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Tentazione in corsia: Harmony Bianca
Tentazione in corsia: Harmony Bianca
Tentazione in corsia: Harmony Bianca
E-book167 pagine2 ore

Tentazione in corsia: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Dottori, romanticismo e passione nella città che non dorme mai.

Dopo aver sacrificato tutto per sua sorella, la psicoterapista Lucy Edwards ha deciso di rinunciare alle emozioni e di tenere il proprio cuore sotto chiave fino a data da destinarsi. È però costretta a rivedere i propri propositi con l'arrivo dell'affascinante neurochirurgo Ryan O'Doherty. Ryan, con i suoi penetranti occhi blu e la sua personalità carismatica, rappresenta per Lucy una costante tentazione a cui lei non sa e non vuole resistere. Ma la loro fragile relazione sarà messa a dura prova da una rivelazione destinata a sconvolgere le loro vite.
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2019
ISBN9788830501508
Tentazione in corsia: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    Tentazione in corsia - Susan Carlisle

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    NYC Angels: The Wallflower’s Secret

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2013 Harlequin Books S.A.

    Traduzione di Silvia Calandra

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3050-150-8

    1

    Il neurochirurgo pediatrico Ryan O’Doherty continuava a fissare il bambino disteso sul letto dell’Unità di Terapia Intensiva dell’Angel Mendez Children’s Hospital di New York mentre parlava con suo padre. «Abbiamo rimosso gran parte del tumore ma non tutto, per non rischiare ulteriori danni.»

    Questo padre non era il primo a sentire quelle parole così crude e non sarebbe stato l’ultimo. Ryan non nascondeva mai la verità ai genitori dei suoi piccoli pazienti. Aveva fatto il possibile per quel bambino, ma non poteva salvarli tutti. I genitori dovevano farsene una ragione.

    «Capisco. Sua madre e io lo porteremo a casa e gli offriremo tutto il nostro amore» bisbigliò il padre con la voce rotta dal pianto.

    Lo squillo acuto e penetrante del telefono di Ryan riempì l’aria. Lui batté il dito sullo schermo per interromperlo e lesse il messaggio. Ufficio Risorse Umane. Si era dimenticato che lo stavano aspettando. Cosa c’era di tanto urgente?

    Guardò di nuovo il padre. «Il neurologo valuterà il caso di suo figlio. Quando vuole, io sono qui» si affrettò a precisare. «Adesso... se vuole scusarmi...»

    «Grazie di tutto.»

    Ryan annuì. Era il suo lavoro.

    Dieci minuti dopo, si fece strada nel labirinto di corridoi grigi e raggiunse l’Ufficio Risorse Umane. Le direzioni degli ospedali avevano sempre la tendenza a collocare gli uffici amministrativi negli scantinati delle ali più vecchie degli edifici, in fondo ai corridoi. L’Angel non faceva eccezione. Ryan non scendeva da quelle parti da quando era stato assunto cinque anni prima.

    Il giorno precedente aveva ricevuto via mail la convocazione per una riunione e quando aveva risposto che a quell’ora aveva un consulto, Matherson, il direttore del personale, non aveva voluto saperne. Doveva presentarsi. Ryan svoltò nell’ultimo corridoio, aprì la porta di finto legno ed entrò nella funzionale sala d’aspetto che, non fosse stato per i disegni dei bambini alle pareti, sarebbe stata scialba.

    Ryan si diresse subito verso la donna di mezza età seduta dietro il banco a forma di L della reception. «Sono il dottor O’Doherty e devo vedere il signor Matherson» le spiegò con un sorriso che non sentiva. Aveva imparato da molto tempo a mascherare le proprie emozioni.

    «La sta aspettando» cinguettò la donna e prese il telefono.

    Lui non si sedette e iniziò a guardarsi intorno.

    Davanti alla porta, seduta su una delle tre sedie contro la parete, c’era una donna che doveva avere poco meno di trent’anni. Lei sollevò lo sguardo su di lui e i suoi grandi occhi azzurri gli ricordarono subito un pomeriggio estivo, ma poi notò che erano terribilmente tristi. La donna batté le palpebre e, prima di abbassare lo sguardo, la malinconia cedette il posto a una notevole risolutezza.

    «Il dottor O’Doherty è arrivato, signor Matherson.» La segretaria attese un istante e poi guardò la donna.

    Ryan seguì lo sguardo della segretaria. La donna sedeva con le caviglie incrociate e le mani intrecciate in grembo. Non vi era nulla di eccezionale in lei, a parte gli occhi e una lunga treccia che le scendeva su una spalla. Indossava un tailleur grigio chiaro sopra una leggera camicetta color pesca. Un po’ troppo da maestrina per i suoi gusti.

    Storse il naso quando si rese conto che indossava abiti di qualità. Lo capiva grazie ai lunghi pomeriggi di shopping a cui era stato costretto dalle sue sorelle. Alzò un angolo della bocca. Doveva esserne orgoglioso?

    «Signora Edwards, il signor Matherson vuole vederla col dottor O’Doherty.»

    Chi era questa signora Edwards e perché doveva entrare con lui? Ryan la vide alzarsi e la fissò. Era alta e slanciata. I loro sguardi s’incontrarono. La tristezza che aveva scorto nei suoi occhi aveva lasciato il posto a una forte determinazione.

    «Dottor O’Doherty, signora Edwards, vi prego, accomodatevi» li invitò Matherson, comparendo da dietro un angolo.

    Ryan le cedette il passo e vide che gli arrivava alla spalla. La treccia di capelli del colore del grano le scendeva fino in fondo alla schiena.

    «Sedetevi.» Matherson girò intorno alla scrivania davanti alla porta e prima di sedersi attese che loro due prendessero posto.

    «Dottor O’Doherty, ti presento Lucy Edwards, l’ultimo acquisto della famiglia dell’Angel

    Ryan le tese la mano e accennò un sorriso. «Ryan O’Doherty.»

    Lei esitò una frazione di secondo. Poi gliela strinse con forza e a lui piacque sentire la sua mano decisa e dalla pelle morbida e vellutata.

    Guardò Matherson con espressione incuriosita. Dovevano fare in fretta. Il suo collega lo stava aspettando per il consulto. «Come mai ci hai convocati?»

    «La signora Edwards è una consulente familiare. Ha ottime credenziali e referenze. È la persona alla quale tutte le famiglie vorrebbero rivolgersi.»

    La donna accanto a lui si mosse con palese disagio e un lieve rossore le risalì le guance. Evidentemente non gradiva essere al centro dell’attenzione. Rimase sorpreso. Era diversa dalle altre donne?

    «Stiamo organizzando un nuovo programma che abbiamo chiamato Cura Coordinata del Paziente, per cui i medici lavoreranno in stretta collaborazione con i consulenti. La signora Edwards è stata affiancata a te e perciò vi occuperete insieme dei tuoi pazienti» spiegò Matherson con enfasi.

    Cosa? Un altro progetto di buonismo burocratico ospedaliero? Ryan si protese in avanti e fissò l’uomo basso e grassottello. «Non avevamo già fatto un tentativo simile un paio anni fa che poi non ha funzionato?»

    «Simile, non uguale. Voi due siete le cavie per il collaudo. Se funzionerà, applicheremo il programma anche ad altri reparti.»

    «È proprio indispensabile? Sono certo che la signora...»

    «Edwards» intervenne lei, irrigidendosi.

    «Sono certo che la signora Edwards e io potremmo utilizzare il nostro tempo in maniera molto più utile.»

    «La prego di non parlare per me» precisò lei, cambiando posizione sulla sedia. «Le assicuro, dottore, che i pazienti traggono grande giovamento dalla collaborazione tra medici e consulenti.»

    Pronunciò queste parole con un morbido accento del sud che, tuttavia, pareva intrecciato a un sottile filo di acciaio. La donna aveva carattere. Interessante.

    Lui chinò il capo e sorrise. «Ah... perciò pensa che sia importante lavorare a stretto contatto con il medico.»

    Lei lo ricompensò con un lieve rossore che le velò le guance.

    Matherson si schiarì la voce, ma Ryan preferì ignorarlo e rivolse a lei un sorriso. Lo stesso che offriva alle infermiere quando non voleva confonderle, ma cercava di ottenere qualcosa.

    «Non intendevo dire che il suo lavoro è inutile, ma non ritengo necessario discutere personalmente con lei di tutti i pazienti. Basta che scriva le sue annotazioni sulla cartella e io le leggerò.» Ryan si alzò e, con sua enorme sorpresa, la signora Edwards fece altrettanto e lo guardò dritto negli occhi.

    «Le posso assicurare, dottore, che il nostro rapporto sarà esclusivamente professionale» precisò lei a denti stretti. Poi, prima di continuare, inspirò profondamente. «I pazienti e le loro famiglie hanno bisogno di rassicurazioni e sostegno che lei non è in grado di fornire.»

    Aveva ragione.

    «Questo è il mio lavoro e lo svolgo correttamente.» Raddrizzò le spalle a puntualizzare l’affermazione.

    «Non lo metto in dubbio, ma non intendo perdere tempo in inutili colloqui quando abbiamo un ottimo sistema informatico per la corrispondenza. Adesso, se volete scusarmi...»

    «Dottor O’Doherty» lo richiamò Matherson, fissandolo, «vedo che non ti è chiara la situazione. Questo è un programma pilota. Il consiglio di amministrazione lo ha approvato all’unanimità. La tua collaborazione sarebbe molto gradita e non passerebbe inosservata.»

    Ryan strinse le labbra. Matherson aveva alluso al fatto che il posto di primario di neurochirurgia a cui ambiva era stato assegnato ad Alex Rodriguez e che la sua disponibilità a cooperare avrebbe fatto bene al suo curriculum.

    Ryan tirò le labbra e guardò a lungo Matherson che ebbe il buon gusto di abbassare lo sguardo. Se acconsentire a quella ridicola collaborazione gli sarebbe servito a fare bella figura con le alte sfere del consiglio, allora avrebbe fatto uno sforzo. Anche se pensava che fosse solo una perdita di tempo. Alzò una spalla. «Okay.» Poi guardò la signora Edwards. «Adesso siamo una squadra.»

    La signora inclinò il capo, con aria diffidente. Forse dubitava delle sue motivazioni? Gli avrebbe consentito di fare il minimo indispensabile? Comunque non era poi così male come aveva creduto inizialmente. Se non altro sarebbe stata una sfida provare a farla sorridere e a cancellare la tristezza che le velava lo sguardo.

    «Allora è deciso» concluse Matherson allegramente. «Potete cominciare.»

    Lucy osservò il medico che di primo acchito le era parso molto individualista camminare davanti a lei lungo il corridoio. Era stata dura per lei lasciarsi tutta una vita alle spalle per ricominciare in una città nuova e ritrovarsi come collega una persona che ce l’aveva con lei perché riteneva che gli fosse stata imposta non aiutava. Tuttavia, non le restava che fare buon viso a cattiva sorte.

    Matherson, con ancora il sorriso sdolcinato sulle labbra, gli aveva chiesto, visto che doveva tornare in neurologia, se le mostrava la strada per arrivare in reparto. Lei si era sentita in imbarazzo, ma non aveva saputo trovare un modo carino per sganciarsi.

    Uscendo dall’ufficio, il dottor O’Doherty le aveva aperto la porta, cedendole il passo. Se non altro qualcuno gli aveva insegnato le buone maniere. E poi non le erano sfuggite le sue spalle larghe, i suoi vivaci occhi azzurri e la sua altezza. Raramente le capitava di incontrare uomini che non riusciva a guardare dritto negli occhi senza alzare la testa.

    Strinse a sé la borsetta e lo seguì. Lui camminava molto velocemente e la cosa la irritava, ma d’altro canto era sicura che se non ci fosse stato lui si sarebbe sicuramente persa in quel dedalo di corridoi e scale.

    Quella mattina, quando si era fermata in Central Park davanti all’ingresso dell’Angel, aveva osservato l’edificio e non aveva neanche cominciato a contare i piani. Occupava un intero isolato. Si era sentita intimidita. C’era qualcosa in quell’insieme di vecchia e nuova architettura che l’affascinava. E il tendone giallo e rosso davanti all’ingresso le aveva trasmesso una sensazione di calore.

    Non era la prima volta che lavorava in una grande struttura; spesso era stata in cliniche universitarie, ma in confronto all’Angel, erano tutte molto più piccole. Le piaceva che lo chiamassero Angel. Lanciò un’occhiata veloce all’uomo che le camminava a fianco e pensò che non aveva granché di angelico.

    Davanti agli ascensori il dottor O’Doherty si fermò e premette il pulsante per salire.

    Per esperienza aveva imparato a capire le persone e il portamento del nuovo collega lasciava intuire che non era soddisfatto dell’imposizione che aveva subito dal consiglio direttivo dell’ospedale. La cosa non la sorprendeva. Era tipico dei chirurghi. Sicuri di sé, decisi e chiusi a qualsiasi idea che non fosse la loro. Tuttavia, lei doveva svolgere un lavoro e per farlo doveva collaborare con lui. Non le restava che fare in modo che funzionasse.

    Tossì per schiarirsi la voce. «Mi pare di capire che questo progetto non la entusiasmi.»

    «Infatti» convenne lui, voltandosi per guardarla.

    La sua chiusura non era incoraggiante, ma non avrebbe perso tempo ed energie ad arrabbiarsi per il solo fatto di essere stata affiancata a un medico egoista.

    «Gradirei poter svolgere il mio lavoro nel modo più indolore per entrambi.»

    L’ascensore arrivò e la conversazione rimase in sospeso. Le porte si aprirono ed entrarono nella cabina già affollata. Il dottor O’Doherty le sfiorò

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