Joe, il pilota coraggioso: Harmony Destiny
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Kate Hoffmann
Dopo aver lavorato come redattrice di testi pubblicitari, ha intrapreso la difficile strada del romanzo e ha dovuto superare difficili momenti prima di approdare al successo. Ora finalmente può permettersi di dedicarsi alla scrittura a tempo pieno.
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Anteprima del libro
Joe, il pilota coraggioso - Kate Hoffmann
successivo.
Prologo
Joe Brennan fissò con aria critica la porta di legno consunta dal tempo che pendeva in modo poco rassicurante dai cardini arrugginiti. Se l'interno del Rifugio dello Scapolo assomigliava all'esterno, avrebbe sicuramente voltato le spalle e fatto ritorno a Seattle.
Evitando una tavola rotta della veranda, sbirciò attraverso il vetro impolverato di una finestra. Un fascio di luce attraversava obliquamente il locale e, seguendone la scia, Joe risalì con lo sguardo verso il soffitto dove scoprì una breccia che rivelava l'azzurro del cielo.
Non avrebbe dovuto farsi trascinare in quell'avventura da Tanner O'Neill. Sia lui che Kyle Hawkins, il terzo componente del gruppo, avevano lasciato tutto dietro di loro, la carriera, la casa, le donne, per trasferirsi nelle lande deserte dell'Alaska con l'intento di avviare un nuovo business.
Valutando le caratteristiche sulla carta, il rifugio che Tanner aveva ereditato sembrava attraente. A un miglio dal villaggio di Muleshoe, era in una posizione ideale, tra il torrente che scorreva proprio sul retro e la piana del fiume Yukon che si stendeva sul davanti. Ma le foto non rivelava no le reali condizioni della costruzione. Fossero state più fedeli, Joe avrebbe probabilmente deciso di rimanere a casa sua.
Aveva un buon lavoro a Seattle: era socio in uno studio legale e aveva uno stipendio più che dignitoso. Durante i fine settimana lavorava spesso per la Guardia Forestale, dove metteva a frutto il suo brevetto di pilota, e riempiva il resto del suo tempo libero con lo sport e le donne.
Aveva una bella vita ed era felice.
Sapeva che trasferendosi in Alaska avrebbe dovuto rinunciare a parecchie cose, ma era stato troppo tentato da quel progetto per resistervi. Tanner avrebbe gestito il rifugio, Hawk avrebbe fatto da guida ai clienti e Joe avrebbe pilotato il loro aereo, un De Havilland Otter che avevano acquistato grazie al modesto capitale che erano riusciti a mettere insieme.
Il suo compito sarebbe stato quello di trasportare viveri e persone dal piccolo aeroporto di Fairbanks a Muleshoe, esattamente come loro avevano fatto quel giorno.
«Non siate troppo precipitosi nel giudicare» consigliò Tanner, aprendo la porta del rifugio, che cigolò paurosamente sui cardini, quasi in risposta a quell'esortazione. «Pensate alle potenzialità di questo posto.»
Joe lanciò a Hawk un'occhiata dubbiosa. «Vediamo» mormorò varcando la soglia.
Granelli di polvere d'oro volteggiavano nel fascio di luce che penetrava dallo squarcio nel tetto e una collezione di mobili sgangherati apparve sparpagliata nella penombra. Il pavimento era ingombro di suppellettili coperte di polvere e una grande testa di alce li fissava dalla parete in pietra del caminetto con l'aria di volersi prendere gioco di loro.
«Non è poi così male» dichiarò Tanner dopo avere assorbito il colpo. «Una volta riparato il tetto e ripulito un po' in giro, sarà tutta un'altra cosa.»
«Sì, per i caribù e consimili» replicò Joe cupamente. «Si può dire che non abbiamo nemmeno un tetto sopra la testa, Tanner. E non dimentichiamoci che qui le notti sono molto più fredde che a Seattle.»
«Andiamo, Brennan. Dov'è finito il tuo spirito d'avventura?» chiese Tanner scherzoso. «Vorrà dire che dovremo arrangiarci per un po'. Mostra che uomo sei!»
Joe scosse la testa e guardò Hawk, ma non trovò appoggio. Hawk era sempre pronto per l'avventura e, più era rischiosa e faticosa, meglio era per lui.
Tanner terminò la sua ispezione, poi rivolse uno sguardo diretto ai compagni.
«So che vi aspettavate qualcosa di meglio. Se pensate di ritirarvi, è questo il momento per farlo» disse ponderando le parole. «Ma prima che decidiate, voglio che sappiate che io sono deciso ad andare avanti e a far funzionare il nostro progetto. Con o senza di voi.»
L'aria polverosa parve immobilizzarsi nel silenzio che seguì. Poi, Hawk scrollò le spalle.
«Io non mi ritiro» dichiarò. Rivolse quindi lo sguardo a Joe e lo fissò con sfida. Un buon amico avrebbe sostenuto quello sguardo e loro tre erano buoni amici.
In fondo, non era rimasto molto a Seattle per Joe, a parte una manciata di donne deluse e un garage dove aveva messo tutte le sue cose.
Si passò una mano tra i capelli. Cosa diavolo stava facendo?, si domandò. Bastava uno sguardo al villaggio di Muleshoe per capire che non c'era vita sociale in quel posto e lui sapeva bene che, pur non essendo un patito della vita mondana, aveva certe esigenze.
«Allora, Brennan? Dentro o fuori?» lo provocò Hawk.
«Ma ci pensate a come saremo ridotti tra quarant'anni?» tergiversò Joe. «Tre vecchi scapoli sdentati che raccontano dei giorni felici di Seattle. O dell'ultima volta che hanno guardato una donna.»
«Ci sono belle donne anche in Alaska» osservò Tanner. «Sono solo sparse su un'area geografica più ampia. Basta andarle a cercare.»
Joe diede un ultimo sguardo al rifugio e corrugò il viso in una smorfia di dolore.
«So di essere un pazzo incosciente, ma se voi rimanete, rimango anch'io» dichiarò alla fine.
«Sapevo che non avresti resistito» esclamò Tanner assestandogli una pacca sulla schiena con aria soddisfatta. «Da quando ti conosco, non ti sei mai tirato indietro di fronte a una sfida.»
«Questa è una di quelle volte che vorrei essere più codardo.»
«Ai ragazzi del Rifugio dello Scapolo» disse Hawk allungando un braccio.
Gli altri batterono la mano sul suo palmo e suggellarono con quel gesto il loro patto.
1
«Prima o poi, dovrò farmi controllare il cervello» disse Joe ad alta voce mentre lanciava un'occhiata al pannello di controllo sulla plancia del piccolo aereo.
L'indicatore della temperatura esterna segnava i quaranta gradi sotto lo zero e l'antiappannante aveva raggiunto il limite massimo delle sue possibilità. Se fosse salito di solo qualche metro ancora, non avrebbe visto più nulla perché i vetri sarebbero gelati.
Attraverso il finestrino laterale, scrutò fuori. I picchi della catena montuosa sotto di lui erano così ripidi che nemmeno la neve riusciva a fissarsi alle rocce. Alla sua destra spiccava la vetta del McKinley, la cima più alta della catena dell'Alaska, che esercitava un fascino magnetico su tutti gli scalatori del mondo.
Per questo la rotta tra Talkeetna e il Kahiltna International, il ghiacciaio che scintillava sotto di lui, era spesso frequentata dalle Aquile dell'Ala ska, come venivano chiamati i piloti che portava no fin lì gli scalatori e il loro equipaggiamento, e che erano pronti a correre in loro aiuto quando si trovavano nei guai.
Da quando Joe era arrivato in Alaska cinque anni prima, aveva sentito innumerevoli storie sulle valorose imprese di quei coraggiosi piloti, veri artisti del cielo. Per parecchio tempo, aveva dovuto accontentarsi di ammirarli, finché anche lui era stato ammesso in quel gruppo esclusivo, e la stima nei loro confronti era cresciuta ancora.
La sua iniziazione era avvenuta più per caso che per coraggio. Stava accompagnando un cliente in un semplice giro turistico, quando d'improvviso aveva notato qualcosa d'insolito sul bordo del ghiacciaio Kahiltna. Si era abbassato di quota e con cerchi concentrici era riuscito ad avvicinarsi fino a riconoscere un Cessna rovesciato con la parte inferiore rivolta verso il cielo. Se Joe non avesse guardato proprio in quel punto, non lo avrebbe individuato, così come non lo avevano visto tutti i piloti che avevano sorvolato la zona prima di lui.
Con l'approvazione del suo passeggero assetato d'avventura, era atterrato vicino al luogo dell'incidente e, camminando a fatica sulla neve, lui e il suo passeggero avevano raggiunto il velivolo rovesciato. A bordo vi erano tre passeggeri feriti e il pilota svenuto. Joe e il suo cliente li avevano subito soccorsi, chiamando poi rinforzi via radio.
Quando tutto si era risolto, Joe aveva scoperto d'avere soccorso uno dei migliori piloti delle Aquile dell'Alaska, Skip Christiansen. Per questo gli era stato proposto di entrare a far parte di quell'élite e da allora aveva avuto un soprannome, Brennan Occhio d'Aquila.
Da quel momento aveva partecipato a parecchie missioni di soccorso e quel giorno era alla ricerca di una scalatrice svedese che aveva tentato un'ascesa invernale in solitaria. Era Skip a coordinare le ricerche e c'erano sei velivoli impegnati a ispezionare l'intera pista sul ghiacciaio.
Scrutando il terreno sotto di lui, Joe imprecò mentalmente contro quella donna che si era avventurata da sola in un'impresa simile, anche se in cuor suo non faticava a comprendere l'impulso che spingeva alcune persone ad affrontare prove sempre più difficili.
«Andiamo, tesoro» esclamò ad alta voce sollevando gli occhiali da sole sopra la testa. «Fammi vedere dove sei. Mandami un segno.»
Sapeva di essersi spinto leggermente più a ovest rispetto alla pista, ma sapeva anche che durante la scalata era facile confondersi a causa della stanchezza o dell'altitudine, o delle condizioni avverse di visibilità.
Aveva già più volte sorvolato la cima del ghiacciaio, ma non aveva mai notato la piccola macchia blu che scorse in quel momento. Abbassandosi di quota, si rese conto che si trattava di uno zaino sepolto a metà nella neve. Gli parve anche di vedere una corda che segnava un percorso verso l'ombra di un crepaccio.
Immediatamente accese la radio.
«Qui Brennan Occhio d'Aquila, tre-nove Delta Tango. Credo d'averla individuata. Si trova sulla parte bassa del ghiacciaio, a ovest della pista abituale. Sembra sia caduta in un crepaccio. Era legata alla corda, ma non riesco ancora a vederla. Passo.»
La radio gracchiò, poi la voce di Skip echeggiò nella carlinga.
«Qui è sette-quattro Foxtrot. Complimenti. Sono alla tua sinistra. Scendo a vedere cosa posso fare mentre aspettiamo rinforzi.»
«Scendo io, Skip. L'ho trovata io.»
«È un atterraggio insidioso, amico. Ci sono crepacci ovunque e io conosco a perfezione tutta la zona. E soprattutto, ho accompagnato io la svedese e vorrei essere io a ripescarla.»
«Se vuoi, stammi alle spalle. Comincio a scendere. Chiudo.»
Joe inclinò in virata verso est e sorvolò con un cerchio pigro il punto dove aveva avvistato lo zaino. Scrutò la superficie sotto di lui e memorizzò ogni spaccatura, ogni avvallamento del ghiaccio prima di cominciare una lenta discesa. Teneva lo sguardo fisso in un punto e sentiva il sangue pulsare alle tempie. Appena percepì gli sci fremere al contatto con il ghiaccio, spense il motore e lasciò che il velivolo scivolasse verso la sponda del ghiacciaio finché non poté proseguire oltre. Quindi, lo manovrò a semicerchio verso valle per prepararlo al decollo.
Prese una bombola d'ossigeno, che teneva sempre sull'aereo nel caso fosse necessaria quando volava ad alte quote, e s'incamminò verso la corda alla quale era probabilmente legata la scalatrice. Sopra di lui, sentiva il rumore sordo dell'aereo di Skip che cercava un posto dove atterrare.
Malgrado scivolasse sul ghiaccio a ogni passo, raggiunse in pochi minuti il crepaccio. «Ehi, mi sente?» gridò tirando la corda.
«Sì» rispose una voce debole da un punto non molto profondo del crepaccio. «Sto bene, ma sono rimasta incastrata nella corda. Temo che dovrete tirarmi su a forza.»
Joe si sedette sulla neve, puntò i talloni contro una superficie ghiacciata e cominciò a tirare. Con sollievo, si accorse subito che la