Noi, per sempre!: Harmony Collezione
Di Sara Wood
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Info su questo ebook
Un anno e mezzo di reclusione, sei mesi di convalescenza, una figlia che non ha ancora conosciuto sua madre. Emma Kyriakis è diventata una donna forte, e adesso deve affrontare l'ennesima dura battaglia: chiedere al cognato, con cui ha avuto anche una dolcissima storia d'amore, bruscamente interrotta per assurdi "motivi familiari", di presentarle Lexi, che intanto è cresciuta a casa sua. Leon è tutt'altro che felice di rivederla, ma per il bene della piccola propone...
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Anteprima del libro
Noi, per sempre! - Sara Wood
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Kyriakis Baby
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2001 Sara Wood
Traduzione di Silvia Artoni
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2002 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-397-7
www.harlequinmondadori.it
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Prologo
Emma rimase a fissare il vuoto, con gli occhi colmi di paura. Il suo avvocato sarebbe arrivato a minuti, si ripeté. E avrebbe avuto la risposta. Doveva averla.
Quell’interrogativo non le dava tregua. Continuava a risuonarle nella testa, e la stava facendo impazzire.
Dov’è la mia bambina?
Emma emise un gemito di disperazione, nascondendosi il viso fra le mani.
Solo due settimane prima si era sentita proclamare colpevole dal portavoce della giuria. Si era accasciata sul banco degli imputati, e da allora aveva solo ricordi sfocati. Al penitenziario femminile di Leyton le era stato fatto recapitare un biglietto da parte di suo cognato, Leon. Il messaggio era di una semplicità brutale. Ho tua figlia.
Successivamente non aveva più ricevuto nessuna notizia. La sua bambina, Alexandra, era come sparita dalla faccia della terra.
La vita si era fermata per lei da quel momento. Era sospesa in una sorta di veglia infernale, mangiucchiando qualcosa quando veniva forzata, e sprofondando nel sonno quando il suo corpo esausto cedeva. Gli incubi non smettevano però di tormentarla, e si svegliava singhiozzando in un bagno di sudore.
Quel mattino, mentre si preparava per scendere nel parlatorio, si era accorta con sgomento che quei mesi di angosciosa tensione le avevano lasciato un alone scuro sotto agli occhi e le avevano sottratto quella vivacità che prima brillava nel suo sguardo.
Era stato Leon a svuotarla di ogni energia.
Si legò i capelli biondi in una severa coda di cavallo. Non le importava del suo aspetto. Non le importava più di nulla. E come avrebbe potuto? Alexandra, la sua bambina, era svanita nel nulla. E aveva solo sei mesi.
La sua piccola era il perno della sua stessa esistenza, un vero e proprio miracolo che si era salvato dal terribile matrimonio con Taki. La dolce Lexi con la sua allegria e il temperamento solare riusciva a farla sorridere nonostante le preoccupazioni e le suscitava sentimenti di profonda e immensa tenerezza.
E ora Lexi era scomparsa. Rannicchiata in un angolo, Emma estrasse una foto dalla tasca e rimase a fissarla sconsolata.
I pensieri la torturavano. Cosa poteva succedere a una bambina brutalmente allontanata dalla madre? Avrebbe mangiato? Sarebbe stata spaventata e sconvolta, oppure si sarebbe consolata fra le braccia di una sconosciuta? Si immaginò la sua Lexi, cianotica di pianto, ed emise un gemito addolorato.
«La mia bambina!»
Si mise una mano sulla bocca per soffocare un singhiozzo. In quel momento si accorse di non essere circondata dal chiacchiericcio sommesso che solitamente riempiva il salone delle visite.
Quell’insolita concitazione riuscì a scuoterla dal suo torpore. Sollevò la testa e cercò di individuarne la fonte. Rimase impietrita, riconoscendo l’uomo appoggiato alla soglia del parlatorio.
Non era il suo avvocato. Era un uomo alto, dalla carnagione abbronzata, con le spalle larghe e il profilo incontestabilmente greco, che indossava un paio di pantaloni sportivi e scarpe da ginnastica firmate con una impeccabile camicia bianca.
Leon. Il bruto insensibile che aveva rapito la sua bambina.
Emma sentì un forte dolore al petto ed emise un gemito di protesta. Era venuto per gongolare! Per darle una lavata di capo, per rinfacciarle i suoi scarsi principi morali e ribadire il proprio diritto a tenere Alexandra.
E cosa dire del suo diritto che fosse fatta giustizia?, rifletté lei con un nodo in gola. Il suo diritto alla mater nità? Perché lei aveva automaticamente perso i suoi diritti di essere umano?
Pronta a combattere per riavere la sua piccola, Emma si riscosse dalla sua prostrazione, e lo fissò con rabbia. L’avrebbe fatto arrestare. Era stato uno sciocco a presentarsi lì...
Sentì che il suo cuore rallentava mentre la logica gettava acqua fredda sui suoi impetuosi pensieri. Leon non era uno sciocco. Se era venuto, doveva avere qualcosa di importante da dirle. Cosa poteva essere?
La sua fervida immaginazione le suggerì una risposta terrificante. La sua bambina era morta. Una morte in culla. Un incidente. Una malattia misteriosa...
Emma si alzò di scatto, rovesciando la sedia. Leon la fissò sbalordito, come atterrito dal suo aspetto.
«È morta?» gridò lei con voce isterica, incurante dell’orgoglio personale.
Lui scosse la testa inorridito. «No!»
Emma vacillò, sentendosi invadere da una potente ventata di sollievo. Una guardia le ordinò seccamente di sedersi, ma le sue ginocchia avevano già ceduto e se un altro detenuto non le avesse accostato la sedia si sarebbe accasciata a terra.
La sua bambina era viva. Viva! «Ti ringrazio, Dio. Grazie» mormorò, scossa da un tremito.
Mentre cercava di ricomporsi fu assalita dal panico. Doveva sforzarsi di stare calma, essere più razionale. Non era facile per la sua natura impulsiva e passionale contenersi e nella sua vita aveva commesso diversi errori, ma doveva a tutti i costi riuscire a controllarsi, se voleva convincere Leon a restituirle Lexi.
Con tutta se stessa avrebbe voluto accusare e insultare suo cognato, urlargli quello che pensava di lui.
Ma un’insolita propensione alla prudenza le impediva di farlo. Leon aveva il potere di decidere della sua bambina. Forse solo lui sapeva dove si trovasse. Se lei commetteva l’errore di irritarlo, rischiava di non rivedere mai più Lexi.
L’espressione di rabbia e rancore sul suo volto lo avrebbe certamente infastidito, se non fosse stato occupato a parlare con una guardia. Lei rimase a fissarlo. Circondato da persone dall’aspetto grigio e depresso, Leon sembrava indecentemente vigoroso e atletico mentre si avvicinava schivando accuratamente ogni contatto con i prigionieri seduti e le altre persone in visita.
Emma ebbe l’impressione che Leon temesse di venire contaminato, se solo avesse sfiorato un detenuto.
Già, pensò soffocando quasi per l’indignazione, quel posto era un vero inferno. L’aria era stantia, le pareti spoglie e scialbe, il rumore metallico di chiavi e cancelli era assolutamente agghiacciante. Eppure avrebbe dovuto sopportarlo ogni misero giorno della sua vita per i prossimi cinque anni!
Il risentimento per il torto subito la fece fremere di rabbia. Era innocente. Innocente!
Tormentata dalla rabbia e dalla collera, pensò a tutti i momenti fondamentali nella vita della piccola Lexi che avrebbe perso in quegli anni. Le sue prime parole, i primi passi, il primo giorno di scuola. E le coccole, i sorrisi, gli abbracci quotidiani...
Emma fu scossa da un singhiozzo. Quelle gioie le spettavano di diritto come madre! Era la sua bambina, sangue del suo sangue, la persona che contava per lei più di tutti gli altri al mondo. Come osava Leon giocare a nascondino con la sua Lexi?
«Dov’è la mia bambina? Cosa ne hai fatto di lei?» proruppe, scattando in piedi di nuovo quando lui le si parò davanti.
«Siediti» le ordinò seccamente, bloccando contemporaneamente con un gesto ampio e imperioso della mano due guardie che si stavano avvicinando.
«Rispondimi!» insistette lei, sconcertata e insieme risentita.
Leon si mise a sedere davanti a lei. Il suo sguardo era carico di indignazione repressa. Anche da quella posizione sembrava dominare la stanza.
Emma aggrottò le sopracciglia. I capelli corvini di Leon, i suoi occhi scuri e penetranti le sembrarono ancora più ammalianti di quanto li ricordasse. Chiunque lo incontrasse ne rimaneva turbato, intimidito o attratto, a seconda che fosse un uomo o una donna e in base ai rapporti che instaurava con lui. Ma nessuno poteva dimenticare l’affascinante e carismatico Leon Kyriakis.
E neanche lei. Non aveva dimenticato nemmeno un istante dell’amore consumato insieme. Nonostante tutto, si sentiva ancora inesorabilmente attratta dai lineamenti finemente cesellati del suo viso e da quelle labbra volitive e sensuali che aveva baciato con tanta passione. Fino a quando lui non l’aveva spietatamente tradita.
I loro sguardi si incrociarono. L’atmosfera era satura di tensione.
«Siediti, Emma» ripeté lui in tono brusco. «Altrimenti dovrai tornartene in cella senza sentire cosa ho da dirti prima di raggiungere l’aeroporto.»
Allarmata, Emma obbedì prontamente con la testa abbassata mentre soffocava una dozzina di risposte pungenti. Si sarebbe voluta mordere la lingua. Sapeva che doveva essere cauta con lui. E invece si era lasciata trasportare in quel modo.
Ma come poteva trattenere le emozioni violente che erompevano in continuazione in lei? La sua bambina le mancava terribilmente e la sua maggiore preoccupazione era che anche Lexi soffrisse per la loro separazione. Nessuno la conosceva come lei, nessuno era in grado di accudirla come sua madre.
Emma sentì le lacrime offuscarle la vista, ma le ingoiò e sollevò lo sguardo per affrontare Leon. «Non ce la faccio più. Dov’è la mia bambina? Se hai un briciolo di compassione devi dirmelo.»
Leon accostò la sedia al tavolo che li separava. «Sta bene.»
«Grazie a Dio» mormorò lei con un filo di voce. Un nodo le ostruiva la gola e non riuscì a continuare. Leon se ne accorse e le porse un bicchiere d’acqua. Lei rimase a fissarlo, sbalordita dal contrasto fra la propria mano e la sua.
Quella di Leon era abbronzata, grande e piena di vita. La sua era pallida, tremante, un mucchietto di pelle e ossa.
«Come... come sta?» chiese con voce esitante dopo aver sorseggiato un po’ d’acqua. Cosa gli aveva fatto perché non le rispondesse? «Ti prego, dimmelo. Ho bisogno di saperlo» insistette in tono di supplica.
«Alexandra sta bene ed è felice.»
Il suo tono era freddo e distaccato. Mentre lei si sporgeva verso di lui, ansiosa di ricevere notizie sulla sua amata bambina, notò che Leon si ritraeva, come infastidito che stesse invadendo il suo spazio. Doveva detestarla, pensò scoraggiata. Come avrebbe fatto ad accattivarsi la sua simpatia di nuovo? «P... piange molto?»
«No.»
Emma sgranò gli occhi. «Non raccontarmi frottole!»
«Se dico che non piange molto devi crederci» rispose lui irritato. «Piange un po’ quando è stanca o ha fame o vuole essere consolata, ma smette subito. Altrimenti è contenta. Non sono un bugiardo. Siamo gente onesta, noi» puntualizzò Leon a denti stretti.
«Anch’io sono onesta e non merito di essere in prigione, accusata di frode» ribatté lei, piena di collera.
«Che ingiustizia, vero?»