Una bionda in cerca di guai (eLit): eLit
Di Jamie Denton
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Jamie Denton
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Una bionda in cerca di guai (eLit) - Jamie Denton
successivo.
1
Regola n. 1: Una signora non piange in pubblico.
Per la prima volta in vita sua, Carly Cassidy aveva infranto le regole, e cosa ci aveva guadagnato? Solo guai. Era seduta nella sua Ford Escort in panne, in una città sconosciuta, e col cuore pieno di rimorsi. Già, per forza! Aveva deluso troppe persone.
Posò lo sguardo sulla porta aperta di un bar. Se avessero avuto un telefono a pagamento, avrebbe potuto chiamare un carro attrezzi. Il rimpianto e la disperazione si aggiunsero al rimorso. Ma cosa si aspettava? Era fuggita dal proprio matrimonio e aveva passato ore a fissare le barche sul lago Michigan, certa che nessuno dei naviganti avesse mai provato la stessa vergogna che provava lei. Il sole era tramontato ormai, e lei non era nemmeno riuscita a convincersi di avere preso la decisione giusta.
La musica rock proveniente dal bar attirò la sua attenzione. L'unico altro segno di vita in quella vecchia zona di Chicago era la luce che fuoriusciva da un supermercato con la saracinesca abbassata a metà. Carly si girò alla ricerca disperata di un telefono, ma non vide null'altro che marciapiedi e porte chiuse.
«Oh, Signore!» mormorò. In fondo era un'adulta, e aveva tutti i diritti di entrare al bar, usare il telefono e addirittura bere qualcosa. Perché mai stava esitando? Sospirò. Perché ventiquattro anni di regole le avevano insegnato che la figlia di un pastore non entrava in un bar se non scortata da un uomo, e specialmente non se indossava un abito da sposa.
Alzò il mento, decisa a infrangere la seconda regola in un giorno solo, prese la borsetta bianca di seta dal sedile passeggeri e scese dall'auto cercando di non calpestare le volute di satin. Diede uno strattone allo strascico che non aveva avuto il tempo di staccare al momento della sua fuga e lo lasciò cadere sull'asfalto, come un lungo nastro bianco. Sbatté lo sportello della sua Escort così poco collaborativa e si avviò risoluta verso l'entrata illuminata da un neon verde.
Appena dentro fu colpita dalla musica assordante e dall'odore di fumo stantio. Si sentì vacillare, ma si sforzò. Doveva farcela. Le servivano solo un telefono e un carro attrezzi per allontanarsi il più possibile da Homer, Illinois. Riconobbe la canzone che usciva dal juke-box. Ricordava il video trasmesso da MTV, con quel cantante tutto tatuato. Si chiamava Flea, pulce. Che razza di nome! Ma chi gliel'aveva scelto?
Un anticonformista, ecco chi. Qualcuno che ignorava le convenzioni, che non faceva ciò che gli altri si aspettavano da lui. E che non si sarebbe sentito in colpa per essere fuggito il giorno delle nozze.
Un'insegna di legno sullo specchio che ricopriva la parete dietro il banco in mogano attrasse la sua attenzione. Vita Spericolata. Sorrise per la prima volta nella giornata. Era decisamente il luogo ideale per una che aveva deciso di cominciare a disubbidire.
Il Vita Spericolata era l'ultimo posto in cui Cooper Wilde avrebbe pensato di trovare una principessa. Eppure quella bambola bionda con un corpo da favola e due occhi turchesi colmi di apprensione che era appena entrata era una principessa, poco ma sicuro, e ora lo stava guardando facendogli provare scosse da scala Richter.
La biondina si raddrizzò e si diresse verso di lui, mentre i Red Hot Chili Peppers si esibivano in uno scatenato pezzo rock. Guardandola, Coop dubitò che avesse mai messo piede in un bar prima. Diavolo, magari non era nemmeno maggiorenne. La ragazza sollevò il mento ignorando gli sguardi dei pochi avventori, per la maggior parte operai. Stringendo forte la borsettina di seta bianca si avvicinò al bancone di legno.
Coop incrociò le braccia e si chinò a guardarla. Aveva un'espressione determinata, ma aveva già attirato gli sguardi di alcuni tipi poco raccomandabili. Aveva abbastanza problemi, lui, per prendersi cura anche di una sposina piantata in asso che non aveva avuto la presenza di spirito di cambiarsi d'abito prima di girovagare per Chicago col cuore infranto. Quella cercava guai.
Il meglio che potesse fare per il bene del Vita Spericolata, e per il proprio, era rimandarla al più presto nella terra dei sogni da cui proveniva. C'era già un certo fermento tra gli ospiti. «Che posso fare per te, Principessa?»
«Ha un telefono a pagamento?» chiese lei.
«Sul retro» le rispose con un cenno del capo.
«Grazie.»
Lui si chinò in avanti, le mani sul banco. «Sei nel posto sbagliato, Principessa. St. Andrew è a un paio di isolati da qui.»
«Io cerco un telefono, non una chiesa.»
Coop alzò le spalle e prese dal frigorifero una bottiglia fresca di birra per Marty Davis, un saldatore amico di suo zio, che lo trattava come una specie di figlioccio. Erano stati suo zio Hayden e Marty a convincerlo, undici anni prima, a entrare in Marina per vedere il mondo. Da bravo ribelle era stato anche in prigione qualche mese, ma infine si era convertito alla disciplina ed era entrato nei SEAL, il corpo speciale armato, dove si era presto guadagnato il soprannome di Selvaggio. Dopo i quattro anni regolari si era arruolato per altri sei, e avrebbe raddoppiato la dose se il cappellano non gli avesse detto che suo zio non stava bene e aveva bisogno di lui a casa. Coop allora aveva deciso di tornare a Chicago per prendersi cura dell'uomo che lo aveva cresciuto dopo che sua madre era morta.
In realtà al suo ritorno aveva trovato zio Hayden in perfetta forma fisica, ma in rovina finanziaria. Già, perché Hayden Wilde non era malato, ma soffriva di una sorta di ossessione per le donne e i matrimoni che gli era costata letteralmente un occhio della testa.
«Voglio anche da bere» gridò la principessa per sovrastare la musica. Almeno sembrava determinata.
La richiesta attirò l'attenzione di Coop. Mise la birra davanti a Marty, che aveva l'aria divertita, e ritornò verso la ragazza. «Non senza carta d'identità, Principessa. Potrei perdere la mia licenza solo per averti lasciata entrare.»
Lei aprì la borsetta e gli passò la patente. «Come vede, ho l'età per andare dove voglio.»
Coop prese la patente mugugnando e controllò i dati e la foto. Decisamente la ragazza era molto meglio dal vivo. Peccato che lui non avesse tempo da perdere, perché Carly Cassidy era una sfrontata tutta curve, proprio come piacevano a lui, anche se aveva soltanto ventiquattro anni.
Le ridiede la patente. «Okay, bevi qualcosa e poi te ne vai, Principessa. Tu significhi guai qui, e io non ne ho bisogno. Cosa vuoi?»
Domanda difficile, visto che non aveva mai bevuto alcolici in vita sua. Per la sua prima volta voleva qualcosa di forte, uno di quegli intrugli che le attricette di Hollywood sorseggiano vicino alla piscina, pieni di ombrellini e frutta colorata.
«Non serviamo cocktail con decorazioni» la prevenne il barista sexy, quasi leggendole nel pensiero. «Ai miei clienti piace roba forte e veloce.»
Carly lo fissò; sentiva una strana sensazione allo stomaco, ma decise che doveva essere la fame. No, non aveva nulla a che vedere con la maglietta attillata di quel barista, che evidenziava le spalle più ampie e il petto più muscoloso che avesse mai avuto l'onore di vedere. Certo, era fame, e non l'effetto di quei due occhi color cioccolato che non la mollavano un istante, innervosendola. Non aveva fatto colazione quel mattino, e il rinfresco del matrimonio... be', se l'era perso. Sì, sì, era proprio fame.
«Uno scotch» dichiarò infine. Chissà se le sarebbe piaciuto. Meglio comunque del senso di colpa. «Con ghiaccio.»
«Un dito o due?» indagò il barista.
Dita? Era quello il termine usato al bar per i cubetti di ghiaccio? «Due saranno sufficienti.»
Quello schianto di barista la guardò scettico, poi si spostò per prepararle il drink.
Con la borsa stretta in mano Carly si avviò verso il retro, passando accanto ai tavoli da biliardo. Due tipi piuttosto rozzi che bevevano birra la fissarono incuriositi, e non poté biasimarli. Certo, non molte donne vestite da sposa frequentavano il Vita Spericolata.
Trovò il telefono in fondo a un corridoio, vicino alla toilette. L'elenco era fissato al muro con un filo metallico. Chiamò il carro attrezzi e scoprì che avrebbe dovuto aspettare un paio d'ore. Del resto, che cosa pensava? Era sabato sera. Riattaccò. Avrebbe atteso l'arrivo del carro attrezzi prima di chiamare un taxi. Si girò e finì diritta contro un ammasso di cuoio, jeans e catene.
Alzò il capo più che poté e si trovò a fissare una delle facce più brutte che avesse mai avuto la sfortuna di vedere. Il Motociclista, come decise di chiamarlo, aveva gli occhi piccoli, ma spalancati, e stava osservando un punto a sud del volto di Carly. Aveva il naso storto, rotto in più parti.
Le sorrise. Gli mancava un incisivo. «Ehi, io e il mio amico ci chiedevamo se è proprio vero...»
Carly si sentì svenire. Dove abitava lei nessuno si sarebbe sognato di abbordare una sconosciuta per sapere se il suo seno era vero!
Del resto lì non era a Homer. Secondo quanto le era stato insegnato, avrebbe dovuto ignorare l'insulto e allontanarsi con una scusa. Quelle erano le regole. Ma chi voleva ingannare? Se avesse davvero seguito le regole, non si sarebbe mai cacciata in quella situazione. A quell'ora sarebbe dovuta essere a letto con il proprio sposo nell'hotel del paese e l'indomani... via, in viaggio di nozze in Florida, come si conviene.
Regole. Le odiava e, peggio ancora, si disprezzava per averle sempre rispettate come una brava bambina. Le avevano quasi rovinato la vita. Aveva rischiato di trovarsi sposata a un uomo che non amava e che non la amava. Per seguire le regole aveva accettato di fare l'insegnante di musica nella scuola del paese, malgrado detestasse quel lavoro. Bene, ora aveva chiuso con le regole.
«A dire il vero, è quel maledetto corsetto che indosso...» rispose sorridendo al Motociclista. «È incredibilmente ingombrante, non credi?»
Il Motociclista assunse un'aria perplessa, poi iniziò ad arrossire. «Veramente, io parlavo del colore degli occhi, signorina. Sono di un turchese stupendo. Io e Joe ci chiedevamo se portasse lenti colorate.»
«Oh.» Stavolta fu lei ad arrossire. «Mi spiace, pensavo... credevo che...» Diavolo, si sentiva proprio stupida. Aveva messo in imbarazzo quel pover'uomo.
Le sorrise impacciato. «Non importa. Allora, è vero? Il colore degli occhi, intendo» spiegò.
Carly sorrise per la seconda volta della giornata. «Sì, è il mio colore. E sono davvero spiacente. Posso offrirle da bere? Sa, per scusarmi.»
Il Motociclista fece un passo indietro e la fissò con lo sguardo bovino. «Non ha un posto dove andare?»
«Sto aspettando il carro attrezzi.» E comunque, dove sarebbe andata dopo? Avrebbe improvvisato. D'ora in poi sarebbe stata lei a darsi delle regole. Vivi la vita come viene, e goditela: quella sarebbe stata la regola d'oro di Carly. A patto che riuscisse a ignorare il senso di colpa che provava. Raccolse lo strascico del vestito e sorrise al Motociclista. «Hai un nome?» gli chiese.
«Benny» rispose lui sorridendole di rimando.
Si gettò lo strascico su un braccio. «Bene, Benny, ho ordinato da bere al bar, per cui o mi segui, o dovrò salutarti.»
Si diresse di nuovo verso il banco del bar dove un bicchiere solitario la stava aspettando. Con un po' di concentrazione e un piccolo sforzo riuscì ad arrampicarsi sullo sgabello, malgrado il peso dello strascico. Posò la borsetta, prese il bicchiere e ingollò il suo primo sorso di scotch.
Le parve di avere ingurgitato fuoco liquido. Lo stomaco era in fiamme. Cosa diavolo le aveva dato quel barista? Benzina? Tossì, sputacchiò, ma non si arrese e bevve un secondo sorso. Peggio del primo.
Benny e il suo amico le si avvicinarono, prendendo posto sugli sgabelli accanto. «Questo è Joe.» Benny