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Il medico in prima linea: Harmony Bianca
Il medico in prima linea: Harmony Bianca
Il medico in prima linea: Harmony Bianca
E-book159 pagine2 ore

Il medico in prima linea: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Il suo cuore è in prima linea.
Il dottor Court Armstrong per fuggire dal proprio passato ha preso un volo che l'ha portato direttamente a un ospedale in Ghana e tra le braccia dell'infermiera Maggie Everett. Lavorare con lei è una sfida quotidiana di cui Court si sta godendo ogni attimo.
Maggie sa che lei e il dottor Armstrong hanno molto in comune: condividono lo stesso tragico passato e vivono il presente allo stesso modo, con passione e impegno. Solo il futuro sarà diverso perché lei non ha alcuna intenzione di includerlo nella sua vita.
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2019
ISBN9788858996102
Il medico in prima linea: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    Il medico in prima linea - Susan Carlisle

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Nurse He Shouldn’t Notice

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2012 Susan Carlisle

    Traduzione di Giovanna Seniga

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-610-2

    1

    Era la stagione secca e dietro la jeep malconcia si sollevò una gran nuvola di polvere quando Maggie Everett la fermò accanto al jet lucente. Con una mano si riparò gli occhi dal sole e dalla foschia della pianura del nord del Ghana.

    Fra i passeggeri che sbarcavano dall’aereo uno in particolare attirò la sua attenzione. Negli ultimi due anni aveva avuto raramente l’occasione di vedere maschi americani attorno ai trenta, cioè più o meno della sua età, ma questo non significava che non fosse in grado di apprezzare un bell’esemplare quando lo incontrava.

    L’uomo guardò verso di lei mentre dietro di lui altri tre si davano da fare con i bagagli. Un tipo stempiato che dava ordini e indicazioni mentre recuperava scatole e borse dalla pancia dell’aereo e due ragazze che parlavano in tono eccitato e frugavano fra quello che era stato scaricato. Dovevano essere le studentesse di infermieristica che erano venute a lavorare lì durante la pausa estiva.

    Erano gli ultimi arrivi utili per colmare per qualche settimana i buchi in quel remoto ospedale. Lei apprezzava l’aiuto, ma quello di cui avevano disperatamente bisogno erano le risorse finanziarie che permettessero di assumere altri medici e tenerli per anni.

    L’uomo catturò di nuovo tutta la sua attenzione quando si avviò verso di lei. Gli occhiali da sole stile aviatore aumentavano la sua aria di mistero. Era largo di spalle e stretto di fianchi e doveva superare il metro e ottanta. Le ricordava le foto che vedeva sulle vecchie riviste che sua madre le metteva nei pacchi dono che le inviava. Avrebbe potuto essere il modello della pubblicità di un profumo. Aveva un aspetto muscoloso e solido controbilanciato da un tocco di raffinatezza che le fece accelerare un po’ il battito cardiaco.

    Quando la raggiunse sollevò gli occhiali rivelando un paio d’occhi di un azzurro intenso, sottolineato dall’abbronzatura. «Sono il dottor Court Armstrong. Ho due apparecchiature molto delicate di cui bisogna occuparsi il più in fretta possibile.»

    Nessun saluto, niente convenevoli. Il suo asciutto accento del New England la colpì. «Armstrong? Come la fondazione Armstrong di Boston?» Non cercò nemmeno di nascondere l’avversione che la sua voce esprimeva.

    «Sì.»

    Doveva essere lui che aveva negato l’aiuto che l’ospedale aveva richiesto e che prevedeva anche il suo progetto per la creazione di una clinica pediatrica di cui c’era un disperato bisogno. La situazione sanitaria era difficile per i locali, in particolare per i bambini. Per riuscire a sopravvivere l’ospedale doveva ricevere degli aiuti e il suo nuovo progetto avrebbe potuto fare la differenza, ma non soddisfaceva i loro requisiti per l’elargizione dei fondi. Era un’area troppo remota e non poteva servire abbastanza pazienti. Lei digrignò i denti. Non finanziabile! Non riusciva a immaginare un progetto più degno di finanziamenti o un ospedale più bisognoso di aiuto.

    «Ma cosa ci fai qui se avete già negato il vostro appoggio?»

    Lui strinse per un attimo le labbra prima di rispondere. «Sarò felice di discutere la cosa con te dopo che avrò messo le apparecchiature all’ombra.»

    Prima che riuscisse a esprimere la sgradevole frase che le era venuta in mente, il suo nome risuonò nell’aria immota.

    «Missy Maggie, Missy Maggie.» Neetie, un bambino indigeno, corse verso di lei attraverso la terra secca sollevando una nuvola di polvere. «Un camion. Rovesciato. Feriti» le disse ansimando nella sua lingua natale. «Vieni, presto.»

    Maggie si rivolse al medico. «Ho bisogno di te. Neetie, facci strada.»

    Il nuovo arrivato si limitò a un cenno del capo e si affrettò a recuperare uno zaino dalla massa dei bagagli prima di salire accanto a lei. Maggie colse la sua breve esitazione prima di sollevare con un solo braccio il bambino e sistemarlo dietro di loro. «John, occupati dei macchinari» urlò alle sue spalle.

    «Andiamo» si limitò a dire girandosi verso di lei. Rimise gli occhiali al suo posto nascondendo i suoi bellissimi occhi azzurri e Maggie pensò che era un peccato, come lo era che appartenessero a un uomo tanto insopportabile.

    Mise in moto. «Dove, Neetie?»

    «Di fronte ad Arthur’s

    Con una mano stretta al bordo del parabrezza, l’altra sullo zaino e i piedi premuti contro il fondo della jeep, il dottor Armstrong non sembrava per niente a suo agio, come se trovasse strano occuparsi di un’emergenza medica in un paese in perenne emergenza. Lei non si sarebbe sorpresa se il bel dottore avesse ripreso il suo luccicante aereo e fosse tornato nel suo mondo asettico di camici immacolati appena si fosse reso conto di com’era praticare la medicina in quel posto.

    Maggie inchiodò la jeep davanti all’ospedale e sogghignò quando il dottor Armstrong rischiò di andare a sbattere con la testa contro il parabrezza.

    «Perché ci fermiamo qui?»

    «Materiale.» Per scendere dalla jeep fu costretta a raccogliere la gonna con la mano. Era una delle occasioni in cui gli abiti della sua divisa rappresentavano una seccatura.

    Pochi minuti dopo tornò con un borsone nero che teneva sempre pronto per le emergenze.

    Il medico saltò giù dalla jeep e le venne incontro. «Ci penso io» disse e si affrettò a sistemare la borsa a fianco del ragazzo.

    Maggie ripartì in silenzio. Era tutta concentrata a guidare attraverso le stradine di terra battuta in cui si allineavano edifici di mattoni d’argilla di un piano con cortili affollati di persone e animali.

    Quando raggiunse il luogo dell’incidente vide che un camion aveva investito un carretto. Un capannello attorniava un uomo anziano che doveva essere il conducente del carretto e che giaceva su un fianco tenendosi il petto mentre una bambina di circa nove anni aveva le gambe imprigionate sotto il carretto. Una donna parlava ad alta voce con l’uomo in piedi accanto al camion.

    Maggie si sentì stringere lo stomaco. Odiava vedere un bambino ferito. La jeep si era appena fermata che il medico era già a terra. Si caricò lo zaino su una spalla e prese il borsone. «Controlla la bambina. Io mi occupo dell’uomo. Sembra che abbia avuto un attacco di cuore.»

    Ad impartire ordini non aveva problemi. Chi si credeva di essere per mettersi a dirle cosa doveva fare cinque minuti dopo essere sceso dal cielo? Come capo infermiera era a lei che spettava prendere la maggior parte delle decisioni giornaliere. Sapeva cosa andava fatto e non aveva bisogno di nessun super dottore che si permettesse di assumere il controllo senza nemmeno aver visto l’ospedale. Però non fece commenti. Durante una situazione di emergenza era fondamentale il lavoro di squadra ed era evidente che l’autoritario dottor Armstrong pensava che toccasse a lui gestire la situazione. «Neetie, va’ con il dottore e fagli da interprete.»

    Maggie andò dalla bambina e cercò di calmarla parlandole dolcemente. Si lasciò guidare dalla sua esperienza di infermiera di pronto soccorso e mentre valutava velocemente le ferite della piccola seguiva quello che stava facendo il medico. Non voleva che un novellino appena sbarcato dall’aereo rovinasse il rapporto di fiducia che l’ospedale era riuscito a costruire con tanta fatica con i locali.

    Lui aveva piazzato Neetie fra sé e il ferito, non troppo lontano né troppo vicino, e gli dava indicazioni semplici e brevi che il bambino traduceva.

    A gesti Maggie guidò tre uomini a estrarre la bambina da sotto il carretto e cominciò a esaminarle la gamba destra.

    Il dottor Armstrong la raggiunse. «Per fortuna non è un infarto. Il ferito ha bisogno di qualche punto in fronte, ma non si tratta di una cosa urgente. Intanto gli ho fasciato la ferita e ho detto a Neetie di tenere premuto. La bambina?»

    «Ha una frattura alla gamba» rispose lei senza guardarlo. «Grazie a Dio sembra l’unica ferita.»

    Lui afferrò il borsone e si inginocchiò accanto a Maggie. Fece scorrere le lunghe dita lungo la gamba della bambina. Era abile, ma quello che colpiva era l’assoluta mancanza di qualunque coinvolgimento emotivo, di qualunque tentativo di tranquillizzare la piccola. Il suo atteggiamento era strettamente professionale. «Si deve stabilizzare prima di accompagnarla in ospedale.»

    Nonostante l’avversione che provava a causa del suo cognome e del suo modo di fare Maggie dovette ammettere, seppur a malincuore, che il nuovo arrivato sembrava tecnicamente ben preparato a dispetto della quasi totale incapacità di comunicare con i pazienti. Tuttavia non avrebbe permesso che la mettesse da parte come se la nuova arrivata fosse lei e non lui.

    Maggie gli passò la ferula strappandogli un veloce sguardo di ammirazione. Poi strinse la mano alla bambina prima di sistemare uno dei lati mentre il medico si occupava dell’altro.

    Si lasciò sfuggire un sospiro. Il dolore nello sguardo della piccola la faceva stare male e cercò di assicurarle che sarebbe andato tutto bene. Se non fosse stato per quello che le era successo, anche lei avrebbe potuto avere una figlia più o meno della stessa età. Visto che non poteva avere figli considerava ogni bambino locale come suo. Aveva deciso di adottare Neetie e diventava furiosa a pensare quanto avrebbe potuto fare per tutti quei bambini se solo la Fondazione Armstrong avesse aiutato l’ospedale. «Il bendaggio è sul lato destro della borsa, dottor Armstrong.»

    Lui lo prese e cominciò a fissare la ferula. «Quando dici il mio cognome sembra che pronunci una parolaccia. Perché non mi chiami Court?»

    «Cosa?» chiese lei, tutta intenta al suo lavoro.

    «Dopo un’emergenza che ci ha coinvolto a cinque minuti dal mio atterraggio penso che possiamo chiamarci per nome. Io sono Court e tu sei Missy Maggie.»

    Quando le loro dita si sfiorarono durante il fissaggio lei ebbe un attimo di turbamento. «Sono Maggie Everett, la capo infermiera. Puoi chiamarmi Maggie.»

    Quando ebbero finito di fissare il bendaggio lui sollevò la testa. «Maggie, dille che la stiamo per portare in ospedale» disse senza degnare la bambina di uno sguardo.

    Evidentemente non sapeva che esisteva la parola per favore. Comunque Maggie fece quello che lui le aveva chiesto e poi andò a prendere la jeep per avvicinarla alla piccola. Non poteva criticare Court per le sue capacità tecniche, ma era abituata a medici che interagivano con i pazienti e mostravano loro comprensione e solidarietà. Lui invece esibiva la stessa sensibilità della fondazione della sua famiglia.

    La popolazione locale aveva bisogno di essere aiutata e quell’uomo aveva il potere di fornire questo aiuto. Sarebbe riuscita a convincerlo a cambiare le decisioni della fondazione?

    Court stava camminando. La serata era fresca e l’aria era leggera confrontata con quella viziata di Boston. Anche i rumori della notte erano profondamente diversi da quelli di casa. Si fermò un momento per ascoltare i suoni della foresta che salivano e scendevano e il fruscio degli animali che si muovevano in cerca di cibo subito fuori dalla staccionata del complesso.

    Il Ghana era simile al posto in cui i suoi genitori avevano vissuto tanti anni prima e che li aveva spinti ad affrontare missioni di aiuto umanitario anche dopo che sua madre era rimasta incinta? Scosse la testa. Avrebbero dovuto stare negli Stati Uniti e non in mezzo

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