Innamorati recidivi: Harmony Collezione
Di Daphne Clair
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Info su questo ebook
Paige e Jager si rivedono dieci anni dopo aver divorziato e la fiamma della passione, mai sopita, torna ad ardere irresistibile. Nonostante le riserve mentali di entrambi, i due riscoprono di essere una splendida coppia d'innamorati. Paige teme però che lui provi per lei soltanto attrazione fisica, mentre Jager paventa un nuovo abbandono da parte di lei. Tuttavia il rischio di una nuova dolorosa separazione dimostra a entrambi quanto sia forte il sentimento che li lega.
Daphne Clair
Autrice residente in Nuova Zelanda, ha scritto la sua prima novella alla tenera età di otto anni.
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Anteprima del libro
Innamorati recidivi - Daphne Clair
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
His Trophy Mistress
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2001 Daphne Clair
Traduzione di Alessandra Gucciardo
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2004 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-131-7
www.harlequinmondadori.it
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1
Gli sposi avanzavano fieri lungo la navata, verso la porta della chiesa. Dietro di loro, Paige Camden, testimone della sposa, sorrideva mentre teneva d’occhio la damigella di cinque anni, che rischiava a ogni passo di calpestare lo strascico.
Paige si chinò a trattenere con una mano la spalla della bambina, in modo da farla rallentare un poco. Poi si rialzò e diede uno sguardo distratto ai banchi più vicini. Quando vide un paio di occhi color verde smeraldo, ebbe un sussulto.
Non si aspettava certo di vedere Jager Jeffries a quel matrimonio!
Lui era sempre bellissimo, con quegli occhi magnifici che contrastavano con il colorito olivastro. I lineamenti decisi facevano pensare a un qualche lontano antenato Maori.
I capelli scuri e ondulati, un tempo ribelli, erano stati domati da un taglio accurato, di certo costoso tanto quanto il vestito elegante. Il ragazzo sbandato che Paige aveva conosciuto era diventato un raffinato signore di trentuno anni. Dieci anni prima, Paige lo aveva amato con una passione tanto intensa da diventare distruttiva.
Sconvolta da quell’incontro inaspettato, si fermò di scatto, incapace di proseguire.
«Paige, stai bene?» le domandò a bassa voce il testimone dello sposo, chinandosi verso di lei.
Il corteo nuziale si era allontanato, e il resto degli ospiti aspettava con impazienza che Paige si muovesse.
«Sì, sì. Ho solo inciampato nel vestito» rispose lei, riprendendo a sorridere.
A fatica distolse lo sguardo da quegli intensi occhi verdi. Scosse un poco la lunga gonna di un delicato colore pastello e avanzò di un passo, sostenuta dal testimone.
Giunsero sul sagrato, illuminato da un fulgido sole di fine inverno a Auckland. Il fotografo indicò a ciascuno il posto da occupare intorno alla coppia di sposi per la tradizionale foto di gruppo.
Paige continuò a sorridere mentre gli scatti fotografici si susseguivano ininterrottamente, e sorrideva ancora quando giunsero al ristorante dove si sarebbe tenuto l’affollato pranzo di nozze. Prese posto al tavolo degli sposi.
A quel punto, la mascella cominciava a dolerle a furia di sorridere in quel modo vacuo, e aveva i nervi tesi come corde di violino. Quando le versarono un bicchiere di vino, lei fece un gesto un po’ brusco per prenderlo e si versò una goccia sul vestito di seta,sporcandolo.
Allora inumidì l’angolo del tovagliolo con l’acqua fredda del bicchiere che aveva davanti a sé e cercò di cancellare la chiazza che si era formata. Rimase solo un piccolo alone, che Paige strofinò con la parte asciutta del tovagliolo. Da lontano, nessuno si sarebbe accorto di quella macchiolina.
Si rese conto che qualcuno la stava fissando, ma si disse che era solo la sua immaginazione a farle credere di poter sentire lo sguardo di Jager su di sé. Probabilmente, quell’impressione ingannevole era dovuta ai ricordi che lui aveva risvegliato.
Tuttavia era così agitata, che perfino i cibi più raffinati non avevano gusto, al suo palato. Paige ne mangiò pochi bocconi, accompagnandoli con grandi sorsate di vino per ingoiarli.
Tenne la conversazione con i commensali quasi senza rendersene conto, brindò e applaudì sempre al momento giusto, senza sbagliare. Per quasi tutto il ricevimento riuscì, almeno in apparenza, a ignorare la presenza di Jager. Ma alla fine, nonostante vedesse ben poco senza gli occhiali, non resistette alla tentazione di scrutare verso il fondo della sala, per controllare se Jager fosse ancora là.
Lui c’era.
Sedeva a un tavolo poco distante, e sembrava assolutamente a proprio agio. Come se si aspettasse lo sguardo di Paige, lui le sorrise e sollevò il bicchiere verso di lei, accennando a un brindisi. Anche se Paige non vedeva bene, non le sfuggì l’intensità dello sguardo di Jager.
Strinse con forza il bicchiere, ma deliberatamente non rispose a quel gesto. Guardò invece Jager con aria severa, come se gli rimproverasse di essere presente proprio il giorno del matrimonio di sua sorella Maddie.
Ma se lui c’era, qualcuno doveva averlo invitato di certo. Sicuramente non era stata Maddie. Sua sorella non le avrebbe mai fatto uno sgarbo del genere. Jager doveva per forza essere uno degli invitati dello sposo, Glen Provost. Però, come faceva Glen a conoscere Jager? E Maddie, sapeva quali erano i rapporti fra i due uomini? Perché mai allora la sorella non l’aveva avvertita della presenza di lui?
Jager appoggiò di nuovo il bicchiere sulla tovaglia. Le dita stringevano il gambo del calice di cristallo, e le labbra erano atteggiate a un sorriso lieve da cui Paige non riusciva a staccare lo sguardo.
Per la seconda volta, quel giorno, lei fu costretta ad abbassare gli occhi. Il cuore le batteva all’impazzata contro il vestito che all’improvviso sembrava troppo stretto. Respirò profondamente, attirando l’attenzione del testimone dello sposo, che le fissò sfacciatamente il seno e poi alzò lo sguardo al viso.
Paige sapeva bene di non avere un volto attraente,secondo i canoni più comuni.
Non che fosse brutta, aveva solo lineamenti insignificanti. Gli occhi erano castani tendenti al verde, il naso non aveva niente di particolare, la carnagione era chiara ma non particolarmente bella. Sua sorella, invece, era splendida.
Maddie aveva grandi occhi azzurri, la bocca carnosa, il naso all’insù e una cascata di riccioli biondi di cui Paige era invidiosissima.
Per anni, Paige aveva tentato di arricciare i propri capelli lisci e scuri, o almeno di acconciarli in qualche maniera, ma alla fine si era arresa e adesso li portava a caschetto corto, naturali.
Molto tempo addietro si era resa conto che era inutile competere con Maddie. Paige aveva sembianze comuni, ed era inutile illudersi che le cose potessero cambiare. Era già abbastanza fortunata a non essere brutta, si diceva, e ad avere un bel corpo. Certo, sua sorella sembrava più procace, pur avendo le stesse misure di Paige, ma Maddie era molto più bassa della sorella maggiore, che era alta un metro e settantacinque.
In compenso, Maddie non aveva mai dovuto temere di diventare una giraffa, a dodici anni, né sua madre le aveva mai detto che il trucco non può fare miracoli su un viso insignificante. Meglio valorizzare il corpo, e cercare di far passare in secondo piano una faccia poco attraente, consigliava invece a Paige.
Mentre gli sposini tagliavano la torta, sua madre le si avvicinò e le sussurrò: «Che cosa ci fa Jager Jeffries qui? Tu sapevi che sarebbe venuto?».
«Non so perché sia qui, non sapevo che sarebbe venuto» rispose lei, sottovoce.
Margaret Camden serrò le labbra, e gli occhi azzurri come quelli di Maddie si velarono di disappunto. «Non riesco a credere che la famiglia di Glen abbia rapporti con quell’individuo!» esclamò.
Quando gli sposi ebbero finito di tagliare la torta,la distribuirono fra gli ospiti. Paige li aiutò, ma si tenne ben distante dal tavolo a cui era seduto Jager.
Finita la distribuzione della torta, Paige prese la trousse del trucco e si avviò verso il bagno.
Ritoccò il rossetto, controllò che l’ombretto e il mascara non fossero sbavati, infine si mise gli occhiali. Ora che non c’erano più foto da scattare, non aveva motivo di tenerli in borsetta. Avrebbe dovuto indossare lenti a contatto, in occasioni come quella, ma per quanto avesse tentato più volte di metterle, Paige non era mai riuscita ad abituarcisi.
Quando tornò nella sala del ricevimento, si pentì di avere indossato gli occhiali. Jager, infatti, era proprio vicino alla porta, e lei non poteva fare ameno di vederlo.
Sapeva, con un senso di ineluttabile predestinazione, che lui la stava aspettando, che l’aveva seguita. Per un attimo ne fu felice, ma subito represse quel sentimento.
Per un istante entrambi rimasero immobili. Paige guardò a lungo Jager in viso, cercando di capire che cosa stesse pensando, tuttavia lui non tradiva alcuna emozione.
Allora Paige prese l’iniziativa. Sorrise e disse disinvolta: «Ciao, Jager. Non sapevo che tu conoscessi Glen».
«Non lo conosco, infatti. Non molto bene, almeno. È una lunga storia» aggiunse, vedendo lo sguardo sorpreso di lei.
«Sono certa che è anche interessante, però me la racconterai un’altra volta» tagliò corto Paige.
Cercando di darsi un contegno, accennò ad allontanarsi, ma lui l’afferrò per un braccio. Paige sentì un tuffo al cuore.
«Quando?» le domandò Jager in tono brusco, senza preamboli.
Lei dovette aspettare di calmarsi un poco, prima di ribattere: «Quando che cosa?».
«Quando potrò vederti?»
«Perché vuoi vedermi?»
Jager distolse lo sguardo, come a prendere le distanze. «Per ricordare i vecchi tempi e per aggiornarci su quello che è accaduto nel frattempo» disse infine.
Due donne e un uomo uscirono dalla sala. Chiacchieravano e ridevano mentre si dirigevano verso i bagni. Jager li guardò spazientito, mentre si spostava per lasciarli passare. Subito tornò vicino a Paige.
«Non ce n’è affatto bisogno» ribatté lei.
«Ah, certo, ma io sono curioso. Tu no?» le chiese, infilando le mani in tasca con un gesto nervoso.
«No» rispose Paige, ma mentiva.
Altre persone arrivavano dalla sala, tuttavia Jagerle ignorò. «Dai,