Audace vendetta: Harmony Collezione
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Vinn Venadicci, uno degli uomini d'affari più ricchi e spietati di Sydney, una volta aveva un cuore. Poi, dopo l'incontro con Gabriella, giovane e viziata ereditiera, decise che non avrebbe più avuto niente a che fare con i sentimenti. E ora che lei è di nuovo lì, alla sua porta, che lo implora di aiutarla, può scegliere se scacciarla per sempre dalla sua vita, oppure prendersi un'ancora più dolce vendetta. Dopotutto, Gabriella Venadicci suona davvero bene...
Melanie Milburne
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Audace vendetta - Melanie Milburne
1
«Il signor Venadicci ha accettato in via del tutto eccezionale di inserirla tra i suoi appuntamenti» la informò la receptionist con fredda cortesia. «Ma ha solo dieci minuti a disposizione per lei.»
Gabby mantenne i lineamenti impassibili, anche se dentro si sentiva ribollire, come era accaduto nell’ultima ora, mentre Vinn Venadicci si prendeva tutto il tempo per decidere se rispondere alla sua richiesta urgente di vederlo. «Grazie» rispose. «Cercherò di non rubargli troppo tempo.»
Incurante di quanto irritante potesse essere rivedere Vinn, era determinata a restare calma e controllata in qualunque circostanza. C’era troppo in gioco per mandare tutto all’aria, mostrando la sua ira o lasciandosi andare agli insulti, come avrebbe di sicuro fatto sette anni prima. Da allora ne era passata di acqua sotto i ponti, ma lei non aveva intenzione di rivelargli quanto torbida fosse stata in parte. Sarebbe equivalso ad ammettere la sconfitta e, a dispetto di tutto ciò che era accaduto, non era ancora pronta a mettere da parte l’orgoglio quando c’era di mezzo Vinn Venadicci.
Gli ampi e lussuosi uffici nel cuore finanziario di Sydney erano lo specchio della sua strabiliante ascesa nel mondo dell’investimento immobiliare. Nonostante i precedenti da ragazzaccio e le umili origini – era figlio illegittimo di Rose, la governante italiana della famiglia St. Clair – Vinn aveva sorpreso tutti. Eccetto il padre di Gabby, che aveva sempre compreso il suo potenziale e aveva fatto tutto quanto in suo potere per dargli il sostegno di cui aveva bisogno.
Pensare a suo padre era proprio la spinta di cui Gabby aveva bisogno adesso. Henry St. Clair era stato molto male dopo un serio attacco di cuore, quindi molte responsabilità di lavoro erano ricadute su di lei, in attesa che il padre affrontasse il delicato intervento chirurgico per l’applicazione di tre bypass, con la moglie stoicamente al suo fianco.
Il problema sorto negli affari della famiglia era sopravvenuto di punto in bianco proprio allora, e se il capofamiglia ne avesse avuto sentore, avrebbe rischiato un altro attacco di cuore. Gabby avrebbe preferito camminare sui carboni ardenti piuttosto che incontrarsi faccia a faccia con Vinn Venadicci, ma non aveva altre opzioni. Si fermò davanti alla porta su cui era scritto il nome di Vinn e bussò piano, lo stomaco che si torceva per la sensazione pungente che sempre avvertiva quando era vicino a lui.
«Avanti.»
Raddrizzò le spalle e spinse la porta, il mento alto, mentre affrontava la distanza ridicolmente lunga che la separava dalla scrivania. Che lui non si alzasse, se l’era aspettato: era il suo modo velato di insultarla. Vinn aveva sempre avuto l’aria insolente, anche quando viveva con la madre nella dépendance per il personale di servizio di Villa St. Clair a Point Piper.
Nei pochi secondi prima che lui cominciasse a parlare, Gabby assaporò la sua immagine, il cuore in subbuglio nonostante tutti gli sforzi per controllarsi. Anche se Vinn era seduto, la sua altezza era intimidatoria, e la luce proveniente dalla finestra donava ai suoi capelli neri come l’ala di un corvo una brillantezza che le faceva venir voglia di allungare una mano per accarezzarli. Il suo naso portava i segni delle numerose risse in cui era stato coinvolto in gioventù e, a differenza di altri imprenditori che sarebbero ricorsi all’opera di un chirurgo plastico, lui portava le sue ferite di guerra come fossero una medaglia al valore. Proprio come la cicatrice sul sopracciglio sinistro, che gli conferiva un’aria pericolosa e, allo stesso tempo, oltremodo attraente.
«Allora, come sta la vedova allegra?» chiese lui, con un beffardo luccichio negli occhi che la percorrevano pigri. «È da parecchio che non ci si vede. Sarà... quanto, un anno? O forse due? Sembra che il dolore ti doni, Gabriella. Non ti ho mai visto così bella.»
A quella provocazione sardonica, Gabby si irrigidì. Tristan Glendenning era morto da più di due anni ormai, eppure Vinn non mancava di fare riferimento a lui in quel modo graffiante tutte le volte che le loro strade si incrociavano. Per lei ogni riferimento al marito era come uno schiaffo in pieno viso, ma non lo avrebbe mai ammesso. Si controllò. «Posso accomodarmi?»
«Prego, appoggia pure il tuo grazioso fondoschiena su quella sedia» le fece cenno con una mano. «Ma solo per pochi minuti, ho una giornata piena di incontri oggi.»
Gabby si sedette sul bordo della sedia, odiando il calore che le era salito alle guance. Vinn aveva la fastidiosa abitudine di fare commenti personali, che la rendevano consapevole del suo corpo come nessun altro sapeva fare. «Allora» proseguì lui appoggiandosi allo schienale di pelle della poltrona, «che cosa posso fare per te, Gabriella?»
Gabby digrignò i denti. Solo lui la chiamava con il suo nome completo, e lo faceva deliberatamente. Lo aveva fatto fin da quando lei aveva quattordici anni, dal momento in cui la madre di Vinn era stata assunta come governante e aveva portato con sé il figlio diciottenne. Doveva ammettere, però, che pronunciava il suo nome come nessun altro. Solo Vinn, che era nato in Australia ma parlava italiano fin dalla più tenera età, riusciva a dargli un suono vagamente esotico. Le quattro sillabe distinte che fuoriuscivano da quella bocca sensuale le facevano sempre venire la pelle d’oca.
«Sono venuta per discutere di un problema d’affari» esordì, sperando che lui non vedesse le sue mani che si attorcigliavano nervose in grembo. «Visto lo stato in cui si trova mio padre, gradirei chiederti un consiglio su come gestire la situazione.»
Lui restò a guardarla con quel suo fare pensieroso, mentre faceva scattare la penna d’oro con un ritmico clic che sembrava il suono lento e costante del suo cuore. «Come sta tuo padre questa mattina?» le chiese poi. «L’ho visto ieri sera in Terapia Intensiva. Sembrava un po’ affaticato, ma è normale, suppongo.»
Gabby era consapevole delle visite regolari di Vinn al capezzale del padre, e aveva deliberatamente evitato di essere presente nello stesso momento. «Sta abbastanza bene» rispose. «L’intervento chirurgico dovrebbe essere in programma per la prossima settimana... Credo stiano aspettando che si stabilizzi.»
«Sì, certo» convenne lui, mettendo da parte la penna. «Ma i medici sono fiduciosi riguardo al completo recupero, vero?»
Gabby cercò di non guardare le sue mani, ma per qualche motivo i suoi occhi andarono proprio a posarsi sui palmi di Vinn distesi sulla scrivania. Aveva mani ampie, squadrate, con le dita lunghe e una lieve peluria che bastava a ricordarle la sua virilità di trentaduenne focoso. Non era più il ragazzo del passato. Ora la pelle del suo viso era liscia e rasata di fresco, e in tutto il suo metro e ottantacinque non aveva un filo di grasso in eccesso; ogni muscolo tonico e teso testimoniava la sua costante attività fisica, rendendo piuttosto patetici i tentativi di Gabby di fare ginnastica a casa con dei DVD.
«Gabriella?»
Gabby si riscosse e lo guardò. Aveva occhi così sorprendenti, di una particolare sfumatura di grigio che i capelli neri come l’inchiostro e la pelle olivastra rendevano ancora più insolito. Vinn non le aveva mai raccontato di suo padre, e lei non gli aveva mai chiesto niente, anche se aveva sempre supposto che non fosse italiano come la madre. Aveva sentito delle chiacchiere da ragazzina e aveva intuito che l’argomento fosse doloroso per la signora Venadicci.
«Ehm... non ne sono così sicura» rispose infine Gabby alla domanda sul completo recupero del padre. «Non ho parlato direttamente con i medici.» Appena pronunciate quelle parole, si rese conto della loro assurdità: davano l’impressione che la salute di suo padre non fosse una priorità per lei. Ma non si sarebbe trovata lì in quel momento se non fosse stato per l’amore e la preoccupazione che nutriva verso i genitori. Non si sarebbe mai sognata di chiedere aiuto a Vinn, e solo la disperazione l’aveva spinta a varcare la sua porta.
«Immagino che la tua insolita visita nella mia tana riguardi l’offerta pubblica di acquisto per il St. Clair Island Resort, o sbaglio?» domandò lui alla fine, rompendo il silenzio che era calato tra loro.
«Ehm... sì» mormorò Gabby senza riuscire a nascondere il proprio stupore. Come aveva fatto a scoprirlo, se lei stessa ne era appena venuta a conoscenza? «Come probabilmente sai, circa un anno e mezzo fa mio padre ha chiesto un prestito consistente per la ristrutturazione del resort. Ma ieri, nel tardo pomeriggio, ho saputo che c’è stato un richiamo. Se non ripaghiamo il prestito, verrà lanciata l’asta. Non posso permettere che accada!»
«Hai parlato con i tuoi commercialisti?» domandò Vinn accigliato.
In quel momento Gabby sentì un altro strato della sua armatura professionale dissolversi senza lasciare traccia. «Hanno detto che non c’è modo di reperire una tale somma di denaro in ventiquattr’ore» rispose lentamente, abbassando lo sguardo per una frazione di secondo.
Vinn aveva ricominciato a far scattare la penna, adesso più velocemente, come se stesse decidendo quale strategia adottare. «Immagino tu non l’abbia detto a tuo padre» commentò, con un tono più d’affermazione che di domanda.
«No» ammise lei, ancora incapace di sostenere il suo sguardo. «Non ho voluto stressarlo. Temo che una notizia simile possa provocargli un altro attacco di cuore.»
«E i dirigenti del resort? Non sanno nulla di tutto quello che sta succedendo?» insistette lui.
Lei si morse un labbro e lo guardò. «Ho parlato con Judy e Garry Foster ieri sera. Sono preoccupati per il loro lavoro, ovviamente, e ho provato a rassicurarli dicendo che avrei cercato di risolvere le cose.»
«Hai portato con te tutta la documentazione?» le chiese dopo una breve pausa di riflessione.
«Ehm... no. Ho pensato che prima avrei dovuto parlartene.» Sapeva che era la risposta sbagliata. Riusciva a vedere i penetranti occhi grigioazzurri di Vinn che la giudicavano. Si sentiva incompetente, come un bambino alle prese con i giochi dei grandi. Si era assunta responsabilità troppo onerose. Lo aveva sempre saputo, ma non aveva avuto il coraggio di dirlo ai suoi genitori, che avevano riposto in lei grandi speranze dopo la tragica morte di Blair, suo fratello maggiore. La sua scomparsa aveva creato un vuoto enorme, che lei era determinata a riempire in un modo o nell’altro. Ma si sentiva ancora inadeguata, anche se aveva stretto i denti per sette anni e mezzo.
Vinn si appoggiò allo schienale della poltrona, gli occhi ancora concentrati su di lei. «Quindi ci sono meno di ventiquattr’ore di tempo prima che venga dato il via all’OPA» riassunse.
Gabby si passò la punta della lingua sulle labbra aride. «Sì» confermò, facendo di tutto per sedare la paura che una tale prospettiva le suscitava. «Se questo accadesse, alla mia famiglia rimarrebbe soltanto il trentacinque per cento delle azioni del resort. Non so cosa tu possa fare per aiutarmi, ma conosco mio padre e so che, se non stesse così male, sarebbe di sicuro ricorso a te per vedere come evitare di perdere la quota di maggioranza.»
Gli occhi di Vinn erano ancora fissi su di lei, quasi senza batter ciglio, e la turbavano più di quanto le piacesse. «Sai chi c’è dietro il tentativo di acquisizione?» le domandò.
Scosse la testa e si lasciò sfuggire un sospiro. «Ho chiesto in giro, ma pare che nessuno lo sappia.»
«Qual è l’importo del richiamo?» domandò lui.
Il respiro di Gabby si fece affannoso, nello stomaco la sensazione di avere un nido di formiche indaffarate. «Due milioni e quattrocentomila dollari.»
Le sopracciglia scure di Vinn si inarcarono leggermente. «Non proprio spiccioli» commentò.
«E non una somma che si possa racimolare dai conti dei St. Clair» disse lei, inumidendosi di nuovo le labbra con la lingua, come per spazzare via i residui di panico.