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Torbido inganno
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E-book188 pagine2 ore

Torbido inganno

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Info su questo ebook

Tate Duncan è abituato ad avere ogni cosa sotto controllo fino a quando non scopre che la famiglia di cui pensava di far parte è in realtà un'enorme menzogna. Adesso solo l'insegnante di yoga Hayden Green è in grado di offrirgli una via d'uscita.

Tate ha bisogno che lei lo accompagni a far visita ai suoi genitori biologici, e lo dovrà fare nei panni della... sua fidanzata! Ma quando l'attrazione che dovrebbero simulare diventa pericolosamente reale, l'inganno che hanno messo in scena rischia di ritorcersi contro di loro.
LinguaItaliano
Data di uscita20 nov 2020
ISBN9788830521933
Torbido inganno

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    Anteprima del libro

    Torbido inganno - Jessica Lemmon

    1

    Fuori dal Brass Pony, un ristorante stellato al cui bar si era scolato più di un whisky, Tate Duncan se ne stava in piedi sotto la tenda dell'ingresso a guardare la pioggia che scendeva in violenti scrosci.

    Aveva scelto una serata infernale per uscire a piedi.

    Il fatto era che la viabilità qui nella Spright Wellness Community era concepita proprio per questo. Con la sua fitta rete di marciapiedi, percorsi pedonali e sentieri che tagliavano parchi e boschetti, una passeggiata era assai più comoda e pratica di uno spostamento in auto per andare da un punto all'altro. Dopotutto, questa era una comunità del benessere di nome e di fatto.

    Cinque anni prima, Tate e un team dedicato avevano sviluppato quel grande distretto del benessere che era a tutti gli effetti la wellness community, creata come tutte le sue omologhe per favorire la salute fisica e mentale dei suoi abitanti. L'ubicazione? Spright Island, un'invidiabile utopia a trenta minuti di traghetto da Seattle, Stato di Washington, nonché regalo per il venticinquesimo compleanno di Tate da parte dei genitori adottivi. L'isola era stata, e rimaneva tuttora, un dono della natura e si era rivelata il luogo ideale in cui realizzare un ambiente tranquillo e moderno, improntato alla sostenibilità, che attirasse dalla vicina città abitanti dalla mentalità più aperta e curiosa.

    Tate aveva così dato vita a quell'enclave salutista di lusso, che era diventata una sorta di rifugio per chi desiderava un forte senso di comunità e voleva allo stesso tempo essere circondato dal verde anziché dal cemento. Di conseguenza, la Spright Wellness Community brulicava di residenti soddisfatti che trasudavano benessere sia a livello di salute che di conto in banca. Insomma, c'era grande richiesta di vivere in un ambiente piccolo e ovattato, anche se la comunità non era poi esattamente così piccola.

    «Ombrello, signor Duncan?» Il manager del Brass Pony, Jared Tomalin, si affacciò alla porta per offrirgli un ombrello nero dal manico ricurvo. Il suo sorriso si affievolì subito come in precedenza, quando aveva tentato di scambiare due parole e aveva intuito che il signor Duncan non era in vena di chiacchiere quella sera.

    C'era stato un tempo, non tanto addietro, in cui Tate si sarebbe voltato, avrebbe rivolto un sorriso a Jared e avrebbe accettato l'offerta, dicendo: Grazie. Glielo riporto domani. Adesso invece fulminò il manager con un'occhiataccia e s'incamminò, incurante del tempo da lupi. Una corsetta di una ventina di minuti, fredda e bagnata, pareva la perfetta metafora della spirale discendente che aveva imboccato di recente la sua vita.

    Tutto nel mondo di Tate era stato un percorso di costante e progressiva ascesa, fino a quando...

    Fino a quando.

    Sollevato il bavero, si infilò le mani nelle tasche del giaccone di pelle. Mento abbassato, occhi concentrati sulle pozzanghere che aveva di fronte, cominciò a camminare.

    La zona era caratterizzata da una varietà di negozi. Mercati al coperto con prodotti freschi e biologici, ristoranti come il Pony, la cui reputazione attirava gente fin dalla costa, più un sacco di attività che andavano dai centri estetici alle gallerie d'arte e alle palestre di yoga e meditazione. Con la sua variegata offerta di alto livello, la Spright Wellness Community era in parte un luogo di lusso, in parte una comunità improntata allo spirito dei figli dei fiori. Tuttavia, per Tate, era semplicemente casa.

    La luce prodotta da una rara coppia di anabbaglianti attirò la sua attenzione, facendogli alzare la testa. Dall'altra parte della via, esattamente alla sua altezza, si trovava il Summer's Market, nelle cui vetrine erano esposti generi alimentari di ogni provenienza e tipo. Formaggi francesi e cracker in confezioni ricercate erano disposti accanto a una selezione di pregiati vini italiani. Stentava quasi a crederlo, eppure c'era stato un tempo in cui non aveva avuto niente di meglio da fare che passare da Summer's per una degustazione di vini e formaggi e fare due chiacchiere con amici e conoscenti.

    Quando sapevo chi ero.

    Tate non aveva mai pensato alla propria identità come a qualcosa di complicato, ultimamente, però, la sua si era rivelata piuttosto indefinita e sfuggente. Una volta sapeva con certezza chi era. Il figlio di William e Marion Duncan, liberi cittadini dello Stato della California. La vita, però, aveva in serbo altri progetti per lui. Progetti che lo avevano spinto a cercare di capire come fosse diventato il figlio di William e Marion Duncan, proprio nello stesso periodo in cui la donna che avrebbe dovuto sposare lo aveva lasciato.

    Non posso farlo, Tate, gli aveva detto Claire, sui cui lineamenti delicati si era disegnata un'espressione mortificata. Poi gli aveva restituito l'anello di fidanzamento. Questo era stato due settimane prima. Da allora, era diventato intrattabile.

    Il ritmo del suo respiro pareva scandire quello dei suoi passi mentre l'acqua piovana gli martellava sulla testa come fosse un tamburo, inzuppandogli le scarpe italiane in pelle.

    Dal suo lato della strada, si imbatté in un edificio che ospitava una serie di attività commerciali, tra cui uno studio di agopuntura, quello di un medico generico e una scuola di yoga. La scuola era l'unica illuminata all'interno. La luce calda proveniva da un paio di lampade di sale rosa poste su una scrivania. Incuriosito, sbirciò attraverso la vetrata, pentendosi di non aver accettato quel dannatissimo ombrello. E anelò a un po' del calore che pareva regnare in quel luogo dove tutto era ordinato e accogliente, con gli armadietti in cui riporre scarpe e cellulari durante le lezioni perfettamente allineati.

    Era già entrato una volta, per salutare la nuova proprietaria che aveva affittato il locale. Yoga by Hayden era gestito da Hayden Green, una nuova residente che viveva nella comunità da poco più di un anno. A volte la incrociava in giro per la città. Era come guardare un raggio di sole, tanto era radiosa e gioiosa. Era sempre piena di energia, aveva un passo spedito e un bel sorriso stampato in viso quasi tutti i giorni. Si chiedeva se lo yoga fosse il suo segreto per essere felice. Forse avrebbe dovuto provare anche lui a praticarlo, facendone la sua nuova terapia. Anche perché non sarebbe tornato tanto presto dal dottor Schroder.

    I problemi che era solito portare all'attenzione del suo terapista erano ridicoli, considerato il dramma attuale che stava vivendo. Immaginava già la sua esposizione di fronte al medico che lo fissava mentre le folte sopracciglia gli si inarcavano verso i capelli scuri.

    Proprio così, ho scoperto che sono stato rapito quando avevo tre anni, che sono stato successivamente adottato dietro pagamento di una grossa somma di denaro e che i miei veri genitori vivono a Londra. No, i miei genitori adottivi non sapevano che ero stato rapito. Sì, a Londra. E ho un fratello. Siamo gemelli.

    Assurda e misteriosa. Ecco com'era la faccenda. Come una storia da brividi raccontata attorno a un falò, c'era una grossa parte di lui che avrebbe voluto credere che fosse falsa. Che il ricordo nebuloso e a lungo represso di un paio di grandi mani che lo afferravano sotto le ascelle e lo trascinavano via dalla festa di compleanno sua e del fratello gemello fosse solo un brutto incubo dal quale si sarebbe presto risvegliato. Che George e Jane Singleton non fossero suoi parenti più di quanto lo fosse la Regina d'Inghilterra.

    Solo che, in effetti, era originario del Regno Unito. Quindi, mai dire mai.

    La pioggia ghiacciata gli aveva intriso i capelli, raggiungendogli il cuoio capelluto, tanto che rabbrividì. Da due mesi aveva la mente che fluttuava nell'aria come un palloncino in balia dei venti e non era certo di quando mai sarebbe tornato alla normalità. Non era sicuro nemmeno di sapere più cosa fosse normale.

    Tutta la situazione era surreale. E, avendo sempre vissuto una vita organizzata e piena di soddisfazioni, costituiva ancor di più uno shock che non era stato preparato ad affrontare.

    Quante probabilità c'erano che due fratelli gemelli londinesi, separati da piccoli, si incontrassero in un bar di Seattle a quasi trent'anni di distanza?

    Infinitesimali.

    Gli sfuggì una risata spezzata. «Non stai abbastanza bene per vivere in una comunità del benessere, amico mio.»

    Alzando lo sguardo, ammirò i lampioni uguali l'uno all'altro allineati lungo il marciapiedi, ricordando che era stata proprio la versione ancora sana di se stesso a commissionarne la progettazione a un fabbro. Assomigliavano a degli alberi con tanto di rami completi di foglie alla cui estremità la lampada era alloggiata in un fiore dalla forma di campana. Tate pensava che avessero una qualità vagamente fiabesca. Come se il bruco fumante o il gatto del Cheshire di Alice nel Paese delle Meraviglie potessero andare ad appollaiarvisi sopra da un momento all'altro.

    «Stai uscendo di testa, Duncan.»

    Tuttavia il sorriso che gli era comparso sulle labbra morì non appena si rammentò bruscamente che non era affatto un Duncan.

    Era un Singleton.

    Qualunque cosa ciò significasse.

    Il fischio acuto del bollitore distolse l'attenzione di Hayden Green dal suo libro. Alzandosi, coprì il breve tragitto fino alla cucina, spense il fornello e versò l'acqua nella tazza precedentemente preparata.

    Nonostante godesse di un'ottima vista, in mezzo alla fitta pioggia battente riusciva a malapena a distinguere la forma del mercato dall'altra parte della strada. Avvicinandosi alla finestra del primo piano, spalancò gli occhi, puntandoli sulla strada.

    Nel diluvio scorse una figura. Proprio davanti alla sua scuola di yoga. Era sicuramente un uomo, dato che il giaccone di pelle ne sottolineava le spalle larghe.

    Certa che lo sconosciuto non potesse vederla, dato che la luce della cucina era spenta, premette la fronte contro il vetro. L'uomo piegò la testa all'indietro e in quell'istante il lampione gli illuminò il volto colpito dalle pungenti gocce di pioggia che lo costrinsero a chiudere subito gli occhi.

    Hayden riconobbe immediatamente l'inatteso visitatore. «Che ci fa qui Tate Duncan?»

    Tate era un mito a Spright Island. Era il proprietario dell'isola, quindi tutti quanti lo conoscevano o sapevano comunque chi era. Qui attorno, Tate aveva curato personalmente ogni dettaglio, perché per lui i dettagli erano importanti.

    Hayden era rimasta subito folgorata dalla Spright Wellness Community. Era un luogo rilassante in cui vivere, una sorta di rifugio sicuro dalla frenetica vita cittadina. Nata a Seattle, cresciuta in un ambiente affollato e poco funzionale, desiderava da sempre un posto più tranquillo e meno popolato.

    Quando un anno e mezzo prima aveva saputo della comunità di Spright Island, era venuta in visita. Qualche giorno dopo, aveva chiesto il prestito massimo per un'attività commerciale che la banca fosse disposta a concederle e aveva affittato lo spazio per la sua palestra di yoga. Aveva lasciato il posto di lavoro alla YMCA e aveva restituito le chiavi dell'appartamento di Seattle per trasferirsi qui, portandosi dietro il minimo indispensabile.

    Era stato un nuovo inizio.

    Poco dopo, Tate era passato dalla sua scuola per darle personalmente il benvenuto nella comunità e invitarla a una degustazione di vini quel fine settimana al Summer's Market. Era stata una gentilezza che non si era aspettata, senza la quale non le sarebbe stato facile incontrare e conoscere i suoi concittadini.

    Raramente vedeva qualcuno in giacca e cravatta mettere piede in una scuola di yoga, quindi la presenza di Tate aveva attirato la sua attenzione. Uno dei suoi sorrisi ammaliatori le aveva fatto ben presto perdere il filo dei pensieri. Come aveva scoperto lei stessa, infatti, il leggendario Tate Duncan non solo era tremendamente attraente ma, quando sorrideva, il suo fascino aumentava in modo esponenziale.

    Se non alla sua bellezza virile, con il tempo si era abituata alla sua presenza nella zona. Lei e Tate si erano incontrati più volte in giro per la comunità, al ristorante o in un bar. Lui le aveva sempre rivolto un sorriso, chiedendole come andava l'attività. A pensarci bene, era passato un po' di tempo dall'ultima volta che gli aveva parlato. L'aveva visto alcune settimane prima, all'uscita dall'ufficio postale. Aveva il cellulare all'orecchio e parlava con qualcuno, un severo cipiglio a increspargli la fronte altrimenti perfetta.

    Lui aveva scrutato distrattamente la via e lei lo aveva salutato non appena si era sentita addosso il suo sguardo, ma Tate non aveva reagito, continuando imperterrito a parlare al telefono. Era stato un comportamento anomalo per lui, però non ci aveva fatto caso.

    Adesso però, vedendolo in piedi sotto la pioggia battente, bagnato fradicio, si interrogò anche sull'insolito atteggiamento precedente. Istintivamente, Hayden lanciò uno sguardo al bollitore. Forse non sarebbe stato male invitarlo a bere una tazza di...

    In fondo, si era premurato di farla sentire la benvenuta. Il minimo che potesse fare era offrirgli di potersi confidare con qualcuno nel caso ne avesse bisogno.

    Infilò la porta che dava sul vano scala, sul cui pianerottolo teneva l'armadio per i cappotti. Anche se condivideva l'edificio con altre attività, la scala interna che collegava il suo appartamento alla scuola di yoga era privata.

    Giunta al pianterreno, accese le luci a soffitto della palestra e, improvvisamente illuminato, Tate sbatté le ciglia, riconoscendola. Poi sollevò una mano in un accenno di saluto,

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