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Non posso resisterti
Non posso resisterti
Non posso resisterti
E-book259 pagine3 ore

Non posso resisterti

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Info su questo ebook

Men of Inked Series

Izzy Gallo rifiuta categoricamente ogni riferimento al "sesso debole". Crescere con quattro fratelli, uno con l'ego più smisurato dell'altro, ha finito per temprarle il carattere. È impetuosa, selvaggia e orgogliosa, e ha giurato a sé stessa che non permetterà mai a un uomo di dirle cosa fare. Preferisce di gran lunga gettarsi a capofitto in relazioni poco impegnative dal punto di vista sentimentale. Almeno fino a quando la sua strada non incrocia quella di James Caldo, un agente federale antidroga che in quanto a cocciutaggine non ha nulla da invidiare ai fratelli Gallo. E dal momento che Izzy l'ha stregato, è disposto a tutto per dimostrarle che una sola notte non gli basta.

Chelle Bliss
è un'autrice bestseller di USA Today. Si definisce una perditempo, dipendente dai social network e dalla caffeina, con una passione smodata per i gatti e i cattivi ragazzi.
LinguaItaliano
Data di uscita14 ott 2019
ISBN9788822738691
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    Anteprima del libro

    Non posso resisterti - Chelle Bliss

    Capitolo 1

    Flash è un fottuto coglione

    Izzy

    L’arrivo a Daytona fu un’esperienza indimenticabile. Tutto il lungomare era costellato di file sterminate di moto, pollastrelle e tipi cazzuti. Flash e io arrivammo al nostro squallido albergo, che almeno sembrava pulito e aveva un letto. Ridacchiai quando intravidi la vecchia macchinetta a gettoni che lo faceva vibrare. Avremmo trovato un modo per usarla a nostro piacimento.

    Dopo aver gettato a terra il bagaglio, collassai sul materasso bitorzoluto. Le vibrazioni della moto accumulate in tre ore di viaggio continuavano a farsi sentire, mentre fissavo la macchia marrone sul soffitto.

    «Ehi, piccola». Flash strisciò sopra di me, schiacciandomi con tutto il suo peso. «Voglio assaggiarti un po’ prima di andare là fuori». Mi riempì di baci delicati sul collo, mordicchiandomi il lobo dell’orecchio.

    Gemetti, attorcigliandogli le dita nei capelli. «Sai cosa mi piace», sussurrai, tirandoglieli. «Fammi stare bene». Non volendo perdere tempo, gli premetti la testa contro di me.

    «Non lo faccio sempre?». Si leccò le labbra, mentre mi sbottonava i jeans.

    «A-ha. Di solito, sì». Gli feci un sorrisetto, sollevando il sedere per permettergli di sfilarmi i pantaloni.

    Flash era bello. Non somigliava per niente al ragazzino scheletrico con cui giocavo a palla durante la ricreazione. I suoi occhi celesti, il sorriso irresistibile e il fisico scolpito mi facevano venire l’acquolina in bocca. Ero certa di non essere l’unica ragazza a divertirsi con il suo bellissimo uccello storto – non rotto, ma semplicemente ricurvo. Non era né troppo largo né troppo grosso, assolutamente perfetto. Ogni suo colpo raggiungeva i punti giusti, e non ne avevo mai trovato uno altrettanto valido. Era quella la ragione per cui lo accoglievo ben volentieri nel mio letto.

    Fece volare i miei jeans nella stanza, prima di accovacciarsi in mezzo alle mie gambe. «Niente mutandine», borbottò, baciandomi sul bassoventre. «E vedo anche una bella pista di atterraggio. Tu sai come farmi impazzire».

    «Solo per te», mentii.

    In Florida era appena iniziata la stagione della prova costume. Non mi sarei fatta trovare con la peluria incolta o i tagli da lametta, neanche morta. Tirai su le ginocchia, puntando i piedi sul copriletto.

    Flash mi annusò, un luccichio nei suoi occhi. «Cavolo, il tuo odore è più buono di quanto ricordassi. Hai la patata più dolce che ci sia, Iz. Assolutamente fantastica». Tirò fuori la lingua e mi sfiorò il clitoride, afferrandomi per i fianchi per tenermi ferma.

    Un brivido di piacere mi scosse tutta e inarcai la schiena, spingendo la testa contro il materasso. Fui pervasa da una sensazione di calore in tutto il corpo, quando Flash, appiccicato a me, prese a succhiarmi là sotto. Abbandonando le ginocchia sul letto, me ne stavo lì davanti a lui, con le gambe divaricate, desiderando molto più della sua bocca.

    Fece scivolare le sue mani sotto il mio sedere, strizzandolo rudemente e massaggiandolo con le dita. Succhiava e leccava, senza smettere di guardarmi. Avevamo gli occhi incollati l’uno all’altra, mentre lui sfregava la mia apertura.

    «Sei così bagnata, piccola. Vedo che ti sono mancato parecchio».

    «Basta parlare, Flash». Il mio corpo era estremamente sensibile per via del lungo viaggio in moto. Alla minima carezza delle sue labbra le mie gambe erano attraversate da piccole scosse che mi facevano arricciare le dita dei piedi. «Fammi venire e forse ti lascerò ficcare dentro l’uccello».

    «È mia», mormorò, con la bocca su di me e infilandomi due dita dentro.

    Urlai, il piacere dato dalla sua lingua era troppo intenso. Mi succhiò con un ritmo costante, penetrandomi con le dita, finché non gridai in preda a un orgasmo mozzafiato.

    «Ora tocca a me, Izzy». Mettendosi seduto, Flash mi dette una pacca sulla coscia.

    «Avevo detto forse». Chiusi gli occhi, persa nella confusione post-orgasmo.

    «È mia. Niente forse. Me la sono guadagnata», mormorò, allargandomi ancora di più le gambe.

    Gli feci un sorrisetto malizioso, richiudendole. «Non ti sei guadagnato proprio un bel nulla. Leccarmi la passera era la tua ricompensa».

    «Te lo metterò nel culo, allora, ma qualcosa mi prendo», disse, girandomi a pancia in giù.

    Allungai una mano all’indietro, coprendomi il sedere con le mani. «Oh, no, nemmeno per sogno!». Gridai. Poi sentii un dolore acuto alle chiappe, mentre il suono della sculacciata che mi aveva appena rifilato riecheggiò nella stanza.

    «Lo so che vuoi il mio bel cazzo, Izzy. Non fare la preziosa. Non ci crede nessuno».

    Mi misi a ridere contro le coperte, quando il materasso si sollevò, liberato dal peso del suo corpo. Aprì il suo borsone sulla vecchia scrivania di legno accanto al televisore. Indossava un paio di blue jeans. Guardò nello specchio e catturò il mio sguardo, voltandosi con un preservativo in mano.

    «Ti piace quello che vedi, piccola?»

    «Tutto nella norma», mormorai, fingendo di non essere per nulla impressionata. Mi piaceva eccome quello che vedevo, ma non glielo avrei confessato mai e poi mai, abbassando così la guardia.

    Con un sorriso, si sbottonò i jeans e se li abbassò sulle gambe, per poi lanciarli via. Il suo cazzo ballonzolò mentre si tirava su, salutandomi con tutto il suo rigido splendore. Con i denti, Flash strappò l’involucro del preservativo, srotolandoselo sul membro duro e ricurvo, prima di avvicinarsi al letto.

    «Non ti togli nemmeno la maglietta?», gli chiesi, fissandogli l’uccello. Dopodiché mi sforzai di guardarlo negli occhi.

    «Tu non l’hai fatto». Mi indicò, con un sorrisetto del cazzo.

    Non me ne era importato nulla della maglietta. Tutto ciò che volevo era la sua bocca sulla mia passera e l’orgasmo che avevo agognato per tutto il viaggio verso Daytona. «Rimedio subito. Tu, via dal letto e togliti tutto», ordinai, sfilandomi la canotta dalla testa.

    Afferrò il retro del collo della maglietta e se la sfilò, esponendo la tartaruga sull’addome. Cazzo. Era uno spettacolo. Poi strisciò sul letto, l’uccello che ondeggiava e un fottuto sorrisetto sul volto.

    «Lo so che lo vuoi. Hai bisogno del mio cazzo più di quanto tu lo voglia ammettere, Izzy. Nessuno ti fa venire come me», mi sussurrò all’orecchio, sfregando la lunga mazza su di me. «Lo vuoi?»

    «Se credi di essere all’altezza», lo sfidai. Adoravo quando Flash sentiva il bisogno di dare prova di sé. Ce la metteva tutta, mi scopava meglio che poteva e si superava ogni volta.

    «Te lo faccio vedere io, Izzy. Sto per mostrarti come scopa un vero uomo». Si mise in piedi sul letto, tirandomi per i fianchi. «Culo in su, principessa», disse, sculacciandomi l’altra chiappa.

    Ridacchiai contro la coperta. Schiacciando lo stomaco contro il materasso, sollevai in aria il sedere, dimenandolo.

    «Non muoverti», ordinò, facendo calare un altro schiaffo sulla chiappa già dolorante.

    Le risate divennero incontrollabili, mentre affondavo ancora di più la faccia nelle coperte, cercando di non ferire il suo orgoglio. Flash era figo. Ma quanto ad autorevolezza? Neanche un po’. Lo lasciai calare nella parte, solo per il piacere di sentire il suo uccello all’interno.

    Entrò dentro di me con un unico, rapido colpo. Mi affondò le dita nei fianchi, penetrandomi. Gemetti ogni volta che la punta del suo cazzo sfregava contro il mio punto G. Strinsi le lenzuola nel pugno, chiusi gli occhi e cercai di ricordarmi di respirare. Il suo corpo rimbalzava contro il mio, sbattendomi fino in fondo per poi tornare indietro. Mentre urtavamo l’uno contro l’altro, la mia capacità di mantenermi in posizione con il sedere sollevato cominciò a vacillare. Allungai le mani, afferrandogli le caviglie, per riuscire a mantenere i nostri corpi vicini.

    Appoggiò il palmo della mano sul mio fondoschiena e posizionò un dito sul buco che non gli avevo mai concesso. Aprii gli occhi, guardando dietro. Lui mi sovrastò, mettendomi una mano sui fianchi, i suoi addominali che si contraevano e si rilassavano, e un rivolo di bava colò dalle sue labbra. Strizzai gli occhi, cercando di rilassare i muscoli, mentre mi spargeva la saliva sulla pelle.

    «Cazzo», mormorò, tirando fuori l’uccello e spingendo il pollice nell’ano.

    Mugolai, affondando le unghie nelle sue caviglie; volevo sentire il suo cazzo dentro di me. Lo ficcò dentro con forza, riempiendomi così entrambi gli orifizi. Tutto il mio corpo fu pervaso dal piacere, mentre entrava e usciva da entrambe le parti, muovendosi senza un ritmo preciso e scopandomi nella più assoluta perfezione.

    «Chi ti sta scopando, Izzy? Voglio sentirti gridare il mio nome». Si fermò.

    Biascicai qualcosa, incapace di proferire parola.

    Spinse con il pollice ancora più in profondità, girandolo in alto a mo’ di uncino. «Come mi chiamo?», ringhiò, sfilando l’uccello.

    «Flash. Cazzo, Flash», risposi tutto d’un fiato, affondando la faccia nella coperta.

    Mi colpì, le palle che sbattevano contro il clitoride e la mazza ricurva che sfregava il punto G, mentre il pollice mi accarezzava l’ano. Il secondo orgasmo mi squarciò senza preavviso, mentre ripetevo il suo nome.

    Rimasi lì sdraiata ad ansimare, mentre a poco a poco il mondo tornava nitido ai miei occhi. Le mani intorno alle sue caviglie scivolarono giù mentre io diventavo creta tra le sue mani. Flash accelerò il ritmo, sbattendomi un altro paio di volte, prima di appoggiarsi con il petto sulla mia schiena in preda agli spasmi. Ansimava dietro di me e cercava di riprendere fiato. I nostri corpi erano appiccicati l’uno all’altro, in un bagno di sudore.

    «Cazzo, tesoro. Mi sei mancata», mi disse affannato all’orecchio, mentre la sua mazza scivolava fuori.

    «Mi è mancato il tuo uccello, Flash». Ridacchiai, guadagnandomi una rapida pacca sul sedere. Iniziai a scendere dal letto, pronta ad andare in città e a uscire da quella stanza squallida.

    Flash mi afferrò per il piede. «Dove te ne vai?», mi chiese, tirandomi a sé.

    «Voglio farmi una doccia e uscire. Non vedo l’ora di divertirmi un po’». Sospirai.

    «Stai qui con me solo un minuto. Sono stanco e voglio abbracciarti». Mi tirò indietro, stringendomi forte al petto e strofinandomi la faccia sul collo.

    Mi rilassai tra le sue braccia. Lui sembrava stare veramente bene, ma io non ero andata fin là per un weekend di coccole. Flash e io non avevamo mai costruito quel tipo di relazione.

    «Vuoi ancora la mia passera questo fine settimana? Se sì, allora riposati mentre mi faccio la doccia e porto a spasso il mio culo. Sono stata chiara?». Lo guardai, vedendo solo i suoi occhi mentre mi mordeva la spalla.

    Mi lasciò andare, spingendomi via dal letto. «Cosa cazzo aspetti? Vai a farti la doccia, fanciulla».

    Risi, afferrando la borsa e mostrandogli il medio. La fica era il grande stabilizzatore e vinceva sempre quando c’era bisogno di avere la meglio su un tipo che credeva di essere l’uomo della situazione.

    Quando mi aveva detto che mi avrebbe portato in giro e mostrato la città, non credevo che intendesse anche il bar di motociclisti più squallido di tutta Daytona Beach. Il posto puzzava di sigaretta; c’era una gran cappa all’interno. Un gruppo stava suonando dentro a una gabbia, come nel film Il duro del Road House. Attraversai la porta d’ingresso insieme a Flash. Il pavimento era lurido e gli uomini all’interno non sembravano avere un aspetto migliore.

    «Evita le tue battute irriverenti che mi piacciono tanto, quando parleremo con quei tipi, d’accordo?». Flash piegò un sopracciglio verso di me, guardandomi immobile come una statua in attesa di una mia risposta.

    «Io non sono irriverente», insistetti, incrociando le braccia al petto.

    «Tesoro, lo sei, e mi piaci da morire così». Il suo sorriso si allargò, facendomi ricordare perché lo chiamavano Flash. Aveva un sorriso perfetto, con dei denti brillanti e bianchissimi, in grado di far calare le mutandine a qualsiasi ragazza. Mi faceva fare cose impensabili e non riuscivo mai a digli di no. «In questo bar, con questi tipi, non è proprio il caso. Capito? Sto cercando di entrare nella banda e non approverebbero».

    Feci scivolare il braccio intorno ai suoi fianchi, guardandolo negli occhi celesti. «Ricevuto. Me ne starò in bella vista e in silenzio?».

    Mi mise un braccio intorno alle spalle e mi fissò. «Questi tipi sono fatti così. Se non ti piace qualcosa che dicono, tu resta in silenzio».

    L’ultima cosa che desideravo era fare la bella statuina che scompariva sullo sfondo. Non era così che ero stata cresciuta. «Chiariamo una cosa, Flash. Sei figo e tutto quanto, ma io non resto nell’ombra per nessuno. Chiaro?»

    «Porca puttana», mormorò, sfregandosi la faccia.

    «Per questa volta mi calerò nella parte, solo per te, ma ascoltami bene, bello. Non sono la puttanella della banda né tantomeno la tua donna. Non so esattamente cosa cavolo siamo, ma se vuoi qualcosa di più di quell’accidenti che abbiamo…». Agitai la mano in aria. «Non me ne starò zitta e buona come una stupida cretina».

    «Datti una calmata, signorina», gracchiò, stringendomi il polso. «Non penso questo di te. È solo per loro». Rivolse lo sguardo al tavolo pieno di uomini dall’aspetto rude a circa sei metri di distanza. Sapevo gestire uomini grandi e massicci. Non mi avevano cresciuta come una mammoletta. «Ti prego, fallo per me e ti assicuro che verrai ricompensata bene», disse, ammiccando con le sopracciglia e rivolgendomi un sorrisetto presuntuoso.

    «Non farò scenate e non me ne andrò, ma sappi che sei in enorme debito con me». Liberai il polso dalla sua stretta.

    «Tutto quello che vuoi, Izzy. Lo sai». Il suo sguardo si addolcì.

    «Sfrutterò il silenzio per farmi venire in mente qualcosa di veramente grandioso». Passai le dita sul piccolo accenno di peli che gli spuntava a ridosso della gola.

    «Grandioso è nella mia indole». Rise e mi prese per mano, trascinandomi verso il tavolo.

    «Imbecille», borbottai, mentre lo seguivo.

    Si voltò e disse: «Ti ho sentito».

    Quando improvvisamente si fermò, urtai la sua schiena e la sensazione fu quella di sbattere contro un muro di mattoni. Mi servii del suo corpo come scudo da quegli uomini al tavolo. Non sapevo se avessi un interruttore per spegnermi, ma quello non era decisamente il posto giusto per verificarlo. Dovevo solo tenere gli occhi bassi e pregare che quello scambio di convenevoli durasse poco.

    Flash si allungò sopra il tavolo, stringendo le mani a tutti, mentre io me ne stavo dietro di lui e fingevo di essere invisibile – cosa che non avevo mai fatto per nessuno. Mai.

    Quando aveva detto di volermi portare alla Bike Week a Daytona Beach per il fine settimana, mi ero subito immaginata la sensazione del vento tra i capelli, della sabbia tra le dita dei piedi e una mandria di motociclisti attraenti. Cosa poteva esserci di male in quello?

    Non mi ero aspettata questa situazione, e non mi piaceva proprio per niente. Flash l’avrebbe pagata profumatamente per questa stronzata del rimanere in bella vista e in silenzio.

    «E chi abbiamo qui?», domandò una voce sgradevole, distraendomi dai miei pensieri su come torturare Flash.

    Flash si irrigidì e fece per prendermi la mano, strattonandomi al suo fianco. «Lei è Izzy, la mia donna». Strinse la presa sul mio polso.

    Lo guardai male.

    E che cazzo! Non ero la sua donna. Avevamo un accordo, ma definire le cose indecenti che facevamo una relazione era esagerare un tantino. Gli rivolsi un’occhiataccia e vidi tremargli l’angolo della bocca.

    «Che bel bocconcino. Izzy è il diminutivo di Isabella?».

    Mi voltai verso il genio e sfoderai il sorriso più falso di cui ero capace. «Esatto». Ingoiai le altre parole che volevo dirgli, continuando a sorridere come un’idiota.

    Non era un brutto uomo per la sua età. Aveva i lunghi capelli grigi tirati all’indietro in una coda bassa, che metteva in risalto i suoi occhi smeraldo. Un’ombra di barba sale e pepe gli incorniciava le labbra sottili. Assomigliava un po’ a un Babbo Natale strafatto. Il gilè sopra la t-shirt nera aveva lo stesso taglio di quello che indossava Flash, ma aveva più toppe – inclusa una che indicava il suo status di vicepresidente.

    «Perché non ti siedi con noi a bere qualcosa?». Picchiettò con la mano sulla sedia vuota accanto a lui, senza togliermi gli occhi di dosso.

    Flash mi passò davanti e fece per sedersi, ma il vicepresidente gli afferrò il braccio.

    «Dicevo a lei, idiota. Non a te».

    Flash rimase di sasso, con il culo sospeso sulla sedia. «Oh, scusa, amico».

    Che razza di uomo permetterebbe a un altro uomo di parlargli così? Il modo in cui gli aveva detto idiota non era lo stesso che usavano i miei fratelli quando si chiamavano imbecille o coglione. Il disprezzo di quell’uomo nei confronti di Flash era più che evidente dal tono che aveva usato, ma Flash fece come gli aveva detto, come un bravo soldatino.

    Scivolai sulla sedia di legno, mentre Flash mi afferrava per la spalla. «Grazie», sussurrai, appoggiando le mani in grembo.

    «Il mio nome è Rebel», disse, portandosi la mia mano alla bocca e passandoci sopra le sue labbra ispide. «Questi sono i miei compagni». Si portò la mia mano sulla gamba, dandoci dei colpetti sopra, e poi afferrò la birra.

    Flash strinse più forte la mia spalla, ma non osai alzare lo sguardo.

    Merda. Come ci ero finita in quella cazzo di situazione? Flash era uno stupido bastardo. Avrei dovuto dare retta a Joe e Mike, ma per l’ennesima volta non lo avevo fatto.

    «Ehi», dissi, dando una lenta occhiata intorno al tavolo. Cercai di non soffermarmi troppo a lungo su nessuno di quegli uomini.

    Mi risposero all’unisono «ehi» e mi sorrisero – eccetto uno di loro. I lunghi capelli gli nascondevano il viso, mentre armeggiava con l’etichetta della bottiglia. Non era amichevole o ospitale nei miei confronti come gli altri. Tutt’altro, mi stava evitando.

    «Allora, Isabella», disse Rebel, attirando di nuovo la mia attenzione. «Posso chiamarti così? Non ti dispiace, vero?». Invase il mio spazio personale, strizzandomi la coscia. Il puzzo di sigaretta e birra stantia mi entrò nelle narici.

    Flash mi stringeva la spalla e Rebel continuava a tenermi la mano sulla coscia. Sapevo che

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