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Il giro della Sardegna in 501 luoghi
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Il giro della Sardegna in 501 luoghi
E-book590 pagine5 ore

Il giro della Sardegna in 501 luoghi

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Info su questo ebook

L'isola come non l'avete mai vista

La magia di un'isola tutta da scoprire

La Sardegna ogni estate è invasa da turisti che vogliono godersi soprattutto il mare, le spiagge, il clima soleggiato e la cucina tipica sarda. Pochi sfruttano la propria vacanza per esplorare le altre meraviglie dell’isola. In questo libro, scritto con passione e ben documentato, i due autori mostrano 501 luoghi che meritano di essere visitati, perché richiamano uno o più elementi caratteristici della storia e della tradizione sarde. Borghi da riscoprire, angoli segreti di città e monumenti che raccontano un glorioso passato, poco conosciuto. Dai resti antichi della civiltà romana ai monasteri, dai nuraghi più noti, incastonati come perle nel cuore dell’isola, ai villaggi minerari ormai abbandonati. E poi i tanti tesori di una natura selvaggia e in parte incontaminata. Conoscere in modo più approfondito la Sardegna vuol dire goderne a pieno lasciandosi sorprendere.

Alghero, la grotta di Nettuno
Arbus, le dune di Piscinas
Cagliari, il santuario di nostra signora di Bonaria
Caprera, la casa di Garibaldi 
La maddalena, l’isola di Squarciò
Orgosolo, il paese dipinto
Siddi, sa domu ’e s’orcu
Sassari, i resti del castello aragonese
Gianmichele Lisai
Nato a Ozieri, in provincia di Sassari, nel 1981. Editor e autore, ha collaborato con varie case editrici, scritto per antologie e riviste e curato, con Gianluca Morozzi, la raccolta di racconti Suicidi falliti per motivi ridicoli. Con la Newton Compton ha pubblicato 101 cose da fare in Sardegna almeno una volta nella vita, 101 storie sulla Sardegna che non ti hanno mai raccontato, 101 misteri della Sardegna (che non saranno mai risolti), Sardegna giallo e nera, Sardegna esoterica, I delitti della Sardegna e Misteri e storie insolite della Sardegna.
Antonio Maccioni
è originario di Scano Montiferro (Oristano). Laureato in Filosofia, è dottore di ricerca in Letterature comparate. Si è interessato di filosofia della religione, estetica, storia della filosofia russa e contemporanea. Ha lavorato nella redazione di alcune case editrici e si è occupato di cronaca locale. Con la Newton Compton ha pubblicato I tesori nascosti della Sardegna, Alla scoperta dei segreti perduti della Sardegna, 101 perché sulla storia della Sardegna che non puoi non sapere e, scritto con Gianmichele Lisai, Il giro della Sardegna in 501 luoghi.
LinguaItaliano
Data di uscita12 giu 2017
ISBN9788822707581
Il giro della Sardegna in 501 luoghi

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    Anteprima del libro

    Il giro della Sardegna in 501 luoghi - Gianmichele Lisai

    PRIMA PARTE

    I luoghi dell’archeologia

    Torralba (Santu Antine)

    1. Abbasanta, il nuraghe Losa

    Scavato per la prima volta dagli archeologi alla fine dell’Ottocento, il nuraghe Losa di Abbasanta è tra i più importanti resti – ha volumi compatti e raffinatezza nell’architettura – della civiltà nuragica dell’intera isola. Il mastio è accompagnato da un bastione trilobato con antemurale e cinta muraria, all’interno della quale si trovano alcune capanne circolari. Una grande capanna a torre del diametro esterno di oltre dieci metri, dotata di due ingressi, si trova nei pressi dell’ingresso del bastione: un pilastro in trachite rinvenuto al suo interno ha permesso di ipotizzare l’utilizzo in senso cultuale dell’intera area. Antonio Taramelli indagò il villaggio intorno al 1915; l’archeologo di Barumini Giovanni Lilliu mostrò negli anni Cinquanta particolare interesse rispetto ai materiali rinvenuti in più campagne di scavo. Gli studiosi individuano comunemente più fasi costruttive nel complesso di Abbasanta: il mastio sarebbe stato edificato tra il XV secolo e gli inizi del XIII a.C.; bastione, antemurale e ultime fasi della cinta tra XIII e XII secolo; la capanna principale tra la fine del XII secolo e gli inizi del IX a.C. Lo stesso sito sarebbe stato riutilizzato fino al secolo VIII d.C. anche a scopo funerario.

    2. Alà dei Sardi, il menhir Pedra de Lughia Rajosa

    Il menhir Pedra de Lughia Rajosa si trova vicino alla chiesetta di Sant’Antonio, nel territorio di Alà dei Sardi, piccolo centro della comunità montana del monte Acuto. Il suo nome deriva da un personaggio della tradizione leggendaria locale, ovvero, tradotto, da Lucia Rabbiosa, che in altre zone dell’isola prende il nome di Giorgia Rabbiosa conservando le medesime caratteristiche. Si tratta di una donna la cui indole varia da racconto a racconto: in certi casi è considerata una strega, in altri più rari un personaggio positivo, ma spesso legato alle pietrificazioni punitive, ragion per cui molte rocce dalle forme particolari, in Sardegna, prendono spesso questo nome, come nel caso del menhir di Alà dei Sardi. Si tratta di un monumento in basalto alto quasi tre metri, dotato di due mammelle sbozzate e, su un lato, di un’altra protuberanza raffigurante forse il neonato che, in grembo, viene allattato. Anche la Lucia e la Giorgia dei racconti, non a caso, sono descritte spesso con un neonato in braccio. Poco distante dalla stele antropomorfa si trova un altro monumento, formato da tre pietre fisse sulle quali è riposta una lastra di copertura con coppelle scolpite. Si tratta forse di un piccolo dolmen piuttosto rozzo o di un altare.

    3. Alghero, il complesso nuragico di Palmavera

    Il nuraghe di Palmavera, nel territorio comunale di Alghero, rientra nel perimetro del parco naturale regionale di Porto Conte. È un nuraghe complesso, formato da più torri, e come la maggior parte delle strutture polilobate è stato costruito in più fasi: la prima, quella in cui fu eretto il mastio (alto circa otto metri con un diametro di dieci), risalirebbe a un periodo compreso tra il XV e il XIV secolo a.C.; la successiva, che vide il restauro di questo edificio in calcare e l’aggiunta della seconda torre e della capanna per le riunioni, al IX secolo a.C.; la terza e ultima, in cui si completò il proto-castello con il bastione dotato di quattro torri periferiche, al IX-VIII secolo a.C. All’esterno della cinta muraria, si estende invece il villaggio a capanne, oggi comprendente poche decine di unità abitative che un tempo si pensa fossero tra le cento e le duecento. Dagli scavi degli studiosi, effettuati a partire dai primi anni del Novecento, è emerso che il complesso fu distrutto da un incendio, presumibilmente verso la fine dell’VIII secolo a.C., ma che l’area fu frequentata, anche se non stabilmente, nei secoli successivi.

    4. Alghero, la necropoli di Anghelu Ruju

    La necropoli prenuragica di Anghelu Ruju (3200-2800 a.C.), situata a nord di Alghero in località Li Piani, con i suoi trentotto ipogei è il più vasto complesso di domus de janas della Sardegna. Tutte le tombe, tranne la numero XXVI, sono composte da più vani. Alcune sono di perimetro tondeggiante, altre quasi rettangolari e molte presentano dei gradini all’ingresso. Le prime due camere, di dimensioni superiori, avevano forse funzione di tempio per cerimonie magico-religiose di carattere funerario. Le altre, invece, si pensa fossero destinate solo alle inumazioni e alcune sono state scavate a più riprese, per aggiungere nel tempo nuovi sepolcri, tra cui molti presentano cavità destinate, probabilmente, alle offerte e ai resti del pasto funebre o di quello che avrebbe dovuto accompagnare il defunto nel suo lungo viaggio verso il mondo ultraterreno, o ancora utilizzate per riporvi statuette votive e altri amuleti. Varie pareti erano poi decorate con l’ocra rossa e in molte camere sono presenti false porte che imiterebbero quelle delle abitazioni del tempo, o simbolicamente quelle che dovrebbero condurre il morto nell’aldilà. Inoltre, in questo luogo sacro sono state rinvenute incisioni magico-rituali di figure geometriche e sacre, come protomi taurine – stilizzazioni della divinità deputata a vegliare sull’anima della persona scomparsa – e statuette votive della dea madre.

    5. Alghero, lo scalo marittimo di Sant’Imbenia

    L’area archeologica di Sant’Imbenia sorge a poca distanza dal già citato complesso di Palmavera, in prossimità del mare, nella baia di Porto Conte tra Capo Caccia e Punta Giglio. Scavata negli anni Ottanta, ha portato alla luce i resti di un mastio con cinta muraria, di due torri minori e del circostante villaggio a capanne. Si tratta di un insediamento di origini nuragiche, costruito presumibilmente tra il Bronzo medio, per quanto riguarda l’edificio centrale, e la prima età del Ferro, per le strutture periferiche, ma utilizzato a lungo anche nei secoli successivi e da popoli diversi, come dimostrerebbe il rinvenimento di numerosi oggetti di manifattura fenicia dell’VIII-VII secolo a.C. circa e di manifattura nuragica dello stesso periodo: testimonianza di una convivenza pacifica tra i due popoli. È possibile che una colonia di fenici si fosse insediata nel villaggio coabitando con gli indigeni. La presenza di varie ceramiche di origine greca lascia supporre inoltre che questo fosse uno scalo marittimo commerciale molto importante, uno dei principali dell’isola fino alla sua decadenza risalente, si ipotizza, alla fine del VII secolo a.C.

    6. Armungia, il nuraghe omonimo

    Accanto al vecchio palazzo comunale, nei pressi del museo civico, in una piazzetta nel cuore del piccolo centro storico di Armungia – che porta peraltro lo stesso nome dell’antico monumento –, nella regione storica del Gerrei, si trova un nuraghe che ha finito per essere perfettamente inglobato nell’abitato. L’edificio collocato dagli studiosi nell’età del Bronzo è un monotorre dal diametro esterno di dodici metri circa – restaurato in modo piuttosto evidente nella parete d’ingresso –, con paramento murario che raggiunge adesso un’altezza massima di dieci metri. L’ingresso del monumento conduce a un corridoio di altezza crescente nei pressi dell’ingresso alla camera a thòlos: nell’ambiente circolare – che presenta due nicchie al suo interno – si apre il vano scala illuminato da uno spioncino e con ingresso a sezione ogivale, di cui si conservano poco meno di venti gradini che conducevano in passato al terrazzo. Il nuraghe è circondato dall’abitato la cui architettura richiama le origini agropastorali del centro: piccole case si affacciano sui cortili, su cui si aprono le stalle e i magazzini di un tempo.

    7. Arzachena, la necropoli neolitica di Li Muri

    I circoli megalitici di Li Muri, nelle campagne di Arzachena, rappresentano uno dei siti archeologici più importanti della Gallura. Sono formati da celle di pietra circondate da lastre infisse nel terreno, il tutto costruito con il granito della zona. Ogni cella corrispondeva a una sepoltura che veniva prima chiusa da una lastra, apparendo quindi come un piccolo dolmen cieco, e poi ricoperta di terra. Le pietre fisse intorno servivano per delimitare il tumulo e il complesso, visivamente, doveva apparire come un gruppo di montagnole, ognuna delle quali presentava un menhir, raffigurante forse la divinità. Al confine tra i vari circoli di pietra si trovano poi delle piccole cassette, dove veniva riposto presumibilmente il pasto del defunto, anche se, data l’esiguità dei resti ossei rinvenuti, non è possibile ricostruire con esattezza quali riti si celebrassero in questi luoghi. Anche la datazione è incerta: se in passato si riteneva che quella dei circoli megalitici galluresi fosse una cultura risalente a un periodo compreso tra il 3200 e il 2800 a.C., studi più recenti su alcuni reperti la collocherebbero tra il 3400 e il 3200 a.C.

    8. Arzachena, la tomba di giganti di Coddu Vecchiu

    Arzachena (Coddu vecchiu)

    Lungo la statale che collega Arzachena a Calangianus si trovano alcuni siti archeologici di notevole importanza e, in particolar modo, due tombe di giganti ben conservate e rappresentative di questa tipologia di sepoltura collettiva. Il primo monumento è quello di Li Lolghi che, come molti altri del genere, è stato sfruttato in più epoche. La sua costruzione fu avviata sulla base di un dolmen eretto, si ipotizza, intorno al 1800 a.C. circa e al quale in epoca nuragica fu collegato un corridoio lungo poco meno di dieci metri, destinato ad accogliere le spoglie dei defunti o, forse, soltanto le loro ossa. La parte frontale della struttura è formata da sette lastre infisse nel terreno (che in origine sarebbero state almeno il doppio), al cui centro si erge, per quasi quattro metri, una stele larga alla base circa due metri e mezzo. L’altra tomba è quella di Coddu Vecchiu o Capichera, anch’essa costruita a partire da un dolmen riutilizzato una prima volta nel 1800 a.C. circa e definitivamente trasformato dai nuragici un paio di secoli dopo. Sempre in quest’ultima fase venne aggiunta la stele, che con quasi quattro metri e mezzo d’altezza è la più alta tra quelle finora scoperte. Costituita da due blocchi incastrati tra loro, ha una base larga circa 190 centimetri ed è molto ben rifinita. Sempre i nuragici aggiunsero inoltre alla struttura originaria una piccola anticamera e ricostruirono tutta la fasciatura esterna del corridoio. La tomba di Coddu Vecchiu è forse quella meglio conservata dell’intera isola.

    9. Asuni, la necropoli di Budragas

    Ai piedi del monte San Giovanni, tra boschi di sughere e lecci e valli ombrose, nell’Alta Marmilla, Asuni conta oggi poco più di trecento residenti. In molti casi i cittadini conservano ancora la loro dimora nelle case di un tempo, affacciate su vie strette attraverso i tradizionali portali ad arco.

    Il nuraghe San Giovanni fin dai tempi antichi domina l’abitato dall’alto. Il territorio – con certezza abitato fin dal Neolitico – è del resto caratterizzato dalla presenza di numerose domus de janas, concentrate in massima parte nell’area della necropoli di Budragas, dislocata alla periferia del paese. Le tombe di cui si compone – certamente caratterizzate dalla presenza di particolari architettonici che ricordano le case dei vivi – vengono generalmente suddivise in due gruppi per caratteristiche e dimensioni: le domus più grandi – costituite da più ambienti comunicanti tra loro – fanno parte del primo gruppo; le domus minori con cella unica e dimensioni più contenute sono invece inserite all’interno del secondo gruppo. Si trova nelle vicinanze della necropoli una roccia sacra a forma di fallo, comunemente considerata un antico simbolo del potentissimo dio Toro.

    10. Ballao, il pozzo sacro di Funtana Coberta

    Dopo gli scavi guidati da Maria Rosaria Manunza, il sito in cui aveva già operato all’inizio del Novecento l’archeologo Antonio Taramelli – era il 1918 – è stato restaurato di recente da Giovanni Ugas. A Ballao, nel Sud della Sardegna, al confine con Armungia e Perdasdefogu, il pozzo sacro di Funtana Coberta è un tempio in massi calcarei – si conserva dell’elevato di superficie soltanto il profilo, con muro perimetrale a toppa di chiave – costituito da vestibolo a pianta rettangolare, scala discendente a dodici gradini con solaio gradonato e camera circolare con volta a thòlos. I materiali ceramici rinvenuti nel sito in tempi recenti si riscontrano in contesti nuragici del Bronzo recente e finale. Negli anni Ottanta del Novecento l’archeologa bulgara Dimitrina Mitova Djonova avrebbe riscontrato una notevole somiglianza tra un pozzo sacro situato nei pressi dell’abitato di Gârlo, frazione della città mineraria di Breznik, posta a duecento chilometri circa a nord dalle coste della Tracia e a quarantacinque chilometri da Sofia, il sito di Ballao e il pozzo di Santa Cristina a Paulilatino. Anche per questo non tutti gli studiosi oggi concordano sulla specificità strettamente sarda di strutture di questo tipo.

    11. Barumini, Casa Zapata

    Nei pressi della chiesa parrocchiale dedicata alla Beata Vergine Immacolata, un palazzo del Cinquecento sorge sulle mura delle torri svettate di un nuraghe, di recente riportato in parte alla luce. Ribattezzato dall’archeologo Giovanni Lilliu Su Nuraxi ’e Cresia – poiché sorge appunto nei pressi di una chiesa, cresia –, l’antico edificio è oggi comodamente visitabile grazie a un sistema di corridoi in legno e acciaio sopraelevati. Acquisita dal Comune di Barumini solo alcuni anni dopo la morte dell’ultima baronessa, Donna Concetta Ingarao Zapata, la reggia custodisce un nuraghe complesso trilobato, con mastio e tre torri perimetrali raccordate da cortine murarie rettilinee. La stratificazione culturale dell’area richiama il nuragico del Bronzo recente e del Bronzo finale e il periodo romano, con frequentazioni altomedievali e giudicali. Casa Zapata – circondata da uno splendido giardino e accompagnata da strutture un tempo adibite a magazzino, stalla e dimora del fattore –, costruita a partire dalla fine del XVI secolo, nacque come residenza dei baroni aragonesi di Las Plassas, Barumini e Villanovafranca, giunti in Sardegna al seguito dell’infante Alfonso che si preparava all’epoca alla conquista dell’isola. L’intera struttura è sede di un notevole polo museale, discretamente organizzato in tre livelli: archeologico, etnografico e storico-archivistico. Il percorso interno è dotato di postazioni multimediali in più lingue ed è fruibile anche da persone diversamente abili e con ridotta mobilità.

    12. Barumini, Su Nuraxi

    Scoperta e portata alla luce negli anni Cinquanta del Novecento dall’archeologo Giovanni Lilliu, l’area di Su Nuraxi – composta da un nuraghe complesso costruito a partire dal XV secolo a.C. e da un esteso villaggio di capanne sviluppatosi nei secoli successivi – è certamente tra le più conosciute e tra le più celebri dell’intera civiltà nuragica isolana. Il nuraghe è principalmente costruito in basalto, una pietra vulcanica piuttosto dura, proveniente dal vicinissimo altopiano della Giara: nel Bronzo medio, tra il 1500 e il 1300 a.C., compare la torre principale, composta originariamente da tre camere sovrapposte e alta circa diciotto metri; nel Bronzo recente, intorno al 1300-1100 a.C., sorge un corpo murario con quattro torri minori unite da cortine rettilinee, cui si aggiunge un cortile a semiluna provvisto di pozzo, ma sorgono nello stesso periodo anche il primo villaggio e una cintura muraria; nel Bronzo finale, intorno al 1000 a.C., si sviluppano altre torri nell’antemurale e la struttura viene ulteriormente modificata e rinforzata, mentre si estendono le abitazioni del villaggio, tra cui la non poco significativa capanna delle riunioni. È nell’età del Ferro che Su Nuraxi andò completamente distrutto: giunsero ai posteri le sue rovine come memoria di un glorioso passato. Dal 1997 il sito è considerato dall’UNESCO Patrimonio mondiale dell’umanità.

    13. Bidonì, il tempio di Giove

    Al di là di Boroneddu e Tadasuni, oltre il fiume Tirso, Bidonì dimora nella regione storica del Barigadu: la strada di Lochele in poche centinaia di metri conduce sul colle Onnariu fino al tempio di Giove, padre di tutti gli dèi. Un’epigrafe in loco fa risalire la struttura al 50 a.C.: in Sardegna – nel territorio dominato dalla macchia mediterranea dove dimorano numerose specie di uccelli stanziali e migratori – è l’unico edificio sacro campestre dedicato alla più grande e più importante divinità pagana. La struttura ha pianta rettangolare: il tempio è preceduto da una scalinata terrazzata, presso la quale è stato rinvenuto un altare rupestre in asse col prospetto dell’edificio. L’occupazione del sito stesso – per alcuni testimonianza oltre che della penetrazione delle legioni romane nell’isola anche di sincretismo religioso tra la divinità romana e la divinità indigena preistorica e protostorica del dio Toro – viene comunemente fatta risalire a un periodo compreso tra la fine del II secolo e la prima metà del I secolo a.C., come testimoniato da rari reperti rinvenuti in superficie.

    14. Bitti, il villaggio nuragico di Romanzesu

    Immerso tra le sughere dell’altopiano di Bitti, il complesso nuragico di Romanzesu è uno dei più importanti dell’intero territorio regionale. Interamente costruito con il granito della zona, è composto da numerose strutture con funzioni diverse, tra edifici di culto e unità abitative. Il fulcro dell’area è un tempio a pozzo, con pianta circolare e classica copertura a thòlos, databile tra il XIII e il IX secolo a.C. Una grande vasca, detta l’anfiteatro, aveva la funzione di raccogliere l’acqua del pozzo quando questa esondava. A circa cento metri di distanza troviamo il primo e più importante dei quattro templi a megaron, costruito in varie fasi tra il XIV e il IX secolo a.C. Tra le altre strutture è molto particolare una sorta di labirinto circolare risalente più o meno allo stesso periodo, dotato al centro di un basamento in pietra anch’esso circolare, che aveva probabilmente valore cultuale. Il villaggio, esteso per oltre sette ettari, contava un centinaio di capanne.

    15. Bonorva, la necropoli di Sant’Andrea Priu

    La necropoli di Sant’Andrea Priu (3500-2900 a.C.), interamente scavata in un costone di trachite della piana di Santa Lucia, a Bonorva, rappresenta una delle massime espressioni di domus de janas. Come spesso accadeva per monumenti analoghi, nel tempo fu riutilizzata e la tomba I, in particolare, fu trasformata da tempio pagano a chiesa cristiana. Detta del capo per via delle sue dimensioni, questa tomba si estende per circa 250 metri quadrati ed è composta da diciotto vani, tre più grandi collocati centralmente e quindici più piccoli che circondano i principali. Fu sfruttata prima dai romani, poi resa chiesa rupestre dai bizantini, consacrata nel 1313 e intitolata a Sant’Andrea. L’edificio religioso fu insediato nelle tre stanze maggiori: la prima fungeva da vestibolo, la seconda da sala per i fedeli e la terza da presbiterio. Le pareti interne furono affrescate con scene sacre mentre all’esterno, sulla stessa parete rocciosa che ospita le domus, troviamo il cosiddetto campanile, un monolito in trachite che, in realtà, riproduce il toro sacro dei popoli prenuragici. Sant’Andrea Priu rappresenta uno dei primi esempi di chiesa risalente al periodo delle persecuzioni.

    16. Bortigali, il nuraghe Orolo

    Situato nel territorio di Bortigali, un piccolo paese del Marghine, il nuraghe Orolo è uno dei meglio conservati della zona. Data la sua posizione predominante, come molte altre torri dell’isola è visib ile dalla strada. Si tratta di una struttura complessa formata da un mastio, alto quasi quattordici metri e disposto su due livelli, e da due torri minori. Intorno, come si è già detto per altri edifici analoghi, si sviluppava il villaggio a capanne. L’ingresso principale immette nella sala al piano terra, di pianta circolare, dotata di alcune nicchie e dalla quale parte la lunga scala che conduce al livello superiore, dove si trovano altre due nicchie e una feritoia per l’ingresso della luce. Le due torri minori, cui si accede dai rispettivi ingressi nel corridoio della principale, misurano poco più di cinque metri. Il complesso è di datazione incerta, ma alcune ceramiche rinvenute in loco lascerebbero supporre che sia stato costruito in più fasi tra il 1500 e il 900 a.C. e che il villaggio sia stato abitato fino al periodo romano prima di decadere intorno al V secolo.

    17. Cabras, Mont’e Prama

    A circa due chilometri dallo stagno di Cabras, lungo la strada che conduce da San Salvatore a Riola Sardo, si trova alla base del colle omonimo la necropoli di Mont’e Prama. Individuata nel 1974, venne alla luce già nelle prime campagne di scavo con decine di tombe e sepolture, ricoperte da oltre 5000 frammenti di materiali scultorei provenienti da statue maschili e altri elementi in calcare arenaceo, modelli di nuraghe, betili. In tempi più recenti sono state identificate 28 statue frammentarie: 16 pugilatori, 5 arcieri e 5 guerrieri. L’ipotesi più accreditata è che la necropoli rappresentasse uno spazio funerario riservato a un gruppo familiare dominante nella società dell’epoca, nella prima età del Ferro. L’esposizione dei preziosi e suggestivi reperti si sviluppa temporaneamente nei poli del museo archeologico nazionale di Cagliari e del museo civico di Cabras, che custodisce appunto tre pugilatori, due arcieri, un guerriero e quattro modellini di nuraghe. La scoperta straordinaria ha finito con l’insidiare di recente il dominio dei nuraghi stessi nell’immaginario sulla Sardegna, dove gli occhi magnetici dei Giganti ammaliano, incantano.

    18. Cabras, Tharros

    Sulla punta più estrema della penisola del Sinis – il mare aperto da una parte, il golfo dall’altra – sorge tra i resti di un villaggio nuragico dell’età del Bronzo una città fenicio-punica risalente all’VIII secolo a.C., più tardi spodestata da un’articolata città romana. Governata dai vandali e dai bizantini, poi coinvolta in incursioni barbaresche, Tharros divenne capitale del giudicato d’Arborea poco tempo prima del suo abbandono. Gli scavi archeologici avviati dalla seconda metà degli anni Cinquanta del Novecento hanno rivelato una zona piuttosto ampia dell’abitato romano, la necropoli, gli edifici termali, la via del cardo maximus che correva nei pressi della città da nord a sud. Le strade in arenaria di epoca fenicio-punica vennero lastricate dai romani con blocchi di basalto: sulla destra svetta adesso la torre spagnola di San Giovanni, le rovine scendono verso il mare dall’altra parte. All’età punica risalgono tre templi, la città muraria e il tophet, il santuario rimasto in uso fino all’arrivo dei romani, dove gli archeologi hanno recuperato centinaia di urne contenenti ceneri di bambini e neonati miste a ceneri di animali.

    19. Cagliari, la necropoli di Tuvixeddu

    Frequentata dalla preistoria ai giorni nostri, l’area archeologica di Tuvixeddu – collocata a Cagliari sul colle omonimo tra l’attuale viale Sant’Avendrace e via Is Maglias – ha restituito sepolture e reperti materiali, corredi funebri, pitture murali: nell’area tra il colle e Santa Gilla sono stati riportati alla luce oggetti in selce e ossidiana risalenti al Neolitico antico, fondi di capanne; la zona, che porta i segni evidenti del passaggio della civiltà punica, venne riutilizzata dai romani, che realizzarono tra l’altro il celebre sepolcro della grotta della Vipera. L’area venne riutilizzata persino nell’Ottocento e alcune grotte – accanto ad altri presidi militari – si trasformarono in rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale. Furono i cartaginesi a caratterizzare la zona realizzando un vero e proprio cimitero, straordinaria testimonianza per l’intero bacino del Mediterraneo delle loro pratiche funerarie: Tuvixeddu secondo l’interpretazione prevalente significherebbe appunto colle dei piccoli fori. Un’area destinata alla sepoltura dei bambini, il tophet, si trova nella regione di San Paolo. Le tombe ipogeiche di Tuvixeddu – erano a pozzo con accesso verticale, i defunti venivano inumati e più raramente cremati – furono utilizzate tra il VI e il III secolo a.C.: le celle destinate ai trapassati sono ancora oggi in alcuni casi decorate finemente e affrescate.

    20. Carbonia, il Parco archeologico di Monte Sirai

    L’area archeologica di Monte Sirai, nei pressi di Carbonia, nel Sud della Sardegna, comprende l’abitato fondato verso la metà dell’VIII secolo a.C. dai coloni fenici: la città raggiunge il suo splendore tra il VII e il VI secolo a.C. per poi essere rasa al suolo dai cartaginesi e quindi ricostruita e fortificata dagli stessi più tardi. Dopo la conquista romana dell’isola, il sito resta in uso fino alla fine del II secolo, quando viene abbandonato. L’area comprende, oltre all’abitato, il tophet – luogo sacro in cui erano sepolte le ceneri dei bambini – e la necropoli di età fenicia e punica, nonché diversi ipogei funerari punici. All’interno del parco si trova il nuraghe Sirai col villaggio che fonde elementi autoctoni con altri di origine fenicia, a evidenziare la possibile convivenza dei due popoli in quest’area intorno all’VIII secolo a.C. Gran parte dei reperti relativi agli scavi di Monte Sirai sono conservati presso il Museo Villa Sulcis di Carbonia dove si possono osservare parte del tophet ricostruito, corredi funerari completi e una vasta gamma di reperti del sulcitano collocabili tra il neolitico antico e l’epoca bizantina. Anche il Museo Barreca di Sant’Antioco offre numerose testimonianze della presenza fenicia e punica, e non solo, nel Sulcis, custodendo magnifici reperti dell’area dell’antica Sulky.

    21. Cheremule, la grotta di Nurighe

    A sud di Cheremule, un piccolo paese della Sardegna nord-occidentale, troviamo la grotta di Nurighe, particolarmente importante perché nella seconda metà degli anni Novanta ha prodotto alcuni reperti che hanno ridefinito la storia della presenza umana sull’isola. Qui è stata rinvenuta, infatti, una falange umana risalente a circa 250.000 anni fa. L’antichissimo antenato dei sardi, ribattezzato Nur, è collocabile nella scala evolutiva tra l’Homo erectus e l’uomo di Neanderthal. Prima di questa scoperta le più antiche tracce dell’uomo in Sardegna rimandavano a un periodo compreso tra 36.000 e 10.000 anni fa. Come Nur fosse giunto sull’isola non può essere determinato con certezza, ma al tempo le terre emerse occupavano una superficie maggiore, la Sardegna e la Corsica formavano un unico blocco ed erano molto vicine all’attuale Toscana. Il passaggio da una regione all’altra era quindi piuttosto agevole, ma non si può escludere che Nur fosse un indigeno, discendente di antenati giunti molto prima di lui, magari nel corso del grande esodo dei progenitori della razza umana che più di un milione di anni fa si mossero dall’Africa.

    22. Cuglieri, Cornus

    Sull’altopiano di Campu ’e corra, nel territorio comunale di Cuglieri tra i borghi di S’Archittu e Santa Caterina di Pittinuri, si trovano adesso i resti dell’antica città-stato fondata dai cartaginesi nel VI secolo a.C. L’acropoli di Cornus dimora sulla collina di Corchinas, circondata nelle zone pianeggianti dai resti dei quartieri abitativi e artigianali che hanno restituito nel tempo reperti materiali e sepolture. Durante la seconda guerra punica, il centro fu avamposto della rivolta sardo-punica contro i romani del 215 a.C. guidata dal valoroso Ampsicora, prima della conquista di Tito Manlio Torquato. Si trovano nel sito i resti di un antico impianto termale. Un’epigrafe citata da Alberto La Marmora nell’Ottocento e andata perduta è stata ritrovata nel maggio del 2015: realizzata col calcare bianco usato anche per le statue di Mont’e Prama, tra le lettere di difficile interpretazione si pensa contenga una dedica a un sacerdote addetto al culto degli imperatori divinizzati. Sorge nel tardo antico presso Cornus il complesso cristiano di Columbaris, del quale sono stati individuati tre edifici basilicali e un’area cimiteriale, non lontano dai resti forse appartenuti a un antico palazzo episcopale.

    23. Dorgali, il sito archeologico di Tiscali

    Il sito archeologico di Tiscali si trova nella parte della valle di Lanaitto che rientra nel territorio comunale di Dorgali, e si raggiunge al termine di un percorso piuttosto impervio nella natura selvaggia. Il villaggio, unico nel suo genere, è costruito all’interno di una vasta dolina e i suoi resti sono riemersi in seguito al disboscamento della zona. Secondo gli studiosi la valle sarebbe stata abitata fin dal Neolitico, ma solo a partire dal XV secolo a.C. l’uomo si sarebbe insediato nella grande grotta. L’abitato è diviso in due parti: una composta da circa quaranta capanne circolari di dimensioni piuttosto grandi, l’altra da una trentina di strutture rettangolari di dimensioni inferiori. Sebbene le destinazioni d’uso fossero con tutta probabilità differenti, gli edifici erano realizzati con i medesimi materiali: blocchi di calcare e argilla per le basi in muratura e coperture ricavate da tronchi e rami. Gli scavi, purtroppo, hanno riportato alla luce scarsi reperti di età nuragica e romana, più poche tracce che documentano una frequentazione del sito anche in epoca medievale. Si pensa che questo luogo fosse una sorta di villaggio-rifugio del popolo sardo che vi si arroccava all’interno per sfuggire all’avanzata dei popoli con intenzioni di dominio sull’isola.

    24. Esporlatu, il nuraghe Erismanzanu

    Il nuraghe Erismanzanu (XVI-XIII secolo a.C.), immerso tra le campagne di Esporlatu – il più piccolo comune della regione storica del Goceano –, è uno dei monotorre più particolari dell’isola. Ottimamente conservato, ha pianta circolare e si sviluppa per circa otto metri d’altezza nella classica forma troncoconica. L ’ingresso architravato immette in un corridoio dotato di nicchia che conduce alla stanza principale, dove si trovano altre tre nicchie e un profondo vano scavato nel pavimento utilizzato, si ipotizza, come dispensa. Tramite una scala elicoidale si dovrebbe accedere alla camera superiore, oggi impossibile da raggiungere proprio per via della peculiarità di questo monumento: al di là dell’aspetto puramente architettonico, infatti, l’edificio è reso caratteristico dall’imponente leccio che, cresciuto nella terrazza, svetta all’esterno coprendo parte delle possenti mura in trachite. L’archeologo Antonio Taramelli, grande conoscitore dell’isola che aveva diretto in Sardegna numerosi scavi, annoverava il nuraghe Erismanzanu tra i più belli della regione.

    25. Esterzili, il tempio di Sa domu de orgia

    A un paio di chilometri dal complesso archeologico di Santa Vittoria, sul monte omonimo, nel territorio di Esterzili, nella Barbagia di Seulo, si trova il più grande tempio a megaron della civiltà nuragica. Risalente al Bronzo recente, sarebbe sorto al di sopra di un villaggio preesistente. Racchiuso da un recinto di cui oggi si conserva soltanto un filare, il tempio è preceduto da un vestibolo da cui si accede a due diversi ambienti che presentano ancora evidenti tracce di battuto sul pavimento. L’edificio ha struttura piuttosto regolare – lunga circa ventidue metri e larga quasi otto – composta da blocchi di scisto disposti su più filari per un’altezza residua di quasi due metri e mezzo. Venne qui rinvenuto durante gli scavi archeologici un tesoretto di età romana, segno di una evidente frequentazione dello stesso sito durante epoche storiche successive. Ma Sa domu de orgia è piuttosto nota anche per il rinvenimento di un consistente numero di bronzetti votivi rappresentanti una vera e propria scena nuragica: un personaggio con la stola che – secondo gli studiosi – sostiene un cervo da offrire alla divinità e offre

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