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Insieme per una notte: Harmony Jolly
Insieme per una notte: Harmony Jolly
Insieme per una notte: Harmony Jolly
E-book187 pagine2 ore

Insieme per una notte: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Non sempre al primo colpo si capisce chi abbiamo a fianco, ma la seconda volta sì.
Rosa Spencer ha abbandonato senza spiegazioni il marito Aaron. Quando, in occasione di una celebrazione familiare, lo incontra nuovamente, vengono costretti da una tormenta a passare del tempo insieme, da soli. Obbligati ad affrontare il proprio passato e a confrontarsi sul loro matrimonio, riscoprono un'attrazione ancora molto viva, e dopo una nuova notte d'amore, niente sarà più come prima. Per Rosa e Aaron è arrivato il momento di credere in un futuro insieme, e nella loro famiglia.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2019
ISBN9788858998298
Insieme per una notte: Harmony Jolly

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    Anteprima del libro

    Insieme per una notte - Therese Beharrie

    successivo.

    1

    Rosa Spencer aveva due opzioni.

    La prima: risalire sul taxi che l'aveva portata alla casa.

    La seconda: entrare in casa e affrontare l'uomo che, quattro mesi prima, senza una parola di spiegazione, aveva piantato in asso.

    Suo marito.

    Mentre il taxi si allontanava, trasse un profondo respiro. Svanita ogni possibilità di fuga, drizzò le spalle e si incamminò lungo il viale che conduceva all'ingresso della casa delle vacanze degli Spencer.

    Sarebbe potuta andare peggio, ragionò. Avrebbe potuto imbattersi in Aaron a Città del Capo, dove lei era andata a stare dacché lo aveva lasciato. E visto che insieme avevano vissuto a un migliaio di chilometri da lì, a Johannesburg, sarebbe stata impreparata a quell'incontro.

    Visto che lei lavorava da casa, probabilmente avrebbe avuto indosso la vecchia tuta sformata che metteva quando si avventurava fuori durante la settimana. Avrebbe avuto i capelli in disordine, coi riccioli che sparavano in tutte le direzioni, o raccolti alla bell'e meglio con una pinza, e sarebbe stata struccata.

    Esposta, pensò. Vulnerabile.

    Almeno ora era preparata.

    L'abito dorato aveva un'ampia scollatura e una cintura che le metteva in risalto la vita sottile. La gonna era lunga e morbida, ma aveva uno spacco profondo che lasciava intravedere una buona porzione di gamba – aveva gambe lunghe e toniche, uno dei suoi punti di forza.

    Quel vestito le dava sicurezza – dopotutto, che senso avrebbe avuto essere una designer se non fosse stata in grado di creare indumenti che facessero sentire a proprio agio chi li indossava? – così come la massa di riccioli che le ondeggiava ai lati del viso e il trucco che si era messa prima di scendere dall'aereo privato che le aveva mandato sua suocera.

    In quei quattro mesi non aveva più visto né sentito nemmeno Liana Spencer. Forse era per questo che aveva accettato di andare alla festa di compleanno che l'avrebbe costretta a un faccia a faccia con l'uomo che aveva mollato.

    L'altra ragione era sua madre. E i compleanni che Violet Lang non avrebbe mai più festeggiato.

    Rosa trasse un altro profondo respiro, aggrappandosi alla sicurezza che le veniva dall'abito. Era parte dell'armatura che si era creata intorno quando aveva realizzato che avrebbe rivisto Aaron.

    Ne aveva bisogno per nascondere il tremolio alla base dello stomaco e il battito furioso del cuore. Una combinazione che le era così familiare da indurla a pensare di averci sempre convissuto. Anche se per tutta la vita aveva cercato di contrastarla.

    La porta era aperta, quindi entrò, dicendosi che sarebbe stato più semplice che non annunciarsi suonando il campanello. Non c'era nulla che indicasse che c'era una festa in corso – l'atrio era come sempre tirato a lucido, il mobilio di buon gusto ed estremamente costoso – ma la cosa non la sorprese. Liana amava lo sfarzo, perciò era certa che avesse scelto l'ultimo piano. Quello che aveva le pareti interamente di vetro.

    Offriva agli ospiti una vista eccezionale del mare che circondava l'isola davanti alla costa di Città del Capo, delle onde che si infrangevano sugli scogli che punteggiavano la spiaggia situata a pochi metri dalla casa, della cittadina e dell'aeroporto poco distanti.

    Quando arrivò in cima all'elegante scala di marmo, si fece coraggio e aprì la porta.

    Subito dopo si disse che avrebbe fatto meglio e scappar via dato che ne aveva ancora la possibilità.

    Non c'era nessuna festa in corso. L'ultimo piano aveva l'aspetto usuale che ben ricordava. Davanti a lei si apriva una vasta area soggiorno, con un letto addossato a una parete, una grande zona pranzo e una cucina. Il bagno, unica stanza che offriva privacy, si trovava sul lato estremo del salone. L'ultimo piano era uno spazio aperto pensato per offrire ai padroni di casa la massima libertà

    Nel centro del salone c'era suo marito. Solo lui.

    E l'ultima cosa cui Rosa riusciva a pensare era la libertà.

    Le dava le spalle, non si era accorto di lei. Se se ne fosse andata, non avrebbe mai saputo che era stata lì. Quindi...

    Purtroppo, voltandosi, Rosa vide che la porta si era richiusa. E quando si guardò oltre le spalle per vedere se Aaron aveva avvertito la sua presenza, lui si era girato. La stava guardando, l'espressione indecifrabile.

    «Stavi pensando di scappare?» le chiese.

    «N-no» farfugliò lei, imponendosi sicurezza.

    La bocca di lui si incurvò in un mezzo sorriso. «No?» Il tono era vagamente derisorio.

    Rosa arrossì come un peperone. La sensazione di disagio allo stomaco si intensificò. Ciononostante, riuscì a ribattere con un No fermo.

    «Okay» replicò Aaron. Era chiaro che non le credeva. Perché avrebbe dovuto? Era già scappata una volta, giusto? Senza nemmeno avere la decenza di dargli una spiegazione. Quella decisione le aveva tolto il sonno.

    Il senso di colpa tornò a farsi sentire, ma Rosa lo ignorò.

    Per ignorarlo, però, doveva concentrarsi su qualcosa. E, come avveniva sempre, focalizzò l'attenzione sul volto di lui.

    Gli occhi erano bellissimi, il ricordo che ne aveva conservato in quei quattro mesi di lontananza non gli rendeva giustizia. I capelli scuri, il color cioccolato chiaro della sua pelle. La mescolanza di radici indiane e sudafricane aveva creato un viso straordinariamente affascinante, dai lineamenti perfetti come quelli di un attore.

    Ma quel volto non era soltanto bello. Rispecchiava la calma e l'autocontrollo che, oltre ad attrarla, l'avevano anche sempre esasperata. Raramente Aaron lasciava trapelare le emozioni.

    Le aveva intraviste solo quando parlavano di quello che provavano l'uno per l'altro. O mentre facevano l'amore. In quei momenti le emozioni le aveva stampate in viso.

    «Dove sono tutti?» domandò con voce strozzata.

    Aaron fece scivolare le mani in tasca e nel movimento i bicipiti si tesero sotto la camicia.

    Il respiro le si mozzò in gola, a ricordarle che non era attratta solo dal suo viso, ma anche dal suo corpo scultoreo. Era più alto di lei, con spalle ampie, fianchi stretti e gambe lunghe e muscolose.

    Aaron mosse un passo nella sua direzione.

    Non era minaccioso, eppure Rosa arretrò.

    «Be', se ho ragione, e probabilmente è così, ci sono tutti quelli che dovrebbero esserci.»

    «Non capisco. Siamo solo io e te...» Rosa lasciò la frase in sospeso, il cuore che le martellava in petto. «È... È opera tua?»

    «No, no» rispose Aaron avvicinandosi ulteriormente. «Perché dovrei voler vedere la moglie che mi ha piantato in asso senza una spiegazione?»

    «Grandioso. Allora me ne vado.»

    Rosa si girò nuovamente verso la porta. Era confusa, ma quella sensazione l'avrebbe superata quando fosse stata lontana da quell'isola che le ricordava troppe cose di suo marito.

    L'isola in cui lui l'aveva portata mesi dopo la morte di sua madre. Dove si era messo in ginocchio e le aveva chiesto di sposarla, dicendole che non riusciva a immaginare una vita senza di lei.

    Dove, dopo le nozze, avevano passato intere giornate a crogiolarsi al sole sulla spiaggia, e a godersi la compagnia reciproca come solo gli sposi novelli sanno fare.

    Dove avevano trascorso le vacanze, tutte le volte che Aaron l'aveva vista in crisi e aveva voluto regalarle qualche momento di tranquillità, lontano dai problemi.

    L'isola dove l'aveva tenuta tra le braccia, l'aveva confortata e amata in quel letto addossato alla parete che era così carico di ricordi.

    Sì, avrebbe ritrovato la lucidità quando fosse stata lontana da lì. E da suo marito.

    Una mano si posò sulla maniglia prima che potesse aprire la porta. Deglutì a vuoto, poi si voltò a fronteggiare Aaron.

    Aveva il cuore che batteva furioso. Ogni cellula del suo corpo era in tensione. Il profumo di lui le aleggiava intorno, portando con sé ricordi di una meravigliosa intimità, di una comunione perfetta.

    Tentò di annullare anche i ricordi, ma stava diventando sempre più difficile.

    «Perché mi fermi?» riuscì a chiedere con voce ferma.

    «Credevi di poter venire qui, vedermi e poi... andartene?»

    «Pensavo di esser stata invitata alla festa per il sessantesimo compleanno di tua madre.»

    «Dove ci sarei stato anche io.»

    «Sapevo che ci saremmo visti. Ma ci sei solo tu, qui. Ti ho visto. E ora voglio andarmene.»

    «Così?»

    «Sì.»

    Aaron le si fece più vicino. «Non sei nemmeno un po' curiosa di sapere perché siamo qui da soli?»

    «Certo. Ma sono anche sicura che lo capirò lungo il tragitto verso l'aeroporto.»

    «L'aeroporto?» Le labbra di lui si incurvarono in un sorriso. «Tesoro, l'aeroporto è chiuso.»

    «No» ribatté Rosa dopo un istante. «Non può essere. Sono appena scesa da un aereo. Tua madre mi ha detto che il pilota sarebbe stato lì ad attendermi quando avessi finito qui.»

    Il sorriso di Aaron svanì. «Ha mentito. Il tuo volo è stato l'ultimo. L'aeroporto è chiuso per tutto il fine settimana. Riaprirà lunedì.»

    Un'ondata di panico la travolse. «Tutto il fine settimana?» ripeté angosciata.

    «Non fare quella faccia meravigliata, Rosa. Lo sai che le cose qui a Mariner's Island non funzionano come nel resto del mondo.»

    «Sì... Ma era un aereo privato. Il tuo.»

    «Ci vuole comunque una pista da cui farlo decollare e su cui atterrare. E visto che l'aeroporto è chiuso, niente piste sino a lunedì.»

    Rosa si allontanò leggermente, ma non servì a farla respirare meglio. «Quindi... cosa? Tua madre aveva deciso di tener qui i suoi ospiti sino a lunedì?»

    «Non i suoi ospiti» la corresse. «Solo noi due.»

    «Tu lo sapevi?»

    «No.»

    «Come mai non ti sei insospettito quando hai scoperto che l'unica via per lasciare l'isola sarebbe stata impraticabile sino a lunedì?»

    «Mi ha detto che la festa si sarebbe protratta per tutto il weekend.»

    «E tu le hai creduto?»

    «Sì» ribatté Aaron freddamente. «Non è insolito che le sue feste vadano avanti per giorni. Lo sai.»

    «D'accordo» disse Rosa. Poi si arrotolò un ricciolo attorno al dito. Le tremava la mano. «Allora prenderò una barca per tornare a casa.»

    «È troppo tardi per trovarne una.»

    «Lo so» ribatté Rosa tra i denti. «Ne prenderò una domattina.»

    «C'è un allarme meteo per una tempesta in arrivo. Le prime avvisaglie le avremo già oggi.»

    Rosa guardò oltre le vetrate e vide dei nuvoloni neri che andavano addensandosi in cielo. Le si chiuse lo stomaco. «Va bene lo stesso.»

    «Sarà una brutta tempesta, Rosa. Durerà almeno sino a domani sera. Sei sempre dell'idea di prendere una barca?»

    «Sì.»

    Aaron rise piano. «Sei così determinata ad allontanarti da me da esser disposta ad affrontare un viaggio di due ore in barca in mezzo alla bufera? Anche se soffri di mal di mare persino nelle giornate di calma piatta?»

    Rosa ebbe un attimo di esitazione. «Me la caverò.»

    «Oh, sicuro» replicò lui, con un sorrisetto di scherno.

    Aveva ragione, pensò Rosa. Ma le dava fastidio ammetterlo. E lo odiava per questo.

    In realtà, ciò che provava in quel momento era ben lontano dall'odio.

    Era confusa. Com'era potuto succedere? Perché si trovava in quella situazione? Liana aveva orchestrato tutto di proposito?

    Si sentiva in colpa. Se n'era andata senza una parola, non aveva nemmeno detto addio ad Aaron.

    E provava rabbia. Lei detestava sentirsi in trappola. Le ricordava la sua adolescenza, quando restava invischiata nel mondo di sua madre.

    Ma odio? No, concluse, mentre posava nuovamente lo sguardo su Aaron. «Come mai sei così calmo?» gli chiese.

    «Non lo sono affatto» rispose lui. «Ma conosco mia madre e so che probabilmente il suo schema è ben congegnato. Simile a quello che ci ha fatto incontrare. O hai dimenticato?» C'era un tono di urgenza nella sua voce. «Sei scappata anche dai ricordi, Rosa?»

    Lei non rispose. Non c'era nulla che potesse dirgli. Non poteva rivelargli che se n'era andata per salvarlo. Dall'ansia, dallo stress, dalla preoccupazione di stare con una donna che aveva il terrore di perdere la sanità mentale.

    Aveva passato gran parte della sua vita con qualcuno in quelle condizioni. Sapeva per esperienza quanto era difficile, logorante.

    Lo aveva salvato, pensò di nuovo. Gli aveva risparmiato quello che aveva passato lei vivendo accanto a una madre ipocondriaca. Aveva impedito che Aaron dovesse prendersi cura di un'altra persona. Che ne uscisse spezzato.

    Nel momento in cui aveva avvertito quella costrizione al petto aveva capito che non poteva condannarlo a un'esistenza del genere. Così lo aveva lasciato. E aveva cercato di andare avanti con la sua vita.

    Ma i ricordi non erano svaniti. No, i ricordi erano sempre lì.

    «Grandioso» aveva esclamato Rosa a voce alta. «Non c'è nessuno qui.»

    Non aveva senso. Sua madre le aveva detto che quella sera lì ci sarebbe stato un ballo di Natale per i pazienti malati di cancro. Le aveva chiesto di farle da accompagnatrice.

    Ovviamente, lei aveva accettato. Suo padre non era a Città del Capo, ma non sarebbe andato comunque con la

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