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Il conte in cerca di moglie
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Il conte in cerca di moglie
E-book254 pagine4 ore

Il conte in cerca di moglie

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1800 - Daniel Blackburn, Conte di Burwell, ha bisogno di una moglie. La donna che gli ha spezzato il cuore e da cui ha avuto un figlio lo ricatta e per evitare che il bambino debba subire l'onta che perseguita i figli illegittimi, lui sta facendo di tutto, tra cui cercare una ricca sposa. Gli sembra d'averla trovata in Elizabeth Eastway, ma non sa che la ragazza, orfana e priva di mezzi propri, si è sostituita temporaneamente alla ricca cugina Amelia in fuga per raggiungere il suo amato. La popolarità di Lizzie si lega alla sua presunta dote, lei lo sa bene, ma quando vede la scintilla di genuino desiderio che brucia negli occhi di Daniel è spinta ad accettare le sue attenzioni, non sapendo i segreti che lui cela.
LinguaItaliano
Data di uscita20 set 2016
ISBN9788858954898
Il conte in cerca di moglie
Autore

Laura Martin

Tra le autrici piuù amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il conte in cerca di moglie - Laura Martin

    successivo.

    1

    Lizzie sbirciò fuori dal finestrino della carrozza, cercando di stare calma. Non si era mai sentita tanto sola in tutta la sua vita.

    Prima di imbarcarsi sulla nave per Londra, aveva sentito tanto parlare di quella città, ma non avrebbe mai pensato che potesse essere tanto affollata e caotica.

    Fu colta da un'improvvisa nostalgia per le colline ondulate che circondavano Bombay, ma poi si ammonì tacitamente. Non era stata poi così felice laggiù, e adesso aveva l'opportunità che aveva atteso da tutta la vita.

    Non appena la carrozza prese a rallentare, Lizzie lasciò le tendine e si sforzò di entrare nel ruolo che avrebbe impersonato di lì in poi: per almeno due settimane, anziché Miss Elizabeth Eastway, orfana di uno squattrinato secondogenito, sarebbe stata Miss Amelia Eastway, amata figlia unica ed erede di un cospicuo patrimonio. Sorrise mestamente al pensiero che Amelia era l'unica persona al mondo in grado di convincerla ad accettare una simile commedia. Se gliel'avesse chiesto chiunque altro, avrebbe riso, poi avrebbe affondato la testa nel libro che di sicuro sarebbe stata intenta a leggere. Solo che, quando si trattava di Amelia, era tutto diverso. Era la sorella che non aveva mai avuto, la sua unica amica in un mondo che non era benigno verso gli orfani privi di mezzi. Lizzie era certa che sarebbe andata sotto un cavallo imbizzarrito pur di salvare Amelia, quindi, quando la cugina le aveva chiesto di scambiarsi le identità per un paio di settimane, non era riuscita a rifiutare.

    Ovviamente Amelia non aveva ponderato bene l'intera faccenda. Lizzie sapeva che accettare di impersonare la cugina non sarebbe stato privo di conseguenze. La gente avrebbe perdonato Amelia, ma per una giovane senza il becco di un quattrino sarebbe stata la rovina. Era sicura che se la cugina se ne fosse resa conto non gliel'avrebbe mai chiesto, ma come al solito Amelia non si era fermata a riflettere. Lizzie non aveva comunque molto da perdere: lungi dall'aspirare a fare un buon matrimonio, non si sarebbe mai formata una famiglia, quindi continuava a ripetersi che non stava facendo poi un grosso sacrificio, per amore della cugina.

    La carrozza si fermò, e lei si prese un istante per ricomporsi, cercando di imitare il sorriso luminoso che si allargava così facilmente sul viso di Amelia. Nelle settimane a venire avrebbe dovuto dimostrarsi gioiosa ed espansiva. Non ci sarebbe stato nessuno dietro cui nascondersi, nessuno a distogliere l'attenzione da lei.

    Per tutta la vita Lizzie era rimasta nell'ombra, e vi aveva fatto l'abitudine. Adesso, invece, si sarebbe ritrovata sotto i riflettori e sperava ardentemente di essere all'altezza del compito.

    Un lacchè le aprì la porta, e Lizzie lasciò che l'aiutasse a scendere. Alzò lo sguardo, intimorita dalla magione davanti alla quale si erano fermati, e dovette rammentarsi di non restare a fissare con la bocca spalancata.

    «Vogliate seguirmi, signorina» la invitò il lacchè, facendole cenno di attraversare la strada e salire gli scalini per entrare in quella casa che la faceva sentire tanto in soggezione.

    Lizzie annuì e si avviò in strada.

    All'improvviso udì il grido di un uomo e un cavallo che sbuffava. Istintivamente si ritrasse, e l'animale le montò quasi addosso, impennando gli zoccoli in aria in direzione del suo viso. Lizzie inciampò, perdendo l'equilibrio e atterrò con un penoso tonfo sulla strada polverosa. Avrebbe voluto chiudere gli occhi, distogliere lo sguardo, ma, al contrario, rimase come imbambolata a fissare l'uomo in sella al cavallo che tirava le redini nel disperato tentativo di trattenere l'animale, pur rendendosi conto che era troppo tardi. Il cavallo l'avrebbe calpestata, e non c'era niente che né lei né quell'uomo potessero fare per evitarlo.

    Con un grido stentoreo, il cavaliere balzò giù dalla sella e nel movimento riuscì a spingere di lato il cavallo. Gli zoccoli dell'animale sbatterono per terra a qualche pollice dalla testa di Lizzie, e il suono dell'impatto con la strada la fece sussultare.

    Per lunghi istanti nella strada calò il silenzio, come una sospensione prima dell'imminente tragedia. Poi il cavallo nitrì, e l'incanto fu spezzato. Accorse una mezza dozzina di persone, ma lui tenne tutti lontani, mentre si avvicinava al quadrupede. Lizzie lo osservò calmare l'animale, accarezzargli la criniera e parlargli con dolcezza. Dopo aver passato le redini a un ragazzo, si voltò verso di lei.

    Lizzie deglutì cercando di sostenere il suo sguardo infuriato. Lentamente le si avvicinò, e lei avvertì la propria posizione di svantaggio, dato che era seduta sulla strada polverosa, la gonna arrotolata tra le gambe, tremando di paura.

    L'uomo si fermò quando le fu quasi sopra, facendole ombra con il proprio corpo.

    Lizzie provò a sorridere timidamente.

    «A cosa stavate pensando?» l'apostrofò lui in tono brusco.

    Dalla bocca non le uscì alcun suono, quindi Lizzie si limitò a fare un gesto vago.

    Lui rimase a fissarla per quella che a lei parve un'eternità, poi alla fine le tese la mano.

    Lizzie si allungò per stringerla, permettendogli di rimetterla in piedi. Mentre lui continuava a stringerle la mano, si ritrovarono così vicini che Lizzie, senza fiato, poté osservarne nitidamente i tratti e si rese conto di essere stata quasi calpestata a morte dall'uomo più attraente di tutta Londra.

    Si irrigidì all'istante, sentendosi scrutare a sua volta. Era consapevole di non essere una vecchia strega, ma neppure ciò che la società avrebbe definito una bellezza. Aveva i capelli scuri oltre il dovuto, l'incarnato con qualche lentiggine di troppo, e laddove gli uomini sembravano prediligere le donne minute, Lizzie riusciva a guardare quasi tutti negli occhi senza sforzo. Di molti riusciva a godere di una buona visuale sulle loro chiazze pelate. Fu quindi in grado di leggere i pensieri dell'uomo che la osservava e che in pochi istanti la congedò.

    «State più attenta, in futuro» le ingiunse in tono autoritario.

    Lizzie si ritrovò ad annuire, nonostante il tono imperioso. Desiderò padroneggiare lo sguardo altezzoso di Amelia. Sua cugina avrebbe potuto uccidere un uomo solo inarcando un sopracciglio. Lo osservò tornare al suo cavallo, montare con un balzo atletico e partire. Il loro incontro non era durato più di un minuto, ma era stato sufficiente per far svanire tutta la sicurezza sulla quale Lizzie aveva fatto affidamento per affrontare il mondo nei panni di Amelia Eastway.

    Il lacchè comparve al suo fianco. «Vi siete ferita, signorina?» si informò, il volto cinereo.

    Lizzie sorrise gentilmente, consapevole che era probabile si sarebbe preso lui la colpa della sua goffaggine. «No, affatto» ribatté con falsa spavalderia. «Solo un po' di spavento.»

    Attraversarono la strada con cautela e salirono i gradini. Quando furono in cima, la porta principale si aprì, e Lizzie venne fatta entrare.

    «Mia cara Amelia, cosa è accaduto?» Una donna sulla quarantina le corse incontro per salutarla.

    Lizzie immaginò fosse Mathilda, la zia di Amelia, mentre la giovane che rimase in un angolo, con un sorriso compiaciuto stampato in volto, era probabilmente la sua odiosa cugina Harriet.

    Lizzie si sentì avvampare mentre prendeva a borbottare qualcosa riguardo all'essere inciampata, poi si rese conto che non avrebbe dovuto: era Miss Amelia Eastway, il tipo di giovane che gli altri ammiravano, ed era giunto il momento che iniziasse a recitare quel ruolo.

    «È stato atroce!» esclamò, premendosi una tempia con le dita. «Stavo attraversando la strada e sono quasi stata investita da uno sventato cavaliere.»

    Zia Mathilda si affrettò al suo fianco e le prese una mano. «Che terribile prova, mia cara, perché non vieni a sederti?»

    Lizzie lasciò che la donna la conducesse in salotto, ma mentre si allontanava notò l'espressione di Harriet, e comprese che doveva aver assistito all'intera scena e dunque sapere che l'unica sventata era stata lei.

    «Devi essere esausta, dopo un viaggio tanto lungo.»

    «Il porto è solo a un'ora da qui.»

    «Mia madre intende dall'India» puntualizzò Harriet, seguendole nell'altra stanza.

    «Oh, certo» mormorò Lizzie.

    «Sebbene non comprenda perché la gente si ostini a insistere che viaggiare stanca» rincarò la cugina. «Non avrai di certo armato la nave tu stessa.»

    Lizzie ripensò alle interminabili giornate in cui era stata preda della nausea, e alle notti trascorse a fissare il soffitto ondeggiante e a desiderare che tutto finisse. Anche in quel momento, dopo ore che era sbarcata, si sentiva malferma sulle gambe.

    «Hai mai compiuto un lungo viaggio per mare?» le chiese quindi, sforzandosi di usare un tono educato.

    «No.»

    Lizzie si sedette sul bordo di uno scomodo bracciolo e, notando che la giovane riduceva gli occhi a due fessure, si rese conto allora di aver commesso un grosso errore: la sua vita nelle due settimane successive sarebbe già stata abbastanza faticosa. Non c'era bisogno di crearsi una nemica all'interno di quello che si supponeva fosse il suo rifugio.

    Zia Mathilda non si accorse della belligeranza esistente tra le due giovani, oppure la ignorò deliberatamente. «Non riesco a credere che la mia nipotina Amelia sia qui, seduta nel mio salotto!» esclamò. «L'ultima volta che ti ho vista, eri una cosetta con le treccine e una fessura tra i denti davanti.»

    Lizzie sorrise serenamente, cercando di reprimere l'ondata di nausea. Indubbiamente zia Mathilda rammentava una dolce e bionda bambina, e probabilmente si stava chiedendo a che punto della sua adolescenza si fosse trasformata in quell'alta brunetta. Per sua fortuna il padre di Amelia si era trasferito in India quattordici anni prima, e da allora Amelia non aveva più visto la zia. Si augurava che quella donna pensasse che il tempo aveva cambiato la figlia della sorella al punto da renderla irriconoscibile.

    «Abbiamo un'intensa settimana davanti a noi, mia cara» affermò la donna, mentre suonava il campanello per chiamare la cameriera. «Dobbiamo provare abiti, andare per negozi, e alla fine della settimana avrà luogo il tuo debutto.»

    Lizzie spalancò gli occhi. «Così presto?» riuscì a chiedere, la voce incrinata dalla sorpresa. Amelia le aveva assicurato che ci sarebbero volute settimane prima che potesse debuttare in società. Il piano prevedeva che Lizzie prendesse il suo posto per una quindicina di giorni al massimo, durante i quali avrebbe preso parte alla vita di Londra tra compere e passeggiate nel parco. Nessuna delle due avrebbe immaginato che Lizzie sarebbe stata presentata in società come Miss Amelia Eastway.

    «Tuo padre è stato assolutamente irremovibile» rispose zia Mathilda. «Ha dato ordine che il tuo debutto avvenga il prima possibile.»

    Era chiaro che doveva essere opera dello zio Robert. Perfino Lizzie era costretta ad ammettere che Amelia era divenuta irrequieta, negli ultimi mesi, anche se lei, ovviamente, era a conoscenza dei motivi nascosti dietro tale ribellione. Il padre di Amelia aveva inviato la figlia a Londra allo scopo che si trovasse un marito e si sistemasse il prima possibile, così da diminuire il tempo che avrebbe avuto per creare guai.

    Lizzie sapeva bene di non poter esser presentata in società come Amelia, ma in quel momento non riuscì a pensare a una buona scusa da fornire alla zia, quindi si limitò a sorridere e ad annuire. Avrebbe potuto simulare un malessere o inventarsi qualche tragedia familiare che richiedesse un periodo di lutto, qualsiasi cosa, pur di rinviare il debutto fino al ritorno di Amelia. Sua cugina le aveva promesso che non l'avrebbe lasciata sola a Londra troppo tempo, e nonostante fosse un'irresponsabile, di norma manteneva le promesse. Desiderava solo qualche giorno libero per andare in cerca del giovane ufficiale del quale si era invaghita, prima di essere introdotta in società. Lizzie non aveva dubbi che si sarebbero entrambe cacciate nei guai per colpa di quella trovata, ma confidava nella certezza che la zia Mathilda avrebbe preferito nascondere lo scandalo che ne sarebbe seguito. Tuttavia non ci sarebbe riuscita, se Lizzie fosse stata presentata in società come l'ereditiera più appetibile della stagione.

    «Non dobbiamo correre troppo, però» la tranquillizzò la zia. «Il viaggio è stato lungo e faticoso, e sono certa che vorrai sistemarti e riposare. La cameriera ti porterà qualche rinfresco in camera.»

    «Vi ringrazio.» Lizzie si alzò, e dopo aver sorriso alla zia e alla cugina uscì, anche se d'istinto si fermò fuori della porta.

    «Meno male che è ricca» osservò malignamente Harriet.

    Lizzie udì zia Mathilda emettere un suono sdegnato al quale però non seguì alcun ammonimento.

    «Non ditemi che non pensate lo stesso anche voi, madre. Non è bella, ed è una delle persone più goffe che abbia mai visto.»

    «Non lamentarti, Harriet, avrai la tua parte quando i gentiluomini sapranno a quanto ammonta la sua dote. Ricordati che vogliamo che anche tu trovi un buon partito.»

    «È così ingiusto» si lagnò la ragazza. «Lei sposerà un nobile e farà la gran signora, tutto perché suo padre ha accumulato un sacco di soldi. Non se lo merita. Non dopo ciò che lui ci ha fatto.»

    Lizzie si rese conto di non voler sentire altro. Silenziosamente si allontanò per seguire una cameriera al piano di sopra, cercando di ricacciare indietro le lacrime che le si stavano formando dietro gli occhi.

    2

    Daniel era di pessimo umore e sapeva di poter incolpare solo se stesso. Si trovava nella sala da ballo dei Preston e cercava di rendersi invisibile, fallendo miseramente. Le giovani in cerca di marito avevano già preso a sbattere gli occhi nella sua direzione e, ancor peggio, le loro madri lo fissavano con malcelato interesse. Da anni non prendeva parte a eventi di quel genere, con la conseguenza che il suo arrivo aveva destato l'interesse in tutte le giovani in età da marito, le quali si erano convinte che dovesse essere lì con l'intenzione di trovarsi una moglie.

    Daniel gemette. Avevano colto nel segno, in effetti. Per quanto poco provasse il desiderio di cambiare vita, una visita al suo amministratore aveva dato il via a una brusca virata in quella direzione. Aveva bisogno di soldi, e alla svelta. Ecco perché in quel momento si trovava nella sala da ballo dei Preston, intenzionato a comportarsi nel più socievole dei modi.

    «Cosa diavolo ti porta qui, Blackburn?»

    Una voce familiare interruppe i pensieri di Daniel, che si girò e sorrise per la prima volta, quella sera. Il ricevimento non sarebbe stato un completo disastro se Fletcher era al suo fianco.

    «Direi che è ovvio!» esclamò, ironico. «Sono qui per la scintillante compagnia.»

    Fletcher si spostò al suo fianco e si mise a osservare la sala da ballo. «Stai creando un vero scompiglio. Ho sentito nominare Lord Burwell perlomeno una dozzina di volte, e mi trovo qui solo da cinque minuti.»

    Daniel si sarebbe dovuto rallegrare del fatto che quella sera ogni donna in possesso di una buona dote desiderasse gettarglisi addosso, tuttavia non riusciva a sentirsi entusiasta.

    Fletcher lo soppesò con lo sguardo. «Sei in cerca di una moglie» concluse in tono asciutto dopo qualche istante.

    «Buon Dio, è così evidente?» ribatté Daniel, sperando di non apparire disperato.

    «Ci sono tre sole ragioni per le quali un uomo partecipa a questi ricevimenti» spiegò Fletcher, «e dal momento che non hai parenti di sesso femminile da accompagnare, né qualcuno da ingraziarti, devi per forza essere in cerca di una moglie.»

    Daniel annuì, cupo. Fletcher aveva ragione, era proprio quello il suo obiettivo, per quanto sconvolgente: soltanto il giorno prima si era sentito uno scapolo granitico nella propria convinzione di non sposarsi mai, e lieto di amoreggiare con qualsiasi donna incrociasse la sua strada. Il problema adesso era che non aveva alternative, doveva sposarsi. L'idea di trovare una giovane con un buon patrimonio e di sposarla per entrare in possesso di quest'ultimo non lo entusiasmava. In effetti, era disgustato all'idea di essere sul punto di diventare uno di quei cacciatori di dote che tanto disprezzava, ma in realtà non gli restava altra scelta. Cercava di convincersi che la sua futura moglie sarebbe stata trattata bene, avrebbe guadagnato un titolo e un nome di antiche origini, però era nauseato dalla consapevolezza che non sarebbe stata amata. Di una cosa, infatti, era certo: non avrebbe di nuovo messo a rischio il proprio cuore. Aveva amato una volta, e l'esperienza era stata disastrosa. Non avrebbe permesso che accadesse di nuovo.

    «Non abbatterti, vecchio mio» lo incoraggiò Fletcher. «Prima che la serata abbia termine, ballerai con la debuttante più bella e interessante, ne sono certo.»

    Daniel si accigliò. Non voleva una moglie bella o particolarmente interessante. La sua scelta sarebbe caduta su una donna gentile e tranquilla, che gli avrebbe lasciato condurre il suo attuale stile di vita senza interferire. Doveva essere ricca, ovviamente. Si ritrovò a chiedersi quando fosse divenuto tanto cinico, ma dentro di sé lo sapeva bene. Non si poteva avere un cuore infranto e uscirne indenne.

    «Ho bisogno di una donna ricca» dichiarò, asciutto.

    Fletcher lo guardò attentamente, senza commentare. «Dunque abbiamo una rosa di candidate» affermò poi. «Stasera sono presenti tre giovani provviste di una dote considerevole.»

    «Come lo sai?»

    «Quando si hanno quattro sorelle è difficile ignorare qualcosa riguardo alle loro rivali. Incluso l'ammontare del loro patrimonio.»

    «E chi sarebbero?» chiese Daniel, andando dritto al nocciolo della questione e detestandosi per questo. Perlomeno non avrebbe dovuto partecipare a molte serate come quella.

    «La prima è Miss Priscilla Dethridge.» Fletcher indicò con discrezione una giovane sui vent'anni. Era abbastanza graziosa e sembrava spassarsela al braccio di un giovane gentiluomo che Daniel non riconobbe.

    «Poi c'è Miss Trumping. Nessuno sa come suo padre abbia fatto i soldi, probabilmente non in modo strettamente lecito, ma ha il vantaggio di essere molto attraente.»

    Daniel rivolse lo sguardo alla splendida giovane indicata da Fletcher. Era innegabilmente bellissima, ed era circondata da fin troppi uomini.

    «E l'ultima?» chiese Daniel.

    «Miss Amelia Eastway.» Fletcher scandagliò la stanza alla ricerca della signorina in questione. «Suo padre è il colonnello Eastway, un militare trasferitosi in India che ha avuto molto successo con il commercio. Sarà una giovane incredibilmente ricca, quando lui incontrerà il Creatore.»

    Daniel attese pazientemente che l'amico riuscisse a individuarla e magari gliela presentasse.

    «Non mi pare di vederla.» Fletcher scrollò le spalle. «La definirei

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