I semi dell’incanto: Racconti 1972 – 2020
Di Stefano Iori
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Info su questo ebook
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I tredici racconti proposti sono in parte frutto della complicità letteraria che unì l’autore a scrittori e poeti quali Adriano Amati, Alessandro Gennari e Alberto Cappi.
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Assieme a questi, Stefano Iori diede vita alla rivista La Corte di Mantova, che venne pubblicata dal 1988 al 1994 e di cui fu direttore responsabile degli ultimi numeri.
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Alcuni testi apparvero, dal 1972, su altre riviste e antologie.
Il volume comprende quattro inediti. I brevi cammei de I semi dell’incanto sono singole, sorprendenti pennellate che costituiscono un coeso manufatto nel quale ciascun testo concorre a completare un vero e proprio affresco.
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La frammentarietà di ciascuna porzione è condizione essenziale per delineare un viaggio, esistenziale e letterario, che traversa il tempo, annullandone i confini.
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Sogno, mistero e straniamento sono i cardini attorno ai quali si condensa la scrittura, sempre animata da studio e spirito di ricerca.
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Racconti brevi e straordinari che ti faranno riflettere con la semplice profondità e potenza immaginifica, proprie della scrittura di Iori.
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Anteprima del libro
I semi dell’incanto - Stefano Iori
dinamismo.
Una notte fuori (1972)
La grande via: saranno stati due o tre mesi che non la percorrevo e ora mi ritrovavo a camminare proprio lì, attonito, svagato come non era mai successo. La realtà, dentro e fuori di me, pareva avere la sostanza del sogno. Imboccai via del Dovere, voltai all'altezza di corso Industria e procedetti finché raggiunsi la piazza grande. Le luci dei lampioni e delle vetrine mi abbagliavano. La testa girava. Non vedevo quasi la gente attorno a me, ma dal brusio insistito e quasi rimbombante doveva essere tanta. Il solo pensiero di trovarmi nel mezzo di una moltitudine di persone mi stordiva. All'incrocio Nord, poco dopo la stazione ferroviaria, mi misi a correre. Volevo allontanarmi dal carnaio cittadino. Ben presto mi parve che le vene del collo scoppiassero. Respiravo a bocca spalancata, avevo fame d'aria. Mi fermai, poi ripresi la corsa. Sudavo. Chissà dove stavo andando così di furia, senza giacca poi?
Passò del tempo ma non saprei dire quanto. Dovevano essere ormai due o tre ore che vagavo diosadove, camminando svelto o addirittura saettando lungo i marciapiedi.
Alle ventuno - lessi l'ora sul quadrante di un grande cronografo esposto in una vetrina - ero già in periferia e poco dopo, quasi senza avvedermene, stavo camminando in aperta campagna. Ora battevo le suole sulla polvere mentre procedevo fra cespugli sbiancati e cumuli di rifiuti che si facevano sempre più radi man mano che mi addentravo nei campi. Mi sentivo spaesato in quello scenario inconsueto che l'oscurità ammantava di mistero, ma continuai caparbiamente, sebbene a ogni passo fossi più esausto. Sarà stata mezzanotte quando crollai in una brughiera desolata e buia. Rimasi sdraiato lì a lungo, stremato, senza un movimento.
Fu l'umidità a risvegliarmi dal torpore: piccole gocce presero a scendere lungo le guance e la fronte. La frescura che calava dal cielo o saliva dall'erba sotto di me, mi avvolse piacevolmente: una bolla fatta di mille stille di rugiada che graffiavano l'afa. Mi misi seduto a gambe incrociate, attorno a me solo le ombre della natura addormentata. Accesi un paio di sigarette, una dietro l'altra, il fumo svaniva nel buio vorticando. Mi sentii di nuovo a mio agio con me stesso e con ciò che mi stava attorno. La nebbia nella mia testa si dissolveva piano piano, la sensazione di strofinare i piedi sull'erba fu un toccasana che mi rincuorò: provavo soddisfazione a contatto con la terra e gli arbusti. In cielo le nubi lasciavano intravedere qualche stella. Tutto bene anche sopra di me.
All'alba ero ancora lì, forse avevo dormito. Quando mi guardai attorno, con la mente pulita, mi trovai avvolto da una foschia sottile che pareva cucire la terra al cielo. Fu allora che, in uno squarcio di quell'insolita atmosfera agreste, velata dalla bruma mattutina, vidi una donna. Sì, una giovane donna seduta di fronte a me, immobile in una postura che poteva somigliare alla mia. La fissai, mi fissò. La sua figura si faceva più nitida di minuto in minuto. La salutai, mi avvicinai un poco, le offersi una sigaretta, ma non diede segno di risposta. Stava ferma con gli occhi puntati nella mia direzione, ma forse guardava oltre, come se il mio corpo fosse stato di vetro.
Dopo una nottata così insolita, passata fuori dal mio mondo abituale, avevo voglia di raccontare quella stramba avventura, in modo da ripercorrerla a parole, nella speranza di trovarne il senso intimo. Peccato che quella signora silenziosa non mi considerasse minimamente.
Ormai si cominciavano a sentire, lontani, i rumori della grande città che si scuoteva dal sopore notturno. La donna era sempre lì, immobile. Deluso dal suo atteggiamento, che non lasciava spazio ad alcuna disponibilità nei miei confronti, mi rassegnai a tornare sui miei passi. Dovevo andare a casa e poi in ufficio, se no mica mangiavo.
Cos'era successo poi? Mi lasciavo alle spalle una notte stravagante, ma ero calmo, quasi sereno. Mi tirai la pelle come un gatto, sputai un po' dell'umidità che avevo in corpo e mi incamminai. La strada era lunga e avrei avuto tutto il tempo di capire perché ero corso via dal teatro del mio vivere consueto per ritrovarmi in un prato che la luce del giorno mostrava in tutto il suo squallore. L'erba non era verde come avevo immaginato, ma gialla: una distesa di steli morenti.
Mi voltai a guardare il punto dove avevo appena passato quella parentesi bizzarra - volevo ne rimanesse traccia nella memoria - e mi accorsi che la donna si era alzata: pareva muoversi pure lei in direzione della città. Decisi di far finta di nulla e proseguii.
Lei mi seguiva. Stava qualche metro dietro di me, procedeva lenta, con un portamento mesto, nel silenzio più assoluto, non un fiato, non il tonfo di un passo.
Giunto in periferia, mi girai nuovamente a controllare e fu allora che mi accorsi che lei era cambiata. S'era fatta più bella, addirittura splendente. Rimasi sorpreso, non sapevo se credere a ciò che vedevo oppure no. Pensai di affrontarla di nuovo, ma non trovai l'ardire di farlo. Sorpresa e curiosità finirono per sciogliersi nel disappunto. Ebbi la sensazione di essere pedinato da uno spettro. Camminavo voltandomi continuamente, tre respiri, una giravolta. Lei rincorreva la mia ombra.
Davanti a casa era ancora lì, come un cane fedele, sempre più radiosa. La sua crescente bellezza, invece di darmi gioia, stava ormai innescando in me una vischiosa sensazione d'ansia. Non capivo. Ero stupefatto.
Salii fino all'ultimo piano, di corsa, col fiato in gola. Quando buttai l'occhio nella tromba della scale, la vidi volteggiare verso di me, sospesa nell'aria, sicura, decisa in quell'inverosimile ascesa. Entrai, chiusi la porta con tutte le mandate, ma lei era già dentro. Basta! Ero teso, spaventato. Di scatto le fui addosso, la strinsi con forza e... l' Abitudine si insinuò in me: l'avevo perduta per una notte e lei era tornata nelle mie