Un giorno a Pechino (eLit): eLit
Di Daphne Clair
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Daphne Clair
Autrice residente in Nuova Zelanda, ha scritto la sua prima novella alla tenera età di otto anni.
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Un giorno a Pechino (eLit) - Daphne Clair
successivo.
1
Pechino, in cinese Beijing, era l'ultimo posto in cui Felicia avrebbe immaginato d'incontrare Joshua Tagget.
Era arrivata in Cina dalla Nuova Zelanda la sera prima, stravolta dal cambio di fuso orario e dalla mancanza di sonno. Dopo aver fatto colazione in camera era scesa nella hall per incontrarsi con la guida e i suoi compagni di viaggio, ma si sentiva ancora frastornata. Così, quando aveva visto quegli occhi intensi color ambra, aveva creduto di soffrire di allucinazioni. Aveva smesso di sognare Joshua Tagget, grazie al cielo, alcuni anni dopo gli avvenimenti che le avevano sconvolto la fanciullezza.
Lo vide assumere un'espressione interrogativa e capì che non l'aveva riconosciuta. Del resto era più che naturale. Ormai aveva venticinque anni e la romantica, sensibilissima tredicenne che lui aveva conosciuto, era svanita da tempo.
Joshua aveva incarnato il suo ideale di uomo. Un sogno di adolescente che aveva risvegliato i primi palpiti di sensualità e le fantasie più proibite. Per fortuna aveva avuto il buonsenso di nascondere il proprio interesse, tenendolo racchiuso in sé come un meraviglioso segreto finché quel fragile sentimento non si era infranto dolorosamente in mille pezzi.
Non era cambiato. Forse aveva le spalle più ampie, ma era sempre agile e scattante come una magnifica pantera. Sottili rughe intorno agli occhi conferivano maturità al fascino dei lineamenti classici e maggior sensualità alla bocca grande e ben disegnata. Anche così, però, sembrava molto più giovane dei suoi... Eh, sì, doveva avere circa trentasette anni.
«Signorina Felicia Stevens?» chiese la guida, scrutando in mezzo al gruppo di turisti.
Lei si fece avanti, l'espressione un po' scioccata da quell'imprevisto ritorno del passato, il cuore in gola nel timore che lui la riconoscesse. La stava fissando, lo sguardo incuriosito, divertito, persino un po' intrigante.
La guida, una graziosissima cinese sottile e aggraziata con un caschetto di capelli corvini, porse a Felicia una targhetta con il nome e uno zainetto identico a quello che avevano già in mano gli altri. «Chiamatemi Jenny o Jen se preferite» dichiarò con un sorriso, tornando poi a leggere la sua lista. «Signor Joshua Tagget?»
«Eccomi!» Joshua staccò con riluttanza lo sguardo da Felicia, sorrise a Jenny e si chinò a prestare ascolto a una signora.
La sua risata profonda le fece pulsare il sangue alle tempie. Non l'aveva riconosciuta. Non aveva idea di chi fosse.
Si sarebbe dovuta sentire sollevata. Invece provava solo rabbia. Era come se lui avesse cancellato con un colpo di spugna quell'estate di tanti anni prima. Un brutto ricordo da lasciarsi alle spalle. Qualcosa che lei non avrebbe mai potuto fare.
«Si sente bene, cara?» Una signora di mezz'età dall'accento americano le sfiorò delicatamente un braccio.
Doveva essere impallidita. «Sì, grazie. Fa molto caldo.»
«È vero. Spero che sul pullman ci sia l'aria condizionata.»
Jen stava raccogliendo i suoi protetti indirizzandoli verso la porta. «Venga, signorina Stevens» la incitò, notando che non si era mossa.
Felicia fu tentata d'inventarsi una scusa. Poteva anche contattare l'agenzia e farsi spostare in un altro gruppo...
«Signorina, ha dimenticato qualcosa?»
No, non ho dimenticato niente. Se solo potessi!
Joshua Tagget, invece, sembrava aver dimenticato tutto.
D'altro canto aveva già pagato il viaggio e fare cambiamenti o chiedere rimborsi a quel punto non sarebbe stato semplice.
«No, no» rispose, forzando un sorriso. E la seguì all'esterno.
Il pullman era già pieno. Joshua si era sistemato vicino al finestrino e accanto a lui, ovviamente, aveva preso posto la donna più carina del gruppo. Una bella brunetta dai lunghi capelli neri, occhi verde smeraldo, un corpicino perfetto. Superandoli, Felicia si chiese se stavano insieme o se lei ci stesse solo provando.
La signora americana batté sul sedile accanto al suo. «Se vuole, può accomodarsi qui. Sono sola.»
«Grazie.» Anch'io, pensò con una punta di tristezza. Era così da anni e di solito non se ne dava pensiero. Forse era il fatto di trovarsi in un paese straniero e in mezzo a sconosciuti che aveva provocato quell'improvviso attacco di malinconia.
«Mi chiamo Maggie. Maggie Price. E tu sei Felicia. Un nome davvero carino e ti si addice.»
Lei sorrise, scostandosi dal viso una ciocca di capelli color miele scuro. «È molto gentile.»
La porta si chiuse con un sospiro e l'autista si allontanò dall'albergo, strombazzando per avvertire i ciclisti che affollavano la strada.
La donna accanto a Joshua si alzò per scattare qualche foto, chinandosi in modo tale da offrirgli una visione suggestiva della scollatura.
Furba la ragazza, si disse Felicia. Lei non era così dotata, ma non poteva nemmeno lamentarsi. Dopo un periodo terribile in cui si era sentita alternativamente un mostro meccanico per l'apparecchio ai denti e un ragno, vista la lunghezza nonché la magrezza degli arti, aveva sviluppato una figura notevole, invidiata da molte amiche sempre alle prese con problemi di peso.
I corti color miele, venati di sprazzi di luce ramata, mettevano in evidenza i grandi, vellutati occhi blu dall'espressione spesso assorta.
Il motore del pullman protestò vivacemente quando l'autista sterzò di colpo per evitare un carretto carico di ceste di vimini. Maggie Price trattenne il fiato, mettendosi una mano sul petto, ma dimenticando subito la paura alla vista delle mura della Città Proibita.
Uscendo nel sole abbagliante, Felicia indossò subito il cappello di paglia e gli occhiali scuri, sperando che anche la brunetta in compagnia di Joshua facesse lo stesso. Aveva una pelle chiarissima in contrasto con quella abbronzata di lui. Formavano una coppia sensazionale.
Pena e collera le torsero lo stomaco. Assurdamente. Non poteva certo aspettarsi che l'uomo passasse il resto della sua vita a piangere fatti di dodici anni prima. Ma non era nemmeno giusto che sembrasse così distaccato e indifferente.
Quasi avesse sentito l'intensità del suo sguardo, si volse verso di lei, costringendola a interessarsi a quanto stava dicendo la guida mentre precedeva il gruppo verso la famosa piazza Tian'anmen.
Nei grandiosi cortili di pietra alcuni giardinieri vestiti di nero rimuovevano erbacce in un perenne lavoro di restauro. E mentre attraversavano un'enorme terrazza diretti verso l'area che ospita i palazzi posteriori, utilizzati privatamente dagli imperatori Ming, Felicia immaginò dignitari cinesi vestiti sontuosamente e stuoli di servitori ubbidienti.
Sulla soglia del Palazzo della Purezza Celeste, intenta a fotografare il meraviglioso paravento dietro al sontuoso trono d'oro, si trovò accanto a Joshua Tagget. Le loro braccia si sfiorarono per un attimo e lei si ritrasse di scatto.
«Scusi» mormorò lui, girando la testa. Gli occhi dallo sguardo penetrante si attardarono una frazione di secondo di più, esaminandola con ammirazione.
Abbozzando un sorriso tirato, Felicia si allontanò stringendo le mani spasmodicamente intorno alla borsa. Come sarebbe riuscita a stargli vicino per ben tre settimane?
Sapere che comunque non aveva idea di chi fosse era un sollievo. Non le restava che evitarlo il più possibile e far finta di non averlo mai incontrato. Permettergli di rovinarle tutto il divertimento di quella vacanza sarebbe stato sciocco.
Attraverso la Porta della Tranquillità Celeste si accedeva ai magnifici Giardini Imperiali dove piante e alberi secolari davano un'illusione di frescura. A quel punto si fermarono per riposare un poco e Jenny indicò loro due alberi intrecciati. «Si chiamano alberi dell'amore.»
Joshua rise piano.
Eh, sì, tu puoi ridere dell'amore. È sempre stato un gioco per te.
Ma non era stato un gioco per Genevieve. La sua sorellastra era morta per amore mentre Joshua ne era uscito incolume.
Lasciarono la Città Proibita trasferendosi al Palazzo D'Estate, residenza estiva degli imperatori, con il più grande dei parchi imperiali e quello meglio conservato. Era arrivata l'ora giusta per uno spuntino e la guida li portò nel ristorante Tin Li Guan, il Padiglione per Ascoltare il Canto degli Usignoli.
«Non è fantastico!» esclamò Maggie.
«Incantevole» concordò Felicia, sedendosi a debita distanza da Joshua Tagget. Rimase molto sorpresa nello scoprire di essere affamata quanto assetata e mentre gustava i deliziosi gamberetti piccanti, affondati in un letto di riso, cercò di dimenticare la sua fastidiosa presenza.
Il locale estremamente pittoresco sorgeva sulla riva di un lago e dopo pranzo fecero una breve gita sulle acque placide a bordo di una barca dalla prua a forma di drago e col tettuccio a baldacchino. Soffiava una piacevole brezza profumata di fiori che all'improvviso le rubò il cappello e, se non fosse stato per una mano forte e abbronzata, sarebbe sicuramente finito in acqua.
Alcuni risero, altri applaudirono. Felicia si alzò in piedi imitata da Joshua. Fecero qualche passo uno verso l'altro. Lui le porse il cappello sorridendo. «Lo fermerei con il nastro se fossi in lei.»
«Sì, grazie.» Lo prese e ritornò al proprio posto.
La seguì, un'espressione pensosa in volto, scrutandola con un'intensità che la mise a disagio.
«Mi rendo conto che non è una frase originale» incominciò guardingo. «Ma l'ho già incontrata da qualche parte?»
Felicia deglutì prima di rivolgergli un'occhiata indifferente. «Ha ragione» mormorò con voce gelida. «Non è affatto originale.»
Poi girò la testa, osservando il panorama. Maggie borbottò qualcosa in tono di rimprovero mentre qualche esponente del sesso forte guardò Joshua con simpatia.
Lei non poteva vedere il suo viso, ma la sua risata dolce e smorzata le accarezzò i capelli mentre si allontanava.
«Sembra un giovanotto a modo» osservò Maggie poco dopo.
«Ne sono sicura» rispose, mentendo a denti stretti. Sapeva bene che era una bugia.
«Hai qualcuno a casa?» le chiese Maggie incuriosita.
«No. Ma non m'interessa. Ecco tutto.»
L'altra si volse verso Joshua, in piedi a poppa della barca. «Be', lascia che te lo dica. Sei parecchio difficile di gusti. Se avessi dieci, quindici anni di meno...»
Lei scoppiò a ridere e subito ebbe addosso gli occhi cupi di lui.
Fece fatica a distaccarsene malgrado tutto.
Dopo aver ammirato i tesori d'avorio e di giada nel palazzo che sorgeva proprio sulla sponda del lago, Maggie e alcuni membri del gruppo decisero di passeggiare lungo il