I dolci messaggi dell'eros (eLit): eLit
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Libby vuole sentire quelle parole su di lei.
Libby non riesce a credere a quello che legge. La lettera che ha ricevuto è un concentrato di passione ed erotismo. Quanto le piacerebbe mettere in pratica le calde descrizioni della missiva, lasciarsi trasportare dai sensi eccitati, perdersi nei baci e nelle carezze raccontate. Esiste un solo uomo che potrebbe aiutarla a realizzare tutto ciò: Trey Marbury, che tutte le notti fa irruzione nei suoi sogni più roventi.
Trey vuole farle vivere quelle parole.
L'unica donna che può essere così audace da scrivere quelle frasi eroticamente devastanti è Libby. Trey non può permettere che delle descrizioni così calde rimangano pura teoria. Deve metterle in pratica. Con lei. Subito. Prima che il desiderio lo consumi completamente.
Kate Hoffmann
Dopo aver lavorato come redattrice di testi pubblicitari, ha intrapreso la difficile strada del romanzo e ha dovuto superare difficili momenti prima di approdare al successo. Ora finalmente può permettersi di dedicarsi alla scrittura a tempo pieno.
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I dolci messaggi dell'eros (eLit) - Kate Hoffmann
successivo.
Prologo
Un calabrone ronzò pigramente attorno a un gelsomino in vaso, rompendo il silenzio del pomeriggio afoso. A qualche metro di distanza, nell'ampia veranda della casa di Charles Street, le sorelle Throckmorton smuovevano l'aria pesante con ventagli di carta di riso. Un vassoio in argento, contenente una caraffa di tè ghiacciato e due bicchieri umidi, era posato sul tavolo tra le loro due sedie di vimini.
«È la fine» osservò Eulalie Throckmorton, il ventaglio che sfarfallava come le ali di un colibrì.
Eudora Throckmorton studiò l'espressione assorta sul viso della sorella gemella ed emise un sospiro. «È solo il caldo, Lalie. Quando sono sudata fradicia, non mi va di fare conversazione. Lo stesso vale per le dame del bridge.»
«Ma c'era un silenzio da veglia funebre.»
Eudora si spostò sulla sedia. «Se avessi acconsentito a installare l'aria condizionata in casa, non avremmo questo problema adesso. Grace Rose Alston se l'è appena messa e dice che è una vera manna con questa calura di mezza estate.»
«Non ce n'è bisogno, Dora. Abbiamo questa stupenda veranda. Mamma e papà sono vissuti qui per più di cinquant'anni e non hanno mai avuto l'aria condizionata. Inoltre, così, ci barricheremmo in casa e non vedremmo mai più i nostri vicini passare. Qui fuori, invece, siamo parte del mondo. Santo cielo, se volessi starmene al fresco e al buio, correrei giù all'impresa di pompe funebri di Wilbur Varner, mi comprerei una bella bara e mi sistemerei accanto a mamma e papà al cimitero.»
«Non c'è bisogno di essere così drammatici» replicò Eudora. «Hai sempre avuto il vizio di esagerare. Avresti dovuto fare l'attrice.»
«E tu le televendite, data la tua passione per gli aggeggi bizzarri. Devo ricordarti che abbiamo uno spremiagrumi elettrico in cucina che non hai mai usato?»
«L'aria condizionata non è un aggeggio bizzarro» ribatté Eudora. «Alcuni sostengono che sia una necessità durante le calde estati della Carolina del Sud. E ci stiamo avvicinando a un'età in cui le comodità personali sono l'unica cosa a cui possiamo ambire, quando tutto va bene.»
«Siamo sinceri, Dora. Non sarà la mancanza di un ambiente a temperatura controllata a decretare la fine del nostro amato circolo del bridge, semmai la penuria di pettegolezzi. Non è rimasto nulla di cui parlare in questa città sottosviluppata!»
Il Thursday Ladies' Bridge and Luncheon Club aveva quasi cent'anni. Fondato dalla nonna di Eulalie ed Eudora insieme con un gruppo di amici, i soci erano tutti personaggi in vista della cittadina di Belfort, Carolina del Sud. Il circolo era un'istituzione sopravvissuta a due guerre mondiali, al Proibizionismo, alla Grande Depressione e a un tentativo di sommossa rivoluzionaria da parte di parecchi soci che volevano rimpiazzare il gioco del bridge con il rummy. Eppure in tutti quegli anni le due anfitrione avevano sempre condiviso gaie chiacchierate con i sedici soci. Eulalie poteva anche chiamarle pettegolezzi, ma Eudora preferiva considerarle... disquisizioni illuminanti.
«Forse dovremmo far entrare qualche nuovo socio» suggerì Eudora. «Dame con argomenti di conversazione interessanti. Ho conosciuto una simpatica vedova al Winn-Dixie che si è appena trasferita da New York.»
«Le dame non potrebbero mai tollerare una yankee.» Eulalie scosse la testa. «Inoltre ci sono sempre stati sedici soci e, finché una delle nostre dame non avrà ottenuto la sua grande ricompensa, non possiamo far entrare nessun nuovo socio. Dovresti conoscere il regolamento, dato che sei stata presidentessa per ben due volte!»
«Se Charlotte Villiers comincia a elencare per l'ennesima volta tutti i suoi problemi di salute, giuro che prendo la pistola del nostro trisavolo dalla vetrina e l'ammazzo.»
Eulalie ridacchiò, l'umore che si risollevava grazie ai commenti temerari della sorella. Tuttavia si trattava di una faccenda seria. Se il circolo del bridge stentava sotto la sua presidenza, le dame avrebbero trovato il modo di dare a lei la colpa.
«Ci servirebbe semplicemente qualcosa di succoso, come un bello scandalo politico. Mazzette, ricatti, corruzione. O, ancora meglio, uno scandalo di tipo... privato» abbassò la voce fino a farla divenire un sussurro. «Capisci cosa intendo? Ho sempre pensato che Desmond Whitley fosse omosessuale. Magari potremmo convincerlo che questo è un buon momento per uscire allo scoperto.»
«Mi è simpatico Desmond» ammise Eudora. «E francamente non m'importa granché se è omosessuale. Le sue composizioni floreali per il bazar autunnale in chiesa sono deliziose, e poi ha ricamato quella tovaglia per l'asta degli Amici della Biblioteca. Ed è un ballerino eccellente.»
«Okay» bofonchiò Eulalie. «Lascia perdere Desmond. Oltretutto ha sessantadue anni. Ci serve una persona più giovane, ancora meglio se ha una reputazione immacolata ed è estranea agli scandali.» Fece una pausa. «Una persona che possa essere coinvolta in una storia appassionata... sfrenata... leggermente perversa...» Si sventagliò con foga. «Be', hai capito dove voglio arrivare.»
«Sesso, sorella» dichiarò Eudora senza mezzi termini. «Buon cielo, avrò anche ottantatré anni, ma sono una donna moderna e non ho paura di parlare di queste cose a voce alta. Anche se ci considerano signorine, abbiamo un po' di esperienza in quanto a uomini. A che serve fare finta di non aver mai visto un mostro con un occhio solo?»
A Eulalie per poco non andò di traverso il tè, e un violento rossore le accese le gote. Afferrò un tovagliolo di stoffa e se lo premette sulle labbra, poi si schiarì la gola. «Non c'è bisogno di essere così esplicite, Eudora.»
Sua sorella alzò le spalle. «Arrossisci sia quando uso la terminologia medica adeguata sia quando opto per un eufemismo.»
«Il punto è che, nonostante l'esperienza, siamo ancora innocenti per i costumi del mondo moderno. Le cose sono cambiate un po' da quando eravamo giovani. Allora un ragazzo non poteva mettere una mano sul seno di una ragazza senza chiederla in sposa. Oggi ci vuole molto di più perché la gente parli.»
«È una sciocchezza, Lalie. Noi non possiamo creare uno scandalo. Succedono e basta.»
Un lento sorriso sbocciò sul viso di Eulalie. «Ma possiamo dare una spintarella.»
«E come?»
«Voci, insinuazioni, accuse infondate. Mi verrà in mente qualcosa.»
«E chi coinvolgerai nel tuo piccolo scandalo?»
Eulalie si sventolò lentamente. «Non lo so. Qualcuno con una reputazione integra.» Fissò la casa al di là della strada, l'ampio porticato orlato di cesti di fucsie. «Devo meditare, ma ti posso garantire una cosa, sorella. Ci sarà molto di cui parlare a Belfort dopo che avrò rimestato nel paiolo. E il nostro prezioso circolo del bridge sarà salvo per altri cent'anni.»
1
Tutto a Belfort si muoveva un po' più a rilento nella calura estiva. Trey Marbury si terse una goccia di sudore dal collo mentre era fermo a uno dei tre semafori della cittadina, grato che la sera fosse finalmente calata su quella giornata afosa.
Sbirciò attraverso il parabrezza della jeep: tutto era rimasto più o meno uguale dall'ultima volta che se ne era andato da Belfort, Carolina del Sud. «Niente parate, niente striscioni di Bentornato a casa, niente bande» bofonchiò svoltando in Center Street. Fino a quel momento il ritorno dell'ex figliol prodigo di Belfort era passato inosservato.
Dodici anni prima Trey era stato leader indiscusso del campionato, re dei raduni degli ex alunni e studente modello, oltre ad aver vinto una borsa di studio per giocare a football presso la Georgia Tech, tutto in un anno. Belfort si aspettava grandi cose da Clayton Marbury III, ma niente in confronto a ciò che suo padre, Clayton Marbury II, esigeva dall'unico figlio: perfezione e ubbidienza.
Era stato un sollievo per Trey lo strappo subito alla spalla durante il terzo anno di corso alla Georgia Tech. Niente più pressioni né attese. Lui e suo padre non avevano nient'altro per cui litigare, salvo l'intervento chirurgico che Trey aveva rifiutato e il suo disinteresse per gli affari di famiglia.
Alla fine erano stati quegli stessi affari a riportarlo a Belfort, al passato. Ma casa sua ormai era in un grattacielo sulla Gold Coast di Chicago, con gli inverni freddi e i ritmi di vita accelerati, così distanti dal torpore e dal caldo insopportabile di quella cittadina.
Trey svoltò in River Street e si infilò nel parcheggio della bottega di Garland Van Pelt. Entrò e andò a prendere di corsa una confezione da sei birre dal freezer e un pacchetto di salatini, poi si diresse alla cassa.
«Trey Marbury?»
Lui alzò lo sguardo dal portafogli e si ritrovò gli occhi del proprietario che lo fissavano. «Salve, Garland. Come va?» Si irritò tra sé all'udire che aveva ripreso la pronuncia strascicata tipica del Sud.
«Guarda un po' chi si rivede» esultò Garland battendo le mani. «Trey Marbury. Qual buon vento ti porta in città?»
«Devo occuparmi dei beni di mio padre.»
L'uomo annuì con aria grave. «Ho saputo. Mi dispiace molto. Era un brav'uomo.»
Trey abbozzò un sorriso. Per la maggior parte della gente Clayton Marbury era una brava persona, l'immagine del cittadino onesto e del capofamiglia modello. Peccato che non fosse stato un padre amorevole nei confronti del figlio. «Grazie» mormorò lui, spingendo verso Garland un biglietto da venti dollari con la speranza di battersela alla svelta.
Il bottegaio calcolò il prezzo totale, poi mise birre e salatini in un sacchetto. «Allora, quanto ti fermi a Belfort?»
«Mia madre mi ha chiesto di liquidare ciò che resta delle proprietà qui in zona e a Charleston. Devo vedermi con gli agenti immobiliari e far fare qualche riparazione, quindi immagino che resterò almeno qualche mese prima di tornare a Chicago.»
Garland annuì. «Hai un posto dove stare?»
«Il motel sulla statale 32, anche se mi è toccato ungerli per bene perché con me c'è anche il mio cane. Pensavo di comprarmi una casa e ristrutturarla nel tempo libero. Conosci qualche proprietà disponibile?»
Garland ridacchiò. «Tale padre, tale figlio! Clay Marbury era sempre a caccia di qualche affare.» Si sfregò il mento. «Adesso che ci penso, la casa del vecchio Sawyer è in vendita. Hanno trasferito la signora Sawyer in un ospizio su a Florence, dove vive la figlia. La casa cade a pezzi, quindi immagino che potresti strappare un buon prezzo. Mia figlia fa l'agente immobiliare, le dirò di chiamarti.»
Trey prese il sacchetto e gli sorrise uscendo. «Grazie, Garland.»
Mentre tornava alla jeep pensò che tempo qualche minuto e tutti i pettegoli della città avrebbero saputo del suo ritorno a Belfort. Senza dubbio ci sarebbe stata una girandola di speculazioni riguardo a dove fosse stato e che cosa avesse fatto negli ultimi dodici anni.
Sospirò rassegnato mentre imboccava di nuovo Center Street, diretto alla zona residenziale della città. Sapeva che la villa dei Sawyer era in Charles Street, così la percorse finché non vi si trovò davanti. Lo sguardo errò verso la casa accanto. Il lato est della città vecchia era sempre stato considerato territorio dei Parrish. Sin dai tempi della guerra tra gli stati, i sostenitori dei Parrish avevano vissuto a est di Hamilton Street e quelli dei Marbury a ovest della linea divisoria. Una persona dichiarava la propria fedeltà a seconda di