Divento di vento
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Le donne sono protagoniste indiscusse di queste nove storie che parlano di trasformazione – che per alcune assume i tratti di una vera e propria deformazione.
Per quanto dolorosa, la trasformazione rappresenta qui l’unica fuga dagli stereotipi, alla ricerca di un equilibrio in uno stato di disordine, o meglio, di ordine incomprensibile.
I racconti, a tratti surreali, si svolgono tra l’Italia e l’Indonesia e i personaggi, stranieri, sono spesso isolàni, alieni che si muovono in luoghi che lasciano sul corpo tracce profonde. Ognuno di loro è pronto a lasciar spettinare le proprie certezze da un refolo di vento.
Fra mito ancestrale, distopia ed epiloghi a sorpresa con l’ingresso di una realtà cruda e non compiacente, Divento di vento affascina il lettore con parole e immagini ad acquerello e lo trascina in un mondo sommerso, onirico, in cui volare con ali impalpabili.
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Anteprima del libro
Divento di vento - Terradimandorla
TERRADIMANDORLA
Divento di vento
RACCONTI ILLUSTRATI
Émeraude
Bali, 6 luglio 2049
Dal punto in cui ero seduta, l’acqua della piscina e quella del mare si fondevano e i raggi del sole, riflessi sulla superficie, rimbalzavano e mi accecavano. All’epoca potevo rimanere ore in silenzio a osservare la natura. Ancora non sapevo che, presto, non ne sarei più stata capace.
Tutto avvenne molto rapidamente. Gli uccelli scomparvero uno a uno, come le carte nelle mani di un prestigiatore, spogliando completamente il cielo. I cani, che cercavano sandwich sbocconcellati sotto la sabbia, si nascosero. Ma il più spaventoso fu l’oceano che si ritirò come un mostro liquido, una creatura capace di intendere e di volere.
Noi, chiusi nell’hotel, ci sentimmo minuscoli.
Guillaume venne dietro di me e mi mise una mano sulla spalla: «Che facciamo? Scappiamo?»
Poi, con fare borioso, qualcuno mormorò: «Questi sono chiari segni di tsunami...»
Come sempre, chi sfoggiava un corpo semimetallico pretendeva di saperne più degli altri.
Finalmente le autorità diedero l’allarme e costrinsero noi turisti a risalire la collina dietro l’hotel per ripararci. Quelli con le metallegs (gambe allungabili fino a tre metri) ovviamente arrivarono per primi, suscitando invidia in chi non poteva permettersele. Con noi c’erano tanti bambini; uno aveva un videogioco sugli occhi che, per questo fine, erano stati rimossi.
Non vi fu alcuno tsunami. Rimanemmo sulla collina a fissare l’acqua che poco a poco tornò a lambire le battigie. I cani e gli uccelli ripopolarono le spiagge e ripresero a beccare gli alimenti dei pochi umani che avevano rinunciato alla svolta. Ancora sotto choc, dopo qualche ora tornammo placidamente ai nostri posti, sulle sdraio o a bordo piscina, a sfogliare riviste che vendevano cimici per dimenticare il passato o bacini mobili per danzare senza sosta.
Nessuno di noi sapeva di aver appena assistito all’ultimo segnale inviato dalla Natura, prima che si ammutolisse per sempre.
Cleverman
L’Indonesia, scelta per il viaggio di nozze di vent’anni prima, era la meta preferita da me e Guillaume. Tutto era rimasto uguale: i cigni fatti con gli asciugamani in camera da letto e il pranzo a base di pesce in spiaggia. In quel Paese tornavo la sposa novella che ero stata, parlavo e mi pettinavo come la prima volta.
Inoltre, era un anno speciale: stavo rinunciando ai tratti che mi avevano resa inadatta alla società. Avevo smesso di fare polemica con gli amici ipertecnologici, di imbarcarmi in discussioni infinite in cui difendevo il diritto alla privacy e la sacralità del corpo. Tornai anch’io a casa con un cleverman (evoluzione dello smartphone) al polso. Giunta a casa, avevo mostrato il telefono a mio marito e ai miei figli, tutta soddisfatta. Nel farlo, avevo finto di rimuovere un po’ di polvere dalla spalla, per far intendere che mi ero rinnovata. Temevo che la mia famiglia mi avrebbe amata meno se non l’avessi fatto, e fu un sollievo annunciare che mi stavo trasformando anch’io. Restavo pur sempre una moderata, considerando che un’altra donna se lo sarebbe fatto impiantare direttamente sotto la carne, quel telefono.
Rollerblade
Un giorno mia figlia rientrò a casa con una fila di ruote rollerblade conficcate nei piedi. Furiosa con Guillaume per non aver chiesto il mio parere prima di comprarli, non gli avevo rivolto parola per un mese. Ma la mia tragedia, senza spettatori, non era poi così tragica. Non potevo nemmeno contare sulla complicità dei miei figli: a nessuno sembrava osceno farsi aprire i piedi per ficcarci dentro due ruote che si ritraevano con un telecomando prima di andare a dormire. Così, sola ed esausta, ripresi a parlare con Guillaume.
Feelingblue
Dopo la vacanza a Bali impiantai delle Feelingblue, orecchie digitali con cui era possibile ascoltare la musica, come e quando mi pareva. Amici e parenti mi avevano convinta dicendomi che, asportando le mie, avrei risolto