Un amico per marito
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Anteprima del libro
Un amico per marito - Elizabeth Bailey
successivo.
1
C'era una giustificazione ben precisa, perché era una giornata afosa.
Giugno era esploso all'improvviso, e alla signorina che si rilassava dietro alle scuderie poteva essere perdonato l'atteggiamento poco decoroso. Il fatto che fosse appena rientrata dalla cavalcata mattutina era chiaro al gentiluomo che la osservava scandalizzato. Era ovvio anche che fosse accaldata. Ma lui non si sentiva affatto propenso a scusarla.
In qualunque altro momento, Leo Wetheral non si sarebbe permesso di obiettare sul comportamento di sua cugina. Ma lo scopo della visita di quel mattino gli faceva sembrare l'atteggiamento poco consono alla persona che aveva scelto come moglie.
Timothia Dulverton era seduta su una sedia sgangherata, i piedi incrociati alle caviglie e appoggiati alla palizzata, così da lasciar intravedere le caviglie snelle. E se tanta immodestia non fosse bastata, s'era tolta la giacca del completo da equitazione color senape, gettandola sul tavolo di legno grezzo insieme ai guanti, al frustino e al cappello. S'era poi slacciata la camicetta fino allo scollo di un gilet ricamato, dove si intravedeva addirittura l'attaccatura del seno, e s'era rimboccata le maniche sopra i gomiti, esponendo al sole le braccia nude. E il suo viso ambrato, che riluceva per il caldo e l'esercizio fisico, era incorniciato da scomposte ciocche sfuggite alla treccia bionda.
Era uno spettacolo allo stesso tempo eccitante e indecoroso, che risvegliò in Leo un miscuglio di strane sensazioni. Trovarono sfogo in un violento oltraggio.
La sensazione si intensificò quando Leo si rese conto che l'attenzione di Timmy era talmente concentrata sul quotidiano che stava leggendo da non accorgersi della sua presenza. Poi, lei allungò una mano verso il boccale di peltro che si trovava sul tavolo e alzò gli occhi bevendo un lungo sorso.
«Leo! Che sorpresa.»
«Cosa ti è preso, Timmy?» esordì lui.
Lei inarcò le sopracciglia, chiaramente perplessa. «Prego?»
«Guardati!» esplose lui, con un gesto eloquente del braccio. «Sei indecente.»
«Indecente?» Imperturbabile, lei bevve un altro sorso poi posò il boccale. «Fa caldo.»
«Allora, entra in casa. E se qualcuno ti vedesse in questo stato?»
«Improbabile. Chi oltre a te, Leo, arriverebbe qui di soppiatto? E poi, non capisco perché ti sia messo a farmi la predica. A dire il vero, non ti è mai importato gran che del mio aspetto.»
«Mi importa ora!» sbottò lui.
Timmy inarcò di nuovo le sopracciglia. «Perché?»
Leo non sapeva come rispondere. Conosceva perfettamente i propri motivi, ma non sapeva come esprimerli senza qualche spiegazione preliminare. Quasi rimpiangeva di aver cominciato su quel tono, perché ora aveva difficoltà a procedere. E poi, Timmy aveva ragione. Finora, lui aveva trovato i suoi modi da ragazzaccio più simpatici che deprecabili.
Lei lo guardava con aria d'aspettativa, e lui abbassò lo sguardo. Fu allora che si rese conto che il vestito di sua cugina era coperto di corti peli marroni. «Non dirmi che hai strigliato da sola il tuo cavallo.»
«Sembra che non ci sia alcun bisogno di dirtelo.»
Suo malgrado, lui si ritrovò a sorridere. «Timmy, sei impossibile.»
«Me lo sono sentita dire spesso, Leo. Ma di solito non da te. Perché questo cambiamento improvviso?»
Lui non rispose, e Timmy fu sorpresa nel vederlo arrossire. Lo guardò voltarle le spalle e appollaiarsi su un angolo del tavolo, improvvisamente interessato alla punta dei propri stivali. Timmy aggrottò la fronte perplessa. Di quattro anni maggiore di lei, Leo aveva mostrato un interesse fraterno nei suoi confronti fin da bambino. Ma mai le aveva fatto la predica sui suoi modi poco femminili. E spesso le loro differenze d'opinione erano state risolte da una bella zuffa.
Lei allungò di nuovo la mano verso il boccale, esitò, poi lo tese a Leo. «Ne vuoi un sorso? È molto rinfrescante.»
Lui prese il boccale e lo annusò insospettito. «Che cos'è?»
«Un intruglio di mia invenzione. Birra e acqua, con una spruzzata di limone. Provalo.»
«Non ci penso nemmeno! Birra!»
«A me piace. Soprattutto in una giornata calda come questa.»
«Se non ti ostinassi a lavorare come una schiava e a startene seduta qui sotto il sole, non ne avresti bisogno» brontolò lui. «Che bisogno hai di strigliare Faithful? Tutto questo oltrepassa la mia immaginazione... E proprio oggi, poi.»
Ricevette un'occhiata vacua. «Oggi? È venerdì, no? Che c'è di tanto speciale?»
Ecco un buon appiglio. Tanto valeva sputare il rospo. Leo tirò un bel respiro e si alzò per affrontarla. «Hai dimenticato che il tuo anno di lutto è scaduto ieri? Se non fosse stato per questa circostanza, sarei venuto a parlartene prima.»
Lei si schermò gli occhi con una mano e lo osservò. Leo aveva sempre avuto un viso serio, ma il suo aspetto quel giorno le incuteva quasi soggezione. Gli occhi grigioazzurri che la fissavano severi spiccavano sul suo volto abbronzato, testimone di una grande passione per la vita all'aria aperta. Per fortuna s'era tagliato il serioso codino che per anni aveva portato sulla nuca, e ora i suoi capelli erano spazzolati all'indietro secondo l'ultima moda. Timmy approvava il cambiamento. Dava a Leo un'aria sbarazzina, meno formale. Era anche lui in abito da equitazione, gli stivali lucidissimi, la lunga giacca blu scuro, un semplice nodo alla cravatta a foulard.
«È una questione importante, allora?» chiese lei in tono leggero.
«Molto.» Leo esitò. Non riusciva a trovare le parole. «Non hai ancora risposto alla mia domanda» temporeggiò. «Perché hai strigliato tu Faithful?»
«Perché Bickley era troppo impegnato a pulire la casa per far fronte ai suoi normali compiti» rispose pazientemente Timmy.
«Avrei dovuto aspettarmelo. Non occorre chiedere se questo significhi che sei uscita a cavallo da sola.»
«Sai bene che lo faccio sempre.»
«Se lo so! Gironzoli per la campagna senza l'ombra di uno scudiero. È davvero incredibile.»
«Leo, sei proprio strano, oggi. Cos'è incredibile?»
«La tua condotta. E questa vita idiota che conduci» aggiunse lui, grato del diversivo. «Tanto per cominciare, questa casa è ridicolmente piccola.»
Timmy sospirò. «Non vorrai ricominciare.»
Alla morte di suo padre, Timmy aveva dovuto lasciare Dulverton Park al cugino Dudley e alla numerosa famiglia di lui per trasferirsi nel tranquillo villaggio di Fenton, alcune miglia più a est. Fenny House, un vecchio palazzetto gotico pieno di scale scricchiolanti e di corridoi angusti, era stato l'unica residenza della proprietà Dulverton che non fosse soggetta a vincoli d'inalienabilità. Il signor Dulverton lo aveva lasciato alla figlia, con la raccomandazione che lo vendesse per aumentare la propria dote. Timmy aveva preferito andare a viverci, chiamando l'ormai anziana e vedova signora Hawnby, sua istitutrice d'un tempo, come chaperon.
Timmy l'aveva considerata una soluzione ideale. Non così i suoi amici e i conoscenti. Qualche volta, aveva l'impressione di aver passato tutto il suo anno di lutto a difendere la propria posizione. Un esercizio che era diventato sempre più difficile man mano che le inadeguatezze di Fenny House s'erano fatte sentire.
«È grande abbastanza per me» si difese ora. «Tre salottini, camere da letto per me ed Edith, altre due stanze per gli ospiti, alloggi per sei domestici, una scuderia per i miei cavalli. Cos'altro potrei volere?»
«Salottini! Quei tre buchi? E se hai alloggi per sei domestici, perché non li riempi?»
«Perché non ho bisogno di sei domestici» ribatté Timmy. «Tre sono più che sufficienti.»
«Come tutti possiamo ben vedere» ribatté lui, con un gesto eloquente in direzione delle scuderie. «Potrai permetterti un valletto o una seconda cameriera! Non so perché Bickley continui a lavorare per te quando tu lo obblighi ad abbassarsi...»
«Bickley mi ha vista in culla, come ben sai» cominciò ad accalorarsi Timmy. «È stato lui a mettermi sul mio primo pony e non c'è nulla che non farebbe per me.»
«Immagino che dirai lo stesso di Padstow, che permette a quella ragazzina ridacchiante di aprire la porta mentre lui si affanna ai fornelli.»
«Polly ha solo quattordici anni» gli ricordò Timmy. «È comprensibile che una ragazzina di campagna si metta a ridacchiare quando apre la porta a un bel gentiluomo. E per quanto riguarda Padstow, cucinare gli piace.»
«Questo non lo credo.»
«È vero. Mi sta insegnando.»
«Questo lo credo ancora meno. Tu in cucina, Timmy? Vorrei proprio vederti!»
«Ebbene, se fossi venuto ieri, avresti assaggiato delle squisite crostatine.»
«Fatte con le tue mani, senza dubbio...» borbottò Leo.
«Certamente. Con l'aiuto di Padstow. Erano di more... O di ribes?»
A quel punto Leo rise divertito. «Ti aspetti seriamente che io creda che sei ridotta a spadellare in cucina col tuo maggiordomo?»
Timmy sospirò. «Se devo essere onesta, sarebbe una gioia spadellare con chiunque. È questo il lato peggiore dell'anno di lutto. Il confinamento in casa. La mancanza di cose da fare.»
«Il lutto non c'entra. La colpa è della tua stupida determinazione a vivere qui sola.»
«Non sono sola. Ho Edith e Bickley e Polly e...»
«Padstow. Sì, lo so, e non far finta di non aver capito. Sai benissimo cosa intendo. Se proprio insisti a restare in quella catapecchia...»
«Non è una catapecchia!» protestò Timmy indignata. «Ammetto che ha bisogno di un paio di riparazioni...»
«Un paio? Sei fortunata che non ti sia ancora crollata in testa!»
«Se sei venuto solo per insultare la mia casa, Leo, puoi anche andartene» sbottò lei. Abbassò i piedi dalla palizzata e si raddrizzò, gettando via il giornale con una violenza che diceva più di tante parole.
Perché Leo doveva rinfacciarle le sue sfortune? Non capiva che lei cercava solo di fare del suo meglio in una situazione senza rimedio? Avrebbe dato qualunque cosa per andarsene da quelle stanzette anguste! Ma Fenny House non era male come Leo l'aveva descritta, e lei aveva già provveduto alle riparazioni più urgenti. Anzi, nei primi mesi del suo isolamento, perché così considerava quell'anno di lutto, lei aveva ricavato un certo sollievo al suo dolore prendendosi cura della proprietà.
I costi, in confronto ai grandi lavori intrapresi a Dulverton Park nel corso degli anni, erano stati irrisori. Eppure, lei era stata costretta a richiedere i servizi dei carpentieri della tenuta. Quanto aveva detestato chiedere un favore a suo cugino! Ancora più difficile da sopportare era stata la generosità di Dudley. Insieme ai carpentieri, lui aveva mandato il suo agente con precise istruzioni di fornire alla signorina Dulverton tutto quello di cui aveva bisogno.
Crimdon, che aveva lavorato tanti anni per Timmy, era stato più imbarazzato dalla situazione di quanto non lo fosse lei. Ma la sua simpatia, invece che confortarla, era stata sale sulle sue ferite. Con otto anni d'esperienza nella gestione della tenuta di suo padre alle spalle, era stato un giochetto, per Timmy, occuparsi personalmente della supervisione dei lavori di ristrutturazione di Fenny House. Ma l'orgoglio le aveva impedito di accettare qualcosa di diverso dalle riparazioni più indispensabili.
«Timmy, non puoi continuare in questo modo.»
C'era una nota nella voce di Leo che lei non riconobbe. Lo guardò, e vide che la fissava con una strana intensità.
«Non intendo farlo» tenne a precisare, cercando di parlare con freddezza. «Credi proprio che continuerò a fare questa vita ritirata, ora che è finito il mio anno di lutto? Ti assicuro che...»
«Non era a questo che alludevo» la interruppe lui con impazienza. «E se stavi per dire che intendi riprendere a ricevere come un tempo, lasciami osservare che, senza Dulverton Park, non ti sarà più possibile.»
Un singhiozzo le sfuggì dalla gola. Nei suoi occhi passò un'ombra di rimprovero.
«Lo so, Leo.»
Lui tirò un sospiro. «Perdonami, Timmy, se ti sono parso brutale, ma ho un motivo ben preciso. Ci conosciamo da abbastanza tempo, spero, perché ti possa parlare con franchezza.»
«È vero.» Lei alzò gli occhi su di lui, appoggiandosi all'indietro contro lo schienale della sedia con apparente casualità. «Quale sarebbe, allora, questo motivo?»
Lui esitò. Non poteva rimandare oltre. Ma perché gli era così difficile parlargliene? Conosceva Timmy da una vita, ed erano sempre stati molto uniti. Forse era proprio questo il problema. Erano amici. Poteva davvero funzionare? Eppure, lui ci aveva riflettuto bene. Non si poteva negare che fosse una soluzione vantaggiosa per entrambi. Prese un bel respiro e si lanciò.
«Credo che tu dovresti sposarmi, Timmy.»
Lei lo guardò prima incredula, poi allibita.
«Prego?» chiese debolmente.
«È la soluzione perfetta» si accalorò lui. «Non lo capisci? Se noi ci sposassimo, tutto si sistemerebbe per entrambi. È per questo che ho aspettato fino a oggi. Non avresti potuto accettare la mia proposta nel periodo di lutto, ma ora non ci sono più ostacoli. Perché dovresti restare in quel rudere di casa, potendo vivere a Wiggin Hall, dove metteresti a frutto i tuoi talenti con la mia proprietà? Io sarei anche troppo lieto di lasciarla amministrare a te, ti assicuro. Ti rendi conto che non ho più fatto una seria battuta di caccia da quando ho ereditato la tenuta? E sono quasi due anni, Timmy! Sto diventando matto.» Si fermò a riprendere fiato e notò l'espressione della cugina. «Sembri sbalordita» protestò, oltraggiato.
«Sono sbalordita» precisò Timmy. «Peggio, non riesco a credere che tu stia parlando sul serio. È forse una specie di scherzo?»
Leo gesticolò impaziente. «Accidenti, Timmy, mi conosci troppo bene per farmi una domanda simile.»
«Credevo di conoscerti bene» disse lei, ancora confusa. «Ma comincio a chiedermi se non mi sono sbagliata. Perché mai a un tratto ti è venuto in mente di chiedere la mia mano?»
«Non sto chiedendo la tua mano» precisò Leo immediatamente. Non era certo l'espressione adatta alle sue intenzioni!
«Non stai chiedendo la mia mano, ma credi che dovrei sposarti?» Timmy era sempre più confusa.
«Ciò che intendo è che sto chiedendo la tua mano, naturalmente, ma non nel senso convenzionale. Sto... Be', immagino che si possa dire che sto proponendo un matrimonio tra noi due.»
Timmy sbatté più volte le palpebre. «C'è differenza?»
«Non essere ottusa! Non posso certo considerarmi un corteggiatore. Ci conosciamo troppo bene perché io possa essermi in...» Lasciò la frase in sospeso, conscio che si stava inoltrando in acque pericolose. Fece uno sforzo per raccogliere le idee. Accidenti, doveva quanto meno essere coerente! «Per parlar chiaro, Timmy, vorrei stipulare un accordo