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Scommessa con il destino
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E-book304 pagine4 ore

Scommessa con il destino

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Info su questo ebook

Grandi scommesse. Grossi guai. Un amore enorme.

Quando Felix, campione di Quiz Bowl, svela di possedere ulteriori, grandi, risorse oltre al suo cervello, tutto quello di cui ha bisogno è PJ, che è pronto a trarne il massimo profitto: scommesse, gare di perizomi bagnati e mazze della settimana.
Ma la vincita in denaro arriva seconda all’innamoramento, e le avventure sessuali presto risultano più interessanti dei tavoli da poker di Las Vegas.
Tuttavia, accettare l’ospitalità del cliente del padre di PJ, il gangster Joey Oretano, si rivela un piano di risparmio quasi fatale e porta Felix e PJ a confrontarsi con il lato serio della vita…
Molto. Serio.
Qualcuno coglierà l’occasione di diventare un eroe?
O qualcuno finirà per morire?

Scommessa con il destino è un gay romance che esplora la dinamica friends-to-lovers, la bisessualità e tutto ciò che succede a Las Vegas… E che deve rimanere a Las Vegas!
LinguaItaliano
Data di uscita5 apr 2023
ISBN9791220705424
Scommessa con il destino
Autore

Eli Easton

Eli Easton has been at various times and under different names a minister’s daughter, a computer programmer, a game designer, the author of paranormal mysteries, a fan fiction writer, an organic farmer, and a long-distance walker. She began writing m/m romance in 2013 and has published 27 books since then. She hopes to write many more. As an avid reader of such, she is tickled pink when an author manages to combine literary merit, vast stores of humor, melting hotness, and eye-dabbing sweetness into one story. She promises to strive to achieve most of that most of the time. She currently lives on a farm in Pennsylvania with her husband, two bulldogs, several cows, and a cat. All of them (except for the husband) are female, hence explaining the naked men that have taken up residence in her latest fiction writing. Website: www.elieaston.com Twitter: @EliEaston Email: eli@elieaston.com

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    Anteprima del libro

    Scommessa con il destino - Eli Easton

    1

    PJ

    «Dio mio. Scotta,» gemetti, sputandomi il boccone tra le dita. «Buonissimo, ma è bollente.»

    «Soffiaci sopra,» mi ordinò Felix con un cenno del mento verso il mio piatto. S’infilò in bocca un’ala di pollo disossata, gli occhi pieni di estasi. Le sue dita sporche di salsa puntavano già verso un uovo alla diavola.

    Il cibo era uno dei pilastri della mia amicizia con Felix Barksdale. Un pilastro grande, grasso e succoso. Dio, amavo mangiare, e tanto, ma non sarei mai stato all’altezza di Felix. Alto meno di un metro e settanta, pesava appena una sessantina di chili. Dio solo sapeva dove andava a finire tutto quel cibo. Era un pozzo senza fondo.

    «Bello olivoso,» disse masticando il suo uovo alla diavola.

    Feci una smorfia. «Lo immaginavo. Per questo non l’ho preso.»

    Felix mi guardò come se avessi dato un calcio a un cucciolo. «Non ti piacciono le olive?»

    «No.»

    Rimase a bocca aperta. «Amico! Tu sei pazzo. Hai mai assaggiato una muffaletta ¹?»

    Lo conoscevo, era il panino tipico di New Orleans con la crema di olive. «Ehm, no. Perché non mi piacciono le olive.»

    «Nemmeno quelle greche? Tipo nell’insalata, insieme alla feta?»

    Ridacchiai. «Amico. Quale parte di non mi piacciono le olive ti offende così profondamente?»

    Felix scosse il capo con tristezza. «Pensavo fossimo fratelli. Cavolo. In questo momento non so nemmeno più chi sei.»

    Gli diedi un calcio sotto il tavolo e lui sorrise. Presi un morso del mio polpettone. «Ma taci. Ci sarà qualcosa che non ti piace,» dissi.

    Lui scosse di nuovo la testa e prese una fetta unta di Texas toast. «No,» rispose, e se la ficcò praticamente tutta in bocca.

    Gesù. Quella bocca sembrava il tritarifiuti di un ristorante. Un po’ come quei mukbanger ² su YouTube. Felix aveva le labbra sottili, ma la bocca sapeva aprirla bene.

    «Non c’è niente che non ti piace?» domandai incredulo. «Scommetto che non è vero.»

    Lui continuò a scuotere il capo senza smettere di masticare.

    «Yogurt? Cavoletti di Bruxelles? Ostriche?»

    «Fatti sotto,» fece lui con bramosia.

    «Fegato e cipolle?»

    Esitò, imbarazzato. «Sì, non amo le frattaglie.»

    «Ah! In questo momento, da qualche parte, Anthony Bourdain si sta facendo una risata.»

    La mia affermazione gli fece posare le zucchine fritte che teneva tra le dita. Felix guardò l’insegna al neon fuori dalla finestra, Big Mack’s Diner, o forse la collezione di pick-up e camioncini polverosi parcheggiati, o forse il deserto bollente. Eravamo ancora a duecento miglia da Las Vegas, ma il viaggio che avevamo intrapreso da Madison, nel Wisconsin, sembrava già finito. E io ero pronto a farlo, pronto per qualsiasi avventura ci aspettasse, purché fosse divertente. E, preferibilmente, redditizia.

    «Cavolo, sarebbe una bella vita, eh?» Felix aveva un’aria sognante. «Avere uno show di cibo esotico. Viaggiare in tutto il mondo. Vivere delle avventure…»

    «Sì, devi assolutamente trovare il modo di sfruttare economicamente questo tuo appetito,» concordai. «Hai mai partecipato a una gara di mangiatori di torte? Non esistono intere leghe per questo genere di cose?»

    Felix sbatté le palpebre e mi guardò. «Il Quiz Bowl mi basta e avanza.»

    «Ma il Quiz Bowl non paga.» Sfregai pollice e indice.

    «Il campionato nazionale sì. Abbiamo vinto diecimila dollari.»

    «Sì, e tutti quei soldi sono andati alla confraternita. Come dicevo, il Quiz Bowl non paga.»

    Lui scrollò le spalle. «Ne prendo altro.» Scivolò fuori dalla panca con il piatto tra le mani.

    Una cameriera anziana in uniforme a scacchi apparve come per magia e glielo prese. «Ci penso io, tesoro.»

    «Oh, bene. Grazie.» Felix le fece un sorriso.

    I piatti erano un po’ piccoli. Ingoiai quello che rimaneva della mia insalata di patate, lo porsi alla cameriera e tornai in fila.

    I buffet sono un po’ come una grande orgia. Magari in un contesto diverso le persone con cui stavi facendo sesso non sarebbero state la tua prima scelta, ma era il gruppo a rendere l’esperienza unica ed eccitate. O almeno così pensavo. In realtà non avevo mai partecipato a un’orgia. Ero stato a molti buffet, però. Ce n’era uno vicino al campus di Madison, dove entrambi andavamo al college. Felix e io ci andavamo un paio di volte alla settimana, finché il proprietario non ci aveva banditi per evitare la bancarotta. Mangiavamo tutto noi.

    Quel giorno ci eravamo fermati al Big Macks Diner non appena avevamo letto la scritta Buffet a $19,95 sul cartellone. Eravamo in vacanza con un budget limitato e a quel prezzo potevamo fare il pieno e anche di più. Il proprietario del locale ci avrebbe rimesso ma, ehi, probabilmente i suoi clienti abituali erano delle vecchiette che mangiavano come canarini, quello avrebbe bilanciato un po’ i conti, no?

    Felix tornò al buffet cinque volte. Io quattro. Mangiammo finché le nostre pance non cominciarono a gonfiarsi sotto le magliette. Alla fine, dovetti fermarmi. Mi appoggiai allo schienale e respirai profondamente per qualche minuto, frenando l’impulso di vomitare.

    Dall’altra parte del tavolo, anche Felix si era fermato. Sembrava leggermente nauseato.

    «Solo un’altra mentina?» gli domandai con un pessimo accento britannico citando John Cleese ne Il senso della vita. «È sottile come un wafer.»

    Lui rise e si accarezzò la pancia. «Dio, no. E non dire wafer.» Si ruttò sommessamente nella mano. «Cazzo. Non mangerò per una settimana.»

    Sapevo per certo che sarebbe stato pronto per una colazione abbondante, però mi girava un po’ la testa, non avevo l’energia per stuzzicarlo.

    «Ancora duecentodieci miglia,» disse Felix. «Ho bisogno di una stanza d’albergo e di un letto. Devo dormire come un lottatore di sumo.» Si accarezzò di nuovo la pancia.

    «Somigli a uno di quei cartoni animati in cui un animaletto s’ingoia un bufalo.» Sorrisi.

    «Preciso.» Lui gonfiò le guance come a dire che era pieno. «Chiedo il conto.»

    Fece cenno verso la cameriera. Sul suo cartellino c’era scritto Bonny. Bonny tirò fuori un taccuino e ci scarabocchiò sopra. Scarabocchiò ancora un po’. Io e Felix ci scambiammo un’occhiata. Il conto doveva essere piuttosto semplice. Da bere avevamo preso solo acqua.

    Posò il foglietto sul tavolo, a faccia in giù. «Pagate alla cassa,» disse, e se ne andò. Bonny non era una tipa amichevole.

    Felix fissò il foglio con il conto. Spalancò gli occhi e impallidì.

    «Che c’è?» Afferrai il conto.

    Mi strozzai con la saliva. Il conto era di quasi 200 dollari. «Cosa?!» gridai. Mi voltai per chiamare la cameriera, ma lei era già dietro il bancone a prendere la caffettiera.

    «Oh, merda. Merda,» mormorò Felix. Con una mano tremante, indicò qualcosa alle mie spalle. Sembrava il personaggio di un film horror.

    Laggiù, sopra le teste delle persone in fila per il buffet, un piccolo cartello bianco diceva: Il buffet si paga per piatto.

    «No,» dissi. «No, no, no. Figli di puttana…»

    «Ero così affamato che ho avuto occhi solo per il cibo.» Felix abbassò la voce e si chinò in avanti. «Porca puttana, PJ. Siamo fottuti. È più della metà dei soldi che devono bastarmi per una settimana.»

    Fissai l’insegna incriminata con le narici spalancate. «Stanno truffando la gente. Quel cartello dovrebbe essere altrove. È impossibile che la gente lo veda.»

    «Sì, beh, è proprio lì. Hai intenzione di discutere con Big Mack?» Felix fece un cenno con il mento verso l’altro lato della tavola calda. Mi voltai per seguire il suo sguardo. Lì, alla cassa, c’era forse Big Mack in persona. O Big qualunque fosse il suo nome. Sarà stato alto un metro e ottanta, con braccia muscolose e tatuate messe in mostra da una canottiera nera, la testa rasata a zero. Ci guardava, gli occhi stretti, come se ci stesse sfidando ad aprir bocca.

    Mi girai e mi rannicchiai contro lo schienale. «È decisamente una truffa,» ripetei, incazzato con me stesso per non averlo capito in tempo. Proprio io, che riesco a fiutare una truffa a un miglio di distanza. Come Felix, ero stato distratto da tutto quel cibo caldo e profumato. Non mi piaceva sentirmi uno stupido. Non mi piaceva essere preso all’amo come uno sprovveduto qualsiasi.

    «Dovremo tornare indietro,» disse Felix sconsolato. «Mi dispiace, PJ.»

    «Amico, siamo quasi a Las Vegas. Non torneremo a casa adesso.»

    «Ma ho a malapena abbastanza contanti per coprire la mia metà del conto. E non posso mettere troppo sulla mia carta.»

    «Andiamo a Las Vegas,» ripetei con fermezza. «A Las Vegas si fanno i soldi.»

    Felix sembrava sconcertato. «Non ne abbiamo abbastanza per giocare d’azzardo. E in ogni caso, una perdita sarebbe più probabile.»

    «Lasciami pensare, okay?»

    Lui si pulì la bocca con la mano, e aveva l’aria di voler discutere. Ma non disse nulla.

    Mi misi a riflettere…

    Big Mack aveva un bel giro di affari in quel posto: truffava i turisti. Potevo truffarlo a mia volta? Sicuramente volevo farlo… Stronzo. Ma come? Quali erano le nostre risorse al momento? Cosa avevamo con noi? Quale bluff poteva suscitare l’interesse di un tipo come quello? Le cose che ero abituato a fare a scuola non avrebbero funzionato. Non gli interessavano le risposte ai test o le scommesse sugli eventi sportivi. Non c’era tempo per quel tipo di trame. Qualunque cosa fosse, doveva essere fatta lì, in quel preciso istante.

    Pensai al piccolo giro di soldi che io e Felix avevamo messo in piedi l’anno precedente a scuola, scommettendo sul fatto che la casa Alpha Lambda Alpha – alias gli atleti – o la Sigma Mu Tau – alias i nerd – avrebbero vinto i rispettivi campionati di flag football e Quiz Bowl. Il preside Robberts ci aveva costretto a scambiarci i giocatori nel tentativo di porre fine a una faida decennale. Con quel piano io e Felix ci eravamo fatti un bel gruzzolo. Naturalmente era successo l’anno precedente, perciò quei soldi erano spariti da tempo. Ma era stato così che io e Felix, presunti nemici giurati – poiché lui nerd e io atleta – eravamo diventati amici. Quando era venuto a sapere delle scommesse che stavo facendo, si era interessato non solo a piazzarne una, ma all’intera operazione. Sembrava voler diventare un mini-me, era affascinato da ogni mia mossa. Presto era diventato il mio braccio destro.

    Felix era l’unica persona che avessi mai incontrato che non scuoteva la testa a ogni mia affermazione come se fossi un tipo strano o un sociopatico, perché avevo sempre qualche impresa in corso, perché mi piacevano i soldi. Sì, i miei erano ricchi, ma mio padre predicava che non si arrivava da nessuna parte regalando cose. Quindi, a parte le tasse scolastiche e qualche altra spesa basilare, mi arrangiavo da solo con il mio ingegno. Felix sembrava capirlo e persino ammirarlo. Come gregario, era dannatamente intelligente. E sempre pronto a tutto.

    Per qualsiasi cosa.

    Strinsi gli occhi su di lui, pensieroso.

    «Cosa?» fece Felix. «Quando hai quello sguardo mi inquieti da morire, cazzo.»

    «Quale sguardo?» domandai innocentemente.

    «Quello sguardo da sono PJ Roark e ho un’idea

    «Ho delle buone idee, io!»

    Felix fece una smorfia. «Già. Finora. Sono serio, non metterti contro quel tipo. Sembra in grado di spezzarci in due.»

    «Cervello batte muscoli.»

    Alzò un sopracciglio. «Vorrei che i miei muscoli rimanessero intatti. E anche il mio cervello.»

    «Oh, andiamo. La tua sfiducia nei miei confronti mi spezza il cuore.» Mi chinai sul bancone per guardare di nuovo il tizio dietro la cassa. «Big Mack. Ha un ego smisurato. Scommetto che pensa di essere il capo di questo posto.»

    «E quindi? Probabilmente lo è.»

    Un sorriso lento e malvagio mi si allargò sul viso. Mi appoggiai allo schienale della panca e guardai Felix. Sì, avevo un’idea. Un’idea brillante. «Mi copri, vero?»

    Lui strinse le labbra. «Ehm… Dipende, di che stiamo parlando?»

    «Nessuno spargimento di sangue. Te lo prometto. Va bene? Bene.» Uscii dal separè dov’era sistemato il nostro tavolo.

    «PJ!» sibilò Felix, ma io ero già in movimento.

    Con fare sicuro, sbattei il conto sul bancone davanti a Big Mack. «Scommetto che il mio amico, quel piccoletto magro, ha un cazzo più grosso del tuo.» Lo dissi a voce abbastanza alta perché alcuni tavoli vicini alla cassa potessero sentirmi. Gli uomini seduti lì sembravano tutti camionisti: berretti da baseball, magliette, barbe. Anche Bonny, la cameriera, era interessata. Si attardò vicino a un tavolo con la caffettiera in una mano, e origliò spudoratamente.

    Big Mack incrociò le braccia sul petto e mi fissò come se parlassi portoghese. «Che cazzo hai appena detto?»

    «Mi hai sentito bene. Una piccola scommessa amichevole. Tu contro quel tipo.»

    «Poppante del cazzo, paga il conto e vattene,» ringhiò Big Mack.

    «Dai,» dissi con un sorriso sfacciato. «Il doppio o niente. Voglio dire, guardalo.» Indicai Felix dall’altra parte della stanza. Non era abbastanza vicino per sentire quello che stavamo dicendo, ma sembrava nervoso. Da lì sembrava ancora più piccolo. La giacca da moto in pelle nera che indossava sempre gli stava bene. Era senza cerniera, e sotto portava una maglietta nera piuttosto aderente che mostrava la sua corporatura magra e la pancia in quel momento piena di cibo come gli animaletti dei cartoni. I capelli scuri e folti, tagliati scalati, e gli occhi scuri non facevano altro che enfatizzare la sottigliezza del viso e la grandezza del suo naso romano. Sembrava un po’ fragile, e quello, immaginavo, era uno dei motivi per cui indossava sempre quella giacca di pelle nera e gli stivali da motociclista. Doveva in qualche modo irrobustire la sua corporatura.

    «Sei fuori di testa.» Big Mack scosse il capo.

    Io scrollai le spalle. «Cosa hai da perdere? Un po’ di cibo al prezzo di costo. Tanto, alla fine della serata, probabilmente butterete via metà del buffet. Andiamo.»

    «Fallo, Mack,» disse uno dei ragazzi seduti al tavolo con una risata.

    «Già, come ha detto il ragazzo, cos’hai da perdere?» fece un altro. «Probabilmente il ragazzino ha un cazzo che è uno spillo.»

    Scoppiarono tutti a ridere.

    Felix doveva aver capito abbastanza da farsi un’idea di quello che stava per succedere, perché arrossi e spalancò gli occhi. Mi fulminò con lo sguardo.

    Mi allontanai e appoggiai la schiena contro la cassa. All’inizio avevo solo pensato di aggiungere un po’ di pressione sociale alla decisione di Big Mack. Ma la folla sembrava davvero interessata al procedimento e la prospettiva di una vittoria mi faceva sbavare. «Davvero? Può essere. Può essere. Volete scommettere? Nessuno? Scommetto due a uno a favore di Mack.»

    «Certo che sì!» Un ragazzo con un berretto John Deere tirò fuori il portafoglio.

    «Ci sto!» esclamò un tizio con una camicia di flanella rossa a quadri dalle maniche strappate. Tolse dalla tasca una banconota da venti dollari e la sbatté sul tavolo. «Anche se il ragazzo magro ce l’ha grosso, e probabilmente è così, altrimenti non saresti così dannatamente presuntuoso, scommetto che hai fatto il passo più lungo della gamba con il nostro Big Mack.»

    Un paio di tizi gridarono: «Sì.»

    «È vero, cazzo.»

    Continuai a sorridere. «Forza, tirate fuori i soldi.»

    «Ehi, aspettate!» disse Big Mack, alzando le mani. «Come possiamo… Non ho intenzione di… È una cosa stupida!»

    Pensai in fretta. «Niente di che. Tu e il mio amico andate nella stanza sul retro. Ci serve solo un testimone che faccia da giudice. Signore e signori, abbiamo un volontario?»

    Tutti gli uomini si guardarono l’un l’altro. Erano ammutoliti. Scommettere sulle dimensioni del cazzo di un altro uomo era una cosa. Guardarlo era un’altra.

    «Ma dai!» sbuffai. «Basterà un’occhiata. Okay, nel peggiore dei casi, un breve confronto con un righello, ma probabilmente non sarà necessario. Allora, chi officerà? Sarei felice di farlo io, ma è chiaro che sono coinvolto. Ci serve qualcuno di neutrale.»

    «C’è un medico?» domandò annoiata Bonny. Okay, era più divertente di quanto la credessi.

    «Giudicherò io!» Una donna alzò la mano. Aveva poco più di vent’anni ed era seduta a un tavolo con un’amica.

    L’amica le diede uno schiaffo sul braccio, la bocca spalancata. «Miranda, no!»

    «No,» disse il tizio con il cappello John Deere. «A riposo, vero?» Mi guardò.

    «Sì. Completamente.»

    «Quindi niente donne. Il giudice deve essere un uomo,» dichiarò quello che ormai per me era John Deere.

    Andai al primo tavolo e raccolsi i soldi, e fotografai i ragazzi con in mano le loro banconote in modo da ricordare chi aveva scommesso cosa.

    «Fanculo, giudicherò io,» disse un giovane con la barba bionda. «Così mi assicuro che non sia una truffa. Se posso fare da giudice, ci metto quaranta bigliettoni.»

    «Ottimo ragionamento,» commentai. «Buon per te. Come ti chiami?»

    «Ehm… James.»

    «Allora, ascoltatemi tutti! James sarà il nostro giudice ufficiale. Il ragazzino con la giacca di pelle nera contro il bel maschione alla cassa. Vince chi ha il cazzo più grosso. Chi altro ci sta?»

    Avevo chiamato Felix ragazzino di proposito. Aveva ventuno anni, come me, ma la percezione era tutto.

    «Non ho mai accettato!» si lamentò Big Mack a mezza voce, ma tutti gli uomini della tavola calda lo mandarono al diavolo, parlottando tra loro eccitati delle loro scommesse. Alcuni si alzarono per avvicinarsi a Felix e guardarlo meglio, squadrandolo dall’alto in basso e strofinandosi il mento, mentre lui fissava il soffitto, paonazzo.

    Mentre raccoglievo i soldi dal tavolo più vicino al nostro, Felix si avvicinò e mi afferrò il braccio. «Cazzo, giuro che ti ammazzo. Ti ammazzo,» mi sibilò all’orecchio.

    Gli rivolsi un sorrisetto. «Perché? Questa situazione è oro colato. Vuoi davvero spendere duecento dollari per il conto?»

    Felix continuò a trafiggermi con lo sguardo, le labbra serrate, ma io conoscevo la risposta.

    Mi chinai. «Amico. Non solo mangeremo gratis, ma scommetto che ce ne andremo con trecento dollari. Forse addirittura cinquecento. Soldi di partenza per Las Vegas, baby!»

    Lui fece una smorfia e si guardò attorno nervosamente. «Come fai a saperlo…?»

    Sbuffai. «L’uomo. Il mito. La leggenda. Tutti all’università sanno del tuo cazzo, Felix.»

    Mi scostai e lui arrossì. Tremò appena, senza mai incrociare il mio sguardo. «Cazzo. È la cosa più stupida che abbia mai fatto. Non posso credere che tu sia andato lì e… abbia detto…»

    «Sei preoccupato di non vincere?» Lo presi in giro. «Non lo so. Big Mack potrebbe avercelo enorme.»

    Felix incrociò i miei occhi, lo sguardo acceso. «Non ho mai incontrato nessuno con il cazzo più grosso del mio.»

    Perché quella frase mi fece venire una vampata di calore? Me la scrollai di dosso. «Beh, ottimo allora. Siamo a cavallo.»

    «Ma saprà di essere stato preso in giro. Potrebbe prenderci a calci nel culo.»

    Scrollai le spalle. «Non vorrà fare la figura del perdente di fronte a tutti i suoi clienti.»

    «Speriamo,» disse Felix senza troppa convinzione, poi non aggiunse altro.

    Raccolsi quasi trecento dollari. Bonny mi portò un sacchetto da asporto in cui infilare i soldi, e tutti quelli che scommettevano si fecero fotografare. Feci un rapido calcolo. Solo quattro avevano puntato su Felix, quattordici su Big Mack.

    «Okay!» esclamai infine. «Siamo pronti. Mack, hai un ufficio nel retro? O anche un bagno andrebbe bene.»

    L’uomo mi guardò accigliato, l’aria inquieta. Voleva chiaramente tirarsi indietro, mandarmi a quel paese. Ma avrebbe fatto la figura del debole davanti a tutti i suoi clienti. Ormai era troppo tardi. Lanciò un’altra occhiata a Felix, soffermandosi sul suo inguine. Ma non c’era molto da vedere. Felix portava i jeans larghi.

    Ebbi un attimo di incertezza. A essere sincero, io il suo cazzo non l’avevo mai visto. E se fosse stata tutta una leggenda metropolitana? Come il cane che si strozza con il dito del ladro? Ah… fanculo! Mai farsi vedere incerti.

    «Ufficio.» Mack si voltò e oltrepassò una tenda grigia. James lo seguì. E infine Felix, che mi lanciò un ultimo sguardo che non sapevo bene come interpretare. Mi dissi che sembrava sicuro di sé.

    Le forchette furono posate, le torte mangiate a metà abbandonate, i piatti dimenticati. Rimanemmo in attesa. La stanza era silenziosa.

    «Accidenti. Volevo giudicare io,» mormorò Miranda, ma la sentirono tutti.

    «Oh, come vorrei essere una mosca,» concordò Bonny laconicamente.

    «Voglio cambiare la mia scommessa,» disse John Deere.

    «Le scommesse sono chiuse,» risposi con fermezza, senza distogliere lo sguardo dalla tenda. Incrociai le braccia sul petto. Il cuore mi batteva contro l’avambraccio. Ero agitato… Perché?

    Se Felix avesse perso, sarebbe stato doloroso. Avrei dovuto coprire la maggior parte delle scommesse di Mack a due a uno. E poi c’era il conto del cibo. Il danno totale sarebbe stato di oltre mille dollari. Non avevo così tanti contanti con me. Potevo usare la carta di credito? Mio padre mi avrebbe ucciso.

    La tenda si agitò e poi fu spazzata via. James uscì per primo, seguito da Felix senza espressione e infine da Mack, il cui volto era paonazzo.

    James alzò una mano e il locale trattenne il fiato.

    «Big Mack ha un fisico da stallone, gente. Non è una bugia.»

    Un giro di applausi e di battimani accompagnò l’annuncio, e io mi sentii sul punto di vomitare. Quindi le reputazioni potevano essere esagerate e il cazzone era negli occhi di chi guardava. Immaginai il lungo viaggio di ritorno a Madison, dopo la sconfitta, con a malapena i soldi per mangiare. Maledizione, PJ. Mai scommettere su qualcosa di meno che sicuro.

    Un paio di ragazzi si mossero verso di me, un bagliore mercenario negli occhi.

    James alzò di nuovo una mano. «Aspettate. Ho detto che Big Mack ce l’ha grosso. Non ho detto che ha vinto.»

    Uno dei camionisti che mi si stava avvicinando ringhiò: «E allora? Diccelo e basta.»

    Trattenni il respiro. James sorrise. «Big Mack è impressionante, ma il ragazzo? Il ragazzo ha un siluro, cazzo.» Indicò Felix. «Vince lui.»

    2

    FELIX

    «Ti prego, Felix, non essere arrabbiato con me. Ti prego, ti prego, ti prego.» Mentre cercava di concentrarsi sulla guida, PJ mi si avvicinò pericolosamente.

    Io ero girato di tre quarti con lo sguardo fisso fuori dal finestrino. Il paesaggio desertico sempre più arido mi sfrecciava accanto. Non gli parlavo da almeno un centinaio di chilometri, il che lo stava facendo impazzire. Quantomeno la preoccupazione lo teneva sveglio, una sfida non da poco, dopo venticinque ore di guida totali e la pancia iper-piena.

    I duecentoventicinque dollari in più che avevo guadagnato grazie al mio cazzo se ne stavano comodi comodi nella mia tasca insieme a tutti i soldi che ero riuscito a racimolare durante quel viaggio selvaggio. Non avevamo dovuto nemmeno pagare il conto

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