Stregata dal primario
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Carol Marinelli
Nata e cresciuta in Inghilterra, ha conosciuto il marito durante una vacanza in Australia.
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Anteprima del libro
Stregata dal primario - Carol Marinelli
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Tempted by Dr Morales
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2014 Carol Marinelli
Traduzione di Silvia Calandra
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-590-1
1
«Scusa, Juan, non volevo svegliarti.» Non appena Juan rispose al telefono, Cate Nicholls smise di arrotolarsi intorno al dito una ciocca dei suoi lunghi capelli castani e rabbrividì al suono della sua voce, profonda e dal forte accento straniero, ma chiaramente assonnata.
«Non c’è problema. Sei tu, Cate?»
«Sì.» Lei arrossì al pensiero che l’avesse riconosciuta. Juan aveva fatto solo poche sostituzioni al Pronto Soccorso del Melbourne Bayside Hospital, ma l’attrazione tra loro era innegabile. Cate aveva provato a contattare altri medici prima di accettare il consiglio di Harry e chiamare Juan per sapere se era disponibile. Era un qualificato anestesista argentino e per un paio d’anni aveva deciso di lavorare in giro per il mondo. Era terribilmente attraente, ma anche affabile e disponibile. «Scusa se ti ho disturbato. Hai fatto il turno di notte?»
«No.»
«Oh!» Cate guardò l’ora e vide che erano le due del pomeriggio. Cosa ci faceva ancora a letto? Poi udì una voce femminile e provò un certo imbarazzo quando sentì Juan dire alla donna che voleva tre cucchiaini di zucchero nel caffè.
«Cosa posso fare per te?» le chiese subito dopo.
«Sheldon è malato e mi chiedevo se potresti sostituirlo.»
«Harry sa che mi stai chiamando?»
Cate rise. Harry, il primario di Medicina d’Urgenza, non provava molta simpatia per lui e non aveva ancora digerito che Juan avesse rifiutato un contratto di tre mesi nel loro reparto. «Mi ha detto lui di chiamarti.»
«A che ora?»
«Appena puoi.» Cate lanciò un’occhiata al reparto affollato. «C’è parecchio da fare...» Si interruppe per ascoltare ciò che le stava dicendo Harry. «Scusa un attimo, Juan...» Cate si rivolse a Harry a voce alta. «Cos’hai detto?»
«Puoi dire a Juan che, anche se abbiamo bisogno urgentemente, può comunque fermarsi da un barbiere a farsi tagliare i capelli!»
I capelli lunghi e scuri di Juan, il suo viso quasi mai rasato e l’abbigliamento casual innervosivano Harry e Cate non poté fare a meno di sorridere quando riprese la conversazione con Juan. «Immagino tu l’abbia sentito?»
«Forte e chiaro. Riferisci pure a Harry che lo so che mi vuole molto bene.» Cate lo sentì sbadigliare e stirarsi e si forzò di non pensare a lui a letto, nudo, alle due del pomeriggio. «Okay. Mi faccio una doccia e arrivo.»
«Grazie, Juan.» Cate agganciò e scrisse il suo nome sulla lavagna. Harry le lanciò un’occhiata e scrollò il capo.
«Se mai un uomo ha avuto un cognome inappropriato quello è proprio il dottor Morales» commentò Harry e Cate non poté trattenersi dal ridere. Juan aveva fama di essere un dongiovanni e, infatti, alcune sue colleghe, anche solo per scrivere il suo nome, si sarebbero affrettate a sistemarsi il trucco e i capelli.
Cate si rifiutava di farlo.
Si lavò le mani prima di tornare dai pazienti e osservò la sua immagine nello specchio. In effetti, una pettinata e un velo di mascara ci sarebbero stati, ma si rifiutava di farlo per Juan.
Non voleva scherzare col fuoco.
Con tre fratelli maggiori a dir poco esuberanti, Cate non si stupiva facilmente, ma qualche volta Juan ci era riuscito, soprattutto quando sentiva degli sport estremi che praticava o delle ragazze che si portava a letto. Suscitava parecchio stupore quando raccontava ai colleghi dei suoi viaggi in giro per l’Australia, ma ciò che lasciava incredula Cate era lo sforzo che doveva compiere su se stessa per non cedere al suo sorriso sensuale e infilarsi nel suo letto.
Avevano iniziato a flirtare, ma poi lei, quando si era resa conto dello stile di vita libertino di Juan, aveva preferito farsi da parte.
Cate era reduce da due settimane di ferie e dalla rottura del suo rapporto col ragazzo col quale stava da più di due anni e quando era arrivata in ospedale e si era vista davanti Juan si era sentita stringere lo stomaco. Non aveva mai reagito così violentemente per nessuno e, stupidamente, si era detta che si sarebbe limitata a mettere alla prova le sue capacità di seduzione con l’affascinante sostituto, provando a flirtare con lui non appena fosse capitata l’occasione.
Cate non avrebbe mai immaginato che quella sera stessa le avrebbe chiesto di uscire a bere qualcosa insieme, anche se dallo sguardo si capiva che puntava a portarla a letto.
Si sentiva ancora avvampare al ricordo del loro primo incontro, il rossore che le aveva risalito il volto quando aveva incontrato i suoi occhi grigi, il desiderio di accettare e, per una volta, al diavolo tutto quanto, di scegliere di essere spericolata. Invece aveva gentilmente rifiutato la proposta e le poche volte in cui da allora si erano rivisti, Cate aveva cercato di minimizzare, negando l’innegabile attrazione che c’era tra loro e sforzandosi di mantenere un rapporto esclusivamente professionale.
«Juan è un ottimo medico» ricordò Cate a Harry, perché anche se Juan era un donnaiolo, dal punto di vista professionale non gli si poteva rimproverare nulla.
«Sì, ma spreca il suo talento» replicò Harry e sospirò. «Forse sono solo invidioso.»
«Non ho mai conosciuto un medico migliore di te» lo consolò Cate senza mentire. Harry era un medico d’emergenza eccezionale e un ottimo chirurgo della mano, ma probabilmente non era al talento medico di Juan che aveva fatto riferimento.
«Forse sono solo invidioso della sua libertà, del suo approccio rilassato alla vita. Piacerebbe anche a me lavorare solo un paio di giorni alla settimana e per il resto spassarmela!» Harry sorrise. «Ma Juan non ha due gemelli di quattro anni a cui pensare. Non ha proprio nessuno.»
«Le cose non vanno meglio?» gli chiese Cate. Era affezionata a Harry ed era stato terribile quando l’anno prima sua moglie era arrivata in Pronto Soccorso dopo un incidente stradale. Jill era morta due settimane dopo in Terapia Intensiva, lasciando Harry solo con due gemelli, Charlotte e Adam.
«Anche l’ultima tata ha appena dato le dimissioni» raccontò Harry. Cate sospirò, Harry alzò gli occhi al cielo e tornò a occuparsi dei pazienti. «Me la caverò anche questa volta.»
«Oh!» esclamò Kelly quando vide il nome di Juan sulla lavagna. «Il mio pomeriggio si rischiara. Con un po’ di fortuna stasera verrà con noi a bere qualcosa dopo il lavoro» aggiunse, strizzando l’occhio.
«Non ho dubbi» convenne Cate. «Io, però, non posso.»
«Dai, Cate» insistette Kelly. «Avevi detto che saresti uscita. È venerdì e non puoi continuare a piangere per Paul... Devi ricominciare a guardarti intorno!»
«Non piango per Paul. Avevo detto che sarei uscita prima di sapere che avrei lavorato domani mattina» mentì Cate.
«Avevi detto che avresti preso tu l’auto» le ricordò Kelly.
Sì, l’aveva detto, ma prima di sapere che Juan avrebbe lavorato nel pomeriggio e che perciò quasi sicuramente la sera avrebbe accettato l’invito a uscire.
Juan lavorava per vivere, e non certamente il contrario, ed era questa la scusa che aveva addotto quando aveva rifiutato l’offerta di lavoro di Harry. Juan gli aveva spiegato che preferiva essere chiamato di tanto in tanto dai vari ospedali di Melbourne piuttosto che legarsi a uno solo con un contratto. Cate si era perfino sorpresa che Harry gli avesse offerto un incarico regolare.
Comunque era un medico straordinario.
Un uomo straordinario, rifletté Cate, avviandosi ad aiutare Kelly a preparare i letti e riordinare i cubicoli.
Ma anche l’ultima complicazione di cui aveva bisogno.
«Dov’è Christine?» chiese, scollando il materassino di una barella prima di mettere le lenzuola pulite.
«Indovina...» rispose Kelly ironica. «Dove vuoi che sia? Nascosta nel suo ufficio. Se fossi al suo posto, non fare come lei!»
Cate presto avrebbe dovuto sostenere il colloquio per diventare responsabile del personale infermieristico ed era quasi certa che le avrebbero affidato il posto. Lillian, la responsabile del personale infermieristico della Terapia Intensiva e della Rianimazione, glielo aveva praticamente detto. Se avesse avuto quel posto, però, non sarebbe rimasta nascosta in ufficio a controllare in continuazione le scorte per cercare di risparmiare qualche centesimo. Era chiaro che, dopo la gestione confusionaria di Christine, i vertici dell’ospedale volevano qualcuno che riuscisse a portare un po’ di ordine in Pronto Soccorso e, infatti, era stato chiarito senza mezzi termini che le infermiere non venivano a lavorare per occuparsi dei gemelli di Harry.
«Questo cubicolo è pronto?» le chiese Abby che in quel momento era addetta al triage. «C’è un paziente che aspetta di essere visitato.»
«Fallo entrare» replicò Cate. «Ti dispiacerebbe, Kelly, finire di mettere in ordine i cubicoli da sola?»
Kelly uscì annuendo e Cate aiutò l’uomo dolorante ad alzarsi dalla sedia a rotelle e a salire sul lettino. Sua moglie li osservava ansiosa.
«Reece Anderson» lo presentò Abby. «Ha trentaquattro anni e ha appena completato un ciclo di chemio per un melanoma alla coscia sinistra. Da stamattina ha forte nausea e dolore addominali.»
«Mi ha detto dei dolori solo verso l’ora di pranzo» precisò la moglie, non senza una nota di risentimento nella voce.
«Credevo che fossero dovuti alla chemio.»
«Okay, Reece.» Cate si presentò. «L’aiuto a indossare una delle nostre camicie e poi le rilevo i parametri e chiamo un medico.» Reece era chiaramente molto sofferente e disidratato e si percepiva una notevole tensione tra lui e la moglie.
«Il caldo ha reso davvero insopportabile l’ultimo ciclo di trattamento» osservò la moglie. «Non abbiamo l’aria condizionata a casa.» Era più tesa lei del paziente. «Io, comunque, mi chiamo Amanda.»
«Buongiorno, Amanda. La capisco, il caldo non aiuta» convenne Cate, osservando le labbra disidratate di Reece e valutando il tono della pelle. «Gli facciamo subito una flebo.»
Melbourne era nella morsa di un’ondata di caldo ed erano numerosi i pazienti che si presentavano in Pronto Soccorso con i sintomi della disidratazione. Anche Cate soffriva il caldo e di notte non riusciva a dormire, ma doversi anche sottoporre alla chemioterapia era davvero terribile.
«Perché non vai a casa?» suggerì Reece alla moglie mentre Cate lo aiutava a cambiarsi. «Magari mi tengono qui per ore.»
«Te l’ho già detto. Non ti lascio prima di sapere cosa sta succedendo» replicò con chiarezza Amanda.
«Devi andare a scuola a prendere i bambini.»
«Chiederò a Stella di prenderli...»
«Ti prego, va a casa» sbottò Reece.
Cate guardò Amanda e vide che stava per mettersi a piangere.
«Vattene» insistette Reece.