotizzante dell'adrenalina, si disse. Chiuse gli occhi cercando di non pensare a quanto sangue poteva aver perso.

    Da un lontano recesso della memoria le giunse una voce maschile, da cowboy: Solo una ferita superficiale, signora.

    John Wayne, pensò con un sorriso. Aveva una grande villa a Newport, al di là di quello stretto braccio di mare, proprio di fronte alla loro. Buffo. Suo padre era stato un tipo tarchiato, non molto alto, ma i suoi passi decisi erano sempre un poco più lunghi del solito quando camminava accanto a quell'alta figura dinoccolata, più che famosa. Nei loro ultimi anni i due si erano allontanati spesso insieme per farsi una bevuta.

    Renata si lasciava galleggiare, ora rilassata. Sentì l'arrivo di uno sbadiglio e lo represse costringendosi a sollevare le palpebre.

    Sopra di lei il cielo era una grande volta punteggiata di stelle. Ricercò nel passato le figure e i nomi delle costellazioni, così come li aveva imparati da Nikolos, il greco che per tanti anni aveva fatto parte dell'equipaggio dello yacht di suo padre.

    Guarda, Renata: quello è il Sagittario. E là, più su, c'è Ercole, che poggia il piede sulla testa del Dragone.

    Caro Niko. Quante cose sapeva raccontare. Stupidaggini, era solito dire suo padre. Forse ne era un po' geloso.

    Ascolta! La senti?

    Cosa, Niko?

    La sinfonia del cielo... la musica del cosmo.

    Non sento niente.

    Devi stare più attenta. È il canto delle stelle. L'armonia che seguono gli angeli nelle loro danze.

    Renata sorrise di nuovo, chiudendo gli occhi per concentrarsi. La sensazione tiepida che avvertiva sulla spalla era la mano affettuosa di Niko e lei era di nuovo bambina, distesa sul ponte dello yacht di papà. Che pace, che...

    Un urto improvviso interruppe quei ricordi. Un surfista? Così al largo? E un altro. E questa volta anche un acuto lampo doloroso al fianco. Renata aprì gli occhi e si guardò attorno, irritata.

    Ma andatevene! Avete a disposizione tutto lo spazio che volete! Voglio essere lasciata tranquilla!

    Una nuova spinta la fece rigirare sul fianco. Si rimise in verticale e fu come se una schiera di minuscoli rasoi le affondasse nel piede sinistro, una sensazione peraltro brevissima, scomparsa quasi prima che il cervello avesse il tempo di registrarla.

    Oh, insomma! Toglietevi di torno altrimenti chiamo la polizia!

    Funzionò. Quei tangheri si allontanarono lasciandola in pace. Finalmente.

    Era così stanca... Aveva bisogno di riposare. E poi, quando avesse ripreso le forze, c'era un'altra cosa che sapeva di voler fare. Ma di che si trattava?

    Si allungò nuovamente sull'acqua, sbattendo le palpebre mentre cercava la risposta tra le stelle. Splendide davvero. Sollevò una mano incerta. Quasi tanto vicine da poterle toccare. E poi...

    1

    Renata Hunter Carr era tutt'altro che morta la prima volta che Mariah Bolt la incontrò. Tale stato di cose doveva presto modificarsi, naturalmente, e Mariah sarebbe stata l'elemento catalizzatore. Per coloro che credono nel destino, la ruota si mise inesorabilmente in moto tre giorni prima dell'ultima nuotata di Renata.

    A quasi cinquecento chilometri di distanza.

    Jack Geist, vice direttore dell'Operativo, si comportava come se non ci fosse nulla di insolito nel convocare Mariah nel suo ufficio al settimo piano della sede della CIA, a Langley, Virginia.

    La sua segretaria abbassò la maniglia della grande porta di legno. Mariah si tenne indietro, ma attraverso lo spiraglio scorse Geist seduto alla scrivania, intento a esaminare un fascio di incartamenti. Non si mosse e la segretaria tossicchiò.

    «Signore, c'è qui la signora Bolt.»

    Lui rialzò il capo lentamente, con aria irritata. Annuì brevemente e la segretaria si ritrasse facendo cenno a Mariah di entrare, poi richiuse l'uscio.

    L'espressione di Geist subì una trasformazione mentre lui si alzava e girava attorno alla scrivania, la mano tesa, la bocca atteggiata a un gran sorriso. «Mariah Bolt! Non abbiamo mai avuto occasione di incontrarci. Jack Geist.»

    Il sorriso non si comunicava agli occhi verde chiaro, notò lei mentre ricambiava la stretta. Occhi che la fissavano con uno sguardo penetrante interpretabile in molti modi, benché non ve ne fosse uno che la mettesse a suo agio.

    Quando infine le lasciò la mano e accennò al divano in pelle su un lato del locale a pannelli di legno, Mariah colse l'odore di fumo di sigaretta solo in parte nascosto da qualcosa di mentolato. Cercò di immaginare Geist in gruppo con gli altri nicotinomani dell'Agenzia, nel cortile centrale, ma non ci riuscì. Per prima cosa non aveva l'aria di chi si mescola con la massa, e poi sapeva che gli Operativi seguivano le loro regole personali. Diede un'occhiata attorno cercando i posacenere che di sicuro erano presenti nonostante il divieto di fumare applicato a tutto l'edificio.

    «Grazie di essere venuta» aggiunse Geist.

    «Nessun disturbo» rispose lei. All'ampio divano preferì una delle poltrone accanto al basso tavolino di mogano. «La mia segretaria ha detto che era una cosa urgente.»

    Di fatto, Jane l'aveva strappata a una riunione per avvertirla ansimando di quella convocazione. Non capitava tutti i giorni che un'analista fosse invitata al settore Operativo, neanche una specialista come Mariah, a capo di un gruppo che teneva d'occhio gli armamenti.

    Geist si accomodò all'estremità del divano più vicina a lei. I capelli corti, originariamente biondi, erano ormai quasi bianchi. Con la cravatta allentata, la camicia bianca spiegazzata e le maniche rimboccate fino al gomito, dava l'impressione di aver passato la notte su quel divano a sondare i più profondi recessi di una crisi internazionale. Uomini del genere avevano una vita domestica?, si chiese Mariah.

    Nell'angolo tra loro c'era un tavolinetto elaboratamente intagliato su cui era posto un piatto d'ottone martellato. Come il tappeto persiano sotto i loro piedi, il narghilè sull'armadietto e le scatole di legno intarsiato di madreperla sparse in tutta la stanza, quel tavolo sembrava provenire da un suk arabo, ricordo senza dubbio dei viaggi fatti da Geist per conto dell'Agenzia. Su un ripiano c'era un altro oggetto di ottone martellato: una ciotola, al momento vuota, ma con la superficie interna annerita. Eccolo, il previsto posacenere.

    «Gli ultimi giorni della dinastia Romanov» riprese Geist, andando dritto al punto. «Ne ha sentito parlare?»

    «Sì, certo» annuì lei. «La mostra itinerante della più vasta e preziosa collezione di oggetti appartenuti allo zar Nicola secondo e ai suoi familiari, uccisi dai bolscevichi nel millenovecentodiciotto. Curata dall'Ermitage di Pietroburgo, in collaborazione con il museo Arlen Hunter di Los Angeles. Inizia quest'estate un tour di due anni nell'America settentrionale.»

    «Domani, per l'esattezza. All'Arlen Hunter.»

    Lei si trattenne dal chiedere: E allora? Già paventava il motivo di quel colloquio. Geist era al corrente del suo programma per le vacanze? E, particolare che più le creava ansia, sapeva del nesso esistente tra lei e gli Hunter? Per quanto la mostra dedicata ai Romanov avesse fama di essere spettacolosa, il museo Arlen Hunter era l'ultimo posto dove Mariah avrebbe messo volontariamente piede.

    «Abbiamo saputo stamattina che all'inaugurazione presenzierà nientemeno che Valery Zakharov» proseguì Geist. «Arriverà esattamente tra ventiquattr'ore.»

    Lei era molto sorpresa. «Il ministro degli Esteri in persona? So che la mostra costituirà un buon introito per il governo russo, ma mi sembra un po' eccessivo, non trova?»

    Geist si strinse nelle spalle. «Lo penso anch'io, ma c'è da dire che Zakharov deve comunque andare a Los Angeles in questi giorni. Per la conferenza degli Stati del Pacifico, che ha inizio il cinque. Ci sarà un grande ricevimento d'apertura a bordo della Queen Mary, la sera del quattro luglio.»

    «Data ben scelta. Potranno godersi lo spettacolo dei fuochi d'artificio lungo tutta la costa e il Dipartimento di Stato si risparmia la spesa degli intrattenimenti.»

    «Può ben dirlo. A ogni modo abbiamo individuato diversi noti elementi del servizio segreto sulla lista di nomi che i russi ci hanno presentato per i visti diplomatici.»

    «Prevedibile. Dopotutto Zakharov è un ex KGB. Be', adesso si chiama FSB, ma l'organizzazione in sé e gli agenti restano sempre quelli. C'era da aspettarsi che la scorta di Zakharov includesse delle spie.»

    «Certamente. Per questo voglio che ci sia qualcuno a sorvegliare le cose.»

    «Non è compito dei Federali?»

    Geist aggrottò la fronte. «Già, proprio quel che ha osservato il nostro riverito direttore. Detto tra noi, Mariah, quel tipo ha una fifa tale delle commissioni di controllo che non va neanche al cesso senza notificarlo al Campidoglio.»

    Mariah non fece commenti. Era volgare parlar male del proprio superiore con una persona mai vista prima e che per giunta apparteneva a un'altra sezione. E sleale, oltretutto, visto che era stato il gran capo ad assegnare a Geist la sua attuale, ambita carica. Qual era lo scopo? Invitarla a far parte della sua ristretta cerchia di persone fidate?

    Geist occupava il posto di vice direttore solo da qualche mese. Come per la maggior parte degli agenti segreti, il suo nome non era molto noto all'interno dell'Agenzia fino a quando non era improvvisamente venuto alla ribalta come l'uomo che avrebbe preso in mano il settore Operativo. Il comunicato stampa che annunciava la sua nomina spiegava che aveva un'anzianità di diciotto anni e aveva svolto numerosi incarichi, soprattutto in Medio Oriente. Solo diciotto anni, rifletté Mariah: una carriera fulminea in un'organizzazione ampia e complessa come la CIA. Si poteva tranquillamente dedurne che era un individuo ambizioso e pronto a tutto.

    «Non siamo autorizzati a operazioni sul territorio nazionale» sottolineò Mariah. Per questo si era rivolto a lei? Per conservarsi le mani formalmente pulite servendosi di un elemento estraneo alla sua sezione per il piano che aveva in mente?

    «Chi ha parlato di operazioni? A me interessa un osservatore. I Federali sono impegnati con le talpe e la mafia russa. Giustissimo, ma noi abbiamo a che fare con roba ben più grossa. Zakharov mira alla presidenza. Probabilmente sarà l'uomo che in futuro avrà in mano gli armamenti russi. Per ora non costituisce una minaccia diretta per noi, ma con quei tipi non c'è mai da fidarsi. E lei, Mariah, lo sa molto bene. Mi vengono i capelli bianchi solo al pensiero dei quantitativi di armi che forniscono a certi loro discutibili clienti.»

    Lei ebbe la tentazione di far notare che i russi avrebbero dovuto quadruplicare la loro attività in quel senso per avvicinarsi vagamente ai quantitativi di armi che l'America smistava all'estero. E i clienti degli USA, nel complesso, non erano meno discutibili. Ma lasciò correre. Lei aveva il compito di sorvegliare la squadra avversaria, non la propria. Comunque era curiosa di vedere dove Geist voleva andare a parare. Curiosa e in apprensione.

    «Zakharov è uno col pelo sullo stomaco, ma se riesce nella sua scalata, sarà meglio averlo dalla nostra. Stiamo già lavorando in questo senso, ma tanto per andare sul sicuro ci farebbe comodo qualche conferma in più. Vorrei un informatore valido appartenente alla sua cerchia più ristretta.»

    Un informatore valido? Quindi si trattava di contattare un agente dell'altra sponda, rifletté Mariah. E cos'era quella se non un'operazione segreta? Aspettò il resto.

    «Per questo lei andrà domani all'inaugurazione della mostra» concluse Geist.

    Proprio quello che temeva.

    «Mi scusi, signore, ma...»

    «Mi chiami Jack.»

    «... non ha senso» continuò lei senza raccogliere l'invito. «Se ha in mente un reclutamento dovrebbe incaricare qualcuno dei suoi, con esperienza nel campo.»

    «Se non erro lei ha già svolto dei compiti per noi.»

    Già, e non finirò mai di pentirmene.

    «Niente del genere. Non saprei mai riconoscere il soggetto adatto.»

    «Ah, è questo il bello. Il soggetto si è già fatto individuare. E lei lo conosce. Yuri Belenko, il braccio destro di Zakharov.»

    «Belenko? Sì, ci siamo incontrati.»

    «Due volte. A New York, all'ultima assemblea dell'ONU, l'autunno scorso. E a Parigi, in marzo, alla conferenza europea sulla sicurezza.»

    Lei annuì. «Ero incaricata dal Dipartimento di Stato...»

    Geist si protese in avanti, fissandola. «Mi parli di Belenko.»

    «È tutto nei miei rapporti» replicò. Sì, era un atteggiamento difensivo. Ma Geist cosa credeva che ci fosse stato tra lei e quel russo?

    «Sì, lo so. Però vorrei sentire direttamente le sue impressioni.»

    «Intelligente, simpatico. Buona cultura, cosmopolita. Sulla quarantina. Divorziato, a quanto risulta. Parla un ottimo inglese colloquiale, così come veniva insegnato ai corsi del KGB da cui, come ci risulta, proviene. Possiamo dare per scontato che sia un elemento del nuovo FSB.»

    «Preferenze personali?»

    «Non saprei... a parte il fatto che è un avido collezionista di frasi fatte e gergo americano. Pronto alle battute di spirito.»

    «E cos'altro colleziona?»

    Mariah corrugò la fronte. «Non capisco bene... Oh sì! Un donnaiolo, direi.»

    «Direbbe?»

    «Ha una certa dose di fascino e tende a esercitarlo sulle donne.»

    «E su di lei in particolare.»

    «Mi scusi?»

    «Ho fondati motivi di ritenere che questo Yuri Belenko sia molto preso di lei, Mariah. Giusto?»

    «Cosa vuole insinuare?»

    «Non insinuo niente. Desidero solo sentire cos'ha da riferire.»

    «Nient'altro.» Adesso era seccata. «Senta, non so che voci le siano giunte, ma non c'è nulla tra me e Belenko. È un'idea assurda. Ho perso mio marito un anno e mezzo fa, e tra il mio lavoro qui e una figlia adolescente da seguire, ho ben altri pensieri per la testa. Figuriamoci se sono in vena... o mi resta il tempo... di folleggiare con tipi come Yuri Belenko o chiunque altro.»

    «Però fa vita mondana.»

    «Che intende?»

    Geist l'osservò per qualche istante poi si alzò, raggiunse la scrivania e prese uno degli incartamenti che stava esaminando quando lei era arrivata. Ne trasse un foglio e glielo mostrò.

    Era la fotocopia di un articolo comparso alcune settimane prima sul Washington Post. La foto che l'accompagnava era molto annerita, ma lei conosceva benissimo i due soggetti.

    «Per essere una persona che si dichiara fuori dal gioco, mi sembra che non se la cavi poi tanto male» osservò Geist. «Qui siamo alla premiazione del National Press Club e lei è al braccio di uno dei nostri più famosi commentatori dei notiziari televisivi.»

    «Paul Chaney era un vecchio amico di mio marito. E ora anche mio» ammise, rendendosi conto che era sciocco cercare di prendere le distanze. «In quell'occasione doveva ricevere una targa. Mi sono limitata a stargli al fianco.»

    «Però quest'articolo è incentrato su di lei. E su suo padre. E ne sono stati pubblicati molti altri in proposito.»

    «Già, purtroppo.» Mariah si concesse una pausa prima di continuare. «Non è dipeso da me. Qualche cronista ha appurato che sono la figlia di Ben Bolt e si è buttato sulla voce secondo cui è stato trovato un suo romanzo inedito.»

    Una volta di più mandò al diavolo Paul, che aveva parlato a vanvera. E di nuovo si chiese se davvero, come lui sosteneva, la cosa gli era semplicemente sfuggita.

    «Il suo defunto padre è considerato uno dei più grandi nomi della nostra letteratura, mi pare» osservò Geist. «Non c'è da stupirsi che una notizia del genere faccia scalpore.»

    «D'accordo, ma di sicuro non avrei mai voluto trovarmici dentro.»

    «Ma esiste davvero un suo romanzo?»

    Mariah si strinse nelle spalle. «Una prima stesura di alcuni capitoli e dei diari, trovati in una cassetta. L'agente di mio padre sta esaminando tutto quanto per appurare di che si tratta. Ho intenzione di incontrarmi con lui, settimana prossima, per discutere il da farsi. A ogni modo» aggiunse, «non c'entra minimamente con Yuri Belenko. Non vorrei farle perdere tempo, immagino che sia molto occupato. Perché ritiene che Belenko possa essere interessato a lavorare per noi?»

    «Ah, be'...» rispose Geist mettendo la parte la fotocopia, «era appunto quello a cui volevo arrivare. Non so se sia interessato a noi, ma a lei sicuramente sì.»

    «Cosa glielo fa pensare?»

    «I miei l'hanno tenuto d'occhio e abbiamo intercettato un paio di conversazioni in cui Belenko ha accennato a lei in toni molto nostalgici. E inoltre... lo sa che quando eravate a Parigi, in marzo, una sera l'ha seguita al suo albergo? Immagino che volesse farle visita, ma se non sbaglio c'era sua figlia, con lei.»

    «La conferenza era cosa di un giorno soltanto, e Lindsay era in vacanza, così...» Mariah ebbe un brivido di spavento. «Belenko mi ha seguita? Ha visto mia figlia?»

    Il ben noto incubo che tornava: sua figlia in pericolo a causa del suo lavoro. Quando si era prospettata la conferenza, lei e Lindsay avevano da poco affrontato il secondo Natale senza David, seguito da un difficile inverno. Il fascino della primavera a Parigi era stato più forte del timore del rischio a cui poteva esporla portandola con sé. Mai, mai più.

    Geist si protese in avanti, i gomiti sulle ginocchia. «I miei uomini hanno detto che Belenko pareva molto deluso. Evidentemente era arrivato alla conclusione che non avrebbe combinato niente, quella sera. Abbiamo continuato a sorvegliarlo e finalmente qualche giorno fa la perseveranza ha dato i suoi frutti.»

    «Ossia?»

    «È andato fuori a cena con suo fratello, a Mosca. Il fratello è critico letterario della Pravda, lo sapeva? Belenko gli ha raccontato di aver conosciuto la figlia di Ben Bolt.»

    «Microfono nascosto?»

    Geist annuì. «Belenko ha anche detto che sarebbe venuto qui e che sperava di rivederla. Forse cercava solo di far colpo sul fratello intellettuale, ma dal modo in cui parlava non sembrava che fossero gli aspetti più sottili della letteratura moderna a stargli a cuore.»

    Mariah rifletté, molto stupita. Poi scrollò il capo. «Non credo sia la giusta interpretazione.»

    «Non si è accorta che ha un debole per lei? È una donna molto attraente, Mariah.»

    «Non si tratta di questo, ne sono certa.»

    «Perché?»

    «È una situazione che conosco. È mio padre ad attirarlo, non io.»

    «Mi pareva che fosse morto.»

    «Infatti. Da anni.» Mariah trasse un sospiro. «È un fenomeno collegato alla fama. Certe persone ne sono come calamitate.»

    «Certe persone?»

    «I tipi che amano la gloria riflessa, felici di essere a contatto con la celebrità. Si può essere totalmente brutti e insulsi ma per quella gente non conta, se si è imparentati con un nome illustre.» Anche se lei aveva più da rammaricarsi che da compiacersi del suo legame con Ben Bolt, pensò acidamente.

    «Comunque è sempre un'esca» replicò Geist. «Resto del parere che sarebbe un bene se lei incontrasse di nuovo Belenko. Anzi, vorrei che approfondisse la conoscenza.»

    «Intende dire che dovrei sedurlo? In tal caso la risposta è no. Io interpreto i dati inviati dai satelliti e compilo noiosi rapporti che nessuno legge sugli invii di armi. Non sono stata assunta come esca.»

    «Non intendevo offenderla. Non le chiedo di fare qualcosa per lei inaccettabile. Desidero solo che ristabilisca i contatti con Belenko e scopra le sue vedute. Tastargli il polso, tutto qui» aggiunse Geist con una risatina. «Se ha l'impressione che potrebbe essere disposto a unire le forze professionalmente oltre che personalmente, me lo faccia sapere. A quel punto interverremo noi.»

    «Non mi sembra di essere la persona adatta...» borbottò lei.

    «Se la caverà benissimo. È solo questione di un giorno o due.»

    «Un giorno o due? Mi pareva che dovessi occuparmi solo dell'inaugurazione della mostra dedicata ai Romanov.»

    «Infatti. Zakharov, come ho detto, resterà a Los Angeles per alcuni giorni, ma non siamo certi che Belenko si tratterrà con lui. Comunque sarà cosa di due giorni al massimo, glielo assicuro. So che ha in programma le vacanze.»

    «E il Dipartimento di Stato? Kidd non ama avere uomini dell'Operativo nelle sue delegazioni.»

    «Lo so. È questo il bello. Lei non appartiene all'Operativo.»

    Appunto, come aveva sospettato.

    «È già tutto sistemato con l'ufficio di Kidd. Dato che ha già lavorato con loro, lui non avrà obiezioni di sorta. Il Dipartimento non sa nulla della questione Belenko, si intende. Abbiamo detto che lei costituirà un tramite veloce per gli eventuali rapporti segreti se la crisi tra Russia e Turchia dovesse aggravarsi.» C'era in corso un piccolo dissidio tra i due paesi in merito all'appoggio dato dalla Russia ai ribelli curdi. Non si poteva certo parlare di crisi, ma Geist doveva averne ingigantito il potenziale per ottenere l'assenso di Kidd.

    «Immagino che anche il mio capo abbia già dato il suo assenso» osservò a quel punto Mariah, sapendo benissimo che il suo mite superiore non era certo il tipo da saper tener testa a un elemento come Jack Geist.

    «Naturale. Le chiedo solo di darci una mano. Se Belenko accetta, se ne occuperanno i miei

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