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Il divin torrone
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E-book302 pagine3 ore

Il divin torrone

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Info su questo ebook


Il torrone, protagonista delle nostre sagre paesane, di molte nozze e momenti di gioia, spesso defraudato del suo valore perché non dietetico, ha varcato i millenni segnando i riti di passaggio della vita umana nel bacino del Mediterraneo. Due soli ingredienti, che costituivano inizialmente i simboli del trascendente, saranno ulteriormente incrementati con l’introduzione dello zucchero, dell’albume e degli aromi; il torrone soggiace a due fenomeni: l’aumento delle sue dimensioni e dei suoi ingredienti. Il saggio propone un viaggio a ritroso nel tempo, alle radici di una preparazione così diversa dalle formulazioni commerciali, e che rimane traversale a molte culture del bacino mediterraneo.
LinguaItaliano
Data di uscita14 apr 2022
ISBN9788833469751
Il divin torrone

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    Il divin torrone - Giuseppe Nocca

    torrone_fronte.jpg

    Il divin torrone

    di Giuseppe Nocca

    Direttore di Redazione: Jason R. Forbus

    ISBN 9788833469751

    Pubblicato da Ali Ribelli Edizioni, 2022©

    Saggistica – Triclinium

    www.aliribelli.com – redazione@aliribelli.com

    È severamente vietata la riproduzione, anche parziale del testo, effettuata con qualsiasi mezzo, senza l’espressa autorizzazione dell’Editore.

    Giuseppe Nocca

    IL DIVIN TORRONE

    AliRibelli

    A Lucia, divina compagna di vita

    Sommario

    Introduzione

    Dalla cupedia alla cupeta

    La cupeta nella cucina popolare

    Dalla cupeta al torrone

    Il croccante

    Il XIX secolo

    La tecnologia

    Antropologia del torrone

    Antropologia del seme

    Il viaggio del torrone

    Bibliografia

    Introduzione

    L’origine del torrone, o quanto meno la sua comparsa in un contesto ufficiale, viene tradizionalmente attribuita al banchetto nuziale svoltosi nel 1441 a Cremona in occasione delle nozze di Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza. È alquanto diffusa nell’immaginario collettivo la ricerca per molti alimenti di un’univoca comparsa sullo scenario gastronomico nazionale. In realtà la creazione di una qualsiasi pietanza o dessert è l’espressione di una strategia alimentare e tecnologica che non può in alcun caso essere il frutto dell’intuizione pura ed occasionale di un maestro pasticciere o di un cuoco intraprendente. La scelta e l’abbinamento di due o più ingredienti scaturisce in primo luogo dalla disponibilità della materia prima, la cui trasformazione presuppone conoscenza e continuità di lavoro per focalizzare e circoscrivere nel tempo il risultato, spesso faticosamente e fortunosamente raggiunto. Queste considerazioni, se possono apparire una condizione preliminare per una qualsiasi ricetta attuale, non assumono lo stesso significato quando l’orizzonte temporale varca i confini del passato. Lo studio condotto sulla letteratura gastronomica ha portato alla luce una molteplicità di fonti che apre un interessante sipario sulla produzione del torrone. Il viaggio di quest’ultimo prende spunto dall’unione ancestrale nei territori del Medio Oriente di due ingredienti iniziali: il miele e il sesamo. Questo connubio fa emergere significati antropologici e religiosi che analizzeremo più in dettaglio; essi ci consentono di constatare che le preparazioni alimentari furono create dall’uomo principalmente per sostanziare il proprio rapporto umano, personale e sociale, con la divinità e più in generale con il trascendente. Un cibo proteso verso il sublime nel soddisfare un bisogno profondo dell’anima diventa con il passare del tempo identitario per la comunità che lo produce e consuma e contribuisce a rinsaldare le relazioni sociali all’interno di gruppi inizialmente più ristretti, fino a costituire l’emblema di un popolo o di una comunità.

    Le migrazioni dei popoli, quando non seguite da vere e proprie guerre di conquista, hanno determinato lo spostamento delle preparazioni alimentari, le quali nel trasferimento hanno conservato la tecnologia originaria o la strategia nutrizionale, ma non sempre la costanza degli ingredienti e dei significati antropologici originari.

    Il torrone non è sfuggito a questa dinamica spazio-temporale; il suo viaggio lento e costante lo ha condotto dalle coste greche fino a quelle italiane, con un parallelo trasferimento, secoli più tardi, dalle popolazioni arabe fino alla costa spagnola prima e francese successivamente, con una migrazione di ritorno verso le coste sarde e campane. Un viaggio così articolato e complesso ha comportato la modifica di alcuni ingredienti e l’ingresso di altri, come l’albume d’uovo, via via che questa preparazione si adattava e si conformava al nuovo sentimento religioso dei territori nei quali si insediava. In Spagna, come in Italia, questa preparazione si radica nel tessuto sociale come cibo relazionale delle festività natalizie o delle celebrazioni nuziali; il consumo di torrone sancisce un rito di passaggio della condizione umana dal buio alla luce o di un nuovo status sociale nel quale la comunità intera consolida i suoi rapporti. Contrariamente ad altre preparazioni dolciarie, come i confetti, nelle quali la comunità si identifica con una forma ancestrale, terapeutica e taumaturgica come la mandorla, il torrone rappresenta la sintesi di una più ampia metamorfosi del seme (sesamo, pinoli, noci, nocciole) nel quale vita e morte si inseguono e si compenetrano in una dimensione circolare dell’esistenza umana.

    In questo contesto la ricerca di un datato certificato di nascita appare come un inutile tentativo di cristallizzare il momento specifico di un processo evolutivo che il presente saggio tenterà di tratteggiare. D’altronde le attribuzioni di una specifica origine sono state utili nel passato per conferire lustro ai territori o alle comunità che hanno tratto dal cibo un significativo vanto che fungesse da volano economico; questa impostazione ha senza dubbio riverberato i suoi effetti sul decollo economico di molte realtà locali, stimolando anche un notevole sviluppo delle varianti nella formulazione delle preparazioni che potessero accentuare e personalizzare le differenze. L’introduzione ex-novo di un alimento in un territorio determina necessariamente un lento innesto nelle tradizioni pregresse, con un’inevitabile fusione di vecchi e nuovi ingredienti che comportano anche un necessario adeguamento negli aspetti tecnologici. La validazione della sintesi degli ingredienti che si viene a costituire è sottoposta ad una nuova e lenta verifica di duplice natura: nutrizionale ed antropologica. La nuova preparazione si radica in una comunità quando essa è in grado di soddisfare le sue esigenze nutrizionali in un periodo abbastanza lungo, dopo essere entrato in equilibrio sostenibile con le risorse del territorio in cui essa si insedia. I nuovi ritmi stagionali ed alimentari, scaturiti dall’adeguamento dei metodi di preparazione, si connaturano alla popolazione locale via via che il nuovo alimento è in grado di sostenere, sotto gli aspetti nutrizionali, i ritmi emotivi e soprattutto lavorativi.

    Il soddisfacimento delle esigenze nutrizionali non è tuttavia mai disgiunto dai significati religiosi ed antropologici che il nuovo alimento introdotto assume in conformità al tempo in cui esso viene consumato. Ritualismo e nutrizione sono due aspetti inscindibili nell’analisi di preparazioni alimentari di antica origine, come nel caso del torrone. Esso travalica il tempo e lo spazio assumendo via via connotazioni diverse, mutando la tipologia di frutta secca impiegata, oltre alle denominazioni che emergono come pietra miliare del processo di adattamento alle successive tappe del suo percorso. Il testo analizzerà il complesso cammino del torrone che, come altre preparazioni alimentari, ha prodotto delle migrazioni di ritorno sul territorio italiano, rispetto al suo punto di partenza che possiamo localizzare nell’area orientale del Mediterraneo. Riteniamo che sia fallace il tentativo di definire un cammino univoco ed unidirezionale del torrone, poiché le sovrapposizioni spazio-temporali lasciano intravedere dei percorsi non sempre lineari. Il saggio conferma tuttavia la profonda radicazione del torrone con la sfera del trascendente che da una fase preromana trova un suo naturale approdo nella angoscia esistenziale che accompagnava le popolazioni italiche durante il solstizio di inverno.

    Durante il Rinascimento il torrone si disancora dalle sue prerogative salutistiche ed antropologiche per assumere parzialmente il ruolo di status symbol dei banchetti aristocratici, fino ad approdare nel XIX secolo ad una produzione su scala prima artigianale poi industriale, ma senza mai abbandonare il suo ruolo sociale celebrativo.

    Le fonti ci confermano che già nel 1576 in Francia si consuma una preparazione dolciaria, probabilmente non indurita, più simile ad una confettura, nota come nogat:

    Benché in Linguadoca ed in Provenza si sia consolidato durante i freddi invernali l’uso di candire le mandorle secche con il miele e di farne una confettura sia rossa che bianca, che viene denominata nogat o torrone; non è una confettura che possa essere conservata a lungo, poiché il miele fluidifica, anche se si dissolve completamente quando l’umidità ha avuto il tempo di penetrare al suo interno.¹

    L’autore del testo, in un francese ancora lievemente arcaico, utilizza il verbo confire per descrivere probabilmente una cottura non troppo spinta che conferiva al prodotto finale una viscosità moderata ed una morbidezza complessiva. Il termine nogat troverà una successiva trasformazione in nougat allineandosi etimologicamente al termine spagnolo corrispondente;² il termine trova un successivo adattamento nella lingua italiana come nociato, quando sono utilizzate le noci o nucatolo quando sono utilizzate le nocciole.

    Il termine nociata sopravvive in Italia solo in un unico tipo di preparazione in Umbria, nelle città di Todi, Acquasparta e Massa Martana. Essa viene realizzata con la medesima tecnica del torrone, ad eccezione delle mandorle che sono totalmente sostituite dalle noci. La Regione Umbria lo ha inserito nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT): «gli ingredienti, compreso l’albume montato a neve o con una macchina sbatti uovo", vengono amalgamati nella macchina impastatrice o in una macchina cuoci crema o a mano per un tempo abbastanza lungo. Quando la nociata è pronta, viene versata su un piano di acciaio inox dove sono state appoggiate delle ostie, quindi viene tagliata a mano in forma di piccole barrette, sopra ognuna delle quali viene posta una foglia di alloro». L’uso dello zucchero è facoltativo: noci, miele ed albumi d’uovo ne costituiscono gli ingredienti essenziali, cui si aggiunge in forma molto tipica l’alloro. La nociata umbra sopravvive ancora oggi nella cucina laziale con la nociata di Natale, la cui realizzazione segue pedissequamente quella umbra.³ Il consumo nel periodo natalizio include questo dolce nel solco della più ampia tradizione delle feste di fine anno, malgrado esso si differenzi dalle analoghe preparazioni per l’assenza della tostatura della frutta secca. La nociata si diffonderà lungo i territori interni dell’Italia centrale dove viene ancora consumata nel periodo invernale e di essa se ne rinvengono poche tracce in letteratura.⁴

    Nella pasticceria francese era diffuso già a metà dell’800 il nougat (torrone-mandorlato) in quattro versioni: nougat di Marsiglia, nougat nero, nougat al cioccolato ed il nougat alle nocciole.⁵ Il nougat di Marsiglia prevedeva le seguenti fasi:

    Prendete 6 chili di miele il più chiaro possibile; versatelo in una bassina dal fondo piatto, sebbene ogni altro tipo di contenitore sia ugualmente utile; scaldate bene il vostro fornello, ma prima di mettere il miele sulla fiamma copritela con le ceneri in modo da mitigare il calore, poiché bisogna aver cura che il miele non vada in ebollizione, altrimenti la preparazione ne risente. Agitate sempre energicamente con una spatola di legno, più il calore sarà moderato e più il vostro torrone sarà bianco. Non appena il vostro miele sarà ben cotto (il che si riconosce bagnando il proprio dito nell’acqua fredda, poi nel miele e subito dopo di nuovo in acqua fredda per verificare se si forma una piccola sfera di miele sulla sommità del dito) aggiungete trenta bianchi d’uovo che avrete montato energicamente a neve; nell’aggiunta sbattete in modo omogeneo il più velocemente possibile, diversamente le vostre uova potrebbero coagulare. Per rimediare a questo inconveniente utilizzate un grande cucchiaio per aggiungere le vostre uova che mescolerete man mano, agitando energicamente la spatola in tutta la bassina, in modo che i bianchi d’uovo non raggiungano il fondo. La fiamma del vostro fornello deve essere alquanto moderata quando le uova sono amalgamate. Successivamente per verificare se il vostro nougat sia cotto, prendete un coltello che intingerete con la punta nell’impasto per circa un pollice; l’impasto che il coltello solleverà voi lo metterete a raffreddare in un angolo freddo senza toccarlo con le mani. Non appena esso sarà raffreddato voi battete la lama del coltello contro qualcosa, senza che l’impasto tocchi nulla; se essa viene scagliata lontano il vostro nougat è cotto. D’altronde vale la pena lasciarlo cuocere bene, così che si rischia meno che esso percoli. Prima di modellare l’impasto, voi dovrete aver già preparato 12 kg di mandorle sbucciate e secche ed averle già infornate e scaldate moderatamente. Voi avreste dovuto già preparare due chilogrammi di zucchero semolato sul quale avrete versato dieci gocce di estratto di limone o di fiori di arancio e poi introdotti nel forno a scaldare. Quando poi tutto sarà caldo e il vostro impasto si distaccherà dalla punta del coltello, mescolerete dapprima lo zucchero, aggiungendo poi le mandorle, agitando il più velocemente possibile, affinché il nougat non assuma una colorazione giallastra sul fuoco. Versate poi l’impasto tra due fogli di ostia, spalmandolo inizialmente su un foglio di ostia e ricoprendo poi con il secondo foglio. Effettuate una pressione sul lato superiore con un asse così che l’ostia superiore possa aderire bene ovunque. Sarà più semplice per l’intenditore diminuire a piacimento questa dose.

    Il nougat nero presentava delle fasi di preparazione più semplici:

    Prendete 3 kg di miele rosso o di miele di Bretagna e fatelo cuocere a temperatura elevata, agitandolo continuamente affinché non bruci o che aderisca al fondo della bassina. Quando sarà ben cotto aggiungetevi 5 kg di mandorle ed amalgamatele bene; terminate come il nougat di Marsiglia⁷.

    Nello stesso testo viene riportata la ricetta del torrone al cioccolato, che poi ritroveremo nella tradizione abruzzese:

    Prendete tre libbre di miele che voi farete cuocere bene, a temperatura maggiore rispetto ai precedenti, tre chili e mezzo di mandorle pelate, 500 g di zucchero semolato, nove bianchi d’uovo battuti a neve e 1 kg di cioccolato non zuccherato che scalderete in forno e, se non dovesse essere abbastanza fluido, vi aggiungerete uno o due bianchi d’uovo non battuti e li stempererete bene fino a eliminare i grumi, fatto ciò voi lo mescolerete all’impasto prima delle mandorle; terminate le operazioni come per il nougat di Marsiglia.

    Il nougat poteva in alternativa introdurre le nocciole al posto delle mandorle:

    Prendete tre chili di nocciole pelate, un chilo e mezzo di miele, 500 grammi di zucchero semolato e otto bianchi d’uovo montati a neve e un po’ di fiori di arancio; procedete esattamente come nella ricetta precedente.

    La pasticceria francese di fine 800 attribuisce la stessa denominazione di nougat sia al croccante che al torrone; il termine nougat è probabilmente derivato dallo spagnolo nuegado ed era in uso nella Provenza che maggiormente risentiva dell’influsso culturale della vicina costa catalana.¹⁰ La diffusione nella Francia meridionale del termine nougat secondo un autore deriverebbe da un antico termine nouga che identificava le noci e forse dal greco nógala.¹¹ Nel tardo 800 il nougat sembra ancora relegato ai dipartimenti della Provenza¹²e non ancora diffuso nella Francia settentrionale. L’aroma ed il colore di questa preparazione¹³ era tipico della mandorla ed era associato al benzoino. La lingua spagnola a metà del 700 utilizza il termine nuegado quale sinonimo di torrone,¹⁴ ma la radice del termine indica che esso in origine era prodotto a partire dalle noci¹⁵ ed anche dal sesamo¹⁶, probabilmente secondo la tradizione araba, e offerto ai bambini; poteva contenere anche farina¹⁷, poi successivamente eliminata dalla ricetta¹⁸. Il croccante prodotto a partire dal sesamo lo si ritrova in una antica canzone spagnola datata fra il 1360 ed il 1520 «Canzone di Garci Sanchez dedicata ad una signora che gli aveva fatto recapitare un croccante di sesamo», e viene descritto ancora pochi decenni più tardi nel 1560 «lo consumano con il miele, realizzando il croccante»,¹⁹ addirittura sconsigliandolo per i bambini «Per questo ritengo inadatto offrire ai bambini il croccante con il sesamo».²⁰ Il testo riportato in nota conferma che secondo la tradizione araba, e prima ancora greca, erano diffuse le preparazioni a base di miele e sesamo, ma il passaggio nella penisola iberica ha comportato un progressivo abbandono del sesamo, a favore delle noci probabilmente più disponibili, e solo in una fase successiva, della nocciola ed infine della mandorla. Uno dei padri della lingua spagnola già nel 1611 affermava che il torrone era «una leccornia che si compone di mandorle, nocciole, noci, pinoli, e si tosta con del miele della medesima origine»,²¹ precisando che il termine derivava dall’azione di «cuocere sulle braci, mediante torrefazione».²² L’ingresso del torrone nella cultura spagnola successivamente al dominio arabo sembra in realtà molto più arcaico. La quarta strofa di una canzone natalizia catalana recita infatti:

    aportar-l’i ets en les careres hon son los altres minyonets. E si callayr no voli, donar-li ets dels terronets e de les neules qui·n avia

    e si conclude con la sesta strofa:

    comprats-li de bons terronets.²³

    Il testo della canzone, fu ripubblicato nel 1949 recuperando un testo della prima metà del ‘400 trovato nell’archivio parrocchiale della città di Albi, della contea di Garrigues, composto da un sacerdote: Sanç Capdevila. La sesta strofa del canto XVI riportato nello stesso testo citato in nota recita testualmente:

    A les monges torrons, confits que sien bons; a vosaltres pynons; a mi un gros capò.²⁴

    Studi etimologici recenti²⁵confermano che il termine catalano arcaico terronet indicasse un semplice torroncino (turroncito) già in uso nella prima metà del ‘400 accanto al termine turron databile intorno al 1507²⁶. Fonti bibliografiche catalane riportano il testo di una lettera redatta nel 1453 dalla Regina Maria de Trastamara alle suore del convento di Santa Chiara di Barcellona.²⁷ Tra le ricette più singolari della metà dell’800 si rinviene la realizzazione di un croccante sagomato in forma cilindrica, probabilmente come retaggio di una antica ricetta spagnola: lo zorrocloco²⁸ il cui aspetto non era molto dissimile da quello rappresentato in fig.1. Questa modalità di preparazione era diffusa nel XVI secolo nei territori della Murcia e della Mancia, ma probabilmente cadde in disuso per la sua estrema compattezza e forse anche durezza.

    Figura 1 – Croccante modellato in forma di torre.

    Fonte: J. Gouffé, Le livre de patisserie, Libreria Hachette, Paris 1873.

    Alla cultura spagnola erano molto gradite le forme di torrone in verticale, poiché un testo di pasticceria descrive una preparazione verticale a forma di piramide:

    Prendi un quarto di mandorle dolci, divise in tre parti lungo l’asse longitudinale, un altro di pistacchi, dodici once di pinoli, due di nocciole, il tutto ripulito e versato in poco meno di una libbra di zucchero. Si porrà il tutto sul fuoco a cuocere fino a che non raggiunge la temperatura di caramellizzazione, si riverserà sulla griglia, come nella ricetta precedente, ed avendo a disposizione degli stampi e spalmati di olio così che non si rompa si getterà su di essi, e senza lasciarlo raffreddare completamente, si solleverà lasciandoli nei medesimi stampi e si potranno unire con un poco di Caramello a tre a tre o a quattro a quattro o di più secondo il gusto del pasticciere, collocando un’asta rotonda in cima, o un po’ di caramello filato

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