Un romantico affare (eLit): eLit
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Info su questo ebook
Helen Hanson, presidente della società di famiglia, non credeva che si sarebbe potuta innamorare ancora, ma Morito Taka, amministratore delegato della omonima azienda, l’ha stregata al primo sguardo. Lei non può e non deve cedere a questo sentimento, la posta in gioco è troppo alta: il suo cuore.
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Anteprima del libro
Un romantico affare (eLit) - Allison Leigh
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:
Mergers & Matrimony
Silhouette Special Edition
© 2006 Harlequin Books S. A.
Traduzione di Alessandro Not
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-989-0
1
Non sarebbe mai più stata felice.
Non riusciva a smettere di pensarci.
Helen Hanson si alzò e si allontanò dal ricevimento nuziale. Non una persona al tavolo la degnò di un secondo sguardo. Perché avrebbero dovuto? Erano tutti sconosciuti, uniti dal loro rapporto con la sposa, che aveva già abbandonato il rinfresco con suo marito.
Il salone era pieno di estranei, e coloro che la conoscevano, o almeno la loro maggioranza, sarebbero stati lieti della sua assenza, se se ne fossero accorti.
Si sentiva le ginocchia deboli, e il cuore le batteva all’impazzata. Temeva di iniziare a sudare.
Forse era una vampata di calore, anche se aveva ancora solo quarantuno anni.
Si sforzò di sorridere e fare un cenno distratto a tutte le persone che incrociava tra i tavoli. Per quanto potesse essere in difficoltà, non lo avrebbe mostrato.
Non sarebbe mai più stata felice.
«Smettila» sussurrò a se stessa nella solitudine del corridoio, appoggiandosi al muro per sostenersi.
Una giovane coppia attraversò ridendo il corridoio, e Helen abbassò la mano e tornò a sorridere.
«Signora Hanson» la salutò la donna, «Jenny non era bellissima?»
Helen annuì. «Sì, ma anche tu stai molto bene.»
La ragazza arrossì e la salutò con una mano, mentre il suo cavaliere la trascinava nel salone.
Di nuovo sola, Helen smise di sorridere e si avviò lungo il corridoio. Ciò che voleva davvero era fuggire, chiudersi nella camera dell’albergo per mettersi qualcosa di più comodo e sdraiarsi. Lì non avrebbe dovuto continuare a sorridere, mantenere la facciata di sicurezza che aveva in pubblico.
La rabbia non era una delle fasi del lutto? In quel caso, Helen non era sicura che sarebbe mai riuscita a superarla.
Sentì gli occhi bruciare e fece per entrare in bagno, ma le voci femminili all’interno la fermarono, e proseguì lungo il corridoio, cambiando direzione solo quando si accorse di complicare il lavoro del catering.
Respirò profondamente, passandosi le mani sui capelli raccolti.
Controllati, Helen. È una giornata di festa. Jenny si è sposata.
Sua figlia si era sposata con un uomo che lei considerava un amico. Era una benedizione. Jenny e Richard erano sposati, e Jenny aveva voluto che lei fosse lì, la figlia che aveva abbandonato tanti anni prima l’aveva voluta al suo matrimonio.
Non c’era ragione di piangere, ma non riusciva a impedirselo.
«Signora Hanson.»
Una voce profonda e leggermente accentata la riportò alla realtà.
Batté gli occhi rapidamente e li fissò sul nuovo arrivato, sorridendogli.
«Signor Taka, spero che lei e la sua ospite vi stiate divertendo.»
Morito Taka, Helen sapeva che le persone a lui vicine lo chiamavano Mori, non sembrava si stesse divertendo molto. Aveva l’aria disinteressata e distante che aveva avuto in tutte le riunioni di lavoro cui aveva partecipato malvolentieri.
«Jenny e Richard, tutti noi, siamo onorati della sua presenza» proseguì lei con quanta sincerità le era possibile. Non solo Jenny lavorava per un giornale della Taka, ma era stata un’idea di Helen proporre una fusione tra la Hanson Media Group e la Taka. Era l’unico modo di salvare la compagnia che suo marito aveva lasciato in rovina.
«Sembra turbata» commentò Morito, quasi controvoglia. I suoi occhi, di un marrone così scuro da sembrare ossidiana, erano impassibili.
Lei aveva visto qualche foto del magnate giapponese prima di incontrarlo di persona, come parte della sua ricerca, ma quelle non potevano presentare l’inquietudine causata dal suo sguardo, anche dopo mesi di trattative per concludere un accordo che lei aveva avviato e che avrebbe potuto giustificare l’unico vero desiderio che George aveva avuto per lei, o lasciare l’impresa di famiglia nelle mani dell’uomo che aveva di fronte.
Tutto in quell’uomo la spiazzava, ma non riusciva a capirne il motivo. Morito Taka non era alto come George, non superava il metro e ottanta; aveva quarantasette anni, il che lo rendeva una ventina d’anni più giovane di George, e portava i capelli scuri tagliati corti, come la barba e il pizzetto, che era appena attraversato da una punta di grigio.
Helen supponeva che lo si potesse definire un uomo attraente, ma era più preoccupata dalle sue intenzioni.
«Le donne piangono ai matrimoni» rispose lei. «Sono sicura che non sia un’abitudine solo americana.»
Lui quasi sorrise. O almeno così sperò Helen. I tratti del volto di Morito erano così forti che non si riusciva a comprendere le sue emozioni. Non c’era nulla di amichevole nel suo aspetto, non aveva il sorriso ospitale dei suoi collaboratori. Probabilmente era il motivo per cui la notte precedente lo aveva sognato nelle vesti di un guerriero.
Quel giorno, lui portava uno smoking su misura, per l’occasione, ma nel suo sogno aveva indossato...
Helen scacciò il pensiero. Taka continuava ad apparire nei suoi sogni solo per via del potere che rappresentava, e nulla più.
«Non è con la sua famiglia» osservò lui.
Lei continuò a sorridere. I figli di George, e le loro compagne, si erano dispersi nel salone da ballo. Anche se si trattava di un evento sociale, non potevano perdere un’occasione di fare affari con le alte sfere della Taka.
Helen era sempre felice di vederli insieme, e le piaceva pensare che nei mesi dalla morte di George, i suoi figli si fossero riavvicinati a causa della collaborazione forzata per salvare la Hanson Media Group. Nel frattempo avevano persino trovato la felicità e l’amore.
Sapeva, però, che la sopportavano solo perché dovevano, non perché tenessero alla sua compagnia, e il matrimonio di Jenny non faceva eccezione.
«Ero con amici di famiglia di Jenny.»
«E non con i suoi figli.»
Grazie per averlo sottolineato.
«I figli di mio marito» precisò lei, anche se non ce n’era bisogno. Taka conosceva ogni dettaglio della sua vita, incluso che aveva avuto una figlia, Jenny, quando era poco più che una bambina. Una volta che il segreto era stato scoperto, lui aveva cercato di annullare la fusione.
Innanzitutto, Jenny lavorava per la Taka, ma anche una volta appurato che non era una spia della Hanson Media, era rimasto il problema dello scandalo e la Taka voleva mantenere la propria reputazione immacolata. Tuttavia il senso degli affari aveva avuto il sopravvento sulla moralità di Morito, e gli avvocati continuavano a incontrarsi.
«I figli di suo marito» concesse lui. «Dev’essere difficile.»
Helen rimase spiazzata un momento, insicura a cosa si stesse riferendo Morito. «Non capisco cosa...»
«La sua perdita. È recente ed evidentemente la affligge ancora.»
George era morto nove mesi prima. «Sì, non l’ho ancora superato» convenne Helen, «ma anche lei ha perso sua moglie.»
«Tanti anni fa.»
«Mi dispiace.»
Lui inclinò lievemente la testa, ma rispetto alla sua usuale impassibilità fu una grande dimostrazione di emozione. «La sua ospite sentirà la sua mancanza» continuò lei, sperando che lui se ne andasse, e in fretta.
«Si è allontanata perché non si sente bene?»
«No, va tutto bene, sto bene.»
«Di solito non ci si nasconde quando si piange di felicità. Sembrava in difficoltà.»
Che proprio quell’uomo, tra tutti i presenti, se ne fosse accorto, la infastidiva ancora di più e temette che la sua maschera stesse cadendo.
Morito fece un leggero respiro. «Andiamo» la invitò, allungandole una mano forte e dinoccolata. «Conosco un posto tranquillo.»
Ora che Helen non bloccava più l’uscita delle cucine, il corridoio era abbastanza tranquillo, però quello che voleva lei non era la tranquillità, ma la sicurezza che la fusione con la Taka avrebbe garantito. Solo allora avrebbe potuto sentirsi di nuovo serena.
Solo allora avrebbe provato di valere qualcosa.
Lui le toccò il braccio.
Helen sentì che stava per piangere e cercò di ignorare le lacrime. Avrebbe dovuto esserci abituata; lo faceva da anni.
Lo guardò e sentì i ringraziamenti svanirle sulle labbra nel notare la lunghezza delle sue ciglia.
«Grazie» riuscì finalmente a dire.
Lui si inchinò freddamente, ma il suo sguardo cadde brevemente sulle labbra di Helen.
Lei riuscì a malapena a non inciampare mentre lo seguiva lungo il corridoio. Era abituata al modo in cui la guardavano gli uomini, ma non se lo sarebbe mai aspettata da Morito.
Lui non lasciò il suo braccio neanche quando entrarono in ascensore, e lei fu sconvolta, sia dal contatto, sia dalla gratitudine che provava per il suo supporto.
Non gli chiese dove la stesse portando, ma continuò a fissare il display dell’ascensore. Si sentiva lo stomaco schiacciato dall’accelerazione dell’ascensore.
Tuttavia la sensazione continuò a infastidirla anche dopo che l’ascensore si fu fermato e loro ne furono usciti, entrando direttamente in un atrio.
La stanza era piena di piante rigogliose, lasciate crescere senza controllo, in netto contrasto con i giardini che punteggiavano Tokyo, curati meticolosamente.
«Si sieda, la prego.» Morito la guidò verso una panca di ferro, ricoperta di seta scarlatta, posta sotto un albero che lei non riconosceva.
Helen si sedette e finalmente lui la lasciò andare, ma non si accomodò con lei. Invece si allontanò e si mise a osservare un albero alto almeno cinque metri.
Helen guardò verso l’alto e vide che, per quanto alto, la stanza aveva un soffitto, per la maggior parte in vetro. Tornò a scrutare Morito, che stava accarezzando una foglia.
Distolse lo sguardo, concentrandosi sul resto della stanza, e si rese conto che non si trattava di un atrio, ma dell’ingresso di una suite.
«È la sua stanza?» Helen sperò che la luce soffusa nascondesse il rossore causatole dalla domanda.
«Hai.» Morito la guardò di sottecchi.
Si alzò. «Posso dare un’occhiata in giro?» domandò indicando l’area nascosta dalle piante.
«Hai.»
Helen si soffermò su un espositore ricoperto di spade, maschere, vasi e altri manufatti che sembravano più adatti a un museo che a una stanza d’albergo. Si accostò alle spade per studiare i dettagli delle impugnature.
«Era del mio bis-bisnonno. Uno degli ultimi samurai.»
Quindi si trattava dell’attico personale di Morito. Era ironico che la famiglia adottiva di Jenny, gli Anderson, possedesse l’albergo in cui evidentemente lui abitava.
«Notevole. L’intera collezione lo è. Sono tutte eredità di famiglia?»
«Sì.»
«L’unica cosa che la mia famiglia possiede da generazioni è la Bibbia. Registriamo tutte le nascite all’interno» gli spiegò.
Morito sfilò la spada. «La tradizione» mormorò, osservando l’arma, «è importante. Molte famiglie se ne stanno dimenticando.»
Maneggiava la spada con tranquillità e sicurezza, come se gli appartenesse.
«Lei continua ad affrontare i nemici con la spada?» domandò Helen con tono allegro.
Lui smise di studiare la spada e si mise