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Peccati in procura
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E-book196 pagine2 ore

Peccati in procura

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Info su questo ebook

La procuratrice Marie Bertelli ha bisogno di una relazione piccante, ma con un lavoro stressante e una famiglia italiana ossessionata dal matrimonio non sa quando potrà mai accadere. L'occasione si presenta con l'avvocato Ian Kilbron, di cui vorrebbe diventare il fascicolo legale preferito...



Ian per anni ha avuto una passione peccaminosa per Marie, ma lei sembrava non ardere dello stesso fuoco... sino ad ora. Improvvisamente è diventata una focosa leonessa. I loro incontri sono ardenti, intensi...lussuriosi. Ma quando la loro relazione diventa qualcosa di più...Uno dei due vorrà prendere le distanze?
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2017
ISBN9788858963142
Peccati in procura
Autore

Tori Carrington

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Peccati in procura - Tori Carrington

    successivo.

    1

    Anche per una brava ragazza come Marie Bertelli, i lunedì rappresentavano una grande sfida. Il finesettimana passava sempre troppo in fretta, e troppo spesso il primo giorno lavorativo sembrava solo un brutto mostro a tre occhi da conquistare piuttosto che il modo di concludere ciò che era rimasto in sospeso la settimana precedente.

    Suonò il clacson, poi imprecò contro il tizio che le aveva appena tagliato la strada, lasciando così intravedere una traccia della cattiva ragazza che era in lei e che, nei suoi ventisei anni, aveva osato mostrare soltanto una volta. Giustificò quella breve trasgressione pensando che l'altro conducente non l'avrebbe sentita attraverso i finestrini della sua Mustang del '67 che teneva chiusi per proteggersi dal freddo di fine gennaio. Certo, anche il fatto che non frequentasse un uomo da... da più tempo di quanto volesse pensare, non l'aiutava di certo. Soprattutto visto che mancava poco a San Valentino e, ovunque guardasse, c'erano cuoricini rossi e rosa a ricordarle la sua patetica vita sentimentale.

    Guardò l'orologio. Anche il fatto di essere rimasta bloccata da un incidente sulla I-40 contribuiva al suo nervosismo, e adesso i preoccupati pendolari del lunedì mattina minacciavano di farle perdere del tutto la calma.

    «Maria Antonia Bertelli, è questo il linguaggio che usi con tua madre?»

    Sospirando, Marie spostò il cellulare da sotto il mento, dove pensava che la madre non l'avrebbe sentita. «Non stavo parlando con te, mamma.»

    La madre a volte si comportava come se fosse immigrata dall'Italia solo da una settimana, con tutte le sue tradizioni europee, e non come un'italoamericana di seconda generazione qual era, che ai suoi tempi aveva vinto il titolo di Miss Nuovo Messico a un concorso di bellezza.

    Francesca continuò come se non fosse stata interrotta. «A proposito della cena di stasera, voglio che tu metta quel vestito blu. Sai a quale mi riferisco? Quello che avevi al matrimonio di Anthony. Ti mette in risalto il seno. E, naturalmente, anche l'azzurro degli occhi.»

    L'umore di Marie peggiorò a ogni parola della madre. «Non vengo alla cena di stasera, mamma» disse per la terza volta in tre minuti.

    «Il vestito blu» ripeté la donna.

    Il vestito blu era un orribile abito da damigella d'onore ormai finito in fondo a qualche scatolone, anche se Marie aveva preso in considerazione la possibilità di bruciarlo. La faceva apparire un elefante blu, un vero incubo.

    «Cucino il tuo piatto preferito. Pasta alle sarde. Devi venire» insistette la madre.

    La pasta alle sarde non era il suo piatto preferito. Era il piatto preferito di suo fratello Frankie Jr. Ma farglielo notare sarebbe servito solo a incoraggiarla a continuare. Per la verità, sarebbe potuto essere un tranello. Attirarla in una discussione su quello che avrebbero mangiato a cena, così alla fine lei ci sarebbe andata dimenticando che non ci teneva affatto.

    Si diede un morso all'interno della guancia. Dopo il ritorno da Los Angeles, era rimasta dieci mesi a casa dei suoi, e una settimana prima era finalmente andata a vivere da sola. Da allora, ogni mattina, puntuale come un orologio, la madre la chiamava per invitarla a cena. Marie aveva commesso l'errore di andarci la domenica precedente e vi aveva trovato Benito Benini, un suo compagno delle elementari, e vent'anni non erano stati sufficienti a cancellare il ricordo di lui che si tirava fuori dal naso un Play-Doh verde. Un naso che da allora era cresciuto notevolmente.

    «No» disse. «Non se ne parla neanche.» Esitò mentre svoltava a destra nel parcheggio del tribunale della contea di Bernalillo. «Io... ho già altri impegni.»

    Dicendolo, resistette all'impulso di picchiare la testa contro il volante.

    «Impegni? Con chi? Come si chiama? Lo conosciamo?»

    Il plurale, naturalmente, si riferiva all'intera famiglia Bertelli. Il padre, Frank Sr. La madre. E i tre fratelli maggiori, Frankie Jr, Anthony e Mario, tutti sposati con prole. E tutti che si ritenevano in diritto di ficcare il naso nella sua vita privata.

    «Non importa, mamma» replicò lei, trovando un posto libero. Spense il motore. «Senti, devo andare. Sono al tribunale e sono già in ritardo.»

    «In ritardo? Vedi, saresti dovuta restare a casa. Se fossi rimasta con noi, non saresti in ritardo.»

    «Sono in ritardo perché c'è stato un incidente e l'autostrada è rimasta bloccata per chilometri.»

    «Incidente? Hai avuto un incidente?»

    «No. Ho detto che c'è stato un incidente, ma per fortuna io non ero coinvolta. Arrivederci, mamma. Ci sentiamo più tardi.»

    «È così che lasci tua madre? A preoccuparsi su quale assassino vedrai stasera?»

    Marie appoggiò la testa all'indietro. «Non esco con un assassino. Ceno con Dulcy e Jena.»

    «Oh.»

    C'era forse una nota di delusione nella voce della madre? Sì, decisamente. Le rese un po' più facile mandare giù la bugia.

    Sorrise. Interessante. La madre era forse arrivata al punto di accogliere in famiglia persino un potenziale assassino a patto che fosse anche un potenziale marito?

    «Potresti invitarle qui. È tanto che non le vedo.»

    Il che dipendeva dal fatto che, nelle rare occasioni in cui le sue migliori amiche si incontravano con la sua famiglia, si era quasi dovuto ricorrere alla polizia. Soprattutto perché Jena aveva difficoltà a capire che la famiglia si ritenesse in diritto di interferire nella vita di Marie e li aveva sfidati al proposito. E i Bertelli avevano l'abitudine di riferirsi a Jena come la dissoluta che avrebbe rovinato la reputazione della loro unica figlia.

    Magari. Marie avrebbe voluto averla una reputazione, buona o cattiva, non importava.

    «Non credo, mamma. Ora devo andare. A presto.»

    Chiuse il cellulare, bloccando così l'automatica protesta della madre.

    Come fosse sopravvissuta a ventisei anni di convivenza con la famiglia Bertelli non era facile da spiegare. E la conversazione appena avuta con la madre non era niente in confronto a quello che avveniva di solito a casa loro. Istruzioni su che cosa fare, che cosa indossare, che cosa sistemare. Oh, lei adorava la sua famiglia. L'adorava da morire. Purtroppo, però, temeva che sarebbero stati loro a farla morire.

    Mise le chiavi in borsa e raccolse le sue cose dal sedile di fianco. Che cosa diavolo le era saltato in mente di prendere il telefono senza guardare il display a quell'ora del mattino? Avrebbe dovuto immaginarlo che la madre avrebbe cercato di organizzarle un altro appuntamento al buio con l'ennesimo ex compagno di scuola uso a fare cose disgustose. La settimana precedente era stato un terzo grado, con Johnny Russo che aveva tentato di incollarla alla sedia della sua scrivania. La settimana prima, aveva sperato che la famiglia avesse esaurito i potenziali fidanzati, invece avevano invitato a cena un cugino. Un cugino era comunque un parente e lei aveva facilmente evitato quel tentativo di accoppiamento parlando casualmente per tutta la sera dei rischi di difetti di nascita nelle relazioni fra consanguinei.

    Marie prese la borsa rigonfia, chiedendosi se alla fine la famiglia si sarebbe resa conto che quello che loro avevano in mente per lei e il modo in cui lei vedeva la propria vita erano due cose completamente diverse. Non voleva finire con un uomo che considerava il matrimonio sinonimo di schiavitù. Non voleva un matrimonio senza amore con un compagno considerato accettabile solo perché di sangue italiano o italoamericano, che conosceva la differenza fra un pinzimonio e un'agliata.

    Avrebbero dovuto capirlo già tre anni prima, quando era scappata a Los Angeles.

    Guardò la propria immagine nello specchietto retrovisore e si sistemò dei riccioli ribelli. No, la sua famiglia era un po' lenta di comprendonio. Quando erano arrivati al punto di programmare un matrimonio senza nemmeno informarla, occupandosi delle partecipazioni e di tutto il resto e dicendole solo una settimana prima della data fissata per la cerimonia che avrebbe sposato un uomo che veniva dall'Italia, lei non ci aveva visto più e aveva puntato la sua Mustang del '67 in direzione di Los Angeles. Anche le sue migliori amiche, Dulcy e Jena, erano rimaste all'oscuro della sua destinazione fino a quando lei era entrata a lavorare alla procura distrettuale di L.A. e aveva subaffittato un appartamento da un'attrice di film di serie B che doveva trasferirsi per un paio di mesi in Sudamerica. Allora, le aveva incaricate di avvertire la sua famiglia e non si era sorpresa di scoprire che la sua scomparsa era già stata denunciata alla polizia. Aveva passato due ore al telefono con lo sceriffo di Albuquerque per rassicurarle che stava bene e che non stava marcendo in una discarica da qualche parte del paese.

    Solo tre settimane dopo, si era messa in contatto con i genitori. Li aveva chiamati per dire che non dovevano preoccuparsi e che sperava che il matrimonio sarebbe andato bene anche senza di lei. Nient'altro. Perché, se avesse detto dove si trovava, i fratelli si sarebbero precipitati a prenderla per riportarla a casa.

    Certo, quella non era stata la sua prima vera ribellione. La prima aveva visto come coprotagonista il suo affascinante vicino, Ian Kilborn, una vita intera di ormoni soffocati e pieno di animosità verso i genitori iperprotettivi. Ma solo lei, Ian e le pareti della dispensa sapevano di quell'episodio... un lampo di passione quando aveva diciotto anni aveva liberato la donna dissoluta che si celava sotto le sue apparenze di brava ragazza. Ed era stato stupendo. E se otto anni dopo ripensava ancora di tanto in tanto a quell'episodio, era solo perché, invece di vivere a due passi l'uno dall'altro, lei e Ian adesso passavano quasi tutto il loro tempo nello stesso tribunale in veste di avvocati.

    Scendendo dall'auto, si schiarì la gola, imbarazzata. A gennaio, il tempo ad Albuquerque, Nuovo Messico, era ben diverso da quello di Los Angeles. E sarebbe ancora stata lì a godersi il sole e la libertà se Dulcy e Jena non l'avessero contattata quasi un anno prima ricordandole la promessa che si erano fatte da giovani. L'avevano convinta a firmare il contratto con il noto studio legale di Bartholomew Lomax per creare la società che avevano sempre sognato.

    E adesso la madre stava riprendendo le sue vecchie abitudini.

    Davanti a lei, un uomo aprì la porta del tribunale e Marie riuscì appena in tempo a evitare che gliela richiudesse in faccia.

    Va be', forse non era una buona giornata. Capitava, no?

    Peccato che avesse l'impressione che in realtà la sua cattiva giornata durasse già da un decennio.

    Si affrettò a percorrere il corridoio, cercando di dimenticare la sua vita privata per concentrarsi su quella professionale... cosa che di solito le riusciva molto bene.

    «Marie!»

    Era a metà corridoio, quando si rese conto che qualcuno la stava chiamando. Voltandosi, vide la sua amica e socia Jena McCade che la stava inseguendo.

    «Insomma, si può sapere dove hai la testa? Ti avrò chiamata almeno tre volte, prima che mi sentissi.»

    Marie fece una smorfia. Jena era in gran forma. Come sempre. I lucidi capelli neri, la figura sexy, il modo di fare sicuro di sé, di certo a lei nessuno avrebbe mai chiuso la porta in faccia.

    Adesso che era sposata con l'ex giocatore di hockey Tommy il selvaggio Brodie, sembrava ancora più bella. Aveva la pelle luminosa e gli occhi sognanti. Secondo Jena, il merito era tutto del sesso. Lei, invece, preferiva pensare che il merito fosse dell'amore.

    «Suppongo che tua madre ti stia di nuovo tormentando.»

    «Esatto.» Marie fece una smorfia. «Vuole che vada di nuovo a cena da loro, stasera.» Si guardò intorno. «Che cosa ci fai qui così presto?»

    «Il giudice Bullock vuole parlarmi. Pare che ci siano dei problemi con l'ufficio della procura e che abbiano sospeso le udienze.»

    «Oh?»

    Agitando la mano, Jena la seguì lungo il corridoio. «Non dovrebbe riguardare il tuo caso. Ha a che vedere con le nuove procedure per il DNA.»

    «Bene. Non vedo l'ora che finisca.»

    «Un caso difficile?»

    «No. Solo noioso.»

    Jena rise. «È la prima volta che ti sento dire una cosa simile.»

    «È la prima volta che mi capita.»

    «Sai, tua madre non ti farebbe arrabbiare tanto se tu stessa non fossi così schizzinosa in fatto di uomini» disse Jena.

    Lei emise un suono soffocato. «Come puoi dire una cosa simile?» Si guardò di nuovo intorno. Un avvocato che conosceva di vista le superò sorridendo. «E davanti a tutta questa gente.»

    Jena le si piazzò di fronte. «Non riesco a credere che da un anno tu non abbia rapporti sessuali.» Le puntò un dito contro la giacca blu del tailleur. «E dai troppo peso a quello che gli altri possono pensare.»

    «Non sono schizzinosa.»

    Jena sorrise. «Sì, invece. Come mai non hai un ragazzo?»

    «Ho avuto troppo da fare ad avviare lo studio.»

    «Anche Dulcy e io, eppure questo non ci ha impedito di trovarci un uomo.»

    La giornata era cominciata male e stava peggiorando con il passare dei minuti, decise Marie.

    «Segui il mio consiglio» continuò l'amica riprendendo a camminare. «Acchiappa il primo tipo che incontri e non lasciartelo sfuggire fino a quando non ti avrà tolto quella smorfia dalla faccia.»

    «Io non faccio smorfie.»

    Jena si voltò. «Allora, ci vediamo in ufficio più tardi.»

    «Già. In ufficio.»

    Marie rimase per un lungo momento a fissare la schiena dell'amica che si allontanava. Oh, certo, essere amica di Jena significava vivere in un perenne stato di mortificazione. Non faceva che parlare dei suoi orgasmi e commentare le vite sessuali degli altri nei minimi dettagli.

    Marie rimpianse che avesse scelto proprio quel momento per

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