Milionario cerca aiuto: Harmony Jolly
Di Susan Meier
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Susan Meier
Americana dell'Iowa, riesce a conciliare i suoi interessi con la famiglia e l'attività di scrittrice.
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Anteprima del libro
Milionario cerca aiuto - Susan Meier
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Nanny for the Millionaire’s Twins
Harlequin Mills & Boon Romance
© 2012 Linda Susan Meier
Traduzione di Carlotta Picasso
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-233-4
1
Chance Montgomery fermò il SUV davanti alla cancellata di ferro nero. Digitò il codice di accesso e i battenti si spalancarono come due braccia che danno il benvenuto a una persona cara.
L’ampio viale che conduceva alla proprietà di sua madre era fiancheggiato da alti alberi le cui foglie, come sempre in ottobre, avevano i classici colori dell’autunno: rosso, giallo e dorato.
La casa di Pine Ward in Pennsylvania dove era cresciuto, dalla facciata in pietra scura, era esattamente come la ricordava. Se ne era andato a diciotto anni, anzi, era scappato da quella vita che non sopportava più, fatta di menzogne, inganni, tradimenti e, ironia della sorte, ritornava per le stesse ragioni per le quali era fuggito.
La donna che aveva creduto essere l’amore della sua vita lo aveva lasciato quando aveva saputo di essere incinta di due gemelli. Liliah non era mai stata innamorata di lui. Si era servita di Chance solo per arrivare dove si era prefissa, ma la gravidanza aveva intralciato i suoi piani e così lo aveva abbandonato. Aveva aspettato di partorire, poi si era presa cura dei bambini per i primi sei mesi, e dopo, esaurito a suo dire il proprio compito di madre, si era presentata alla sua porta con i neonati, dichiarando di non aver più intenzione di occuparsi di loro. Erano passate solo due settimane da quel giorno.
Liliah aveva rinunciato ai propri figli senza alcun rimpianto. E lui che si era illuso che potesse amare i bambini pur non amando lui! Che idiota era stato.
Avrebbe dovuto imparare la lezione anni prima, quando era stato ingannato da uno dei suoi genitori: sapeva di essere stato adottato e invece aveva scoperto che il suo padre adottivo in realtà era il suo padre biologico.
Parcheggiò la macchina di fronte a uno dei garage e scese in fretta.
Come se fosse stata lì ad aspettarlo da ore, sua madre gli corse incontro.
«Chance, mio caro!» gridò, accogliendolo con un caldo sorriso.
Aveva i capelli bianchi tagliati corti, indossava dei pantaloni neri con un dolcevita dello stesso colore e una collana di perle a impreziosirle il collo. Elegante, raffinata, alla moda. Impeccabile. Una vera signora.
Lo abbracciò con trasporto, stringendolo al petto come quando era bambino e quando si staccò da lui, i suoi occhi luccicavano. «Sono così felice che tu sia tornato a casa.»
Chance si schiarì la gola, sperando di riuscire a dire la stessa cosa, ma la verità era che non era affatto contento di essere tornato, non era contento che la madre dei suoi bambini avesse scelto di non far parte delle loro vite e non era contento di essere stato ingannato e ferito dalle persone che credeva gli fossero più vicine.
Tutte eccetto Gwen Montgomery, sua madre, la moglie devota di suo padre che era stata ingannata a sua volta e che pur scoprendo il tradimento del marito, non aveva mai smesso di amarlo.
«È bello essere a casa» mentì.
Non voleva deludere la donna che aveva di fronte e che sembrava sprizzare gioia da tutti i pori ora che lui era tornato.
«Allora... dove sono i gemelli? Non vedo l’ora di vederli.» Gwen batté le mani impaziente.
Chance si avvicinò allo sportello posteriore della macchina e in quel momento vide uscire dal portone di casa una ragazza alta, dai capelli rossi, dai grandi occhi marroni, dalle labbra piene e dal naso piccolo. Indossava una semplice camicetta bianca, dei pantaloni grigi e delle scarpe nere che lui notò perché erano particolarmente brutte.
«Vieni Tory. Ti presento mio figlio Chance. Lei è Victoria Bingham, ma preferisce essere chiamata Tory. È la bambinaia. Mi sono presa la briga di assumerla perché ho immaginato che avresti avuto bisogno di una mano con due bambini tanto piccoli.»
In un’altra circostanza Chance avrebbe stretto la mano che la ragazza gli tendeva, invece si voltò verso sua madre. «Ti avevo detto che voglio crescere i bambini per conto mio. Sono venuto qui per avere il tuo aiuto, non quello di un’estranea.»
Gwen allargò le braccia con un’espressione indecifrabile sul viso. «Io ti aiuterò lo stesso, ma avrai bisogno di una babysitter per le faccende più pratiche come il cambio dei pannolini, la pappa e così via.»
«Sono in grado di cambiare i pannolini. Non sai quante volte l’ho fatto in queste due ultime settimane. Questi bambini sono stati abbandonati dalla loro mamma. Non voglio che perdano anche il loro papà.»
«Oh, tesoro, non permetteremo che queste due creature crescano senza amore. Anche tu hai avuto una babysitter per i primi quattro anni di vita e non credere che ti abbia amato meno solo perché avevo assunto una persona che fosse in grado di aiutarmi nei momenti di maggior stanchezza.»
Chance scosse la testa. Sua madre gli aveva dimostrato di amarlo in mille modi e non l’aveva mai deluso.
«Ti renderai presto conto che non potrai fare a meno della babysitter. Vedrai che si rivelerà un aiuto prezioso.»
Lui sospirò. «Può darsi» bofonchiò, aprendo il portellone.
Sam, indispettito per essere stato legato al seggiolino tanto a lungo, urlò indignato mentre la piccola Cindy gorgheggiava allegra.
«Oh, tesoro, sono due bambini splendidi!»
Sono davvero due meraviglie, pensò Tory Bingham osservando i due bambini biondi dagli occhi azzurri.
Si trovava in quella casa, in quella famiglia, non per sua volontà, ma per l’insistenza dei suoi genitori che volevano aiutarla a riprendere in mano la sua vita.
Dopo anni di interventi chirurgici e lunghe sedute di fisioterapia per recuperare la mobilità della gamba sinistra che si era rotta a causa di un incidente motociclistico, si era ritrovata isolata dal mondo. Finalmente adesso riusciva a camminare anche se le occorreva il supporto di speciali scarpe ortopediche. Era anche in grado di guidare e si augurava anche di ricominciare a correre. Ora che aveva riacquistato una certa indipendenza, aveva sperato di poter trascorrere del tempo insieme al suo fidanzato, ma non si era ripreso dall’incidente ed era ancora ricoverato in una clinica di riabilitazione.
A venticinque anni non aveva alcun reddito sul quale contare e nemmeno un’assicurazione sanitaria. Tutte le sue spese mediche erano state coperte dall’assicurazione di Jason, ma in seguito a tutti gli interventi aveva superato il tetto massimo e non poteva più ricorrere a quella polizza.
I suoi genitori, nonostante non fossero dello stesso ceto sociale della famiglia Montgomery, li conoscevano e gli avevano chiesto se c’era qualche possibilità per Tory di lavorare nella loro famiglia e lei non aveva potuto rifiutare l’offerta di Gwen che era stata felice di assumerla come babysitter dei propri nipotini.
E adesso il figliol prodigo era tornato e dichiarava di non aver bisogno di lei. Meglio così. Avrebbe trovato un altro impiego, a meno che...
Quei neonati erano adorabili, due piccoli angeli che non riusciva a smettere di guardare.
«Adesso li slego» dichiarò Chance, infilando la testa nell’abitacolo.
Gwen si affrettò a girare intorno alla vettura con il rimorchio sul quale era stata caricata una motocicletta nera.
«Ti aiuto. Prendo Cindy, tu occupati di Sam.» Dopo un attimo Gwen chiese l’intervento di Tory. «Ti dispiace darmi una mano? Non riesco a slegare la cintura di sicurezza.»
«Certo, signora» rispose lei. Dopotutto nessuno l’aveva ancora licenziata.
Aggirando il rimorchio, ebbe un tuffo al cuore. In un attimo rivisse l’incidente e i momenti terribili che erano seguiti. Aveva quasi perso una gamba e il fidanzato. Non riusciva più a guardare una motocicletta senza rabbrividire.
«Svelta, Tory!»
Lei scrollò le spalle ed entrò con metà corpo nella vettura, armeggiando con la chiusura. A pochi centimetri dal suo viso, due occhioni azzurri la scrutavano. Dalle labbra uscivano delle bollicine di saliva. Quella era Cindy, la bambina più bella che avesse mai visto. «Ehi! Ciao» la salutò.
In risposta la piccola emise dei gorgheggi. «Sei bellissima» mormorò Tory, prendendola in braccio.
Per la prima volta dopo l’incidente, si sentì rinascere. Stringere quella piccola creatura al petto le scaldò il cuore, ma Gwen, impaziente di avere la nipote tra le braccia, corse a prenderla.
«È un piacere conoscerti, Cindy. Io sono la tua nonna, Gwen.»
Tory arcuò le sopracciglia. Possibile che Gwen non avesse mai visto i suoi nipoti? Sapeva che Chance era andato via anni prima, ma credeva che avessero appianato da tempo i dissapori.
«Coraggio! Portiamoli in casa mia» ordinò la nonna.
«Mamma, temo che sia necessario cambiare il pannolino a Sam. Sarà meglio andare prima nel cottage.»
«Va bene» sospirò lei delusa.
«Il viaggio è stato lungo e visto che li cambio, approfitterò per farli mangiare.»
«Sì certo» rispose sua madre, felice di avere di nuovo suo figlio con sé. «Veniamo anche noi due.»
Lui lanciò un’occhiata a Tory che non si lasciò intimidire dal suo sguardo penetrante. Alto, magro, capelli neri, occhi azzurri, profondi ma diffidenti, era il classico ragazzo tenebroso e affascinante.
Buon inizio! pensò lei con sarcasmo.
Aveva lavorato come babysitter solo durante l’estate ai tempi in cui frequentava il liceo e mai a tempo pieno. Avere a che fare con un padre sospettoso non prometteva nulla di buono, ma non aveva niente da cui difendersi anche se la prospettiva di vivere con lui la preoccupava.
«Chance, rifletti!» lo esortò la madre a cui non era sfuggita la sua occhiataccia. «Se Tory resta, non dovrai alzarti nel cuore della notte per occuparti dei gemelli, o se lo farai, il lavoro sarà dimezzato. Ti serve un aiuto, credimi» insistette.
Lui si accarezzò la nuca. Quanto gli aveva appena detto sua madre era incontestabile. «D’accordo, venite con me tutte e due.»
Legarono di nuovo i gemelli ai seggiolini e salirono in macchina. Tory si sedette in mezzo ai bambini, lasciando che Gwen prendesse posto davanti, accanto al figlio.
Imboccarono un vialetto di mattoncini che tagliava un boschetto alle spalle della proprietà padronale e che s’inoltrava in una zona solitaria dove la vegetazione era molto fitta. Il sole faticava a filtrare tra i rami degli alberi, ma una volta superata la barriera del fogliame, punteggiava di luce il suolo, disegnando delle forme irregolari.
Tory cominciò a preoccuparsi. Quel posto era troppo isolato. Avrebbe detto a sua madre che quell’impiego non le interessava, che voleva prendersi cura di Jason per aiutarlo a recuperare la sua forma fisica. Non voleva essere segregata in un cottage con un uomo che nemmeno conosceva.
Si fermarono davanti a una casa a un piano, troppo grande