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Un nuovo capo in corsia: Harmony Bianca
Un nuovo capo in corsia: Harmony Bianca
Un nuovo capo in corsia: Harmony Bianca
E-book165 pagine2 ore

Un nuovo capo in corsia: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Lasciare una missione umanitaria in Africa per tornare a San Francisco a prendersi cura delle nipoti sembrava già abbastanza al dottor Gavin Brice. Non aveva fatto i conti però con l'attrazione che prova per il suo nuovo capo, la gelida dottoressa Virginia Potter. Non solo quest'attrazione non è ricambiata, ma Virginia sembra disapprovare i suoi modi ribelli e anticonformisti. Almeno fino a quando l'incontro con quelle due adorabili bambine scioglie il ghiaccio che attanaglia il suo cuore e un bacio rovente le incendia i sensi, condannandola per sempre.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mar 2020
ISBN9788830512658
Un nuovo capo in corsia: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    Un nuovo capo in corsia - Amy Ruttan

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Melting the Ice Queen’s Heart

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2014 Amy Ruttan

    Traduzione di Rita Orrico

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-265-8

    1

    «Vantiamo un dipartimento all’avanguardia qui al Bayview Grace e disponiamo di alcuni dei più esperti chirurghi del paese.» La dottoressa Virginia Potter strinse i denti, un attimo prima di rivolgere al consiglio degli azionisti il miglior sorriso che le riuscì di stamparsi sul viso.

    Odiava quell’aspetto del proprio lavoro, ma in qualità di primario di chirurgia non poteva sottrarsi ai propri doveri amministrativi. Certo, avrebbe preferito sporcarsi le mani al pronto soccorso, a fianco degli altri medici, ma era abituata a fare buon viso a cattivo gioco. Vincere borse di studio ed eccellere all’università le aveva permesso di affinare l’arte della diplomazia.

    Tuttavia, le mancavano i turni in reparto, a contatto diretto coi pazienti. Operava ancora, naturalmente, ma non spesso quanto avrebbe voluto.

    Questo è ciò che hai sempre desiderato, ricordò a se stessa. La scelta era tra la carriera e la famiglia, nessuna zona grigia. Suo padre l’aveva dimostrato coi fatti; aveva dedicato la maggior parte delle sue energie alla famiglia e trascurato il lavoro. Successivamente, un incidente l’aveva reso ancora meno attivo e, quando la sua azienda aveva trasferito la propria sede, lui era stato il primo a perdere il lavoro.

    Virginia aveva imparato la lezione: per avere successo non si poteva avere anche una famiglia. L’esempio di suo padre l’aveva spinta a mirare sempre al meglio, ed era pronta a pagare il prezzo della posizione che aveva raggiunto con tanta tenacia. Per non ripetere gli errori paterni, per mantenere sempre un tetto sulla testa e cibo sulla tavola.

    C’era chi aveva entrambe le cose, le ricordò una vocina sgradita. Virginia la mise subito a tacere. Non desiderava una famiglia. Non poteva perdere di nuovo qualcuno e provare una sofferenza così acuta.

    «Mi piacerebbe molto vedere il dipartimento d’emergenza dell’ospedale» annunciò la signora Greenly, interrompendo i pensieri di Virginia.

    «Ma certo. Vi prego di seguirmi» replicò lei, pensando nel mentre che avrebbe preferito far visitare loro qualsiasi altro dipartimento all’infuori di quello. Un reparto più tranquillo, frequentato da medici più discreti e meno pericolosi per i suoi sensi.

    A capo del pronto soccorso, invece, c’era il cattivo ragazzo per antonomasia.

    Mentre accompagnava il gruppo dei consiglieri verso il dipartimento di medicina d’urgenza, Virginia fece mente locale per stabilire se il dottor Gavin Brice fosse di turno quel giorno. Per quanto fosse un chirurgo brillante, lui e il consiglio d’amministrazione non erano fatti per stare nella stessa stanza.

    Per un attimo accarezzò il pensiero che lui fosse di riposo quel giorno. Ma chi voleva prendere in giro? Lui era sempre al lavoro e lei lo ammirava per questo, ma per una volta avrebbe preferito fosse un po’ meno efficiente. Era stata lei a insistere perché l’ospedale assumesse il dottor Brice. Il consiglio non era rimasto impressionato come lei dal suo curriculum e avrebbe preferito qualcuno di più accattivante e alla moda, in grado di portare lustro, più che risultati medici.

    «È una sua responsabilità, dottoressa Potter. Se il dottor Brice fallisce, fallisce anche lei» era stato il messaggio, chiaro e forte.

    L’idea che la propria posizione fosse a rischio l’innervosiva, ma Virginia non si era pentita di averlo assunto. Il suo lavoro con Medici senza Frontiere, praticando la chirurgia nei paesi in via di sviluppo, rappresentava una garanzia d’eccellenza professionale. La percentuale di sopravvivenza dei pazienti del dottor Brice era la più alta che lei avesse mai visto.

    Ciononostante, il consiglio non era ancora del tutto convinto. Gavin usava metodi poco ortodossi per gestire il pronto soccorso, non aveva alcuna pazienza con gli interni e non godeva del favore delle infermiere. In breve, era una vera spina nel fianco per lei.

    Per favore, fa’ che non sia di turno.

    «Toglietevi di mezzo!»

    Virginia fece appena in tempo ad afferrare la signora Greenly per un braccio e sospingerla da parte prima che venisse travolta da una barella in arrivo.

    Parli del diavolo...

    Gavin Brice stava a cavalcioni sul paziente, pompava ossigeno nella sua gola con un pallone ambu e strillava ordini a un gruppo di affannati interni.

    «Non c’è tempo, ha uno pneumotorace. Dobbiamo inserire un drenaggio intercostale» dichiarò il chirurgo prima di scendere dalla lettiga e passare l’ambu a uno specializzando.

    «Dottor Brice» cominciò Virginia in tono di ammonimento.

    Gavin la guardò senza rispondere, ignorandola bellamente. «Portatemi un kit cardiotorace da venti» ordinò invece e uno degli interni corse via.

    «Dottor Brice» ripeté Virginia. «Pensi a quello che fa.»

    L’interno fece ritorno col kit e lo passò a Gavin che nel frattempo aveva disinfettato il fianco del paziente. «Bisturi da dieci.»

    «Dottor Brice!»

    «Ho detto bisturi da dieci! Hai davvero studiato medicina?» urlò lui a uno degli interni, continuando a ignorare Virginia.

    Lei si avvicinò alla lettiga. «Non può inserire il drenaggio qui, dottor Brice. Lo porti in sala operatoria immediatamente.»

    «Dottoressa Potter, non ci sono sale libere e non ho tempo per moderare il linguaggio. Come può vedere, quest’uomo riporta ferite molto gravi e uno pneumotorace. Potrebbe morire, se non intervengo subito e qui.»

    «Penso comunque che...»

    Gavin non sollevò nemmeno lo sguardo e incise il petto del paziente per inserire il tubo di drenaggio dell’aria. «Dai, dannazione!»

    Virginia guardò i parametri vitali dell’uomo sul monitor. Non passò molto che la pressione e il ritmo cardiaco si stabilizzassero.

    «Bene. Liberiamo una sala operatoria... immediatamente

    Gavin le lanciò un’occhiata infastidita. Scosse la testa disgustato, ma seguì il suo paziente verso la sala rossa, la mano ancora infilata nel suo torace. Tutto ciò che rimase nel corridoio furono gli schizzi di sangue sul pavimento.

    Virginia si massaggiò le tempie e si voltò verso i membri del consiglio. «Ebbene, questo è il pronto soccorso. Che cosa ne dite di terminare qui la nostra visita e fare ritorno nella sala del consiglio?»

    Forse quella era la cosa più sciocca che avesse mai detto, ma davvero non sapeva come riprendersi da quella situazione. Nei suoi due anni come primario di chirurgia, non le era mai successa una cosa simile, con un intervento d’emergenza compiuto di fronte a un pubblico di azionisti.

    Gli attoniti membri del consiglio annuirono e uscirono dal pronto soccorso, a eccezione del signor Edwin Schultz, l’amministratore delegato. Era lui il maggiore pericolo per la sopravvivenza del Bayview Grace.

    «Dottoressa Potter, vorrei parlare con lei del dottor Brice in privato.»

    «Ma certo» replicò lei, alzando gli occhi al cielo non appena lui voltò le spalle. Trovò un ufficio vuoto, invitò il signor Schultz a entrare e a braccia conserte attese la sfuriata.

    «Che cos’era quello?» esordì il signor Schultz.

    «Uno pneumotorace. L’inserzione del tubo ha salvato la vita di quell’uomo.»

    «Può esserne certa?»

    «Se il dottor Brice non avesse agito come ha fatto, il paziente sarebbe certamente morto.»

    Lui corrugò la fronte. «Ma nel bel mezzo del pronto soccorso? Di fronte agli azionisti e ad altri pazienti?»

    «Non è stato programmato, se è ciò che vuole insinuare.» Virginia contò fino a dieci nella sua mente. Tutto il suo corpo fremeva dalla voglia di ficcare un po’ di buon senso nella testa dell’amministratore delegato.

    «Non ho detto che lo fosse, dottoressa Potter» ribatté lui, asciugandosi la fronte sudata con un fazzoletto. «Le sto suggerendo di fare due chiacchiere con lui su quale sia il luogo più appropriato per operare.»

    Le sarebbe piaciuto spiegargli che qualche volta non c’era tempo per trovare un luogo adatto, ma quella non era una risposta diplomatica. Aveva lavorato sodo per diventare uno dei più giovani primari di San Francisco all’età di trent’anni e non intendeva rinunciare. La stabilità professionale era fondamentale per lei.

    La sua carriera era la cosa più importante di tutte.

    «Parlerò col dottor Brice quando uscirà dalla sala operatoria.»

    Il signor Schultz annuì. «Bene. Adesso torniamo dagli investitori perché, se non otteniamo i fondi necessari, il dipartimento d’emergenza dovrà essere tagliato.»

    «Tagliato? Che cosa intende dire?»

    «Avrei voluto parlargliene più tardi, ma l’ospedale è in perdita. Molti membri del consiglio ritengono che il Bayview Grace renderebbe molto di più come clinica privata. Il dipartimento d’emergenza è quello che procura il danno maggiore al nostro budget.»

    «Siamo un centro di traumatologia di livello uno» protestò lei. Avevano ottenuto quel riconoscimento grazie a due anni di fatica, sudore e lacrime.

    Lui sospirò. «Lo so, ma a meno di trovare gli investimenti, non abbiamo altra scelta.»

    Virginia imprecò in silenzio. «E lei cosa ne pensa, signor Schultz?»

    «Io penso che dovremmo chiudere il dipartimento» sentenziò lui e senza aggiungere altro uscì dalla stanza.

    Lei si passò una mano sul viso. Che cosa stava facendo? In qualità di chirurgo, le sarebbe piaciuto mandare il signor Schultz a quel paese, ma non poteva farlo. Si trattenne, come faceva sempre, mentre le parole di suo padre le riecheggiavano nella mente.

    Non fare arrabbiare il capo, tesoro. Un lavoro stabile significa la sicurezza economica. E sicurezza economica significava cibo, un tetto sulla testa e tutte le necessità. Non avrebbe augurato una vita di povertà come quella che aveva conosciuto lei nemmeno al suo peggiore nemico.

    Perciò avrebbe tenuto la testa alta e avrebbe fatto in modo che gli investitori non li abbandonassero. Si sarebbe assicurata che il pronto soccorso del Bayview non venisse chiuso e che nessuno perdesse il lavoro.

    «Dov’è la famiglia?» domandò Gavin alla prima infermiera che riuscì a intercettare.

    «Quale famiglia?»

    Gavin si sforzò di non perdere la pazienza. Sapeva di dover essere più gentile con le infermiere; almeno qui le aveva.

    «Quella del signor Jones, l’uomo dell’incidente a cui abbiamo praticato lo pneumotorace.»

    «In sala d’aspetto. La signora Jones e tre figli adolescenti. È difficile non notarli.»

    «Ok. Grazie... ehm...»

    L’infermiera sollevò gli occhi al cielo. «Sadie.»

    «Giusto. Grazie.» Gavin imprecò tra i denti mentre si levava di dosso la cuffietta e la gettava nel cestino. Lavorava con quella ragazza da sei settimane e ancora non riusciva a ricordare il suo nome. Non ne ricordava mai nessuno.

    A eccezione di Virginia.

    Quello non era difficile da tenere a mente. Nell’attimo in cui l’aveva incontrata per la prima volta, il respiro gli era mancato di fronte a quei grandi occhi scuri e i capelli dello stesso colore cioccolato stretti in uno chignon. Era così elegante e femminile, come se fosse uscita dalle pagine di una rivista patinata. Poi lei aveva cominciato a parlare di norme e regolamenti e tutto ciò che lui faceva di sbagliato e l’incanto era svanito.

    Non c’era da stupirsi che lo staff la chiamasse la regina di ghiaccio. Virginia Potter era fredda e distante, sempre e solo professionale. Era anche un chirurgo brillante, come aveva potuto constatare le poche volte che avevano lavorato

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