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Una Miss al pianoforte
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E-book250 pagine7 ore

Una Miss al pianoforte

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1820 - Intrappolata all'ombra della notorietà della madre, Miss Marianne Domville non si sente parte della società bene londinese. L'unico suo conforto è la musica e il suo amato pianoforte. Almeno finché Sir Warren Stevens porta un brivido di eccitazione proibita nella sua esistenza solitaria. Attraverso la scrittura, l'ex medico della Marina sfugge i crudeli ricordi legati alla guerra e quando sperimenta la forza d'ispirazione che la musica di Marianne stimola in lui decide che una collaborazione tra loro porterebbe più vantaggi che scandali. Saranno sufficienti le sue lusinghiere parole, i suoi sguardi ammirati e la sua vicinanza a convincerla che quella sia la giusta strada per entrambi di trovare l'amore?
LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2017
ISBN9788858963777
Una Miss al pianoforte

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    Anteprima del libro

    Una Miss al pianoforte - Georgie Lee

    successivo.

    1

    Inghilterra, settembre 1820

    Il silenzio venne squarciato dallo schianto della porcellana che andava in frantumi.

    Miss Marianne Domville si girò e vide Lady Elling-ton, Contessa Madre di Merrell, a terra, distesa tra i frammenti di una grossa ciotola di porcellana cinese che pochi istanti prima si trovava sul bordo del tavolo al centro di una stanza, nella quale la gentildonna era entrata per ammirare i dipinti alle pareti.

    «Lady Ellington!» Marianne si precipitò al suo fianco. «Vi sentite bene?»

    Mrs. Stevens, una recente conoscenza, si inginocchiò accanto alla contessa e insieme l'aiutarono a mettersi seduta. Lì vicino notarono una grossa scheggia di porcellana con i margini macchiati di rosso nel punto in cui si era conficcata nel braccio di Lady Ellington.

    «Io... io non lo so» balbettò la gentildonna. Teneva la mano premuta contro la ferita, e il sangue filtrava tra le dita scorrendole lungo il gomito e macchiando i guanti di seta. «Sono inciampata su qualcosa e cadendo ho urtato la ciotola.»

    «Lasciatemi vedere.» Marianne si sporse per dare un'occhiata alla ferita, ma Lady Ellington si girò. «Non devi preoccuparvi» protestò con voce scossa, «si tratta solo di un graffio, niente di più.»

    «Permettete che gli dia un'occhiata.» Mrs. Stevens si allungò e sollevò piano le dita di Lady Ellington dalla ferita. Mentre osservava il profondo taglio, tese le labbra. «Ha bisogno di cure immediate» dichiarò, tenendovi premuto il suo fazzoletto.

    Lady Ellington sussultò, e i suoi capelli chiari con qualche filo grigio emanarono un lieve sentore di profumo.

    «Andrà tutto bene?» chiese Marianne mentre il lino ricamato del fazzoletto si impregnava di sangue. Quando era in Francia, una volta una delle sue compagne alla scuola protestante si era procurata una ferita profonda. Il taglio si era infettato e la giovinetta era passata dalla vivacità infantile al riposo eterno nel giro di due settimane. Tra tutte le sventure sofferte da Marianne, nessuna avrebbe eguagliato l'eventuale perdita di Lady Ellington.

    «Ma certo» la rassicurò Mrs. Stevens con fare materno, «tuttavia la ferita dev'essere ricucita. Mandate a chiamare mio figlio Warren, è stato medico di bordo. Se ne occuperà lui.»

    «Non era presente, a cena.»

    «È arrivato dopo che ci siamo ritirate ed è probabile che adesso si trovi insieme agli altri gentiluomini. Fate presto. Io rimarrò qui con Lady Ellington.»

    Marianne si alzò sulle gambe tremanti e uscì dallo studio, poi si fermò. Mentre invertiva la direzione, il rumore dei propri passi sul tappeto attutì il pulsare frenetico del battito che le martellava nelle orecchie. Non aveva posto la dovuta attenzione quando aveva seguito le signore nello studio, dopo aver lasciato il salone. Si era lasciata trasportare dalla rabbia che aveva provato nell'udire i commenti maligni di Miss Cart-wright invece di prestare interesse al percorso per arrivare in quella stanza.

    «Dov'è un servitore, quando serve?» A cena e nel salone li aveva visti numerosi come mosche, allineati contro la parete. Adesso non era in vista neppure una cameriera intenta a spazzare la cenere in una delle stanze vuote che fiancheggiavano il corridoio.

    Lady Ellington avrebbe fatto in tempo a morire dissanguata, prima che lei fosse riuscita a ricordare la strada per ritrovare gli altri ospiti.

    No, starà bene. Non devo far altro che trovare Mr. Stevens.

    Girò l'angolo e scorse la porta che dava sul salone principale. Tirò un sospiro di sollievo e si affrettò, attenta a non correre. Non voleva mostrarsi in preda all'ansia, doveva mantenersi lucida se voleva essere di aiuto a Lady Ellington. Si augurava solo che gli uomini non si fossero dilungati nella sala da pranzo.

    Speranza vana.

    Non appena Marianne entrò nel salone, le donne alzarono la testa dal tavolo da gioco, concedendole lo stesso misero calore e la scarsa cordialità di quando ne era uscita, quindici minuti prima.

    «Possiamo aiutarvi, Miss Domville?» Lady Cart-wright strascicò quelle parole come se le costasse fatica dimostrarsi gentile.

    «Lady Ellington si è ferita e ha bisogno di aiuto. Devo trovare Mr. Stevens.»

    «Sir Warren» la corresse Miss Cartwright con una smorfia, poggiando una carta sulla pila che si trovava al centro del tavolo, «si trova nella sala da pranzo insieme agli altri uomini.»

    «Manderò un domestico a chiamarlo. Dopotutto, non sarà una cosa grave.» Lady Cartwright sogghignò rivolta a Lady Astley e a Lady Preston, che sedevano con lei al tavolo da gioco.

    «No, grazie, andrò a chiamarlo di persona.» Marianne imboccò la direzione della sala da pranzo per evitare che quelle donne maligne sprecassero tempo prezioso a decidere se era più importante rimettere lei al proprio posto o aiutare Lady Ellington.

    Non rammentava che il corridoio fosse tanto lungo quando l'aveva percorso al fianco della contessa, che chiacchierava allegramente con Mrs. Stevens. Marianne affrettò il passo, inciampando su una piega del tappeto.

    Le profonde risate degli uomini, attutite dalle massicce porte di quercia, si unirono ai crescenti sussurri delle signore radunate nel salone alle spalle di Marianne, che dimostrarono il loro sbigottimento tirando il fiato, quasi risucchiassero tutta l'aria del corridoio quando lei spalancò quelle porte ed entrò.

    Non furono le uniche a restare senza fiato.

    Il domestico balzò davanti a lei talmente in fretta che perse quasi la parrucca. «Signorina, non dovreste trovarvi qui» l'apostrofò. Si spostava da una parte all'altra per impedirle la visuale, come se gli uomini stessero danzando nudi davanti al buffet.

    «Spostatevi, devo trovare Sir Stevens!» Marianne si liberò del ridicolo servitore e marciò verso il tavolo.

    Gli uomini erano avvolti da una nebbia di fumo, troppo fitta per riuscire ad accorgersi di lei. Tutte le candele, tranne quelle poste all'estremità del lungo tavolo della sala da pranzo, erano state spente, allungando le ombre fumose al di fuori del cerchio di luce.

    «Ve lo assicuro, Warren, è un investimento da non perdere.» Mr. Hirst batté una mano sul tavolo di fronte a sé. Farfugliava molto più di quando, durante la cena, aveva ribadito a Marianne la propria intenzione di importare un nuovo tipo di tabacco dal North Carolina. L'aveva supplicata di parlare con Lord Falconbridge per convincerlo a investire in quell'operazione, rivolgendosi più alla sua scollatura che a lei.

    Quel viscido ometto!

    Dalla maggioranza degli uomini, comunque, Marianne non si aspettava altro che sguardi libidinosi. Il piacere carnale era l'unico aspetto per il quale gli uomini che attraversavano l'atrio della casa di Madame de Badeau avevano mostrato interesse nei suoi riguardi, per poi finire immancabilmente con il disprezzarla per non aver mai concesso loro niente.

    Gli uomini seduti a fianco di Mr. Hirst annuirono in segno di intesa, ad eccezione di Lord Cartwright, che era crollato in avanti sul tavolo lucido e russava accanto a un bicchiere di vino ormai vuoto.

    «Potreste mettere insieme una fortuna» insistette Hirst.

    «Rupert, ho già accumulato una fortuna, grazie ai miei romanzi» replicò l'uomo che doveva essere Sir Warren. Sedeva di spalle a Marianne e teneva pigramente in mano un bicchiere di porto.

    «Sir Warren» lo chiamò lei.

    Si udirono sedie spostarsi e uomini tossire e sputacchiare mentre si affannavano ad alzarsi in piedi. Perfino Lord Cartwright venne sollevato in piedi da Lord Astley.

    Gli occhi annebbiati di Lord Cartwright si appuntarono su di lei. «Cosa ci fate qui, in nome del cielo?» biascicò, oscillando e quasi ricadendo all'indietro prima che Lord Astley riuscisse a sostenerlo.

    «Ho bisogno di Sir Stevens. È urgente.»

    «Sono io Sir Stevens.» L'uomo che le dava la schiena posò il bicchiere sul tavolo e si girò.

    Lei si preparò a ricevere l'ennesimo sguardo di accusa e si stupì quando, al contrario, quegli occhi verde scuro si spalancarono per la medesima sorpresa che colse anche lei e che dissolse l'ansia che la opprimeva.

    Sir Warren Stevens era alto, con un petto ampio sul quale lei avrebbe potuto agevolmente posare la testa, se fosse stata incline a lasciarsi andare a gesti affettuosi. Le lunghe e forti braccia terminavano con grandi mani dalle dita sottili, leggermente macchiate di nero sulle punte. Sembrava più alto degli altri gentiluomini e aveva gambe lunghe e fianchi stretti. L'indolenza della vita di campagna non aveva attecchito sul suo addome piatto, né sulla linea della mandibola, ombreggiata da un lieve accenno di barba. Portava i capelli biondi lievemente più lunghi degli altri uomini, con qualche ciocca che gli ricadeva sulla fronte. Rispetto ai suoi compagni mostrava un portamento più distinto. Gli abiti, benché di fine fattura, non risultavano in perfetto ordine, e il fazzoletto da collo non era annodato in modo impeccabile.

    A differenza degli altri, lui non scrutò il florido seno che Marianne faceva di tutto per nascondere sotto gli abiti. Al contrario, attese pazientemente che lei si spiegasse, com'era solito fare Mr. Nichols, l'anziano vicario della scuola protestante, ogni volta che la coglieva a comportarsi da discola.

    Se durante la cena quell'uomo avesse preso il posto dell'anziano Lord Preston che si era ritrovata accanto, rifletté Marianne, si sarebbe gustata di più l'agnello troppo cotto.

    Gli altri uomini non le mostrarono altrettanta gentilezza, offendendola con le loro espressioni di tacita disapprovazione e con i loro più scandalosi pensieri.

    «Come posso esservi di aiuto?» La voce di Sir Warren la riportò bruscamente alla realtà.

    «Dovete venire subito. Lady Ellington si è ferita gravemente e ha bisogno del vostro aiuto.» Allungò una mano, pronta a trascinarlo in direzione dello studio, poi la lasciò cadere. Toccare un uomo, benché innocentemente, equivaleva a incoraggiarlo e lei aveva bisogno del suo aiuto, non della sua concupiscenza.

    Il sorriso gli svanì dalle labbra come l'ultima fiammella che lambiva un tizzone in un caminetto. Rivolse a Mr. Hirst un'occhiata guardinga e turbata, come quelle che si erano scambiati Mr. e Mrs. Smith durante il primo mese di permanenza di Marianne in casa loro, quando si trovavano costretti a riferirle che Madame de Badeau non le aveva ancora scritto.

    Cominciò a sentirsi crescere dentro una cupa delusione che le avvolse lo stomaco. Sir Warren non l'avrebbe aiutata. Come tutti i gentiluomini, avrebbe educatamente, ma alla svelta, declinato ogni coinvolgimento prima di correre dall'altro lato della stanza per evitare di contaminarsi con lei e con la sua reputazione.

    Che essere meschino!

    Lei aprì la bocca per rinfacciargli di non avere la decenza di ridestarsi dalle convenzioni sociali neppure per aiutare una donna sofferente, ma Sir Warren l'anticipò. «Me ne occuperò subito» annunciò muovendosi verso la porta. «Fatemi strada, vi prego».

    Marianne chiuse la bocca, colta di sorpresa, e poi si affrettò a tornare verso la porta, acutamente consapevole dei passi decisi di lui che la seguivano.

    «Voi, laggiù, conduceteci allo studio.» Schioccò le dita al domestico, temendo di non riuscire a rammentare la strada e così di perdere altro tempo percorrendo corridoi a vuoto.

    L'uomo scattò a quel comando, precedendoli.

    «Cos'è accaduto?» domandò Sir Warren con una voce tanto profonda quanto un do basso suonato su un pianoforte.

    Marianne si strinse le mani, accorgendosi dei visi duri delle donne che la osservavano dalla porta del salone. «Si è ferita con una scheggia di porcellana.»

    Sir Warren si fermò di colpo nel corridoio come se avesse d'improvviso cambiato idea.

    «Vostra madre ha detto che potevate esserci di aiuto» insistette Marianne, temendo di perderlo seduta stante e proprio davanti a quelle donne sghignazzanti.

    «Ma certo.» Lui si riebbe dalla propria esitazione e ripresero ad avanzare a passo di marcia.

    Si avvicinarono alle signore raggruppate dietro Lady Cartwright, la quale sfoggiava un cipiglio imperioso. Quando Marianne e Sir Warren passarono loro accanto, i bisbigli cessarono, e lei comprese che le maldicenze si sarebbero diffuse per tutta la contea. Era inutile fermarsi e sprecare fiato, oltre che tempo. Qualcuno avrebbe compreso, ma il resto non si sarebbe dimostrato indulgente neppure se lei avesse invocato l'aiuto dell'Arcivescovo di Canterbury.

    «È esattamente il tipo di comportamento inappropriato che mi aspetterei da una persona imparentata con Madame de Badeau» fu il malcelato commento di Lady Cartwright che li seguì nel corridoio.

    «Dovrebbe vergognarsi» sussurrò Lady Astley.

    Marianne trasalì, aspettando che la loro riprovazione inducesse Sir Warren a cambiare idea riguardo alla sua offerta di assistenza.

    Con suo stupore, invece, lui si girò e andò dritto dalla loro ospite. «Lady Cartwright, vorreste essere tanto gentile da procurarmi l'occorrente per il cucito, del filo di lino, qualche telo e aceto, e fare in modo che tutto venga portato nello studio? Lady Ellington si è ferita gravemente, e io ne ho bisogno».

    La padrona di casa restò di sasso, poi finalmente colse l'urgenza della situazione. «Ma certo, farò in modo che la governante se ne incarichi all'istante.» Si afferrò la gonna dell'abito e si affrettò nella direzione opposta, lasciando la figlia e il resto delle signore a sussurrare.

    Sir Warren tornò da Marianne. «Vogliamo andare?»

    «Certamente.» Marianne ripartì, sorpresa dal tono di comando con cui si era rivolto a Lady Cartwright e dalla veemenza con la quale l'aveva difesa.

    Desiderò poter cancellare dai volti di quelle donne quei ghigni malevoli.

    Dopo quattro anni la gran parte delle famiglie della contea continuava a ritenerla biasimevole, al pari della trapassata Madame de Badeau. Non riuscivano a scorgere altro che gli scandali della defunta, senza rendersi conto che Marianne, malgrado avesse il sangue di quella donna nelle vene, non era una sgualdrina spudorata come lei.

    «Lady Ellington è di forte costituzione?» la interrogò Sir Warren mentre svoltavano l'angolo.

    «Fortissima.»

    «Ne siete certa? Sarà decisivo per la sua ripresa, se si tratta di un taglio profondo.»

    «Ne sono del tutto certa. Abito con lei. Sono la sua dama di compagnia.» Ma, soprattutto, la contessa rappresentava quasi l'unica persona ad averla accettata dopo che era stato scoperto lo scandalo sollevato da Madame de Badeau. Il suo sostegno, insieme all'autorità di suo nipote e di sua moglie, i Marchesi di Falconbridge, si era dimostrato l'ultimo baluardo tra Marianne e il completo isolamento dalla società.

    Mentre proseguivano verso lo studio, la presenza di Sir Warren agiva su di lei come una bella composizione al pianoforte. Non era mai stata tanto consapevole della presenza di un uomo, prima di allora, perlomeno di uno che non la stesse concupendo con lo sguardo. Mentre percorrevano il corridoio, non l'aveva esaminata, né si era comportato in modo inappropriato quando se l'era trovata di fronte in sala da pranzo.

    Marianne rifletté su quella strana consapevolezza. Poteva forse significare un'inclinazione alla perdizione che, latente dentro di lei, era solo in attesa dell'uomo giusto per essere riportata in vita? Dopotutto Madame de Badeau aveva mantenuto il controllo di se stessa per molti anni, fino a che l'ossessivo timore di perdere Lord Falconbridge non l'aveva spinta quasi alla follia.

    Finalmente la porta dello studio fu in vista, e lei scordò Sir Warren e si concentrò sull'amica.

    «Restate lì, in caso di bisogno» ordinò lui al domestico e costui prese posto accanto alla parete.

    Marianne entrò alla svelta, ansiosa di verificare se nel frattempo le condizioni di Lady Ellington fossero peggiorate, ma Sir Warren la bloccò prendendola per un braccio e con delicatezza la tirò indietro.

    Lei si voltò stringendo le mani a pugno e pronta a colpirlo come faceva con gli uomini libidinosi da Madame de Badeau, ma l'ombra melanconica che gli velava lo sguardo la indusse a rilassarsi.

    «Miss...» Il tono di lui era dolce e Marianne avvertì il pulsare del suo battito come una carezza.

    «Domville.» Si preparò a scorgere nel suo sguardo la conferma che l'aveva identificata e la conseguente espressione di disprezzo.

    Che invece non giunse.

    «Miss Domville, farò tutto ciò che posso per aiutare Lady Ellington, ma è bene che sappiate che non ho molte armi contro una probabile infezione.»

    Lei prese a tremare. «Lo state dicendo per spaventarmi? Perché, ve lo assicuro, sono già terrorizzata.»

    Lui l'accarezzò con il pollice, un gesto delicato ma consolante che lei avrebbe tanto desiderato ricevere durante la sua infanzia alla scuola protestante e di fronte all'insensibilità di Madame de Badeau.

    Dentro di sé la voce stridente dell'esperienza la induceva ad allontanarsi. Aveva imparato anni addietro a non ricercare il conforto negli altri, né ad accettare un gesto tanto confidenziale da parte di un uomo. Entrambi si erano sempre dimostrati le vie più rapide verso una delusione. Per la prima volta, e senza una motivazione logica, ignorò la voce dell'esperienza.

    «Lo dico perché non desidero deludervi riguardo alla mia perizia o a quella di qualsiasi uomo che svolga la professione medica» le spiegò Sir Warren. «A volte siamo impotenti verso qualche malattia. È una verità che molti colleghi sono riluttanti ad ammettere.»

    Le parve più un'ammissione di colpa che un bisogno di giustificarsi. Qualcosa nel suo passato di medico doveva spingerlo a parlare in quel modo, laddove la gran parte dei dottori avrebbero consigliato trattamenti inutili e costosi. Quell'implicita giustificazione non era solo volta a ottenere comprensione, ma sembrava anche una richiesta di perdono.

    Pose una mano sulla sua, avvertendo un tuffo al cuore quando lui richiuse le dita per stringergliela. Nonostante l'inopportunità del gesto, Marianne aveva compreso quanto quell'uomo avvertisse la sofferenza di lasciare qualcun altro nel dolore.

    «Sir Warren, Lady Ellington è molto importante per me. Senza aspettarsi in cambio altro che la mia amicizia si è presa cura di me più di qualsiasi altra persona. Comprendo i limiti della vostra professione e apprezzo l'onestà e la volontà di aiutare. Qualsiasi cosa accada, non vi riterrò responsabile. Vi chiedo soltanto di fare del vostro meglio.»

    Le strinse la mano. «Lo farò.»

    A Warren si gelarono le mani nell'istante esatto in cui ebbe lasciato andare Miss Domville. Un rivolo di sudore gli scivolò lungo la schiena facendogli aderire la camicia alla pelle. Se non avesse detestato così tanto quella sensazione, l'avrebbe chiamata paura.

    La luce delle candele sistemate nei candelabri vicini alla porta tremolò per la corrente d'aria creata dal suo ingresso nello studio.

    Lady Ellington sedeva per terra, il volto deformato da una smorfia di dolore, ed era sostenuta da una pila di cuscini. Sbiadite strisce di sangue secco le percorrevano il braccio sotto il fazzoletto macchiato, e alcune gocce più scure punteggiavano il pavimento, la gonna color malva e il tappeto.

    Warren si bloccò sulla porta, mentre il sapore salmastro dell'acqua nei barili ammuffiti gli bruciava la lingua. Respirò a fondo, tossendo leggermente mentre l'odore di legno bruciato e di polvere da sparo gli colmava le narici.

    Sua madre sollevò verso di lui uno sguardo che conteneva parole di scusa insieme alla preoccupazione che nutriva per l'amica. «Warren, sei qui, grazie al cielo!»

    Lui avanzò, sforzandosi di mettere un piede davanti all'altro. Spostò con cautela i frammenti di porcellana così da potersi inginocchiare accanto alla gentildonna e poter esaminare il taglio. Rimosse il fazzoletto insanguinato e si mantenne saldo mentre scrutava la ferita aperta. «Come

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