Ritrovarsi in Cornovaglia (eLit): eLit
Di Sara Wood
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Ritrovarsi in Cornovaglia (eLit) - Sara Wood
successivo.
1
Lo squillo del telefono svegliò Laura di soprassalto.
«Pronto?» biascicò con voce assonnata.
«Laura?»
Lei si sedette di scatto sul letto, completamente sveglia. «Max?»
Solo lui era capace di pronunciare il suo nome in quel modo. Si premette una mano sul petto, come per placare le acrobazie del proprio cuore. Max. La sua mente tornò indietro negli anni.
«Sto venendo da te.»
Lei sbatté più volte le palpebre. Nella sua minuscola camera da letto era totalmente buio. Quando guardò la sveglia luminosa sul comodino, i suoi grandi occhi del colore del cielo d'estate si spalancarono per lo stupore.
«Alle quattro del mattino?»
Riagganciò in modo brusco e si coprì la testa con la trapunta. Si sarebbe dovuta alzare un'ora dopo. Ascoltò furiosa lo squillo protratto del telefono, augurandosi che Max si arrendesse. Poi un dubbio si fece largo nella sua mente. Poteva esserci solo una ragione per cui Max voleva vederla. Aveva scoperto il segreto che lei e Fay, la sorella maggiore, avevano custodito per cinque anni.
Si sedette di nuovo sul letto, angosciata. Forse Max era venuto a conoscenza della verità.
Rabbrividì. Scostando repentinamente la trapunta, si lanciò verso il telefono. Lei e l'apparecchio caddero a terra con un incredibile tonfo, svegliando il suo pappagallo grigio, che cominciò a stridere allarmato.
«Zitto, Fred» sbuffò lei esasperata, cercando di liberare la propria caviglia dal cavo del telefono.
«Allora, cosa vuoi?» domandò senza fiato, portandosi il ricevitore all'orecchio.
«Cosa diavolo sta succedendo? Chi c'è lì con te?» sbraitò Max. Fred continuò a stridere.
«Va tutto bene, tesoro» disse Laura dolcemente.
«Come?»
«Stavo parlando con il mio pappagallo!» esclamò lei, sentendosi prossima a un collasso nervoso. «Aspetta un momento» aggiunse, «provo a calmarlo.» Si alzò con fatica in piedi. Dannazione, perché Max era tornato dal passato?
Rimosse gentilmente il telo che copriva la gabbia di Fred, mormorando sottovoce per tranquillizzarlo. Sarebbe stato bello se qualcuno avesse fatto lo stesso per lei.
Aveva trovato Fred nel rifugio per animali nel quale lavorava come volontaria nei finesettimana e aveva subito deciso di adottarlo, conquistata da quel volatile calvo dall'aspetto malaticcio e desiderosa di avere qualcuno da amare.
Il suo cuore si contrasse. Aggrottando le sopracciglia scure, un'eredità dei suoi antenati Celti, rimase a fissare cupamente il telefono. Avrebbe preferito evitare ogni contatto con Max. Era riuscita a dimenticare lui, ma non le conseguenze della loro relazione.
Max l'aveva messa incinta cinque anni prima, quando lei aveva diciott'anni e lui ventiquattro. Poi era tornato dalla sua fidanzata nel Surrey. Poche settimane dopo si era messo con la sorella di Laura, saltando da una relazione all'altra con disgustosa disinvoltura. Chissà quante donne aveva avuto, da allora.
Laura si infuriò, accorgendosi di avere gli occhi pieni di lacrime. Credeva di essersi lasciata il passato alle spalle. Invece Max stava risvegliando nella sua mente pensieri sgraditi.
Ricordava come e perché fosse rimasta incinta. Max stava per partire per la Francia, e lei lo amava tanto che, quando lui aveva cominciato a toccarla, non aveva voluto fermarlo, spingendosi con lui oltre il punto di non ritorno.
Quella singola occasione le era bastata per concepire un figlio.
Risistemò il telo sulla gabbia di Fred. Che le piacesse o no, doveva scoprire quali fossero le intenzioni di Max.
Si mise a sedere sul pavimento. Aveva bisogno di qualcosa di solido sotto il proprio corpo tremante. Trasse un respiro profondo e parlò.
«Eccomi. Ti ascolto.»
«Bene. Arriverò all'ora di pranzo, verso l'una. È importante, quindi vedi di esserci.»
«Essere dove?» domandò Laura, detestando il suo tono risoluto e la propria voce tremante.
«Nella pasticceria dove lavori.»
«E tu come lo sai?» sbottò lei allarmata.
«Ho parlato con Daniel.»
Incapace di replicare, Laura ebbe l'impressione che tutto il suo corpo fosse rimasto paralizzato. Forse Max lo aveva già detto a Daniel! Il matrimonio di Fay e il futuro dei suoi due figli erano in pericolo. Max avrebbe potuto rovinare la sua vita. Come aveva rovinato quella di Laura.
Quando lei era venuta a sapere della relazione di Max con sua sorella, era al quinto mese di gravidanza. La notizia l'aveva sconvolta a tal punto che non era riuscita a mangiare per qualche tempo. Poi, non ricordava esattamente quando, il suo bambino aveva smesso di muoversi.
Lei si era rifiutata di credere che il figlio di Max, l'unico legame che la unisse ancora a lui, fosse morto.
Aveva aspettato, un giorno dopo l'altro, sicura che il bambino si sarebbe svegliato, colpendola con i suoi piccoli pugni, calciandola con i suoi piedini.
Chiuse gli occhi, lo stomaco serrato. Per giorni aveva sperato, portando in sé il proprio bambino morto. Poi la febbre alta, le ore di solitaria agonia, finché sua zia non l'aveva trovata nel bagno, in lacrime per il dolore.
Poteva ancora sentire i singhiozzi che l'avevano scossa, quando aveva saputo con certezza che Max aveva causato inconsapevolmente la morte del proprio figlio.
Per giorni era rimasta in ospedale, debole e intontita. Poi i medici le avevano spiegato che l'infezione li aveva costretti ad asportarle l'utero, e che non avrebbe mai più potuto avere bambini. Avevano anche precisato che l'intervento non avrebbe lasciato cicatrici visibili, come se ciò potesse consolarla.
Max le aveva sottratto ciò che aveva sempre desiderato con tutta se stessa.
Un matrimonio felice. Dei bambini. Quel pensiero le lacerò il cuore.
«Laura!»
Le lacrime le impedivano di parlare, ma era troppo orgogliosa per lasciarglielo capire. Detestando perfino il suono della sua voce, riagganciò. Poi staccò il telefono dalla presa e si abbandonò sul letto.
In negozio quella mattina ci fu un'invasione di bambini.
Laura serrò le dita sul registro degli ordini. Trasse un respiro profondo. Un altro. Il piccolo Rufus con il suo sorriso irresistibile era ormai all'esterno della pasticceria, pronto a percorrere l'elegante Sloane Square sul suo passeggino.
«Vedrà quando ne avrà uno» le aveva detto allegramente la madre del bambino. «Smagliature, notti insonni, pannolini...»
Sembrava meraviglioso.
Ma come aveva reagito Laura a quell'osservazione innocente? Aveva rivolto alla donna un sorriso tirato, esortandola a scegliere la decorazione per la torta del battesimo. Si era rifiutata di guardare ancora il bambino, nonostante sentisse il bisogno imperioso di accarezzare la sua guancia vellutata.
«È il secondo bambino che ignori, oggi» la rimproverò Luke uscendo dall'ufficio.
Laura finse di controllare i fiocchi sistemati sulle scatole per le torte. Ripensò al piccolo Rufus, i folti capelli neri, gli occhi grandi e il visetto la cui espressione avrebbe sciolto una trave d'acciaio, per non parlare del suo cuore sensibile.
«Non capisco cosa ti succeda quando si tratta di bambini» riprese Luke osservandola. Laura si voltò immediatamente, sistemando le torte poste sullo scaffale alle sue spalle.
Mantieni la calma. «Non so di cosa stai parlando» riuscì a ribattere con espressione stupita.
«Hai ignorato del tutto quel bambino!»
Chiaramente Luke, il proprietario della pasticceria, non era intenzionato a lasciare cadere la questione.
Lei evitò il suo sguardo, troppo tesa per un confronto. Ancora due ore e otto minuti prima dell'arrivo di Max. Quel conto alla rovescia la stava snervando.
Aveva già la bocca asciutta. Le sue labbra cominciarono a tremare.
«Laura» riprese Luke mentre le si avvicinava preoccupato.
«Oh, lasciami perdere!» esclamò lei.
Cercò di allontanarsi, ma Luke era troppo imponente perché una donna di un metro e cinquantacinque potesse sfuggirgli. Le appoggiò le mani sulle spalle.
«No» lo implorò Laura, temendo di perdere il controllo.
Lui la lasciò andare. Laura sentì scattare la serratura della porta del negozio, poi i passi di Luke che si stava riavvicinando. La sua mano le sfiorò un gomito.
«Direi che qui ci vogliono una bella tazza di caffè e una chiacchierata.»
La sua voce era profonda e affettuosa, Laura era certa che sarebbe stato un ascoltatore comprensivo e paziente.
Cucinavano insieme nella pasticceria, si dividevano le consegne e lavoravano dietro il bancone come una squadra affiatata.
Lei però non voleva rivelargli il proprio segreto. Temeva di crollare, se l'avesse fatto. E quella era l'ultima cosa che voleva, con Max in arrivo. Tuttavia, sapeva che Luke avrebbe voluto una spiegazione.
Lui chiuse la porta dell'ufficio. Dai forni proveniva un profumo delizioso. La fece sedere su una poltrona, palesemente intenzionato a coinvolgerla in un confidenziale faccia a faccia.
«So che qualcosa non va. Sei stupenda con i clienti, lo vedo da come reagiscono. Ma quando si tratta di bambini, ti blocchi del tutto. Cos'hai contro di loro?»
Un singhiozzo le proruppe dal petto. Subito Luke le si inginocchiò accanto, accarezzandole dolcemente i folti capelli neri.
Laura avrebbe voluto avere un aspetto magnifico, quando Max fosse arrivato. Come per sfidarlo, mostrandogli a cosa avesse rinunciato. Invece avrebbe avuto gli occhi gonfi e arrossati, pronta a scoppiare a piangere al primo commento pungente.
Ci volle qualche minuto prima che il fiume di lacrime si esaurisse. Luke le preparò un caffè forte e dolce, e Laura trovò il coraggio di fornirgli una versione abbreviata del proprio problema.
«No... non posso avere bambini, Luke» balbettò. Bevve un lungo sorso di caffè, augurandosi che riuscisse a sciogliere il nodo che le bloccava la gola. «Però li adoro» aggiunse con un filo di voce. «E il mio ex ragazzo sta arrivando qui, per comunicarmi delle notizie tremende riguardo a mia sorella.»
Si accorse che stava stringendo la mano di Luke tanto forte, da avergli lasciato sull'epidermide il segno delle proprie unghie.
C'era così tanta passione in lei! Chi l'avrebbe mai detto? La tranquilla e semplice Laura Tremaine. Minuta, con il naso all'insù e la bocca enorme. Ignorata a causa della splendida sorella maggiore, ma con un fuoco di emozioni che ribolliva sotto la superficie apparentemente docile.
«Va' di sopra a sistemarti un po'. Quando il tuo ex arriverà, lo manderò su da te. Io rimarrò vicino al citofono, nel caso in cui avessi bisogno di me.»
«Sei molto gentile.»
«Diciamo piuttosto egoista. Sei una cuoca eccezionale, e non voglio perderti. Troveremo una soluzione per la questione dei bambini.»
«Non sarà necessario» replicò lei alzandosi. «Adesso sto bene, davvero. E grazie ancora. Sei stato molto comprensivo.»
Luke aprì la porta dell'ufficio, poi si fermò. «Non è stato difficile. Ho riconosciuto i sintomi. Nemmeno mia moglie può avere figli.»
Laura rimase raggelata. Lentamente il suo sguardo si spostò sugli occhi di lui, e riconobbe la loro espressione. Solo le persone